6
1.1 La colonia e gli schiavi
Dopo la scoperta dell’America, nuove ed impreviste tematiche si presentarono nel
nuovo e nel vecchio continente: entrarono in contatto due mondi che fino ad allora si
erano reciprocamente ignorati, ognuno con delle proprie regole e inossidabili
convinzioni riguardo alla vita e alla morte.
In Messico, gli spagnoli usavano il linguaggio delle armi e della guerra violenta,
contro la guerra simbolica basata su sogni premonitori e accettazione attuata dai
popoli mesoamericani
1
.
I diversi piani di intendere il contatto di questi due mondi inevitabilmente si traduce
in una ecatombe di indigeni: Todorov, nel suo “La conquista dell’America”, a
pag.162, stima la popolazione messicana all’indomani della conquista in circa 25
milioni di abitanti; dopo un secolo era ridotta a 1 milione. Nonostante non si possa
provare in maniera certa la metodicità dei massacri, né la volontà di annientare le
culture esistenti in Messico a quel tempo da parte dei conquistadores, appare
evidente il risultato che produsse la convivenza degli spagnoli con gli amerindiani
del Messico dopo un solo secolo: “genocidio”
2
. Lo stesso Todorov afferma “se c’è
un caso in cui si può parlare, senza tema di smentita, di genocidio è proprio
questo”
3
.
La cultura cristiana degli spagnoli si rivela un’arma pericolosissima per gli indigeni,
perché questa viene usata come ideologia per giustificare l’esistente drammaticità in
cui subito si trovano a versare gli autoctoni; esemplare è il caso del frate francescano
Motolinia, che nel 1523 arriva a paragonare le dieci piaghe bibliche sopportate
dall’Egitto alle nuove dieci afflizioni piombate sul Messico con l’arrivo dei
conquistatori: vaiolo, battaglia per la capitale Tenochtitlan, carestia, maltrattamenti
dei sorveglianti, imposte elevate e servizi, lavoro forzato nelle miniere di oro e di
argento, costruzione della Città del Messico, schiavismo, guerre tra fazioni di
spagnoli e rifornimenti nelle miniere
4
.
La decimazione demografica delle popolazioni indigene si verificò a causa di tre
fattori correlati tra loro: in maniera diretta per le uccisioni, ed in via indiretta a causa
di ripetuti e violenti maltrattamenti e per le malattie importate, loro malgrado, dagli
spagnoli, a cui i nativi americani non poterono opporre le adeguate difese
immunitarie.
I vantaggi dei quali godevano i messicani, che erano in numero superiore agli
spagnoli e in più avevano il non trascurabile vantaggio di essere sul proprio
territorio a combattere la guerra, furono insufficienti; inoltre pesarono le iniziali
esitazioni di Moctezuma durante la penetrazione di Cortés, le grandi fratture interne
nei rapporti di potere del Messico di allora, dove i Mexica erano loro stessi dei
1
T. Todorov, La conquista dell’ America, Torino Einaudi 1992 (ed.originale1982).
2
Il vocabolario della lingua italiana “Devoto-Oli” definisce “genocidio” la “Metodica distruzione di un gruppo etnico,
razziale o religioso, compiuta attraverso lo sterminio degli individui e l’annullamento dei valori e dei documenti
culturali”.
3
T.Todorov, ibidem, pag.162.
4
Motolinia “História” citato in T.Todorov, ibidem, pag.165-169.
7
conquistatori delle altre popolazioni, ed anche la chiara superiorità degli armamenti
degli spagnoli, muniti tra l’altro, di cannoni, spade e cavalli.
Inoltre, la voglia di oro degli invasori, letteralmente accecati dalle ricchezze delle
terre che si trovarono davanti agli occhi, funse da catalizzatore di belligeranza:
“il dio denaro rende gli spagnoli delle bestie disumane, che compiono un delitto
ateo”
5
.
Lo scrittore e saggista uruguagio Eduardo Galeano mette l’accento sulla brama di
denaro e ricchezze del popolo conquistatore per spiegare le disgrazie vissute dai
conquistati
6
, a questo scopo cita un passo in nahuatl
7
del Codice Fiorentino che
recita cosi:“gli spagnoli godevano. Come scimmie alzavano l’oro e si sedevano in
atteggiamento di piacere [……………] e come porci affamati bramano l’oro”.
