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CAPITOLO I
1. Introduzione: crisi di legalità e crisi economiche
Un’organizzazione imprenditoriale è investita da una crisi di legalità quando al suo interno si
registrano condotte importanti connotate da violazione di leggi e/o di regolamenti e quando
tali comportamenti producono irregolarità che espongono a grave pregiudizio gli interessi dei
soggetti coinvolti nella sua attività o che mettono a rischio l’esistenza stessa dell’impresa
1
.
Le crisi di legalità quindi non trovano causa nelle disfunzioni di gestione dell’impresa o nelle
conseguenze di sfavorevoli congiunture.
Normalmente l’ordinamento prevede che vengano istituiti peculiari sistemi di controllo interni
o esterni; di fronte a gravi irregolarità o a specifiche situazioni di settore l’ordinamento impone
all’imprenditore di adottare specifici comportamenti, arrivando a sottrarre al medesimo, in via
temporanea o definitiva, il potere di gestione dell’impresa.
Con riferimento alle società per azioni ed alle società cooperative, la disciplina codicistica
consente all’autorità giudiziaria che riceve una denuncia di gravi irregolarità di gestione, di
assoggettare la società a uno specifico controllo esterno sull’amministrazione. All’esito del
controllo, il tribunale può disporre opportuni strumenti per il ripristino della legalità e nei casi
più gravi revocare gli amministratori e i sindaci, nominando un amministratore giudiziario.
Per quanto riguarda le crisi economiche, innanzitutto occorre porre attenzione sul concetto di
garanzia patrimoniale, intendendo con tale definizione quel patrimonio del debitore che è
posto dalla legge a garanzia dei crediti verso terzi. Infatti, ai sensi dell’articolo 2740 del codice
civile, il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri: il suo
patrimonio è dunque in soggezione rispetto al diritto del creditore di soddisfare i suoi crediti.
Il nostro ordinamento è particolarmente attento alla necessità di preservare l’integrità della
garanzia patrimoniale dei creditori, con la conseguenza che nel caso essa venga meno si
determina una crisi dell’impresa per disfunzioni di tipo economico.
Posto che lo scopo dell’impresa è la creazione di valore, si verifica una crisi economica nel caso
in cui si producano e si stabilizzino anomalie che non consentono di raggiungere tale obiettivo.
1
AA.VV., Diritto fallimentare - manuale breve, Milano, Giuffré, 2008, pag. 6 e segg.
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In linea di massima tali crisi sono determinate da disfunzioni di gestione o dal verificarsi di
imprevisti che la gestione non è in grado di affrontare efficacemente per mancanza di capacità
di previsione o di gestione del rischio.
In genere ciò avviene non in modo drastico e repentino, ma attraverso un processo di declino
che può essere innescato da cattive scelte umane o da trasformazioni del mercato di sbocco
dell’impresa o da entrambi i fattori variamente combinati.
In particolare, la rapidità con cui oggi il mercato impone alle imprese di mantenere un’elevata
concorrenzialità, comporta che esse si trovino a dover fronteggiare possibili crisi, sia che esse
siano di piccole dimensioni, sia che rappresentino gruppi industriali e finanziari di maggior
rilievo.
Come detto la crisi, pur potendo avere un’origine esogena è, nella maggior parte dei casi, il
risultato di errori di conduzione aziendale, dovuti all’incapacità di prevedere tempestivamente
la caduta della domanda e di attuare i relativi interventi di correzione della gestione. Sul punto,
S. Sciarelli magistralmente chiarisce che “una crisi è di solito l’epilogo di un processo di degrado
progressivo degli equilibri economici e finanziari dell’impresa, che dovrebbe- in presenza di
idonei strumenti di controllo- potere essere avvertito nelle sue prime fasi, allorché gli effetti non
hanno ancora compromesso o minacciato di compromettere irreparabilmente la sopravvivenza
aziendale”
2
.
La crisi aziendale, che quindi si configura come un processo di deterioramento della vitalità
dell’impresa, giunge allo stadio dell’irreversibilità quando l’impossibilità di ottenere un rapido
recupero economico dovuto al progressivo impoverimento dell’assetto patrimoniale, non
consente di ripristinare gli equilibri perduti, portando alla fine dell’intera organizzazione
3
.
