soddisfacente come scrittore sono quelle di G. Agnoli
1
e di C. Naselli
2
. Come vedremo, si
tratta di analisi ampie ma non per questo approfondite, anzi lasciano il sospetto che entrambi i
critici non abbiano condotta la lettura dei Viaggi, un’opera su cui pochissimo finora si è detto,
e che pure offre molto da dire.
Lo studio di questa figura letteraria offre, proprio perché mai intrapreso prima, numerose
altre possibilità di studio. Difatti egli fu traduttore del Petrarca latino, storico della letteratura,
grande erudito, e testimone appassionato del dibattito sulla questione della lingua. Utilissima
sarebbe inoltre la ricerca dei manoscritti del volgarizzamento di Platone, e il loro studio, sia
per estimare il valore di Levati come traduttore dal greco, sia per confrontare quei
volgarizzamenti con i numerosi tentativi coevi e successivi di altri studiosi.
Lascio ad altri il compito di indagare più a fondo questi aspetti, e mi riservo di analizzare,
in questo lavoro, soltanto gli aspetti più squisitamente narrativi del pensiero e dell’opera del
nostro autore.
1
G. Agnoli, Gli albori del romanzo storico in Italia e i primi imitatori di Walter Scott, Piacenza, Stabilimento
d’Arti grafiche, G. Favari di Dante Foroni, 1906, p. 31-35.
2
C. Naselli, Il Petrarca nell’Ottocento, Città di Castello, Società Editrice Francesco Perrella, 1923.
ABBREVIAZIONI
Viaggi = A. Levati, Viaggi di Francesco Petrarca in Francia, in Germania ed in Italia,
Milano, Società Tip. de’Classici Italiani, 1820, voll. 5
Pezzi = Articoli di Francesco Pezzi sui Viaggi apparsi sulla “Gazzetta di Milano” (1820-
1822)
Lettera = Lettera di A.M. [Domenico Gavazzeni] al suo amico F[rancesco] S[alvioni] con
cui si fanno alcune osservazioni sul primo tomo de’Viaggi del Petrarca del professore
Ambrogio Levati, Bergamo, Mazzoleni, 1820
Zajotti = Articoli di Paride Zajotti sui Viaggi apparsi sulla “Biblioteca italiana” (1821)
Dizionario = Dizionario biografico delle donne illustri di tutti i tempi e di tutte le nazioni,
Milano, Bettoni, 1821-22, voll. 3
Saggio = A. Levati, Saggio sulla letteratura italiana dei primi venticinque anni del XIX
secolo, Milano, Stella, 1831.
Biografie = Profili biografici di Levati, a cura di G. Del Chiappa (1844) e A. Zoncada
(1877).
3
ASM = Archivio di Stato di Milano
ASP = Archivio di Stato di Pavia
3
Si leggono rispettivamente in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti,
Venezia, Alvisopoli, 1844, vol. IX, p. 174, e in AA.VV., Memorie e documenti per la storia dell’Università di
Pavia e degli uomini più illustri che vi insegnarono, Pavia, Succ. Bizzoni, 1878, vol. I, pp. 547-49.
2. PROFILO BIOGRAFICO
2.1 LA VITA
Carlo Ambrogio Levati nasce il 20 febbraio 1790 nella Lombardia asburgica, a Biassono
4
nei pressi di Monza, da Giambattista e Costanza Canzi. La famiglia è di umili origini, il padre
è un piccolo commerciante di provincia. Non sappiamo se avesse fratelli.
Probabilmente verso i dieci anni inizia gli studi al Collegio di Gorla. L’ottima
predisposizione all’apprendimento suggerisce ai genitori di iscriverlo al seminario e di farlo
studiare da prete. È così che il giovane Ambrogio passa al Seminario di Monza, e
successivamente al Seminario Maggiore di Milano, retto dai barnabiti. È qui che viene
ordinato sacerdote. A Milano trascorrerà quasi tutta la vita.
Esce dal Seminario Maggiore col titolo di dottore in filosofia e teologia, grado non
equiparabile alla laurea universitaria ma comunque abilitante all’insegnamento nei Licei.