Inoltre va messo detto come “l’affare messicano”, per usare l’espressione di
Galeano, non fosse una esclusiva spagnola, ma un interesse di marca europea, in
quanto gli indebitamenti degli iberici finivano per arricchire i finanziatori delle
spedizioni oltre-oceano: olandesi, fiamminghi, francesi, genovesi, tedeschi.
Per dirla come Galeano: “la Spagna aveva la vacca, ma altri si bevevano il latte”.
Non fu solo la Spagna, con i propri relativi interessi, a disintegrare il fiorente
continente americano, ma anche i finanziamenti di altre nazioni dell’Europa.
Subito apparve chiaro che la condizione degli indigeni erano insopportabili e funeste
per gli stessi spagnoli, che non riuscivano a sfruttare a sufficienza le immense
ricchezze della terra di cui avevano preso possesso:
si pose il problema della manodopera, ormai scarsa a causa della decimazione dei
nativi, ed inoltre sorsero anche dei problemi morali dovuti ai maltrattamenti inflitti
agli amerindiani.
Non si può non ricordare la figura di padre Bartolomè de las Casas, citato in ogni
manuale di storia della conquista, che con la sua “Brevissima relazione della
distruzione delle Indie”, presentata a Carlo V nel 1542 ed in seguito pubblicata a
Siviglia 10 anni più tardi, denuncia tutti gli abusi fisici e morali effettuati dai suoi
compatrioti ai danni delle popolazioni amerindiane; il padre domenicano proponeva
una cristianizzazione pacifica delle genti e condannava la loro riduzione in
schiavitù; tuttavia anche egli ignorava la libertà di scelta ed autonomia degli
indigeni, vedendoli semplicemente come uomini da evangelizzare. Todorov ci dà un
altro prezioso suggerimento, definendo la visione del domenicano con l’illuminante
espressione “protocoloniale”.
Il nome di Las Casas affiora anche quando si parla di tratta ed importazione degli
schiavi dal continente africano. Il libro a cura di Lavon Zanugbo
8
ci viene in
grandissimo aiuto nel capitolo 11 scritto da Clara Campani, che afferma senza mezzi
termini che per consiglio dello stesso padre domenicano furono introdotti gli schiavi
negri in America, con il fine di salvare gli indigeni dalla fatica del lavoro nei campi
5
T. Todorov, La conquista dell’ America, Einaudi, Torino 1992.
6
E. Galeano, Le vene aperte dell’America Latina, Sperling & Kupfer Milano 1997.
7
Il nahuatl è la lingua che parlavano i mexicas, e che parlano attualmente i loro discendenti (circa 300.000 persone).
8
V. Lavon Zanugbo (a cura di), Las Casas frente a la esclavitud de los negros: visión crítica del undécimo remedio,
Perpignan, Presse Universitarie, CRILAUP.
8
e nelle miniere. Il commercio degli schiavi non veniva considerato sacrilego né dai
cristiani né dai musulmani perché i popoli subsahariani erano considerati pagani ed
idolatri.
Con l’ introduzione degli schiavi africani nel nuovo mondo inizia un'altra
sanguinosa pagina della storia delle Americhe, che ora andremo a vedere più nel
dettaglio.
9
1.2 Il caso dei neri e della terza radice
La tratta dei negri seguì le tappe dell’evoluzione del commercio coloniale, di cui fu
uno dei rami più lucrativi.
Dice G. Aguirre Beltrán, nel suo libro “La población negra de México”, che
certamente ci furono schiavi africani in Spagna da prima della scoperta del Nuovo
Mondo, ma solo dopo esplose il commercio di persone con una “forza incontenibile”
9
.
Le urgenze della colonizzazione e la crescente domanda di manodopera
propiziarono il traffico di uomini, che durante più di tre secoli fu un affare colossale,
regolamentato dalla corona spagnola.
L’introduzione fu massiccia e robusta in Messico e in tutti i paesi caraibici, e diede
vita a nuove dinamiche di contatto che si aggiunsero al già traumatico rapporto tra
europei e amerindiani: di fatto emersero le tre radici dell’ attuale continente latino-
americano composte appunto dagli indigeni americani, dai conquistatori europei e
dagli schiavi africani.
Il meticciato tra questi tre gruppi suggerì all’amministrazione coloniale una
separazione in gruppi sociali basati appunto sulla differenza razziale. La società
coloniale classificava tutti i suoi integranti in “caste”, così che una società in questo
modo divisa agevolava il dominio sulle terre conquistate e sui suoi abitanti
10
.
