Nell’affrontare tale argomento si sono tenuti in considerazione
principalmente due Autori: il Mantovani e la Turkle; per questo si è ritenuto
opportuno suddividere il lavoro in due parti distinte.
Nella prima parte sono state illustrate le più significative elaborazioni
teoriche riguardanti il Self ed il suo rilevante rapporto con il contesto sociale
in cui è inserito. Il punto di partenza di tale iter è stato il lavoro di James;
attraverso il “comportamentismo sociale di Mead, si è giunti all’analisi del
paradigma cognitivista, nell’accezione che studia il Self come struttura di
conoscenza e accorda all’uomo il privilegio assoluto di essere per eccellenza
produttore di significati che hanno un senso comune per l’ “animale sociale”.
Successivamente - sempre rimanendo in un contesto di impostazione
cognitivista - si è utilizzato, come filtro interpretativo, il paradigma
dell’azione situata che differisce dalla precedente impostazione, centrata sulla
metafora uomo-computer, ed enfatizza una prospettiva in cui l’azione non è
più intesa come diretta esecuzione di un piano precostituito, ma come un
adattamento dinamico alle peculiarità delle situazioni e delle circostanze.
Utilizzando questo nuovo filtro si è proceduto ad analizzare gli sviluppi
dell’identità negli ambienti di significati condivisi, mettendo in evidenza
come l’interpretazione sia indispensabile per la comprensione del mondo.
L’interpretazione fa da ponte tra l’Homo e gli artefatti tra cui troviamo
proprio il computer. La comunicazione che ne scaturisce è un’area di
notevole interesse per la psicologia sociale, perché fornisce la possibilità di
studiare gli atteggiamenti degli individui rispetto a se stessi e agli altri.
Infine si è proceduto ad un’analisi dello sviluppo dei sé possibili negli
ambienti virtuali intesi quali luoghi di esperienza e di comunicazione. Ne
emerge un articolato terreno culturale nel quale due concezioni diverse tra
loro fanno la loro apparizione: la Realtà Artificiale e la cultura cyber;
entrambe sortiscono effetti sulla definizione del sé e dell’identità.
Nella seconda parte si prende in considerazione il presupposto teorico
sostenuto dalla Turkle, secondo cui il computer è il mezzo per eccellenza
che consente di analizzare l’ “estetica postmoderna”. Quest’ultima si basa
sulla elaborazione del sé come insieme frammentato e multiplo di attidudini,
preferenze di consumo e stili di vita, che sono compresenti nello stesso
individuo. Secondo l’Autrice una simile condizione è spiegabile attraverso i
contributi della teoria psicoanalitica, sopprattutto nelle sue accezioni
riconducibili alla teoria delle relazioni oggettuali e alla psiconalisi post-
moderna francese.
Dopo una breve trattazione degli aspetti affettivi e relazionali della
personalità in termini psicodinamici - utile per la chiarificazione del concetto
di Sé e dell’apporto teorico fornito dal processo di identificazione - si è
proceduto alla definizione filosofica dell’istanza post-moderna mediante le
qualità che la differenziano da quella moderna. In particolare, in questa sede,
si sono tratteggiate le linee generali dei prodotti del pensiero debole specie
per ciò che concerne gli sviluppi nella teoria fisica del non equilibrio, la
critica decostruttivista in letteratura e le nozioni anarchiche di governo che
contribuiscono ad una diversa interpretazione delle qualità moderne -
coerenza e centralità - del concetto di identità.
Se l’identità si sviluppa grazie alla condivisione di valori comuni e si
concretizza per mezzo delle identificazioni con i modelli da imitare, forniti
dal contesto socio-culturale, cosa succede se il contesto cambia e il suo
tessuto diviene contraddittorio? Si è ritenuto di rinvenire un’eventuale traccia
di interpretazione a questi fatti nella seppur breve trattazione del concetto di
“sé saturato”, il quale appare come una risposta felice ed adattata alla
condizione dell’Homo post-moderno.
A conclusione, con un’analogia tra l’Intelligenza Artificiale emergente e la
psicologia decentrata, le quali hanno diversi aspetti in comune, si è proceduto
all’analisi degli aspetti del sé che emergono nelle relazioni per mezzo del
calcolatore in particolari spazi virtuali sociali: i MUD. Sugli effetti che questo
tipo di interazione produce sulle persone si è scelto di sviluppare due
posizioni teoriche, una di impostazione costruttivista l’altra interazionista
simbolica. Le conclusioni che emergono, sebbene diverse, suggeriscono
riflessioni interessanti.
