nell’ambito delle patologie neoplastiche a carattere urologico (2). Per quanto
concerne l’incidenza sesso-correlata, i soggetti maschi presentano un rischio
doppio, rispetto a quelli di sesso femminile, di sviluppare la patologia (4),
mentre l’incidenza età-correlata presenta un picco massimo intorno alla
sesta-settima decade di età (3). Il carcinoma renale sembra essere più
frequente nei paesi settentrionali dell’Europa e dell’America, mentre si
riscontra con minor frequenza nei paesi orientali sia asiatici, sia africani (5).
All’atto della sua diagnosi la neoplasia risulta localizzata nel 70-80% della
casistica clinica, mentre nel 20-30% dei pazienti sono già presenti metastasi.
Tuttavia nel 30% dei pazienti trattati chirurgicamente sulla base di evidenze
cliniche di patologia neoplastica localizzata, si sviluppano metastasi (6).
L’aspettativa di vita nei pazienti con carcinoma renale metastatico è di 6-12
mesi, con una sopravvivenza a 5 anni non superiore al 10% (7).
1.1.2 Classificazione istopatologica e caratteristiche
citogenetiche
Il carcinoma renale è una neoplasia di natura epiteliale, poiché si origina
dalla trasformazione delle cellule che costituiscono l’epitelio del tubulo
contorto prossimale (8). Tra i vari istotipi è possibile distinguere:
1. il carcinoma renale convenzionale o a cellule chiare (75-80%) che
rappresenta la neoplasia renale di maggiore incidenza nell’adulto,
2. il carcinoma renale papillare o a cellule cromofile (10-15%),
3. il carcinoma renale a cellule cromofobe (4-6%),
2
4. il carcinoma dei dotti collettori o dei dotti di Bellini, che trae origine
dall’epitelio del tubulo distale (<1%),
5. altre forme tumorali non classificabili (<2%) (9).
La variante a cellule chiare è caratterizzata microscopicamente da cellule
che si organizzano in architetture distese, alveolari o acinose. Tali strutture
risultano circondate ed unite tra loro da uno stroma sensibilmente
vascolarizzato. Le cellule “chiare”, costituenti la massa neoplastica,
assumono una forma rotondeggiante o poligonale, presentano un nucleo di
ridotte dimensioni ed un citoplasma abbondante e ricco di colesterolo,
fosfolipidi e glicogeno (1). Le alterazioni genetiche ascrivibili all’istotipo
convenzionale si riscontrano a carico del braccio corto del cromosoma 3 e
comprendono traslocazioni e delezioni nelle regioni 3p12-14, 3p21, 3p25-26
(10, 11).
Il carcinoma renale di tipo papillare, altresì denominato tubulopapillare o
papillifero, è caratterizzato dalla presenza di cellule che si organizzano in
strutture tubulari o papillari. Tali cellule sono costiuite da un citoplasma
suscettibile alla colorazione basofila o eosinofila (da cui il nome di carcinoma
a cellule cromofile) e sono circondate da uno stroma di sovente soggetto ad
infiltrazione da parte di macrofagi schiumosi (1). I profili citogenetici associati
a tale patologia prevedono trisomie o tetrasomie degli autosomi 7 e 17 e la
perdita del cromosoma Y (10, 11).
L’istotipo cromofobo è costituito da cellule provviste di un citoplasma chiaro o
moderatamente eosinofilo, con aspetto reticolato. A livello citosolico è
apprezzabile la presenza di microvescicole del diametro di 150-300 nm che
risultano positive alla colorazione con ferro colloidale. Le anomalie
3
cromosomiche riscontrate a livello dei nuclei delle cellule cromofobe
contemplano la perdita di eterozigosi per i cromosomi 1, 2, 6, 10, 13, 17 e 21
(1,11).
1.1.3 Eziopatologia: cause genetiche e fattori di rischio
Specifiche alterazioni cromosomiche vengono ascritte fra le cause
d’insorgenza di forme di carcinoma renale convenzionale e papillare. La
variante familiare del carcinoma renale a cellule chiare è stata riscontrata in
associazione con la sindrome di von Hippel-Lindau. Tale patologia
neoplastica familiare provoca la comparsa di tumori multipli in sedi diverse
tra cui si distinguono masse renali maligne e benigne, sia bilaterali sia
multifocali. Il 50% dei soggetti affetti dalla sindrome di VHL sviluppa il
carcinoma renale che, in virtù della spiccata tendenza all’invasione e alla
metastatizzazione, rappresenta la principale causa di decesso (12).
La sindrome di von Hippel-Lindau insorge a causa dell’inattivazione
funzionale della proteina pVHL, il prodotto del gene oncosoppressore VHL
che segrega nella regione cromosomica 3p25-26 (13). La condizione
genotipica necessaria per determinare il fenotipo neoplastico è la perdita di
funzione da parte di entrambi gli alleli del gene VHL. Tale fenomeno è
scatenato dall’azione congiunta di eventi differenti:
1. l’inattivazione, mediante mutazione o ipermetilazione, di un allele del
gene VHL a carico delle linee germinali dei pazienti, con conseguente
ereditabilità del danno genetico,
4
2. la perdita dell’allele funzionante a causa della delezione del gene o di
un’intera porzione cromosomica in seguito a traslocazione non
bilanciata.
