4
il tutto nell’ottica di un’impresa con una struttura più plasmabile, in cui
previsione e programmazione devono diventare meno rigidi, in modo che, in un
clima di così rapidi cambiamenti, l’azienda possa adeguarsi velocemente alla
generale situazione ambientale.
Questa tendenza è stata confermata anche da uno studio
1
, chiamato
“Vision 2010: Designing Tomorrow’s Organisation”, condotto su 350 top
manager di aziende leader a livello mondiale, con l’obiettivo di individuare le
competenze necessarie in futuro per guidare con successo le imprese. Gli
intervistati hanno dichiarato che la competitività sarà da ricercare non solo
attraverso l’incremento della produttività, ma anche e soprattutto con l’aumento
della flessibilità della struttura aziendale e nella forza delle relazioni con le altre
imprese. Come si vede dal grafico sottostante, il joint venture e l’outsourcing
sono stati considerati componenti fondamentali della strategia di impresa.
Le soluzioni organizzative di oggi e di domani
26%
23%
18%
17%
48%
57%
52%
36%
Aquisizioni
Jo int Ventures
Outsourcing
Alleanze con le altre
aziend e d ello s t es s o
settore
Oggi 2010
Figura n.1: “Quanto sono importanti per il business
le seguenti soluzioni organizzative?”
Fonte: Mangioni Ferruccio, Maiotti Francesca, op. cit. vedi nota n°1.
Coerente con il nuovo panorama è il concetto di IMPRESA VIRTUALE,
ossia, una situazione in cui il management presidia tutte quelle aree ritenute
strategiche per la competitività e lo sviluppo dell’impresa, delegando tutte le altre
1
Cfr. Mangioni Ferruccio, Maiotti Francesca, “Sicurezza e controllo in un ambiente duttile”, L’Impresa
n.7/1997, pg.16.
5
a terze parti in possesso delle competenze specifiche e in grado di fornire un
prodotto/servizio a costi contenuti.
Nell’inchiesta prima citata, tra le diverse domande, si faceva riferimento
anche al concetto di organizzazione virtuale. A questo proposito è interessante
notare che, la maggior parte degli intervistati, intravede, per il futuro della sua
azienda, di implementare un tale assetto organizzativo, come si vede dalla figura
n.2.
La tua azienda è un'organizzazione virtuale?
Lo diventerà?
13%
3%
40%
2010
2001
Oggi
Figura n.2: “La tua azienda è un’organizzazione virtuale?
Ti aspetti che lo diventi nel futuro?”
Fonte: Mangioni Ferruccio, Maiotti Francesca, op. cit. vedi nota n°1.
Con l’impresa virtuale si va a modificare anche il concetto di confine
aziendale, non si tratta più di qualcosa di fisso e definito, ma diventa qualcosa di
labile; qualche autore, addirittura sostiene che, con l’evoluzione, l’azienda passi
da una forma stabile ad una forma evanescente, dove i confini non esistono più,
viene fatta allora l’ipotesi di un’«impresa senza confini».
La maggior parte della letteratura aziendale però sembra non concordare
con quest’ultima definizione, parla invece di «confini di consapevolezza
2
»,
confini che vengono definiti in modo intenzionale: è l’impresa che determina di
volta in volta quali siano le attività da considerare di sua pertinenza e quali no.
Addirittura, l’impresa è l’unica che può definire quali siano i propri confini,
2
Cfr. Vicari Salvatore, “I confini dell’impresa” in “L’impresa vivente: itinerario di una diversa
concezione”, pg.157, Etaslibri, Milano 1991.
6
qualsiasi altro modo può essere considerato arbitrario (per l’azionista di tre
aziende, per esempio, i confini di queste sono molto labili, mentre i clienti o i
fornitori le possono considerare come tre unità distinte).
I confini, oltre ad essere stabiliti dall’azienda, sono anche dinamici, in
quanto cambiano nel tempo e nello spazio, adattandosi ai processi evolutivi
dell’impresa stessa.