Colgo l’occasione per rivolgere un sentito ringraziamento a tutti coloro che
mi hanno incoraggiato durante la stesura del presente lavoro. Principalmente
ai miei genitori Paolo e Noela, a mia sorella Paola, a Francesco e a Roberto
Fiore.
PARTE PRIMA - IDENTITÀ, AZIONE SITUATA E COMUNICAZIONE
ELETTRONICA
CAPITOLO I
ANALISI DELLE RELAZIONI ESISTENTI TRA SE’, IDENTITÀ E
SOCIETÀ
Premessa
Proporre una riflessione sull’identità e sulle sue implicazioni teoriche risulta
più difficile di quanto si possa immaginare. Motivo di tale difficoltà è la natura
complessa del concetto esaminato, che non è circoscritto al solo ambito
psicosociale estendendosi anzi a quasi tutte le scienze sociali
1
; in effetti,
caratteristica dell'uomo non è tanto quella di possedere un'identità, ma di
esserne consapevole in un modo che è tutto umano, ovvero per mezzo di un
processo di elaborazione simbolica. Con ragionevolezza si può affermare che
esso è uno dei termini più utilizzati con riferimento ad esperienze individuali e
personali, come pure a fenomeni collettivi che si ispirano a specificità etniche,
territoriali, politiche, generazionali e via discorrendo.
Ad un tentativo di sistematizzazione teorica dei concetti di identità e di sé
2
1"Salvo l’economia perché prevalentemente interessata, soprattutto in passato, a problemi e modelli
macro e perché, inoltre, a livello micro il modello neoclassico di agente è sostanzialmente senza rivali".
Cfr. L. Sciolla, Teorie dell’identità, in L. Sciolla (a cura di), Identità percorsi di analisi in sociologia,
Torino, Rosemberg & Sellier Editori, 1983, p. 52.
2 Nelle trattazioni prese in esame troviamo sia il termine Self di origine anglosassone che quello
italiano di Sé. Il primo corrisponde al “concetto di sé” o “immagine di sé” come elemento
fondamentalmente cognitivo, di natura riflessiva e considerato consapevolmente e lo si utilizza
principalmente in ambito psicosociale; il secondo invece è associato ad un dato di consapevolezza
primaria che si struttura nel corso dei primi tempi della vita individuale, e si collega a rappresentazioni
di origine inconscia e solitamente viene utilizzato all’interno di prospettive psicoanalitiche o comunque
cliniche.
pare necessario non ridurre tali proposizioni a un qualcosa di puramente
statico e strutturale, sottoponibile quindi ad "una sorta di analisi chimica
qualitativa e quantitativa per determinarne la “natura”"
3
; infatti per effettuare
questa operazione, il sé e l’identità sono stati separati dai processi sociali,
"collocandoli così in un vuoto sociale"
4
affinché non fossero perturbati da
condizioni che ne avrebbero nascosto l'essenza. E’ anche importante
sottolineare che per affrontare serenamente lo studio di tale materiale è
opportuno mantenersi all'interno dell'ambito psicosociale
5
senza cadere in
illusioni prettamente biologistiche e non ridurre l'uomo ad un soggetto passivo,
“ipersocializzato”
6
, con sfumature più o meno forti
7
, che subisce l'impatto
dell'istanza socioculturale. La sfida che i concetti di identità e di sé pongono
implica una dicotomia di fondo che ha per oggetto, da un lato, "ciò che è unico
e individuale", cioè "non riconducibile ai condizionamenti dell'ambiente sociale
e alle aspettative altrui" e, dall'altro, "ciò che è sociale, vale a dire non riducibile
all'estrinsecazione di un perfetto libero arbitrio"
8
.
Con ciò non si vogliono negare i due piani di riferimento suddetti; anzi, la
consapevolezza dell’essere ha una base naturale, frutto di un lunghissimo
processo filogenetico, ma è anche portatrice di una storia fatta di cultura che si
sostanzia in modo diverso a seconda del gruppo sociale di appartenenza, per
mezzo di codici e sistemi di significati da esso strutturati
9
. All’interno di queste
3 Cfr. F. Carugati - G. Speltini - M. Ravenna, Il Sé e l’identità: concetti classificatori o costrutti
dinamici?, in P. Amerio e G. P. Quaglino (a cura di), Mente e Società nella ricerca psicologica, Torino,
Book Store, 1980, p. 297.