I libri diventano presto l’elemento naturale e l’unica attività della sua vita. A soli 21 anni,
è già noto per la sua non comune erudizione e inizia la carriera d’insegnamento a Milano,
capitale del Regno Italico napoleonico: nel 1811 è nominato docente di grammatica superiore
al Collegio Imperiale Longone, il “collegio dei nobili” come veniva chiamato. Il 16 ottobre
1812 è nominato Supplente alle Scuole e Ripetitore al medesimo Collegio. Con grande zelo,
si assume altre incombenze fra cui quella di bibliotecario, archivista, supplente censore,
revisore e distributore dei testi scolastici. Il Provveditore del Collegio, Ignazio Serrano, scrive
ammirato allo Scopoli:
4
Alcune fonti indicano luogo e data di nascita errati, ossia Torricella (presso Milano) 1788. Questo errore
compare per la prima volta nel necrologio del Levati, scritto da Achille Mauri sulla “Gazzetta Privilegiata di
Milano” del 13 luglio 1841, ed è stato ripetuto nel 1845 presso il Dizionario Biografico Universale di Felice
Scifoni e si è quindi trasmesso ad altre pubblicazioni successive. All’ASM non siamo riusciti a trovare l’atto di
nascita di Levati, ma non c’è dubbio che egli sia nato a Biassono nel 1790, come testimoniato dai suoi stessi
amici in documenti ufficiali. Inoltre una nota di polizia del 1818 dichiara Levati “ventottenne”.
Il proposto soggetto è troppo conosciuto pel suo sapere, ed ha già dato sufficienti prove
de’suoi lodevoli costumi nel corso di un anno, durante il quale ha insegnato la
Grammatica Superiore, per mancanza di Scuola più analoga alle sue cognizioni.
5
Poco tempo dopo è nominato anche maestro di belle lettere.
Nel 1813 arriva una nuova promozione: è professore di storia e principi generali di belle
arti nel Liceo di Porta Nuova, annesso al Collegio Longone. Conserverà la cattedra quasi
ininterrottamente per 24 anni.
6
Il 16 novembre, in occasione dell’apertura del nuovo anno scolastico, di fronte a un folto
pubblico e ad importanti autorità (fra cui il ministro dell’Interno Vaccari), recita l’Elogio di
Giuseppe Parini, pubblicato nel mese successivo da Bernardoni.
7
Nell’aprile del 1814, dopo il ritorno degli Austriaci a Milano, il generale Bellegarde non
impone subito il giuramento di fedeltà ai pubblici ufficiali, ma alcuni professori coinvolti nel
passato regime vengono segnalati o addirittura rimossi dalla cattedra. Levati, del tutto
estraneo agli eventi politici, è confermato.
Nel 1815 inizia ad avere contatti di lavoro con l’editore Stella, per il quale comincia a
pubblicare opere divulgative, traduzioni annotate e compendi, quasi sempre anonimi. Nel
dicembre di questo stesso anno viene proposto dal Gherardini e dal Cherubini come
collaboratore della nascente “Gazzetta di Milano”, ma il progetto dei due letterati viene
bocciato dal Governo.
8
Ma il mondo letterario milanese è in fervore. Nel gennaio del 1816 scoppia la polemica
classico-romantica in seguito al famoso articolo di M.me de Staël sulle traduzioni, apparso
sulle colonne della “Biblioteca italiana”. In nessuna delle sue opere Levati interviene
5
ASM, Studi, p.m., 158.
6
Pare che la cattedra spettasse al più anziano e celebre Mario Pieri, e che Levati riuscisse ad ottenerla grazie
all’appoggio della potente famiglia milanese Mellerio. Sulla questione, vedi la Vita di Mario Pieri Corcirese
scritta da lui medesimo libri sei, Firenze, Le Monnier, 1850-51, vol. I, pp. 284-286, e il Giornale dello stesso
Pieri, Biblioteca Riccardiana di Firenze, 16 novembre 1813: “Voglio rendere giustizia a quel prete, che recitò
l’elogio del Parini, dicendo che, per quanto giudicar posso coll’orecchio, quell’elogio parvemi ben tessuto, dotto,
scritto non senza eloquenza, e che generalmente tranne il principio ed alcuni giudizj sopra vari autori italiani,
parvemi un buon componimento, a segno che non posso imaginarmi che l’autore sia quell’uomo ignorante, che
volea farmelo credere il Sig. del Rosso fiorentino, professore di eloquenza nel Liceo di Sant’Alessandro in
questa Città”. Ma il 16 gennaio successivo Pieri ha modo di leggere quell’elogio stampato, e ne ritratta le lodi.
7
Anche nel 1814 Levati collaborerà col Bernardoni, come dimostra l’annuncio tipografico apparso sul “Corriere
milanese” del 26 settembre 1814, sezione “Varietà”, firmato A.L. e che avvisa dell’uscita del Saggio elementare
sul disegno della figura umana di Carlo Verri, appunto per i tipi del Bernardoni. Quella firma indica sicuramente
il nostro, che – come vedremo – la userà ancora nelle sue rare comparse giornalistiche.
8
Si vedano gli annunci del Gherardini e del Cherubini, comparsi uguali sul “Giornale italiano” e sul “Corriere
milanese”.
direttamente nella polemica, benché in tutti i suoi scritti traspaia una chiara scelta classicista.
9
Stilisticamente fu un trecentista, seguace (seppur moderato) delle teorie del Cesari e contrario
ad ogni toscanismo forzato.