Il concetto di impresa virtuale viene associato facilmente a quello di
IMPRESA VIVENTE
3
, dove per vivente si intende qualsiasi entità che può
essere definita solo in relazione a se stessa; l’impresa, appunto, è un sistema di
questo tipo, che può essere definita senza far riferimento agli elementi che ne
fanno parte, uomini, strutture, beni o quant’altro, i quali rappresentano “solo” il
supporto materiale del sistema. L’azienda fa le proprie scelte sulla base di se
stessa e non di elementi esterni, ciò è dimostrato dal fatto che le imprese tendono
ad essere diverse le une dalle altre.
Quanto detto fino ad ora riprende ed enfatizza il concetto di outsourcing,
che sarà analizzato nel presente lavoro per essere poi approfondito con
particolare riferimento allo stabilimento Solvay-Chimica Italia di Rosignano.
L’outsourcing emerge come uno degli strumenti manageriali, di carattere
tattico e strategico, che hanno conosciuto la maggiore espansione nel corso
dell’ultimo decennio e che, secondo autorevoli e diffuse proiezioni, continuerà a
proporsi nei suoi diversi ambiti e nelle sue varie applicazioni come una via
obbligata per la sopravvivenza sul mercato delle imprese, senza distinzione di
industria, dimensione o missione aziendale.
L’idea di rivolgersi al mercato esterno per soddisfare in modo più efficace
ed efficiente le esigenze interne non è affatto nuova, da tempo le imprese
affidano ad operatori esterni la gestione di singole attività. Inizialmente venivano
esternalizzate soltanto le attività definite “commodity”, ossia secondarie per il
funzionamento strategico dell’impresa, attività di semplice contenuto
3
Questo concetto nasce all’interno della teoria dei sistemi autopoietici che si occupa di spiegare quali
caratteristiche deve avere un sistema per essere definito vivente. È Maturama che per primo identifica un
sistema vivente come un “sistema autonomo”. Successivamente, lo stesso neurobiologo, sostituì il
concetto di autonomia con quello di autorifernzialità, ossia, ciò che qualifica il vivente è la particolarità di
essere definito solo in relazione a se stesso. (Vicari Salvatore, 1991, op. cit. Vedi nota n°2).
7
professionale, che potevano essere svolte anche da terzi. Con il passar del tempo,
la terziarizzazione ha riguardato anche funzioni e settori fino a poco tempo fa
ritenuti strategici per il successo dell’impresa; ciò è potuto avvenire anche grazie
alla presenza di operatori specializzati in grado di gestire non solo semplici
attività, ma insiemi di attività concatenate in interi processi aziendali, passando
da una semplice terziarizzazione allo sviluppo di rapporti di partnership secondo
una logica di totale collaborazione e trasparenza.
In Italia l’outsourcing è destinato a diventare un tema di grande interesse perché
strettamente legato alla realtà delle medie/piccole dimensioni, che non hanno la
massa critica per svolgere tutte le loro attività in modo competitivo, specialmente
quelle di supporto. L’incalzare della concorrenza riduce sempre più i margini
dell’impresa produttrice. Inoltre è scattata la corsa verso l’eccellenza non solo nel
core business ma anche nelle attività di servizio e di supporto a favore del cliente.
Le piccole/medie aziende, non avendo accesso alle nuove tecnologie, se vogliono
rimanere al passo delle imprese più evolute, sono costrette a scegliere la cessione
esterna di alcune funzioni.
Certamente l’idea di cedere una parte delle proprie attività è stata difficile
da accettare, almeno all’inizio: ci sono state barriere psicologiche da superare,
alcuni interrogativi che i top manager si sono posti sulla reale necessità e
convenienza dell’outsourcing.
Una volta superate le varie paure le aziende hanno però scoperto che
qualsiasi attività, amministrativa e finanziaria, può essere data in outsourcing.