4 Ibidem.
5 "Sono la partecipazione dell'uomo alla cultura e la realizzazione delle potenzialità della sua mente
attraverso la cultura che rendono impossibile la costruzione di una psicologia umana su basa puramente
individuale". Cfr. J. Bruner, La ricerca del significato, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, p. 28; si veda
inoltre J. Bruner, Celebrare la divergenza: Piaget e Vygotskij, in O. L. Sempio (a cura di), Vygotskij,
Piaget, Bruner, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1998, p. 32.
6 Si veda in particolare P. Ammassari, Introduzione, in H. Gerth e C. W. Mills, Carattere e struttura
sociale, Torino, Utet, 1969, pp. XLI-XLV.
7 Si veda inoltre V. Gecas e M. L. Schwalbe, Beyond the Looking-Glass Self: Social Structure and
Efficacy-Based Self-Esteem, in “ Social Psychology Quarterly”, vol. 46, n. 2, 1983, pp.77-88.
8 Cfr. L. Sciolla, Teorie dell’identità, in L. Sciolla (a cura di), Identità percorsi di analisi in
sociologia, op. cit., p. 9.
9 Si veda in proposito R. F. Baumeister, How the Self Became a Problem: A Psychological Review of
Historical Research, in “Journal of Personality and Social Psychology”, vol. 52, n. 1, 1987, pp. 163-176.
storie emerge una biografia personale nella quale si incontrano e si fondono
istanze bio-socio-culturali in una configurazione sempre originale e originante
10
.
1.1 Il Self come oggetto e come soggetto
Nel percorso storico che la psicologia sociale ha dovuto affrontare per divenire
scienza, i concetti di sé e di identità sono stati affrontati da numerose teorie.
Si ritiene opportuno, quindi, fare un salto indietro ricordando la filosofia
pragmatista americana del 1890 quando già James propose una definizione del
concetto di Self.
Nella sua opera l'Autore
11
distingue un Self inteso come soggetto, l’Io, che
conosce, sente e agisce, e un Self inteso come oggetto, il Me, che è
conosciuto, sentito ed esperito. La differenza scaturisce dalla caratteristica
prettamente umana di considerare se stesso non solo come agente di
conoscenza, ma anche come oggetto di ciò che è conosciuto
12
. James
suggerisce di considerare tre costituenti del Me
13
: un Me materiale (il proprio
corpo, il proprio ambiente e i propri beni) che ricomprende anche le estensioni
che sono vissute e che in qualche modo appartengono al soggetto. Posto che
talune di queste possono essere considerate più importanti rispetto ad altre
ognuno possiede un Me assolutamente unico; l'unicità è data da come le
estensioni vengono manipolate nelle loro componenti.
10 Per una trattazione approfondita di queste riflessioni si veda P. Paolicchi, Lo specchio rotto, Pisa,
ETS, 1984, pp. 13-30.
11 W. James, Principi di psicologia, Milano, Soc. Ed. Libraria, 1905.
12 Si veda A. Arfelli Galli, Introduzione, in AA. VV., L'evoluzione del Sé, Assisi, Cittadella Editrice,
1995, p. 7.
13 Me e Self vengono spesso sostituiti quando si analizzano gli aspetti riconducibili al Self inteso
come oggetto. Si veda N. Dazzi (a cura di), James. Antologia di scritti psicologici, Bologna , Il Mulino,
1981, nelle cui pagine troviamo la triplice distinzione operata con il termine Self, mentre D. P.
McAdams per effettuare tale distinzione si avvale del termine Me. In questa sede si privilegia
l'approccio di quest'ultimo Autore, per il quale si rinvia a The Person. An introduction to personality
psychology, Fort Worth, Harcourt Brace College Publishers, 1990.
Vi è inoltre un Me sociale, o meglio ve ne sono tanti quante sono le opinioni
che i gruppi (famiglia, ambito professionale, conoscenti in genere e così via) a
cui l'individuo può fare riferimento nella sua vita nutrono nei suoi confronti.
James scrive in proposito: "un uomo ha molti Sé sociali quanti sono gli
individui che lo riconoscono e ne portano l’immagine nella loro mente"
14
.