10
Sullo stesso periodico, nei fascicoli di luglio e agosto compaiono due articoli anonimi (ma
di Giuseppe Compagnoni) fortemente ostili alla Vita di Erostrato, romanzo storico-
archeologico di Alessandro Verri.
Il 23 settembre, il Verri muore. A novembre, in occasione dell’apertura dell’anno
scolastico, Levati ne pronuncia un elogio.
Nel febbraio del 1817 la “Biblioteca italiana” pubblica un articolo che Carlo Verri ha
scritto a difesa della memoria del fratello. Contemporaneamente, Levati pubblica a stampa il
suo Elogio di Alessandro Verri dove si sofferma anche sulla produzione romanzesca del
Verri, giudicata nella sostanza positivamente.
Il 3 luglio, per risoluzione sovrana in seguito a una prima riforma dei licei, le autorità
asburgiche chiudono il Liceo di Porta Nuova.
11
In quest’anno entra in contatto con l’editore Giulio Ferrario, e ne diviene collaboratore per
Il costume antico e moderno. Diviene inoltre amico di Vincenzo Monti.
In una nota della Polizia del 1818 si legge:
Levati Ambrogio [...] d’anni 28 appartiene ad una famiglia di negozianti ristretti. È
sacerdote studiosissimo e pieno di cognizioni. Fu maestro di belle lettere, ed ha
stampato l’elogio del Parini, e del Conte Alessandro Verri. È altro dei collaboratori della
grand’opera del costume antico e moderno che si stampa dal Ferrario, e la Storia del
Giappone ivi inserita è parto della penna sua, come lo sono varj altri opuscoletti letterari
scritti con molta eleganza, e nitidezza di stile. Alieno dalle brighe, e dai brogli politici,
9
Nel 1821 Levati pubblicherà nel suo Dizionario una lunga biografia della Staël, frutto tuttavia (come per quasi
tutti gli altri suoi lavori) di semplice compilazione di altre fonti. La biografia è piena di lodi per la Staël come
donna di grande cultura, ma curiosamente manca ogni accenno alla polemica che il famoso articolo aveva
scatenato. È citata soltanto, e brevissimamente, la recensione alla traduzione dell’Iliade del Monti che la
scrittrice francese pubblicò sulla “Biblioteca italiana” in quello stesso 1816. L’impressione è che Levati non si
volle schierare apertamente sulla questione: in nessun’opera condanna il romanticismo, anzi nel Saggio mostra
grande stima per il Manzoni, il Grossi e i Conciliatori.
10
Nel Saggio, alle pp. 187-94, è dedicato ampio spazio alle teorie del Cesari. Tuttavia Levati non manca di
prenderne le distanze per un aspetto che gli era particolarmente a cuore: “Ammiratori come siamo del Cesari,
non sarem creduti malevoli se confesseremo che talvolta egli si è abbassato troppo per voler far uso del volgar
fiorentino” (pp. 191-92).
11
La cerimonia ufficiale di chiusura del Liceo è ampiamente descritta sulla “Gazzetta di Milano” del 26 agosto
1817. Vi presero parte molte autorità e professori con discorsi e premiazioni; curiosamente, non vi compare mai
il nome di Levati.
ed intieramente occupato nello studio si conduce da vero sacerdote, e da suddito
ubbidiente e tranquillo.
Non consta che abbia appartenuto a società segrete.
12
Probabilmente all’inizio di quest’anno è trasferito al Liceo di Bergamo
13
dove assume la
cattedra di storia universale e particolare degli Stati Austriaci. L’ambiente accademico fa
buona accoglienza al nuovo arrivato, che in aprile è nominato socio onorario dell’Ateneo di
Scienze Lettere ed Arti della città, carica che manterrà fino al 1840. Stringe amicizia con
Carlo Bravi, erudito che sarà suo successore alla cattedra di storia, e con molti altri
intellettuali bergamaschi fra cui Gerolamo Adelasio, del cui giovane figlio pronuncia l’elogio
funebre ai primi di aprile. L’orazione viene stampata in volumetto, e provoca un’acida
polemica letteraria col giornalista Sisto Borsotti.
Il 1° maggio l’Ateneo bergamasco inizia un nuovo ciclo di lavori; nei tre anni successivi,
Levati sarà presente a quasi tutte le sedute. Assieme ai colleghi P.A. Mutti e A. Salvioni
riceve l’incarico di riformare lo Statuto dell’Ateneo.
Il 17 dicembre pronuncia all’Ateneo la prima dissertazione, Sulla Versione di Omero fatta
da Monti.
L’11 febbraio 1819 legge all’Ateneo la seconda dissertazione, una Memoria su come si
potrebbe scrivere la Storia della Lombardia austriaca.