Anzi si è notato che, in questi ultimi anni, la domanda di mercato si è spostata da
una visione dell’outsourcing inteso come modalità per conseguire obiettivi tattici
ad una visione strategica; dunque nel mercato italiano le potenzialità di questo
business sono elevate.
Siamo di fronte ad una crescita costante e graduale in tutti i settori, con un
forte dinamismo dell’offerta: è aumentata la cultura e la capacità di lavorare per
risultati. Nonostante questo ci sono alcune caratteristiche del nostro mercato
nazionale che alimentano il gap tra l’Italia e gli altri paesi europei – soprattutto
8
Francia e Gran Bretagna – sia dal punto di vista della legislazione, sia della
cultura e delle strutture aziendali.
L’impresa italiana deve quindi accettare di cambiare il proprio modello
operativo e di modificare in modo sostanziale il comportamento del proprio
management. I vertici dovranno comprendere che determinate funzioni possono
essere meglio gestite da imprese specializzate.
In sintesi, le imprese dovranno rispondere alle trasformazioni in atto nel
sistema economico produttivo, sia ridefinendo i propri assetti strategici, sia
ripensando i propri rapporti con i clienti e i fornitori.
L’obiettivo del ripensamento strategico è la riconfigurazione di interi
processi per acquisire efficacia ed efficienza.
La definitiva affermazione dell’outsourcing dipenderà sia dalla credibilità
dell’offerta che si va configurando sia dal “coraggio imprenditoriale” che le
imprese sapranno dimostrare.
9
CAPITOLO 1: La strategia di outsourcing
1 L’outsourcing
Il termine outsourcing deriva, per contrazione, dall’inglese “outside
resourcing”: reperire risorse dall’esterno, questo il significato e questo lo scopo
principale di tale pratica manageriale.
Oltre a questa definizione letterale, chi si è occupato del fenomeno gli ha
attribuito anche altri significati, ora orientati a metterne in risalto gli aspetti
strategici ora quelli operativi.
Secondo il Gartner Group «l’outsourcing è una relazione contrattuale di
durata superiore ad un anno tra un’azienda e uno o più fornitori esterni ai quali
essa cede la gestione di alcune o tutte le sue attività del proprio sistema
informatico».
Secondo Peat Marwick
4
«l’outsourcing è uno strumento che consente alle
aziende di focalizzarsi sulle loro competenze distintive».
Cristina Pontiggia
5
afferma che «l’outsourcing è un mezzo per facilitare il
raggiungimento di target prefissati, snellendo il sistema gestionale e
concentrando l’attività sul core business».
Roberta Virtuani
6
, nel suo libro, “L’outsourcing nei sistemi informativi
aziendali” scrive «con il termine outsourcing si intende la scelta di affidare
totalmente o parzialmente ad un fornitore esterno delle attività di servizio interne
alle aziende».
Ferry de Kraker
7
, direttore generale della International Federation of
Purchasing and Materials Management ha proposto la seguente definizione
«outsourcing significa trovare nuovi fornitori e nuove forme per assicurare la
consegna di materie prime, componenti, prodotti e servizi. Significa saper
4
Cfr. Marwick Peat, “Outsourcing is a key strategic tool that allows companies to focus on their core
competencies”, CSEA Research Review Oct. 1997.
5
Cfr. Pontiggia Cristina,“Outsourcing fra luci e ombre”, Largo Consumo n.1/1998, pg. 158.
6
Cfr. Virtuani Roberta, “L’outsourcing nei sistemi informativi aziendali”, Franco Angeli, Milano 1997.
7
Cfr. Boin Andrea, Merlino Massimo, Savoldelli Alberto, “Outsourcing: uno strumento operativo o una
moda?”, Sistemi & Impresa, n.1/1998, pg. 49.
10
utilizzare il know-how, l’esperienza e la creatività di nuovi fornitori ai quali non
si ricorreva in passato».