Il terzo aspetto del Self come oggetto è un Me spirituale, descritto come
l'intera collezione degli stati di coscienza, delle facoltà psichiche e delle
disposizioni prese in modo concreto; il Me spirituale consiste nella
comprensione dell'individuo stesso di come sente, pensa, agisce e compie
esperienza di vita. In questa sede sono poste la maggior parte delle attribuzioni
psicologiche compiute dal Self, la comprensione dei propri tratti, motivazioni,
valori, credenze, desideri e paure.
Per quanto concerne il Self inteso in senso soggettivo, si può affermare che
esso rappresenta la parte conoscente in azione in un certo istante. Del resto
l'individuo muta da un momento all'altro, e l'Io è uno di questi momenti in un
flusso di conoscenza. Ogni istante successivo incorpora informazioni di quello
precedente. L'esperienza è compiuta attraverso lo scorrere della
consapevolezza, suggerendo così all'Io continuità e permanenza.
L' Io interpreta e struttura l'esperienza, il Me è strutturato ed esperito.
Nonostante il promettente inizio di James, gli studi sul sé non si sono
sviluppati per lunghi anni durante i quali predominava il paradigma
comportamentista. I primi esponenti di tale impostazione miravano alla
costituzione di una scienza che avesse la stessa "dignità" delle scienze naturali,
e ritenevano più deontologico non considerare aspetti dell'uomo che non
fossero sottoponibili ad un'analisi accuratamente sperimentale.
Per comprendere il radicale cambiamento di prospettiva metodologica basti il
riferimento alla definizione che Watson ha dato di personalità: la "Personalità è
14 "a man has as many social selves as there are individuals who recognize him and carry an image
of him in their minds" Cfr. D. P. McAdams, The person. An introduction to personality psychology, op.
cit., p. 538.
la somma delle attività che è possibile scoprire mediante un'osservazione del
comportamento, la quale si estenda per un periodo di tempo sufficiente, tale da
consentire la raccolta di informazioni attendibili. In altre parole, la personalità
altro non è se non il prodotto finale dei nostri sistemi di abitudini. La personalità
è la trasposizione in grafico della sezione trasversale del flusso di attività"
15
.
In un secondo momento il neocomportamentismo - ritenendo il sé un costrutto
in grado di intervenire nella mediazione delle risposte che gli individui
forniscono a seguito degli stimoli che provengono dal mondo esterno - si è
interessato allo studio del Self, approfondendo però solo l'accezione di questo
come oggetto, separandolo soprattutto dal contesto sociale.
1. 2 La natura interazionale del Self
Colui che invece prende in considerazione il sistema sociale di riferimento per
spiegare l'emergenza del sé, tanto da essere definito un “comportamentista
sociale”, è Mead il quale pone al centro della sua analisi un'attività osservabile:
il processo sociale interattivo. Il suo “comportamentismo” però va scritto tra
virgolette, poiché egli ritiene che il comportamento umano e tutti gli oggetti
sociali che sono interpretati dall'individuo abbiano un significato, dato che
esiste un'attività di simbolizzazione da parte dell'uomo
16
. Così, l’individuo
cessa di essere considerato solo come oggetto di stimoli provenienti dal proprio
ambiente, divenendo “attore di canovaccio” all'interno della propria cultura.
Mead ritiene altresì che esista una continuità tra l'istanza biologica e quella
sociale, dal momento che la struttura degli organismi suggerisce un escamotage
adattivo tale da indurre a considerare la loro stessa sopravvivenza legata a forme
15 Cfr. P. Meazzini (a cura di), Watson. Antologia degli scritti, Bologna, Il Mulino, 1977, p. 204.
16 Si veda R. Mancini, Teorie del Sé nella filosofia contemporanea, in AA. VV., L'evoluzione del Sé,
op. cit., pp. 23-24.
di collaborazione sociale; allo stesso tempo egli non nega assolutamente la
differenza tra questi due piani, differenza che si arricchisce attraverso i
significati culturali dati a tale tipo di collaborazione.
Secondo l'Autore l'essere umano interagisce all'interno della propria
organizzazione sociale, definendo la situazione che diviene così punto di
riferimento per coloro che ne sono implicati. Ciò si determina per mezzo della
comunicazione che si forgia a chiave d'interpretazione sia della situazione (e in
larga scala della società) sia dell'individuo.