L’inattivazione di entrambi gli alleli del gene VHL si presenta quindi come
carattere distintivo sia delle forme ereditarie (o familiari), sia della maggior
parte delle forme sporadiche di carcinoma renale a cellule chiare. In tali
varianti l’acquisizione dei tratti genotipici non è congenita, pertanto
l’insorgenza della patologia è tardiva rispetto a quanto accade nella sindrome
di VHL e la massa neoplastica risulta unifocale (14, 15).
La proteina pVHL funzionante forma, in associazione all’elongina C,
all’elongina B, a Cul2, a Nedd8 e a Rbx1, un complesso multiproteico
denominato E3 ubiquitina ligasi (o VEC), in grado a sua volta di legare la
forma idrossilata della subunità α del fattore di trascrizione HIF. In condizioni
normossiche la formazione di tale complesso conduce alla degradazione di
HIF, mentre in caso di ipossia la forma stabilizzata (non idrossilata) di HIF,
non essendo suscettibile al legame con VEC, è in grado di indurre la
trascrizione di geni che portano alla produzione di proteine quali VEGF (che
promuove l’angiogenesi), PDGF-B, GLUT-1, e l’eritropoietina. Tali
meccanismi, innescati in maniera controllata e responsiva a una situazione di
stress ipossico, possono tuttavia scatenarsi senza alcun tipo di regolazione
in caso di inattivazione del gene VHL, condizione che conduce alla mancata
produzione di pVHL e alla conseguente overproduzione delle proteine che
caratterizzano la risposta fisiologica della cellula all’ambiente ipossico (12,
16).
5
Forme familiari di carcinoma renale sono state identificate anche per la
variante papillare a causa dell’attivazione, in questo caso, del protooncogene
MET che segrega nella regione cromosomica 7q31.1-34. Il gene MET
codifica per il recettore del fattore di crescita epatocitario HGF, molecola che
regola i meccanismi di proliferazione e differenziamento epiteliale ed
endoteliale di molti organi, compreso il rene. Il carcinoma renale papillare di
tipo ereditario sembra essere causato da mutazioni nella porzione di MET
che codifica per il dominio tirosin-chinasico di HGF (17). Le mutazioni a
carico della linea germinale determinano la trasmissione del carattere
genotipico secondo una modalità autosomica dominante e al contempo
espongono l’individuo che ne è portatore al rischio congenito di sviluppare la
neoplasia, come del resto accade per la sindrome di VHL. A livello somatico
l’amplificazione dell’allele mutato, in seguito a trisomia del cromosoma 7 che
caratterizza l’istotipo papillare, determina una duplicazione del proto-
oncogene mutato con conseguente aumento della produzione del recettore
attivo (18).
Nell’uomo non è stato a tutt’oggi identificato alcun agente eziologico
selettivamente responsabile dell’insorgenza del carcinoma renale. Tuttavia
gli studi epidemiologici hanno suggerito che il tabacco possa avere un ruolo
importante nelle genesi di tale patologia. Tra i fattori di rischio sussistono
inoltre l’obesità, l’ipertensione, una dieta ricca in grassi e proteine e povera di
frutta e verdure, la scarsa attività fisica e le occupazioni professionali che
espongono l’individuo al contatto con sostanze potenzialmente
carcinogeniche (19).
6
1.1.4 Sintomatologia e diagnosi clinica
La neoplasia renale presenta uno sviluppo per lo più silente per gran parte
della sua durata; per tale ragione la sua diagnosi viene effettuata
tardivamente rispetto alla storia della patologia. La classica triade
sintomatologica, costituita da dolore, ematuria e presenza di una
neoformazione al fianco, è riscontrabile solo in una ridotta percentuale di
pazienti ed è espressione di un processo neoplastico in fase avanzata,
caratterizzato dalla presenza di invasione locale o di metastasi a distanza
(1).
La diagnosi clinica del carcinoma renale viene principalmente effettuata
mediante esami radiologici ai quali, successivamente, vengono affiancati
esami di laboratorio. Le indagini strumentali più comunemente impiegate per
l’identificazione e la caratterizzazione delle masse renali sono:
• l’ecografia,
• la TAC (tomografia assiale computerizzata),
• la risonanza magnetica nucleare (RMN),
• l’arteriografia,
• l’urografia,
• la pielografia,
• e la scintigrafia.
L’esame ecografico consente di evidenziare la presenza di masse renali e
distingere le lesioni solide dalle più comuni cisti benigne. L’assenza di echi
interni, la presenza di una parete liscia e ben definita e la buona
ecotrasmissibilità sono indici di benignità. Tutte le lesioni che allo scandaglio
7
ecografico non soddisfino tali caratteristiche devo essere sottoposte ad un
esame più accurato. Le masse renali solide infatti possiedono una
ecogenicità variabile rispetto al parenchima renale sano, una ridotta o
assente trasmissione e delle pareti scarsamente demarcate con contorni
irregolari.