Ferruccio Mangioni e Francesca Maiotti
8
, in un articolo della rivista
“L’Impresa”, scrivono: «l’outsourcing è un termine generico che può essere
utilizzato per descrivere ogni attività di esternalizzazione, dai servizi più semplici
ai processi a più alto valore aggiunto».
Secondo Luca Dezi
9
l’outsourcing, insieme ad altri strumenti, è un mezzo
efficace di governo della complessità.
Tuttavia, volendo esprimere il concetto generale in forma sintetica,
possiamo descrivere l’outsourcing come l’assegnazione ad organizzazioni esterne
specializzate di attività o processi tradizionalmente interni all’azienda; in questo
modo l’azienda può valorizzare le proprie competenze distintive concentrandosi
sulle attività a maggior valore aggiunto; liberarsi di alcune funzioni per puntare
su attività sulle quali può costruire il proprio vantaggio competitivo.
Delegare a fornitori esterni la gestione di attività considerate non
strategiche per l’impresa costituisce l’unica via concretamente praticabile per
raggiungere l’obbiettivo di concentrarsi sul core business, obiettivo che oggi è
imposto dai mercati.
Negli Stati Uniti lo strumento manageriale dell’outsourcing si è sviluppato
in seguito alla crisi economica degli anni ’80, quando le grandi industrie
automobilistiche, divenute tali per lo sviluppo di aree complementari al core
business, risolsero il problema del risanamento economico ricorrendo proprio
all’outsourcing.
Il principio alla base di una simile scelta era semplice: far fare ad altri ciò
che fanno meglio di noi, riducendo i costi, migliorando la qualità dei beni o
servizi intermedi e lasciando libere le risorse necessarie per svolgere l’attività
principale dell’azienda.
8
Cfr. Mangioni Ferruccio, Maiotti Francesca ,“Sicurezza e controllo in un ambiente duttile”, op. cit. vedi
nota n°1.
9
Cfr. Dezi Luca, “Dinamiche di convergenza imprenditoriale e settoriale: risorse immateriali,
outsourcing, reti di impresa, cross-border”, Cedam Padova, 1996.
11
Espresso in questi termini, tale pratica appare come la facile soluzione ai
molti problemi della vita aziendale, ma una scelta del genere nasconde molte
problematiche, l’impresa deve modificare il proprio stile gestionale affidandosi
ad altri e ciò ha dei riflessi sia di carattere organizzativo che strategico e, cosa
fondamentale, l’azienda deve ridimensionare il proprio rapporto con i fornitori.
In sintesi, perché si possa sviluppare l’outsourcing come scelta gestionale
devono essere soddisfatte due condizioni:
¾ la prima, di carattere oggettivo, ossia è necessario che sul mercato
siano presenti operatori specializzati, in modo tale da garantire
l’efficace espletamento della funzione esternalizzata;
¾ la seconda, di carattere soggettivo, consiste nel superamento da parte
del management di varie remore psicologiche.
Tante possono essere le resistenze (di ogni genere e a tutti i livelli della
struttura aziendale) che una tale scelta può incontrare. Solamente a livello di top
management si è diffusa la consapevolezza del fatto che un’impresa agile e
snella, che acquisti all’esterno i servizi “generali”, possa essere il modello
vincente nei mercati attuali e che solo attraverso la delega di tutte le funzioni
ausiliarie a fornitori specializzati diviene possibile concentrarsi sulle attività per
le quali si possiede un’effettiva competenza e un vantaggio competitivo.
Questa circostanza è dimostrata da una recente ricerca realizzata dal
Benchmarking Club su proposta di Iveco
10
; l’inchiesta, come si veda anche dal
grafico (fig. n.3), evidenzia che nel 93% dei casi sarebbe il top management a
definire politiche di outsourcing anche per decisioni non riguardanti aspetti
strategici.