Con sovrana risoluzione dell’8 luglio, il Liceo Porta Nuova di Milano viene riaperto. Il 23
agosto scrive una supplica al Governo per esservi riammesso come professore ordinario. La
cattedra di storia e belle arti viene assegnata temporaneamente al celebre filologo Giovanni
Gherardini, che ottiene uno straordinario successo fra gli studenti e proprio per questo diviene
presto inviso alle autorità austriache.
14
Alla fine dell’anno la cattedra è dichiarata vacante.
Il 24 febbraio 1820 si tiene il primo concorso per la cattedra di storia al Porta Nuova; il 20
agosto Gherardini è confermato, ma ancora a livello temporaneo; la richiesta di Levati è
respinta.
Il 9 marzo legge all’Ateneo di Bergamo la terza relazione, intitolata I viaggi del Petrarca,
che non è altro che l’introduzione dell’opera omonima di imminente pubblicazione.
12
ASM, Studi, p.m., 854.
13
Questo Liceo esiste tuttora, ed è appunto il Liceo Classico “P. Sarpi”. Nel suo archivio sono conservati alcuni
documenti (tuttavia di scarso interesse) relativi all’attività di Levati, nei faldoni 71 e 83.
14
Vedi in proposito la bellissima lettera del Gherardini a Francesco Cherubini, 2 gennaio 1820, conservata alla
Braidense (AC.XII.31). L’interessantissimo carteggio Gherardini-Cherubini (più di 400 lettere) è stato
pubblicato in tesi di laurea da A. Moretti, Le lettere inedite di Giovanni Gherardini al Cherubini, relatore D.
Isella, Università di Pavia, a.a. 1972-73.
In luglio, escono nelle librerie di Milano i Viaggi di Petrarca per la Società Tipografica
de’Classici Italiani (Fusi, Stella e Compagni). L’uscita dei cinque volumi si protrae per quasi
un anno ed è frequentemente pubblicizzata dal quotidiano ufficiale lombardo, l’Imperial
Regia “Gazzetta di Milano”. Il direttore del periodico, Francesco Pezzi, non manca di
recensire l’opera che nel complesso è giudicata positivamente. Ma in novembre, a Bergamo,
esce in volumetto una prima stroncatura ai Viaggi, anonima ma dell’avvocato e poeta
Domenico Gavazzeni.
Non curandosi delle critiche all’opera, prosegue i suoi studi ed entra in contatto con il
petrarchista triestino Domenico Rossetti, col quale sorge anche un equivoco editoriale.
Il 1° dicembre il marchese Febo d’Adda scrive un rapporto ministeriale al Governo, in cui
suggerisce la conferma di Gherardini per la cattedra di storia.
Il 22 febbraio 1821 legge all’Ateneo di Bergamo la sua quarta ed ultima dissertazione, un
Ragionamento su Savonarola, violenta condanna della superstizione religiosa, tema che gli fu
sempre caro.
A marzo scoppiano i moti carbonari in Piemonte e Lombardia. Con un atteggiamento che
sarà costante nella sua vita, si mantiene estraneo agli eventi politici.
Il 14 aprile, nonostante il parere del d’Adda, con sovrana risoluzione la cattedra di storia
del Liceo di Porta Nuova è assegnata a Levati, preferito al Gherardini in virtù della sua totale
estraneità alla politica. I resoconti degli ispettori scolastici avevano testimoniato l’eccellente
rapporto fra il Gherardini e gli studenti; non altrettanto eccellenti sembrano i rapporti fra gli
studenti e Levati, se è vero che già il 5 maggio, da Milano, Francesco Longhena scrive a
Camillo Ugoni:
Il Professore Sig.r Levati, che venne ad occupare il posto di Gherardini in questo Liceo
Longone, sembra che non si cattivi troppo la stima, e la confidenza degli scolari.
Comandatemi ampiamente, come più vi piace; e se vi piacesse darmi qualche
incombenza anche per cotesto Ateneo, la eseguirei con ogni premura e piacere.
15
15
Cito da Margherita Petroboni Cancarini, Camillo Ugoni, letterato e patriota bresciano, Milano, SugarCo,
1978, vol. I, pp. 258-9. Nell’Archivio di Stato di Milano (Studi, p.m., 854) sono conservate le pratiche
burocratiche relative al trasferimento di Levati dal Liceo di Bergamo a quello di Milano (1819-21): il resoconto
del concorso del 24 febbraio 1820, il rapporto ministeriale di Febo d’Adda, il decreto del 14 aprile 1821. Nello
stesso Archivio (Studi, p.m., 158) è conservato qualche documento relativo all’anno di insegnamento al Collegio
Longone (1812-13). Infine, nel fondo Studi, p.m., 853 esistono altri documenti di poca importanza, relativi a due
richieste di aumento di stipendio per merito di anzianità, che Levati inoltrò al Governo nel 1826-27. Le due
richieste, fredde e burocratiche, sono autografe. All’interno di questi documenti si trovano interessanti
osservazioni sulla personalità di Levati; gli ispettori asburgici gli riconoscono costantemente due meriti: una
profonda erudizione e una totale estraneità ai fatti politici dei suoi tempi.