Le differenze tra la trasmissione informativa animale e quella umana mettono
in evidenza quello scarto tra natura e cultura di cui nelle sopracitate righe si
discerneva. Infatti per quanto riguarda l'interazione animale, essa si compie
attraverso segnali che sono inseriti in uno schema di tipo “naturale”, in quanto il
margine di significato dato è minimo rispetto a quello umano, e rimanda a
circostanze dove è l'istinto che modula il comportamento seppure sociale. La
comunicazione umana presuppone, invece, l'esistenza di una “cultura”, ovvero
tutta una serie di “gesti vocali significativi”, che permettono di elicere le
intenzioni dei soggetti e la loro posizione all'interno del rapporto; tali gesti,
inoltre, presuppongono una riflessione, "una momentanea interruzione
dell'azione che è il pensiero"
17
.
Secondo questa prospettiva gli individui adottano un codice comune che
permette loro di definire la situazione in modo reciproco, dinamicamente, in
quanto tali significati si costituiscono e si trasformano in precipitati sociali, che
a loro volta contribuiscono alla formazione dei primi per modificarsi
continuamente attraverso quell'attività tipica dell'uomo che è la capacità di
simbolizzazione.
Mead scrive in proposito: "Il gesto significativo o simbolo presuppone
sempre, per avere un significato, il processo sociale di esperienza e di
comportamento in cui esso nasce, ovvero, come dicono i logici, è sempre
17 Cfr. M. A. Toscano (a cura di), Introduzione alla sociologia, Milano, Franco Angeli, 1996, p. 403.
implicato un universo di discorso inteso come il contesto o il campo entro il
quale i gesti significativi o simboli trovano di fatto il loro significato. Questo
universo di discorso è costituito da un gruppo di individui che coadiuvano e
partecipano a un comune processo sociale di esperienza e di comportamento nel
cui ambito questi gesti o simboli hanno gli stessi significati o significati comuni
per tutti i membri del gruppo"
18
.
Il processo d'interazione è strettamente collegato all'emergenza del sé
19
.
Quest'ultimo e la mente non esistono a priori ma si formano attraverso e nei
processi sociali
20
; è indispensabile che nella fase iniziale della vita “l’animale
sociale” acquisisca innanzitutto la capacità di comunicare affinché possa
esperire se stesso, non tanto direttamente quanto in modo indiretto, in base alle
opinioni che gli altri hanno di lui
21
. Se il punto di partenza per la formazione del
sé è quello di assumere gli atteggiamenti che gli altri hanno nei suoi confronti,
ecco che particolare rilevanza assumono le interazioni che il bambino
intraprende nei primi anni di vita. Mead definisce i protagonisti di tali relazioni
Altri significativi, i quali detengono un' importanza affettiva per il soggetto; è
attraverso i gesti che essi rivolgono al bambino, che quest’ultimo "si
sperimenta oggetto di comportamenti da parte degli adulti e dei corrispondenti
significati"
22
.
Tuttavia un altro ambito si riveste di notevole importanza per l'emergenza del
sé: il gioco, che nelle sue varianti si dipana mediante l'assunzione di ruoli
23
; è
necessario distinguere il “gioco libero” dal “gioco organizzato”. Nel primo
(play) il bambino ha una conoscenza minima del vocabolario; egli si mette nei
18 Cit. da G. H. Mead, Mente, sé e società, Firenze, Ed. Universitaria, 1966, p. 110.
19 Si veda P. Paolicchi, Identità e Società, Pisa, Tipografia Editrice Pisana, 1971, pp. 43-46.
20 Si veda A. Arfelli Galli, L'evoluzione del Sé. Problemi e metodi, in AA. VV., L'evoluzione del Sé,
op. cit., p. 45.
21 Si veda R. Mancini, Teorie del Sé nella filosofia contemporanea, op. cit., pp. 23-24.
22 Cfr. F. Emiliani e B. Zani, Elementi di psicologia sociale, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 88.
23 In A. Palmonari - F. Carugati - P. E. Ricci Bitti - G. Sarchielli, Identità imperfette, Bologna, Il
Mulino, 1972, p. 154 si precisa come nella terminologia di Mead la nozione di ruolo non sia
strettamente associata alla nozione di istituzione come lo è oggi. Per Mead il ruolo è qualcosa di molto
simile alla “posizione” sociale.