Può tornare utile guardare la Spagna al momento della conquista per capire la
“politica razziale” attuata dalla corona; si avevano anche qui tre gruppi distinti:
cristiani, ebrei e musulmani, differenti sia per la lingua che per la religione
professata. La società spagnola prestava molta attenzione al concetto di “purezza di
sangue”, facente perno su motivazioni religiose più che biologiche. Anche se la
mescolanza tra individui fu una realtà, è evidente che questo concetto di purezza si
vide riflesso nella Nuova Spagna.
Le prime stratificazioni sociali in Messico seguirono un ordine gerarchico:
- spagnoli di provenienza europea,
- spagnoli americani o creoli,
- indigeni,
- negri schiavi
11
.
L’appartenenza ai gruppi di maggiore status gerarchico conferiva maggiori diritti e
vantaggi nelle condizioni generali di vita. Ciò diede impulso al desiderio di mobilità
sociale, che si attuava principalmente nelle unioni tra membri di differenti “caste”:
nacque così la popolazione euro-meticcia, afro-meticcia e indo-meticcia delle
Americhe.
9
G.Aguirre Beltrán, La poblacíon negra de México – Estudio etnohistórico, México, F.C.E. 1989. (Ed. Originale
1946).
10
Enciclopedia Internacional de las Ciencas Sociales, volume II, pag.212 “castas”.
11
Non tutti i negri che arrivarono in Nuova Spagna lo fecero da schiavi, alcuni arrivarono da conquistatori.
10
Le unioni più frequenti, per i conquistatori, coloni, commercianti ed amministratori,
furono di maschi europei con indigene e africane, anche e soprattutto a causa della
scarsezza di donne spagnole durante i primi decenni della colonizzazione; ma già
nel secolo XVII apparvero matrimoni con mulatte, per poi stabilizzarsi con unioni
con euro–meticce. Per quanto riguarda il negro, invece, si può ragionevolmente
supporre che nei primi anni della permanenza nel nuovo mondo si unì con indigene
e africane, e solo in seguito con afro–meticce
12
.
Tuttavia i geni furono mischiati anche in maniera molto più imprevedibile ed
articolata, dando vita a nuovissime forme di meticciato biologico che Gonzalo
Aguirre Beltrán, con l’aiuto di documenti coloniali classifica così:
1. Spagnolo con india = mestizo
2. Mestiza con spagnolo = castizo
3. Castizo con spagnola = spagnolo
4. Spagnolo con negra = mulatto
5. Mulatta con spagnolo = morisco
6. Morisco con spagnola = chino
7. Chino con india = salta atrás
8. Salta atras con mulatta = lupo
9. Lupo con china = gígaro
10. Gigaro con mulatta = albarazado
11. Albarazado con negra = cambujo
12. Cambujo con india = zambaigo
13. Zambaigo con lupa = calpa mulato
14. Calpa mulato con cambuja = tente en el aire
15. Tente en el aire con mulatta = no te entiendo
16. No te entiendo con india = torna atrás
13
Le seguenti classificazioni erano effettuate a scopo burocratico.
All’inizio gli schiavi africani venivano importati dalle Antille, in seguito da Spagna
e Portogallo, e, quando la domanda divenne molto elevata, direttamente dalle coste
africane.
Secondo Corrado Gini, i negri introdotti nella Nuova Spagna provenivano
principalmente da due grandi gruppi razziali: sudanesi e bantu
14
, corrispondenti agli
abitanti degli attuali stati di Guinea, Congo, Nigeria, Ghana e Togo. I negrieri
cercavano individui giovani, forti e sani, frutto di un grande processo di selezione
operato in Africa, che tuttavia veniva vanificato dalle inumane condizioni del
viaggio verso le Americhe; sulle navi, a causa della quasi inesistente igiene,
incubavano malattie contagiose, che portava una metà di loro a giungere morti a
destinazione
15
.
12
L.M.Martínez Montiel, La cultura africana, tercera raíz, in G.Bofill Batalla (a cura di) “Simbiosis de cultura”,
México F.C.E. 1992.
13
G.AguirreBeltrán, La poblacíon negra de México – Estudio etnohistórico, México, F.C.E. 1989.
14
C.Gini, Population, Chicago, Universitari Press 1930
15
G.AguirreBeltrán, La poblacíon negra de México – Estudio etnohistórico, México, F.C.E. 1989.
11
Provenienti da Spagna e Portogallo, invece, giunsero altri negri, chiamati “negri
latini”, che erano passati per un processo di acculturazione nella penisola iberica,
dove appresero la religione cristiana.