La “Biblioteca italiana”, nei fascicoli di agosto, ottobre e novembre, muove durissimi
attacchi ai Viaggi. I tre articoli, anonimi, sono di Paride Zajotti.
In questo stesso anno il professore tenta un’ultima volta la strada della narrativa erudita,
pubblicando per Bettoni i Racconti piacevoli sui Giudizi di Dio, altra dura condanna del
fanatismo religioso. Il volume è ristampato l’anno successivo dal Destefanis come Racconti
morali sui Giudizi di Dio.
Dalle testimonianze che abbiamo, si può concludere che Levati negli anni milanesi
conobbe di persona tutti gli intellettuali della sua città, o di passaggio, a cominciare dal Monti
e dal Manzoni.
16
In una lettera del 1821, Stendhal afferma di conoscere personalmente
l’autore dei Viaggi di Petrarca.
17
Nel giugno del 1822, la “Biblioteca italiana” pubblica una violentissima stroncatura del
Dizionario delle donne illustri, anonima ma del direttore Giuseppe Acerbi. Più che a una
recensione libraria si è di fronte a un attacco personale. Non risulta che Levati abbia mai
risposto alle critiche del periodico; in ogni caso il Pezzi e l’abate Francesco Villardi prendono
apertamente le sue difese.
Nel frattempo, la riforma definitiva dei licei absurgici diviene operante; nel 1824 assume
anche la cattedra di filologia latina. Le lezioni di storia sono impartite in lingua italiana, quelle
16
Per approfondire la conoscenza di Levati come studioso, sarebbe utilissimo consultare i vecchi registri
d’ingresso e le richieste di consultazione della Biblioteca Ambrosiana. Tuttavia la detta Biblioteca non ha potuto
offrirmi nessun’informazione a riguardo.
17
Stendhal si giovò soprattutto di due opere di Levati, i Viaggi e il Dizionario. Queste opere sono citate quattro
volte negli scritti del grenoblese, anche se sempre in nota. Citiamo dall’edizione Oeuvres de Stendhal, Geneve,
Cercle du Bibliophile, 1968-72.
Innanzitutto nei Mémoires d’un touriste, diario del suo viaggio in Francia, alla data 15 giugno 1837 i Viaggi
sono menzionati (con data errata 1818) come fonte delle lettere latine di Petrarca, che lo scrittore francese poté
leggere grazie alla parziale traduzione italiana del Levati (Stendhal conosceva poco e male il latino, vd. in
proposito la sua bellissima Vie d’Henry Brulard).
Levati è citato poi in una nota autografa a un manoscritto italiano posseduto da Stendhal e relativo alla “Vittoria
Accoramboni” (una delle Chroniques italiennes): “27 marzo 1837. M. Levati dit qu’il y a des poésies à la B.que
Ambrosienne de Milan, et même, je crois, un récit de ses aventures. Dictionnaire des femme célèbres, Milan,
vers 1832, imprimé par Betoni [sic], je crois ”. Come si vede, Stendhal cita a memoria e commette lapsus
frequenti: Bettoni aveva pubblicato il Dizionario nel 1822.
Levati è citato anche nel Napoléon II Mémoires sur Napoléon a proposito della madre dell’Imperatore, Letizia
Ramolino, simile nel carattere alle eroine di Plutarco (“Dictionnaire des femmes célèbres, du professeur Levati.
Milan, 1820”).
Infine nei Mélanges V Littérature, i primi 2 tomi dei Viaggi sono citati in un elenco di libri posseduti da
Stendhal.
Per contro, Stendhal non è mai citato in nessuno scritto di Levati. Questi cita spesso autori e opere francesi, ma
tutti settecenteschi.
Un altro forestiero che ebbe interesse per le opere di Levati è il Byron, che cita i Viaggi nelle note al Marino
Faliero. Il Byron poté leggere l’opera (e forse conoscerne l’autore) durante il suo soggiorno italiano, non è
escluso per tramite dello stesso Stendhal.
di filologia in latino. Entrambe le materie sono insegnate al secondo e ultimo anno del liceo;
la storia è dichiarata materia facoltativa ma “raccomandata”.
Al Liceo di Porta Nuova sono suoi allievi, fra gli altri, Giulio Carcano, Cesare Correnti,
Temistocle Solera e forse anche i fratelli Cantù.