panni degli adulti che lo circondano e ne riproduce le attività, utilizzando il loro
linguaggio. In questo processo egli si percepisce altro a se stesso ed ha quindi
la possibilità di auto-osservarsi da un particolare punto di vista. Questo è un
processo lento e graduale eppure complesso, sebbene non ancora strutturato in
una forma articolata di gruppo (game) nel quale, oltre ad assumere vari
atteggiamenti, il bambino deve aver raggiunto la capacità di comprendere i
comportamenti altrui e, se richiesto, assumerne i ruoli stessi. Di conseguenza il
punto di vista muta e da personale diventa sovrapersonale dando luogo così
all’interiorizzazione della condotta della comunità di appartenenza. Il gruppo,
così come elaborato dal soggetto, è denominato da Mead
24
Altro generalizzato:
una forma di autoregolazione intrinseca che si forma durante il processo di
socializzazione, e che permette all’attore di muoversi all’interno della società
con relativa facilità. E’ attraverso questo mezzo che "l’individuo fa propri gli
atteggiamenti sociali organizzati del suo gruppo in relazione alle diverse
possibili situazioni sociali"
25
.
Potremmo immaginare l'Altro generalizzato come uno “specchio globale”
26
in
cui ogni individuo ha la possibilità di vedere riflesse le proprie espressioni
verbali al fine di dar loro un significato generale; in virtù di questa capacità
della mente, le parole assumono lo statuto di universali suscitando in ognuno lo
stesso atteggiamento, e ciò non avrebbe luogo senza questa struttura mentale
adibita a far assumere il punto di vista di tutti; Mead così scrive:
Se un dato individuo deve sviluppare un “Sé” nel senso più completo, non gli è
sufficiente assumere semplicemente gli atteggiamenti che gli altri esseri umani
tengono nei suoi confronti e nei confronti dell’altro all’interno del processo
sociale umano, né trasportare quel processo sociale, visto come una totalità,
nella sua esperienza individuale semplicemente in questi termini: invece, deve
24 Si veda in particolare U. Galimberti, Dizionario di psicologia, Torino, Utet, 1992, p. 36.
25 Cfr. M. A. Toscano (a cura di), Introduzione alla sociologia, op. cit., p. 405.
26 Cfr. R. Collins, Quattro tradizioni sociologiche, Bologna, Zanichelli, 1996, p. 188.
anche, allo stesso modo (...) assumere gli atteggiamenti degli altri individui nei
confronti dei diversi momenti o aspetti della comune attività sociale... di quelle
società organizzata o di quel gruppo sociale considerato come un tutto
organico, (...) e agire nei confronti delle diverse attività sociali che di volta in
volta il gruppo sociale intraprende (...).
L’inserimento delle attività più generali di ogni dato complesso generale o di
ogni società organizzata, in quanto tali, all’interno del campo di esperienza di
ciascuno degli individui implicati o compresi in quel complesso sociale, è, in
altre parole, la condizione essenziale e indispensabile dello sviluppo al più alto
grado di completezza del “Sé”
27
.
Quindi l'uomo interpreta una varietà di ruoli differenti in relazione a soggetti
e gruppi diversi; ciò potrebbe suggerire una forma di frammentazione del sé che
invece mantiene la propria unità utilizzando, nel processo d'interazione, due
distinti livelli l'uno soggettivo (l'Io) e l'altro oggettivo (il Me). Citando una
metafora di Collins: "Si può dire che il sé è una specie di scacchiera sulla quale
il “me” (in realtà parecchi “me”) sono le pedine, l’ “io” è il giocatore che fa le
mosse e “l’altro generalizzato” la lampada che illumina la tavola facendo in
modo che le mosse siano comprensibili"
28
.
L’Io e il Me
29
si alternano di continuo durante la condotta, tant’è che in un
determinato frangente il soggetto agisce come Io "rispondendo a situazioni,
persone, oggetti"
30
; in un momento successivo egli può utilizzare la parte di sé
oggettivata per rispondere a situazioni che necessitano di una risposta mediata
dalla seppur brevissima esperienza. Il Me rappresenta la fase in cui l'essere
umano si considera come oggetto degli atteggiamenti che gli altri hanno nei suoi
confronti, e a cui egli risponde con la parte soggettiva del sé che risulta essere