La ingarbugliata questione razziale che si va formando nelle Americhe merita di
essere sviscerata ulteriormente, però limitando lo sconfinato campo di studio al solo
paese messicano, che verrà preso come “esempio”.
12
1.3 Il caso Messicano
Il Messico rappresenta un ottimo esempio della situazione razziale che stiamo
trattando, visto che già nel 1519 il condottiero Hernan Cortés sbarcava in questo
paese per colonizzarlo, e di fatto irruppe nella storia americana provocando in
maniera diretta grandi cambiamenti al corso naturale degli eventi.
Esistono molti documenti che parlano dell’operato del conquistatore, lasciandoci
numerose testimonianze circa l’importanza di questa regione come caso
emblematico di tutte le situazioni che si verificarono al di là dell’oceano atlantico.
Inoltre le proporzioni e la morfologia del paese, che si affaccia su due oceani nello
spazio di poche centinaia di chilometri, e che aveva una propria storia comune anche
prima di essere politicamente unificato sotto il nome di “Nuova Spagna”,
permettono di analizzare importanti variazioni demografiche e flussi migratori con
una certa affidabilità.
Anche la letteratura sull’argomento è abbastanza nutrita e il filone di studi che tratta
la presenza di discendenti africani in Messico gode di sempre maggiore popolarità
nel paese, segno che vi è un interesse vivo verso questo argomento.
Il già citato libro di Gonzalo Aguirre Beltrán, “La población negra de México”, è
una fonte importante ed imprescindibile per chiunque si avvicini a questo tema. Lo
studioso messicano ci dice che proprio con Cortés, durante l’enorme lavoro di
conquista, arrivarono i primi africani nel nuovo mondo: addirittura pare che uno dei
primissimi negri portò con sé il batterio del vaiolo, di fatto introducendolo nel
paese
16
.
Il commercio di schiavi fu regolamentato dalla stessa corona, dopo una iniziale
proibizione che rifiutava la classificazione come merce degli uomini “d’ebano”; la
monarchia spagnola concedeva licenze per importare manodopera laddove ve n’era
bisogno, in cambio di una tassa da pagare alla casa reale. Gli spagnoli potevano
comprare gli schiavi ma non catturarli o venderli a terzi; un po’ tutti i mercanti
europei approfittarono della concessione dei reali iberici, con genovesi, tedeschi e
soprattutto portoghesi in testa, ma è solo dopo il 1580, con l’annessione del
Portogallo alla Spagna, che gli ispanici cominciano a spadroneggiare in questo
settore di mercato, introducendo in maniera massiccia schiavi africani in Nuova
Spagna
17
.
Uno dei membri più influenti del “consiglio delle Indie”, Lorenzo de Gouvenot,
ottenne da Fernando il Cattolico il privilegio di regolamentare e quantificare il
traffico di negri verso la Nuova Spagna. Cosi egli pronunciò il suo parere
vincolante, e ascoltando le pressanti richieste di chi già viveva nell’attuale Messico,
calcolò in 4000 schiavi e schiave il numero sufficiente per mandare avanti a ritmi
rapidi la crescita e lo sfruttamento della colonia da parte della madrepatria
18
.
16
G.A.Beltrán, La poblacíon negra de México – Estudio etnohistórico, Méxioc, F.C.E. 1989, p.19.
17
G.A.Beltrán, El negro esclavo en la Nueva España, México F.C.E. 1994 pag.19.
18
G.A.Beltrán, ibidem, México F.C.E. 1994 pag.20.
13
Anche il sesso dei negri da importare fu un punto centrale della partita che si giocò
oltreoceano: infatti al principio della tratta furono divise quasi equamente le
presenze dei due sessi, in modo da favorire una notevole riproduzione nella stessa
terra americana, e solo in seguito il numero delle donne venne ridotto a circa un
terzo delle importazioni totali, a causa della loro minore forza lavorativa e dalla
conseguente maggiore difficoltà ad essere vendute.
Vi era anche una dimensione illegale del commercio, che di fatto non permette di
quantificare il numero effettivo di uomini introdotti a lavorare nei campi e nelle
miniere messicane.
Era questo un vero e proprio contrabbando di esseri umani, che eludeva i controlli
della “Casa de contratacion” di Siviglia, istituita nel 1503 e che mediante il “patto
coloniale” controllava tutti prodotti che provenivano e si dirigevano verso la
colonia.