18
Nel 1827 escono i Promessi Sposi, che concludono il dibattito sul romanzo storico. Il
professore riserva grandi elogi al romanzo che sembra mettere d’accordo tutti. Anche il
severissimo Zajotti loda l’opera del Manzoni.
In questo periodo conosce e frequenta il giovane Antonio Rosmini, che prende dimora a
Milano dal marzo 1826 al febbraio 1828. Levati e Rosmini sono vicini di casa, in Corso di
Porta Nuova 1494. Fra i due si instaura una stima e cortesia reciproca.
19
Nel 1830 scrive quella che possiamo considerare la sua opera più originale e interessante:
il Saggio sulla letteratura italiana nei primi 25 anni del XIX secolo, in cui mostra una
18
Tutti costoro, difatti, sono allievi del Liceo Porta Nuova negli anni in cui Levati vi insegna.
19
Cfr. Epistolario di Antonio Rosmini, Casale, Tipografia Pane, 1887, vol. IV. Fra l’altro, Levati si occupò del
pagamento dell’affitto di Rosmini una volta che questi ebbe lasciato Milano. Rosmini scrive all’abate Luigi
Polidori a Milano, da Domodossola il 31 marzo 1828: “Perdonate della mia importunità: e perché siete buono,
abbiatevi anche quest’altra cura per soprassella, direbbe il Cesari; cioè prendete 275 lire che vi darà il signor
Brioschi, domandandogliele voi a mio nome, e portatele al signor professor Levati, perch’egli abbia la bontà di
pagar con quelle la pigione di casa per me al signor De Cristoforis; dico la pigione del mezzo anno anticipato
dalla prossima Pasqua al futuro San Michele. Nello stesso tempo rinunzi egli per me la pigione per l’anno futuro:
e nelle poche linee di ricevuto che mi farà in lettera il signor De Cristoforis, sarà bene che metta un motto che le
stanze per un altr’anno io gliele ho lasciate in libertà”.
Levati provvide al pagamento, e Rosmini lo ringraziò con la seguente lettera datata Domodossola, 18 aprile
1828: “Mio venerato professore. Coll’occasione di doverla ringraziare della gentilezza ch’Ella ebbe di passare al
signor Vitaliano De Cristoforis le lire milanesi 275, e di confermargli la mia deliberazione di liberargli
l’appartamento da me occupato, credo anche mio dovere di dare qualche conto di me a Lei, a cui sono per molte
ragioni tenuto, e che eravamo uscio ad uscio, come si dice. Sappia adunque che in quest’aria più vitale e più
acconcia ad un uomo di monte, come io mi sono, vadomi rinfrancando alquanto in salute e pigliando forze. Qui
mi occupo in poche cose, e che non esigano molti libri (ché non li potrei avere); e questo lavorare leggero
m’ajuta pure al meglio. Ella sarà immerso ne’soliti studi vasti e bisognosi di grandi letture: se mi darà notizia
de’suoi lavori mi sarà carissimo. Mi basta d’aver soddisfatto a un mio dovere: non voglio torla maggiormente ai
medesimi. Se vede il signor Consigliere Giudici, i miei complimenti. Mi creda con profondo rispetto umilissimo
e obblig.mo servitore ed amico p. Ant. Rosmini”.
Questa è la sola lettera che si conservi fra i due. Non sappiamo se Levati rispose. Un carteggio così scarso ci
testimonia che fra Rosmini e Levati i rapporti furono cortesi ma freddi, e proseguirono per pochi mesi ancora e
sempre per interposta persona: Levati non è mai fra i milanesi che Rosmini prega i suoi corrispondenti di
salutare; è ricordato una sola altra volta nelle sue lettere, e ci sembra una citazione interessante. Dalla sua
Rovereto, Rosmini scrive a don Andrea Fenner a Milano, il 6 ottobre 1828: “Al Levati lasciate pur, senz’altro, il
fornello: sebbene io lo pagai. Con esso fate di più i miei rispettosi saluti e ditegli che io parlai secondo la sua
commissione, de’suoi scritti col nostro Mons. Povondra, che trovai informato de’medesimi e del suo autore. Gli
domandai dove sono questi scritti ecc. Egli mi rispose che di presente saranno nelle mani de’professori di Vienna
perché riferiscano: che ivi staranno buon tempo, perché quelli usano ne’loro affari di pigliar sempre l’orbita di
Saturno: per altro ch’egli prevede che non saranno scelti scritti di professori di Licei, ma di qualche Università, e
che però non gli pare da sperare in questo fatto che saranno scelti quelli del sig. prof. Levati. Le quali cose a lui
direte co’miei più affettuosi rispetti, come di quello che desidera servire il Professore in cose maggiori, dove pur
possa”.