Gestire un’impresa significa governarla, cioè riuscire ad amministrare i vari fattori di
produzione, ma soprattutto assicurarle sviluppo e sopravvivenza mediante la creazione di
equilibri economici, patrimoniali e finanziari.
In tale quadro di riferimento, emerge che le criticità riguardano i possibili squilibri (economici,
finanziari o patrimoniali) dell’impresa.
2
Sciarelli S., Economia e gestione dell’impresa, vol. I, CEDAM 2002, pag. 299.
3
Ibidem, pag. 299 e segg. v. anche Piciocchi P., Crisi d’impresa e monitoraggio di vitalità, Giappichelli 2003, pagg. 9-10.
6
Si ha squilibrio economico quando i ricavi prodotti dalla sua attività non riescono più a coprire i
costi di gestione e quindi si verifica una condizione antieconomica
4
.
Ad esempio, per quel che interessa ai fini del caso in esame, nelle società di capitali
5
le perdite
di gestione impongono all’imprenditore di adottare misure correttive che possono comportare
l’obbligo di diminuzione del capitale sociale e, in taluni casi, la trasformazione della società in
una società “minore”.
Diversamente, la società vive uno squilibrio finanziario quando la leva finanziaria
(indebitamento) è predominante, cioè quando la società finanzia l’attività prevalentemente con
finanziamenti di terzi disponendo di pochi e modesti mezzi propri
6
.
Vero è che il ricorso al finanziamento costituisce una forma comune e quasi obbligata per fare
fronte alle esigenze dell’impresa, ma quando ciò comporta che il rapporto tra indebitamento e
patrimonio netto superi certi limiti può innescarsi una situazione patologica che porta a crisi di
solvibilità.
Ne deriva la necessità di ulteriori finanziamenti che però non possono essere garantiti con il
patrimonio dell’impresa e quindi espone la società a oneri finanziari elevati o insostenibili.
“Vi è squilibrio patrimoniale quando l’insieme dell’attivo dell’impresa è inferiore alle sue
passività”
7
. Ciò comporta l’impossibilità di far fronte a un’improvvisa necessità di pagamento
dei debiti attuali dell’impresa.
Lo squilibrio patrimoniale non comporta necessariamente l’impossibilità di proseguire nella
gestione dell’impresa, perché le risorse per far fronte alle esigenze di solvibilità contingenti
possono essere trovate anche mediante finanziamenti.
In taluni casi, l’ordinamento impone all’impresa il rispetto di precisi standard minimi di
patrimonializzazione nonché l’attenzione ad adeguati coefficienti di solvibilità.
4
AA.VV., Diritto Fallimentare, op. cit., pag. 12.
5
“Tali sono le società nelle quali l'elemento capitale ha una prevalenza concettuale e normativa rispetto all'elemento
soggettivo rappresentato dai soci” (dal glossario finanziario pubblicato sul sito web www.impresaoggi.com), come nel caso della
società per azioni che andremo ad esaminare.
6
AA.VV., Diritto Fallimentare, op. cit., pag. 15.
7
Ibidem, pag. 19.
7
2. Cause e tipologie delle crisi economiche
2.1 Le cause della crisi
La crisi difficilmente è il risultato di un drastico e improvviso cambiamento, quanto piuttosto un
processo lento e spesso non manifesto; la maggior parte delle volte infatti l’avvertimento della
crisi avviene nel momento in cui si giunge alla rottura dell’equilibrio dell’intera struttura.
A partire dagli anni ’20 del secolo scorso, il fenomeno della crisi d’impresa è stato analizzato e
teorizzato sotto il profilo macro-economico, prendendo in esame l’andamento ciclico dello
sviluppo economico, che partendo da una fase di sviluppo ed espansione, porta inevitabilmente
a fasi di maturità e recessione, dove le imprese più solide possono subire una semplice
riduzione dei profitti (e relative perdite), mentre le imprese meno solide o più marginali
possono addirittura essere eliminate dal mercato. In tale ottica, la crisi viene concepita come un
elemento “indispensabile” qualificante lo sviluppo economico, così come lo sono la ripresa o
l’espansione.