I dazi applicati dalla corona verso questo traffico umano erano abbastanza cari, e in
più la rotta delle navi negriere era sensibilmente più lunga, dovendo fare scalo nel
porto di Siviglia, con relativo aumento di spesa, rischi sul mare e morte di schiavi
durante il trasporto a causa delle inumane condizioni del viaggio.
I porti del Messico recitarono, e recitano tutt’oggi, un ruolo importante per il popolo
africano, aiutandoci a capire i flussi e gli spostamenti coatti nel paese di queste
genti: il maggiore porto negriero fu sicuramente Veracruz, sull’oceano Atlantico
19
,
che godette del monopolio coloniale per quasi un secolo, fino all’istituzione degli
scali di Pánuco e Campeche. Tuttavia è facile capire come fino a quando anche
l’ultimo luogo non fu abilitato a ricevere negri (e mercanzie, ovviamente), il
contrabbando fu favorito e prosperò impunemente.
La rotta compresa tra Veracruz e Città del Messico, chiamata “camino de Europa”,
venne integrata ad una nuova via commerciale, fortemente voluta da Hernán Cortés
e il mercante Juan De Sala a partire dal 1523, il “camino de Asia”, che correva
dall’attuale capitale fino all’oceano Pacifico, nella baia di Acapulco; esisteva cosi un
percorso via mare e terra dalla Spagna fino all’Asia.
Proprio l’asse Veracruz-Acapulco è un interessantissimo dato geografico, utile per
leggere la storia ma anche il presente delle minoranze etniche afrodiscendenti che si
incontrano in Messico: infatti proprio a ridosso dei due porti tutt’oggi sono
concentrati i nuclei maggiori di popolazione nera.
19
Si veda la mappa del Messico in Appendice.
14
1.4 Il presente in America e in sede O. N. U.
La situazione attuale in cui versano le minoranze etniche che vivono in Messico e
nelle Americhe in genere non è propriamente idilliaca nonostante negli ultimi
decenni si siano moltiplicati gli studi sulle popolazioni marginali, e sia aumentata la
sensibilità verso tale problema nell’opinione pubblica.
Il lavoro di antropologi e studiosi in genere, che cercano di abbracciare tutte le
problematiche che ruotano attorno ad una regione che presenta difficoltà di
emancipazione, è uno strumento utile per permettere lo sviluppo di politiche sociali
ed economiche che migliorerebbero di molto la situazione di coloro che sono gli
“oggetti” dei loro studi. Le competenze di queste figure professionali vanno ad
incanalarsi in due grandi settori per essere applicate: le organizzazioni non
governative e le commissioni speciali delle Nazioni Unite.
Sono nate molte organizzazioni non governative e no profit che operano nella
regione per assicurare un presente, prima che un futuro, migliore a questi milioni di
persone. Sia in Europa che nelle Americhe sono attive associazioni di tutela dei
diritti delle minoranze etniche; ma non è facile lavorare per questo nobile scopo se
ci va a scontrare con governi ed istituzioni che non riconoscono la legittimità di
queste organizzazioni, accusate di andare a violare la sovranità nazionale degli stati.
Ci si aspetterebbe una grande mano dalla commissione per gli affari indigeni delle
Nazioni Unite, specificamente su questioni di terminologia e limitazione del campo
di azione, ma anche la più grande organizzazione transnazionale non sempre, quasi
mai per dirla tutta, può permettersi di intromettersi nel campo della politica interna
dei singoli stati per far rispettare anche le più elementari forme di diritti degli
uomini.
Storicamente, invece, un movimento slegato all’ufficialità e alla solennità
dell’O.N.U., che ha operato molto bene e senza usare mezzi termini per denunciare
la situazione di sfruttamento subita dai nativi americani, ma anche dei poveri in
genere, è stato il movimento religioso denominato “teologia della liberazione”,
posto in essere dal sacerdote peruviano Gustavo Gutiérrez durante la conferenza
episcopale del 1968 svoltasi a Medellín, Colombia.
Non si può omettere di ricordare il cosiddetto movimento di Barbados, assise di
antropologi prima e antropologi e indios poi, che ha denunciato la situazione in cui
versavano le “popolazioni tribali” per proporre alcune linee guida per una chiara e
pronta emancipazione.
Adesso si entrerà più nel dettaglio per analizzare da vicino il lavoro e i traguardi
raggiunti da questi movimenti per la difesa dei diritti degli indigeni e delle
minoranze etniche in genere.