Non sappiamo di quale affare si parli in questa lettera; vero è che anche qui, come in molte sue lettere, Levati
dimostra un notevole interesse per tutte le iniziative editoriali, anche governative, e molta cura nella diffusione
dei suoi lavori. Questa comunque è l’ultima volta che troviamo il nome di Levati nell’imponente epistolario
rosminiano.
profondissima conoscenza della letteratura a lui contemporanea, unita però a uno scarso
acume critico.
Negli anni successivi, parallelamente all’insegnamento, prosegue su ritmi febbrili il
lavoro per più case editrici contemporaneamente, e traduce fra l’altro il monumentale Corso
di eloquenza sacra del Guillon, in 27 volumi pubblicati nell’arco di sei anni.
Nel frattempo, cresce la sua fama di studioso instancabile, eruditissimo e soprattutto non
immischiato in affari politici. Il 21 ottobre del 1837, con sovrano decreto, l’Imperatore
nomina Levati professore di estetica e filologia latina e lingua e letteratura greca all’Ateneo
di Pavia; succede al celebre Zuccala, il biografo di Tasso da poco defunto. Non sappiamo su
quale argomento abbia pronunciato la tradizionale prolusione di ringraziamento; certamente
essa non fu stampata.
20
A Pavia, stringe amicizia fra gli altri con il collega Giuseppe Del Chiappa. Questi scriverà
nel 1844 un interessante ricordo di quei giorni:
Fu il prof. Levati di una meravigliosa memoria, la quale gli somministrava gli immensi
materiali per la compilazione di tante opere eseguita in tanto ristretto tempo; materiali
raccolti nelle sue ampie letture e svariatissime, alle quali si era dato in tutto il corso
della sua vita. E di questa prodigiosa memoria ne ho pigliato io talvolta argomento e
saggio, che leggendogli un tratto alcune opere di Cicerone da me volgarizzate, egli
soventi volte senza avere il testo davanti ne riferiva lunghi squarci a mente. E
lunghissimi brani de’più chiari poeti e prosatori italiani e latini serbava nella sua tenace
e veramente ferrea memoria.
Egli era nel conversare dolce e facile, e di piacevole vena di dire e di modi amabili e
modesti, e sempre ricco di fatti e di aneddoti, per cui era graditissimo e ricercatissimo in
tutte le più gentili riunioni.
21
Durante il soggiorno pavese, inizia l’imponente traduzione dei dialoghi di Platone per
l’editore Resnati: il progetto rimarrà incompiuto, benché avesse oltrepassato la metà del
lavoro.
22
20
Un antico avversario annota ironico: “Levati professore a Pavia! Bella scelta!” (P. Zajotti, Diario, Venezia 12
novembre 1837). In ASP, Filosofia e Lettere, 73-74 sono conservati i registri di Levati relativi agli anni 1837-41.
Vi sono annotati il rendimento degli studenti, le ore di lezione e i libri di testo impiegati. Secondo una fonte,
Levati si sarebbe recato a Vienna in occasione della sua nomina (Scifoni, Dizionario biografico universale, vol.
III, p. 666), ma non abbiamo altre testimonianze a riguardo.
21
Si legge in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, cit. Giuseppe Del Chiappa, professore di clinica e
medicina teorica a Pavia nonché letterato, grande amatore e traduttore di Cicerone, fu collaboratore del De
Tipaldo per altri profili biografici relativi a professori dell’ateneo pavese.
Il 13 giugno 1838, assieme al collega ab. Scotti, si sottopone all’esame speciale per
professori (fra gli esaminatori, l’Aldini e il Modena) e riceve la laurea in Filosofia. Fra il 15 e
il 17 settembre l’Imperatore d’Austria è a Pavia in visita ufficiale. Durante le cerimonie, tutti i
professori dell’ateneo gli rendono omaggio.
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Il 26 novembre 1839 riceve un nuovo importante riconoscimento: l’imperatore d’Austria
lo nomina membro effettivo dell’I.R. Istituto Lombardo di Scienze Lettere ed Arti, i cui lavori
erano ripresi proprio in quei giorni dopo lunga pausa.
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Il 2 gennaio 1840 si tiene la prima seduta del nuovo ciclo di lavori dell’Istituto. Levati
entra a far parte (assieme a C. Londonio e G. Piola) di una commissione incaricata di scrivere
il messaggio di ringraziamento all’Imperatore, al Viceré e al Governatore della Lombardia.
Il 26 settembre, ancora per sovrana risoluzione, è nominato membro effettivo stipendiato
dell’Istituto. Il 26 novembre ne vien fatto annuncio ufficiale all’adunanza.
Negli stessi giorni, all’apertura dell’anno accademico, recita una prolusione in lode di
Ippolito Pindemonte che non viene stampata per esplicito divieto dell’autore.