In queste condizioni, la crisi aziendale e la scomparsa di singole aziende sono il prezzo
inevitabile da pagare per riequilibrare alcuni settori, mediante l’espulsione delle aziende
secondarie e il mantenimento in vita solo delle aziende più efficienti e innovative, o che
semplicemente hanno saputo leggere in tempo i primi sintomi di declino e hanno saputo
attuare provvedimenti efficaci e tempestivi
8
.
Secondo questa impostazione, vi sono tre elementi che caratterizzano le crisi: la sorpresa, il
tempo di reazione e la gravità della minaccia. Il primo elemento, la sorpresa, si riferisce alla
condizione patologica del management circa la percezione improvvisa della gravità dell’impresa
ed è funzione diretta del più o meno elevato livello di consapevolezza della reale condizione
degli equilibri aziendali. Il secondo aspetto invece, si riferisce al tempo che il management ha a
disposizione per prendere opportuni provvedimenti. Per quanto riguarda la gravità della
minaccia invece, fondamentale è capire se è possibile recuperare gli equilibri aziendali tramite
investimenti e quale sia il grado di rischio degli investimenti stessi.
Dovendo considerare l’impresa come un sistema che deve provvedere all’accrescimento del
valore, si può affermare che un’impresa è in declino quando perde valore nel tempo
9
. Ciò
comporta, oltre alle perdite economiche e alle ripercussioni sul piano finanziario, perdite ben
8
Piciocchi P., Crisi d’impresa e monitoraggio di vitalità, Giappichelli 2003, pagg. 3-4.
9
Guatri L., Turnaround: declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995, pag. 107.
8
più difficili da recuperare: quella di credito e di fiducia da parte di dipendenti, clienti e fornitori,
che contribuiscono a far diminuire, se non addirittura azzerare, la vitalità dell’impresa.
Spesso si compie l’errore di valutare i fenomeni prendendo in considerazione solo il punto di
vista della singola impresa. In realtà, la loro ampiezza può investire interi settori di attività (le
aziende bancarie, i vari rami dell’industria e del commercio, le case assicurative o di servizi) o
estendersi all’economia di interi paesi, o anche presentare fenomenologie variamente
combinate tra loro. E’ evidente infatti che vi sono delle relazioni tra il declino e la crisi di paesi e
settori a livello macro-economico (dovute, ad esempio, alle caratteristiche dell’ambiente e della
concorrenza) e fenomeni manifestatesi a livello micro-economico della singola impresa.
Le varie classificazioni fornite in dottrina sulle cause della crisi possono essere racchiuse in due
grandi filoni: cause di crisi ambientali e di contesto (matrice esterna) e cause di crisi
organizzative e gestionali (matrice interna)
10
, le quali solitamente prevalgono nei processi di
crisi delle imprese di minori dimensioni, che riescono a rispondere efficacemente alle pressioni
esterne grazie alla loro struttura organizzativa più flessibile.
Le cause interne sono individuabili nella crisi dovuta alla cattiva gestione e agli errori strategici
attuati o all’incompetenza del management, mentre l’ipotesi sulle cause esterne ribalta la
responsabilità sullo stato in cui versa il settore, l’elevato costo del lavoro per unità di prodotto o
sull’alto costo del denaro.
In letteratura le cause di crisi vengono analizzate sotto due prospettive diverse: quella
soggettiva (approccio comportamentista) e quella oggettiva (approccio oggettivo)
11
.
L’approccio comportamentista, basandosi sull’analisi dei comportamenti reali dei soggetti che
operano nell’impresa, indaga il fenomeno in relazione alle implicazioni dei rapporti umani con
la vita dell’impresa ponendo in particolare rilievo il ruolo dei diversi attori sugli equilibri
dell’organizzazione. Secondo questa teoria, la vera essenza dell’impresa è rappresentata dai
meccanismi di decisione del vertice manageriale, che negoziano gli obiettivi da raggiungere e
sono portati a incrementare la propria parte di risorse, anche a rischio di sviluppare conflitti
intermanageriali
12
.
10
Piciocchi P., op. cit., pag. 22.
11
Ibidem, pagg. 22-23.
12
Ibidem, pagg. 24-27.