27 G.H. Mead, Mente, sé, e società, op. cit., pp. 170-171.
28 Cfr. R. Collins, Quattro tradizioni sociologiche, op. cit., p. 188.
29 Io e Me sono intesi come stati di coscienza e non come entità concrete.
30 A. Palmonari - F. Carugati - P. E. Ricci Bitti - G. Sarchielli, Identità imperfette, op. cit., p.156.
l'istanza creativa ovvero la possibilità di scegliere all'interno della situazione
sociale. "La parte iniziale di ogni atto, qualunque sia la fonte dello stimolo o
dell'invito all'azione, implica un soggetto agente che diventa consapevole
dell'ambiente e degli oggetti verso i quali l'azione è indirizzata. Ma l'azione è
inizialmente non organizzata e non diretta e costituisce una risposta a qualcosa
di non ben definito finché l'individuo non ne diventa consapevole"
31
.
E’ proprio attraverso tale processo che l’individuo introduce elementi di
novità, ecco perché ognuno costituisce un’unità poliedrica che elabora le
proprie esperienze in situazioni presenti ma anche in relazione al passato e al
futuro.
La dimensione temporale assume un’importanza strategica nell’esperienza
umana, in quanto è una categoria che, legata agli oggetti, fra cui appartiene
anche il sé, ne permette una concezione mutevole, modificabile e ricordabile
lungo un’asse temporale sia interiore al soggetto, la sua memoria, sia esteriore
ad esso, il mondo. Emerge così l’idea di un “sé ideale” che può spingere
l’individuo verso la ricerca di strumenti validi per il raggiungimento di mete
ambite, o comunque in direzione di attività volte alla rimozione di quelle
considerate non desiderabili. Come Palmonari ed Altri suggeriscono, ciò che
attiva l'uomo verso determinate mete è designato con il nome di “motivazione”
32
intesa come il motore della condotta. Essi però precisano anche che nella
prospettiva interazionista tale nozione è da considerarsi come parte inscindibile
della fase impulsivo-creativa che concerne l’Io; difatti anche se si procede ad
una tassonomia delle possibili motivazioni umane si ha la netta sensazione che il
comportamento nella sua totalità non si lasci racchiudere in tali
categorizzazioni.
31 Cfr. F. Carugati - G. Speltini - M. Ravenna, Il Sé e l'identità: concetti classificatori o costrutti
dinamici?, in P. Amerio e G. P. Quaglino, Mente e Società nella ricerca psicologica, op. cit., p. 299.
32 Per una trattazione approfondita del tema si veda P. Paolicchi, Interessi Motivazioni Orientamento,
Varese, Giuffrè Editore, 1969.
"La motivazione è più uno stato dell’individuo in un particolare momento nel
quale è sensibile all'ambiente. (...) Questi stati di sensibilizzazione dell'individuo
influenzano la fase impulsivo-creativa del Sé, cioè l'Io, secondo modalità molto
più articolate e complesse che non quelle riconducibili alla presenza di singole
motivazioni ad hoc per ogni tipo di comportamento"
33
.
L'uomo fa appello al Me per indirizzare la propria condotta in conformità alle
aspettative che la società gli pone. Tuttavia tale istanza non funziona come un
censore adibito a limitare l'azione di un Io concepito come libero e in qualche
modo antisociale; semplicemente essa aiuta “l'animale sociale” a vivere meglio
all'interno del gruppo, coadiuvando inoltre la stabilità di entrambe le parti
dell'interazione. Tutto ciò non significa cooperazione assoluta tra i due livelli,
semmai un tentativo continuo di aggiustamento tra le ambigue aspettative
sociali e il desiderio di autoaffermazione dell'Io.
E' proprio quando il soggetto riflette su se stesso utilizzando quel filo
conduttore che è il tempo, che egli ha la possibilità di percepire un senso di
continuità-discontinuità, di coerenza-frammentarietà e progettualità riguardo
all'esperienza di sé. "Questa consapevolezza di contenuti (riguardanti il proprio
corpo, le relazioni con gli altri, le mete individuate, la rappresentazione delle
immagini e dei sentimenti, le valutazioni degli altri sul proprio conto,
l'appartenenza gruppi, i rapporti con le istituzioni) ed il significato emozionale
complessivo che essi assumono lungo le dimensioni indicate, può essere
definita come “identità”"
34
.
33 A. Palmonari - F. Carugati - P. E. Ricci Bitti - G. Sarchielli, Identità imperfette, op. cit., p. 160.
34 Ibidem, p. 161.