11
CAPITOLO 1
EXCURSUS STORICO SULL’EVOLUZIONE DELLA
PROFESSIONE IN ITALIA
“L’ assistente sociale è un professionista
che agendo secondo i principi, le conoscenze ed i metodi specifici della
professione, svolge la propria attività nell‘ambito del sistema organizzato delle
risorse, messe a disposizione della comunità, a favore di individui, gruppi e
famiglie, per prevenire e risolvere situazioni di bisogno, aiutando l‘utenza sia
nell‘uso personale e sociale di tali risorse, organizzando e promuovendo
prestazioni, sia servizi per la risoluzione del bisogno‖
***
La professione pone al centro dell’intervento la “persona”,
l‘ ―essere sociale‖, in relazione con ―l‘altro‖ e con l‘organizzazione sociale. Si
configura come ―Professione di aiuto‖, che orienta la propria azione alla
prevenzione o al superamento di concrete situazioni di bisogno vissute dalle
persone nel corso della loro vita.
12
1.1 NASCITA E SVILUPPO DEL SERVIZIO SOCIALE ITALIANO
Il percorso di costruzione dell‘identità professionale dell‘ assistente sociale in
Italia è stato alquanto complesso, caratterizzato da molte difficoltà e poche
gratificazioni. La professione è stata fondata sul riconoscimento del valore della
persona, considerata nella sua unicità e globalità, nel diritto irrinunciabile di
cittadinanza e di autodeterminazione. Le origini del servizio sociale italiano, sono
riconducibili alla nascita e alle trasformazioni delle prime Scuole di servizio
sociale.
Fra le due guerre mondiali, esistevano in Italia delle figure definite
―assistenti sociali‖.
Agli inizi degli anni venti del Novecento, sorgeva a Milano l‘Istituto italiano per
l‘assistenza sociale, che aveva come finalità quella di formare le ―segretarie
sociali‖, da inserire presso le aziende con il compito di informare gli operai sulle
prestazioni assistenziali, sanitarie, previdenziali e di aiutarli nel disbrigo delle
relative pratiche.
Nel 1928 il partito fascista istituì a Roma la Scuola femminile fascista di
assistenza sociale di San Gregorio al Celio, per la formazione di ―assistenti sociali
di fabbrica‖, la cui azione mirava esclusivamente a ridurre la possibile
conflittualità che si creava tra gli operai, all‘interno delle fabbriche.
Nel secondo dopoguerra, di fronte alla diffusa condizione di miseria che gravava
pesantemente sulla popolazione italiana, quello dell‘assistenza sociale era
certamente un tema politico centrale,che sollecitava una riforma globale
dell‘assistenza e lo sviluppo della professione.
Il sistema assistenziale era regolamentato dalla Legge Crispi del 1890, la Legge
che aveva trasformato le Opere Pie (disciplinate per la prima volta con la Legge
Rattazzi del 1862, un testo unico che istituiva in ogni Comune le Congregazioni di
Carità) in Istituzioni di Pubblica Assistenza e Beneficenza (IPAB), imponendo
uno speciale tipo di personalità giuridica di diritto pubblico ad ogni tipo di
iniziativa assistenziale, nel rispetto dell‘atto di volontà in base al quale era sorta
13
l'iniziativa, al fine di garantire sia la finalità di beneficienza delle organizzazioni,
sia il contributo di queste alla soddisfazione di un interesse pubblico in armonia
con le esigenze generali della beneficenza) e caratterizzato dalla presenza di enti
pubblici, molti dei quali sorti durante il fascismo, appariva del tutto inadeguata ad
affrontare la crisi in cui versava il paese, soprattutto alla luce dei valori che
guidavano la nuova svolta democratica e che avevano trovato espressione e
sostanza nella Costituzione Repubblicana.
La nascita del primo gruppo di cinque scuole viene, generalmente collegata a
un fatto contingente: la richiesta di collaborazione avanzata dall‘Amministrazione
militare agli ―assistenti sociali‖italiani per l‘organizzazione civile dell‘Italia, al
fine di rintracciare e ricostruire insieme a essi gli enti in grado di garantire le più
urgenti e indispensabili forme di assistenza che la situazione di emergenza
richiedeva.(1) Ma questi assistenti sociali, intesi come ―tecnici dell‘assistenza‖ in
grado di collaborare validamente a tal fine, non esistevano, gli unici operatori
sociali, fino ad allora, erano le assistenti sociali del lavoro o di fabbrica. Il servizio
sociale delle origini fu la risposta a questa esigenza. Ben cinque scuole sorsero
quasi contemporaneamente, ispirandosi:
all‘ideale democratico e ai valori di libertà e di uguaglianza dei cittadini
al rinnovamento e alla modernizzazione del paese
allo sviluppo degli organismi assistenziali, in modo da renderli adeguati a
rispondere ai bisogni della gente.
Il sorgere delle prime iniziative di servizio sociale, non può essere considerato
soltanto come una risposta alla drammaticità dei problemi del dopoguerra.