Lo sviluppo della TAC ha completamente rivoluzionato l’iter diagnostico delle
neoplasie renali tanto che, allo stato attuale, rappresenta la metodica di
elezione per individuare e stadiare il carcinoma renale. Con l’impiego della
TAC infatti la componente cistica o solida di una lesione renale complessa
può accuratamente essere definita evitando il ricorso, dopo l’indagine
ecografia, all’agobiopsia chirurgica. Oltre a distinguere adeguatamente le
lesioni cistiche da quelle solide, la TAC con mezzo di contrasto permette di
evidenziare l’estensione del tumore oltre la capsula renale o ai tessuti
circostanti. È inoltre possibile determinare con grande accuratezza il
coinvolgimento neoplastico della vena renale o della vena cava, evitando
l’esecuzione della tradizionale cavografia.
La risonanza magnetica pur essendo meno sensibile della TAC
nell’identificazione di lesioni solide di piccole dimensioni, rappresenta un
importante strumento d’indagine radiografica per la valutazione dell’entità
dell’invasione neoplastica delle strutture adiacenti (vena renale o vena cava)
senza l’impiego di alcun mezzo di contrasto. L’immagine multidimensionale
che scaturisce da un esame mediante risonanza magnetica consente di
ottenere un quadro dell’estensione del tumore allo scopo di pianificare le
strategie d’intervento chirurgico.
8
L’arteriografia costituisce il principale esame diagnostico per avere
informazioni riguardo alla vascolarizzazione renale. Il profilo arteriografico
delle neoplasie renali contempla la presenza di una sensibile
neovascolarizzazione, di fistole arterovenose, di ristagno del mezzo di
contrasto e di ipervascolarizzazione della capsula. Tuttavia varianti
ipovascolarizzate di tumore renale possono costituire un problema dal punto
di vista diagnostico. A tale difficoltà è possibile ovviare mediante l’aggiunta al
mezzo di contrasto di sostanze ad azione vasocostringente (adrenalina), in
grado di determinare la vasocostrizione delle normali strutture vascolari e
non di quelle tumorali (1, 20).
1.1.5 Stadiazione
I sistemi più comunemente adottati per la stadiazione del carcinoma renale si
basano sulla classificazione di Robson (21) e sulla classificazione TNM (22).
Il sistema di classificazione di Robson prevede 4 stadi:
• Stadio I → Neoplasia confinata all’interno della capsula renale.
• Stadio II → Neoplasia che si estende oltre la capsula renale,
invadendo il tessuto adiposo perirenale, rimanendo confinata
all’interno della fascia del Gerota.
• Stadio III → Interessamento della vena cava inferiore o della vena
renale (IIIa) o metastasi ai linfonodi regionali (IIIb) o la combinazione
dei 2 casi (IIIc).
• Stadio IV → Invasione degli organi limitrofi, tranne il surrene, (IVa) o
metastasi a distanza (IVb).
9
Tumore primitivo (T)
TX → Tumore primitivo non definibile
T0 → Tumore primitivo non evidenziabile
T1 → Tumore con dimensione massima ≤ 7cm, confinato al rene
T1a → Tumore con dimensione massima ≤ 4cm
T1b → Tumore con dimensione massima > 4cm e ≤ 7cm
T2 → Tumore con dimensione massima > 7cm, confinato al rene
T3 → Tumore che si estende ai maggiori vasi venosi o al surrene o al tessuto perirenale,
senza superare la fascia di Gerota
T3a → Tumore che invade la ghiandola surrenale o il tessuto perirenale, ma non
supera la fascia di Gerota
T3b → Tumore che invade mascroscopicamente la/e vena/e renale/i o la vena cava
al di sotto del diaframma
T3c → Tumore che invade mascroscopicamente la vena cava al di sopra del
diaframma
T4 → Tumore che si estende oltre la fascia di Gerota
Linfonodi regionali (N)
NX → Linfonodi regionali non valutabili
N0 → Linfonodi regionali liberi da metastasi
N1 → Metastasi in un singolo linfonodo regionale
N2 → Metastasi in più linfonodi regionali
Metastasi a distanza (M)
MX → Metastasi a distanza non accertabili
M0 → Metastasi a distanza assenti
M1 → Metastasi a distanza presenti
Raggruppamento in stadi
Stadio I → T1, M0, N0
Stadio II → T2, N0, M0
Stadio III → T1, N1, M0
T2, N1, M0
T3, N0 o N1, M0
Stadio IV → T4, N0 o N1, M0
ogni T, N2, M0
ogni T, ogni N, M1
Tabella 1. Rappresentazione schematica dei criteri di valutazione dei
parametri clinico-patologici (T, N e M) e dell’attribuzione dello stadio
patologico del carcinoma renale secondo la classificazione TNM.
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