Il 31 dicembre, legge la Prefazione alle opere di Platone da lui tradotte dal greco ed
illustrate, che resterà il suo unico intervento all’Istituto Lombardo.
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Nei primi mesi del 1841 è quasi completamente assorbito dal progetto di stampa del
volgarizzamento delle opere di Platone; si ammala, e tuttavia prosegue l’insegnamento finché
gli è possibile.
Proprio quando sembra ormai convalescente, la mattina del 6 luglio, in seguito a un
violento attacco di idrope al cuore o forse a un colpo apoplettico, muore lasciando incompiuto
il lavoro. Le carte con la traduzione e commento di Platone vengono assegnate, con asta
pubblica, all’erede Luigi Gallotti, e risultano a tutt’oggi introvabili.
I funerali si tengono in forma ufficiale nella chiesa di San Francesco, a Pavia, la mattina
del 7 luglio alla presenza degli studenti e del corpo accademico. Girolamo Turroni, collega
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Fra i dialoghi tradotti, certamente erano compresi la Repubblica, le Leggi e il Fedone. Ricordiamo che dieci
anni prima lo Stella aveva proposto il medesimo progetto a Giacomo Leopardi, che aveva rifiutato proprio per la
mole immensa del lavoro.
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Documentazione in merito si trova in ASP, Filosofia e Lettere, 29-30 (Carteggio della Presidenza).
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Caustico, ancora una volta, il commento di Zajotti: “Ecco le nomine dell’Istituto lombardo:...Levati!...Non mi
ricordo gli altri, ma che importa? Quale Istituto paragonato a quello del Governo Italico! Quali perdite, e quali
surrogazioni” (Venezia, 18 dicembre 1839). Non ancora contento, il critico trentino non manca di annotare nel
suo diario un feroce epigramma di quei giorni, forse di sua stessa creazione: “Si lagnan che il Moschini, ed il
Levati, / nell’Istituto anch’essi sian entrati. / Ma se togli il Levati ed il Moschini, / l’Istituto diventa un
Crescentini” (Venezia, 22 dicembre 1839). Per cogliere la causticità di questo epigramma si ricordi che il
Crescentini era un celebre castrato.
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Del resto, nel corso del 1840 l’Istituto aveva perso gran parte del tempo a darsi il regolamento, e nel 1841
Levati ebbe i problemi di salute che lo portarono alla morte. Da notare come negli Archivi dell’Istituto sono oggi
del tutto inesistenti atti di qualsiasi genere che riguardino Levati.
dell’Ateneo pavese, recita l’orazione funebre che viene pubblicata il 10 luglio sulla “Gazzetta
della Provincia di Pavia”. Un necrologio viene pubblicato anche da Achille Mauri sulla
“Gazzetta Privilegiata di Milano” del 13 luglio.
L’8 agosto all’Istituto Lombardo di Milano viene letto un analogo necrologio scritto dal
celebre archeologo Giovanni Labus.
2.2 LE OPERE
Levati fu scrittore fecondissimo, di eccezionale velocità ma proprio per questo poco
elegante.
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La sua attività risulta di scarsa importanza nel panorama letterario del tempo, poiché egli
fu quasi esclusivamente annotatore, curatore, traduttore e compilatore di opere altrui. Questo
comporta notevoli difficoltà qualora si voglia ricostruire la sua mentalità e le sue idee, ed
anche l’elenco delle sue opere. Infatti, secondo una tradizione ancora molto in voga nel primo
Ottocento, gran parte dei suoi lavori, proprio perché non originali, non furono firmati. A
questa difficoltà dei tempi va aggiunta la modestia del suo carattere, che lo portò a firmare
pochissime delle sue imprese letterarie. Soltanto dopo la morte gli editori, a titolo d’onore,
aggiunsero la firma alle edizioni postume dei suoi lavori. È dunque difficile offrire l’ elenco
completo della sua produzione letteraria. Le ricerche sugli schedari delle biblioteche, basati
sui frontespizi dei volumi, ne rivelano una minima parte.
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Lo notava anche G. Del Chiappa, ibid., che pure non manca di lodare la prolificità dell’amico. Analogo
giudizio troviamo nel profilo biografico scritto dal pavese Antonio Zoncada nel 1878: “Scrittore facile,
infaticato, ma né elegante, né profondo, né esatto sempre. E ciò s’intende; avendo sempre l’animo a nuovi lavori
e disparatissimi per secondare le richieste continue de’librai trafficanti sugli ingegni come il negriere sulla carne
umana, non ebbe né agio, né modo di vagliare e ponderare le sue idee, e raccogliere tutte le forze dell’intelletto
sopra un argomento di sua elezione” (cfr. Memorie e documenti per la storia dell’Università di Pavia e degli
uomini più illustri che vi insegnarono, Pavia, Succ. Bizzoni, 1877-78, vol. I, p. 546).