Sarebbe una ricostruzione riduttiva e superficiale, e in tal senso lo storico Pietro
Scoppola, sosteneva che la nascita del servizio sociale poteva anche essere
attribuita a un‘intuizione che sviluppa una concezione nuova della convivenza
civile fondata essenzialmente sulla dignità della persona umana e su un senso
(1) R. Bernocchi Nisi, L‘origine delle Scuole per assistenti sociali nel secondo dopoguerra, in AA.VV., Le
Scuole di servizio sociale in Italia. Aspetti e momenti della loro storia, Fondazione Zancan, Padova 1984.
14
nuovo della cittadinanza. L‘idea ispiratrice del servizio sociale presupponeva i
valori sanciti dalla Costituzione Repubblicana, come rifondazione della
convivenza dopo le devastazioni prodotte dalla guerra. (2)
I quattro ―padri fondatori‖, Maria Comandini Calogero, Odile Vallin, Guido
Calogero e Don Giovanni de Menasce, pur nella profonda diversità delle loro
posizioni ideologiche, filosofiche e religiose, condividevano le idee fondamentali
sul ruolo dell‘assistente sociale. Secondo la loro impostazione, tale figura non
doveva identificarsi con l‘immagine di un funzionario amministrativo o di un
burocrate, bensì doveva assumere quella di un operatore moderno, con un ruolo
centrale nella promozione della democrazia e di una società più giusta. Già nelle
prime scuole, si insegnava che l‘assistente sociale doveva essere un ―costruttore di
democrazia‖, con l‘obiettivo di ―formare professionisti che fossero cittadini
impegnati nella ricostruzione del paese‖. L‘assistente sociale doveva rivestire un
ruolo attivo nella promozione della partecipazione delle minoranze, nella difesa
dei diritti e nella promozione di un‘adeguata struttura sociale, in grado di
realizzare una maggiore giustizia sociale e l‘uguaglianza dei cittadini.
Il quadro creatosi con la nascita delle prime scuole, rimasto pressoché inalterato
per alcuni decenni, ha riportato una netta divisione, rispetto alla quale si sono
affermate:
a) le scuole di ispirazione cattolica
La prima scuola di servizio sociale del dopoguerra fu istituita
dall‘ONARMO (Opera nazionale per l‘assistenza religiosa e morale degli
operai) nel 1946. L‘Opera sorta nel 1922, aveva già svolto prima della
guerra attività assistenziali nell‘ambito della fabbrica, delle famiglie e
delle parrocchie. La nuova scuola di servizio sociale, denominata Scuola
Superiore di assistenza sociale, era riservata a personale femminile ed era
dichiaratamente cattolica. Si definiva ―superiore‖, poiché utilizzava metodi
scientifici per lo studio e l‘intervento nella situazione sociale del paese;
―cattolica‖ perché ispirata alla dottrina sociale e agli insegnamenti della
(2) P. Scoppola , Il contesto storico, in ― La Rivista di Servizio Sociale‖, n. 4, 2002.
15
Chiesa cattolica; ―femminile‖ perché la professione di assistente sociale
era considerata conforme alle attitudini di dedizione proprie della donna. I
principi professionali si fondavano sulla dignità naturale e soprannaturale
della persona umana, nel rispetto dell‘orientamento dell‘individuo verso
realtà trascendenti. Le assistenti sociali erano chiamate a svolgere funzioni
che avevano una forte connotazione vocazionale.
L’ENSISS (Ente nazionale scuole italiane di servizio sociale)che, se pure
costituita dall‘avanguardia cattolica dell‘epoca, aveva uno spirito più laico.
Fu promosso da Don De Menasce, una delle figure più significative del
cattolicesimo italiano del dopoguerra, che nel suo insegnamento e nella
sua esperienza, ha coniugato vita religiosa, civile e politica.
b) le scuole di ispirazione laica
l’UNSAS (Unione nazionale scuole di assistenti sociali) e la CEPAS (Centro
di educazione per assistenti sociali), erano sostenute dal Professore Guido
Calogero, profondamente antifascista, perseguitato politico e rappresentante
della tradizione laica, portatore dei valori della resistenza.
Tali scuole sorsero per iniziativa privata, come ―esigenza espressa da gruppi di
persone di avanguardia per una formazione all‘azione, come istanza educativa
all‘azione sociale‖ (3). Essendo nate fuori del sistema pubblico della
formazione, le scuole erano prive di inquadramento giuridico, cosicchè il titolo
che esse rilasciavano non era legalmente riconosciuto, e non vi era uniformità
nei programmi, nella durata dei corsi e nei criteri formativi, con una grave
squalifica del percorso formativo e professionale. Negli anni seguenti, si
assistette alla proliferazione incontrollata sull‘intero territorio nazionale di tali
scuole , alcune erano gestite da privati, altre da enti locali, mentre,dalla fine
degli anni ‘50, alcune furono inserite in ambito universitario, prima fra tutte
nel 1956 fu l‘Università di Siena che aprì le porte al servizio sociale.
(3) AA.VV., Le scuole di servizio sociale in Italia