10
Cfr. Bernabei Francesca, Marchisotti Mauro, “In nome della flessibilità organizzativa”, L’Impresa,
n.7/1997, pg.24.
12
02468101214
Ced/direttore generale
Dir. funzione/area
Manager funzionale
Dir. Finanziario
Comitato specif ico
I responsabili delle scelte
Figura n.3: “I responsabili delle scelte”
Fonte: Bernabei Francesca, Marchisotti Mauro, op. cit. vedi nota n°10.
Il manager di funzione si assume solo di rado tale decisione, perché così
facendo potrebbe perdere potere all’interno dell’azienda. Viceversa i top
manager sono più propensi rispetto al passato a seguire la strada
dell’esternalizzazione, in quanto ritengono che ciò possa portare ad una riduzione
dei costi (specialmente quelli fissi) e ad una maggiore flessibilità.
Il diverso comportamento dei top manager rispetto ai manager di funzione
o di area spiega il motivo per cui i fornitori tendono a rivolgersi più ai primi che
ai secondi. Inoltre la realtà dimostra che spesso i responsabili di funzione
tendono ad ostacolare il corretto svolgimento del rapporto cliente-provider,
specie nella fase in cui la collaborazione tra provider e personale interno
all’azienda si deve affinare.
Considerando ciò, si può concludere che l’outsourcing e il decentramento
non ridanno di per sé competitività all’impresa, in quanto la rigenerazione con
questi strumenti richiede cambiamenti di cultura, architetture organizzative e
capacità di coordinamento estremamente complesse.
Nonostante le diverse problematiche, per i prossimi anni si prevede che
l’outsourcing avrà un ruolo più rilevante: la grande impresa si “snellirà” (avrà
meno dipendenti in organico) e verranno ridimensionati i compiti della direzione.
13
Il cambiamento in atto dello scenario industriale è dimostrato anche dalle
numerose spinte oggettive che muovono le aziende verso configurazioni nuove e
più dinamiche.
Attualmente le imprese sono portate dalla forte competizione ad assumere
dimensioni sempre maggiori. Questo da una parte per presidiare i mercati
nazionali e dall’altra per realizzare economie di scala.
Per il presidio dei mercati nazionali le grandi aziende si sono subito rese
conto che la sola leva commerciale non le assicura la penetrazione stabile nei
mercati esteri, ma è necessario stabilire degli accordi di produzione con paesi più
baricentrici rispetto al mercato da presidiare. Questo in pratica vuol dire acquisire
fabbriche e strutture dando vita ad una «architettura a rete» di aziende aventi lo
stesso marchio e che si trovano in posizione di grande autonomia, sia
commerciale che operativa, rispetto all’azienda “madre”. Si originano così
sistemi molto complessi da un punto di vista manageriale e ciò genera l’esigenza
di ricercare ogni opportunità di semplificazione dei processi aziendali.
La stessa competizione spinge le aziende a contenere il più possibile i
costi di produzione. Il primo passo in questa direzione è sicuramente la
razionalizzazione interna agli stessi processi; ma esaurite tutte le possibilità
interne, l’azienda, se vuole rimanere sul mercato, deve puntare verso forme e/o
dimensioni nuove per ottenere ulteriori miglioramenti sul fronte dei costi.
Solitamente lo strumento tecnico utilizzato è quello dell’acquisizione da parte di
un’azienda di un’altra più piccola oppure di accordi di joint venture con lo scopo
di ottenere nuovi livelli di sinergie. Le economie di scala che si possono
concretizzare sono delle più varie: abbattimento dei costi fissi (per esempio
un’unica struttura di Servizio acquisti) e del circolante (per esempio gestione
scorte comune) e la riduzione degli effetti stagionalità.
Un’ulteriore spinta verso un processo di outsourcing è la
dematerializzazione dei fattori produttivi, diventa dunque importante il “sapere”
rispetto al “saper fare”. Nell’azienda tradizionale il loro significato era identico:
l’azienda “fa” in quanto “sa fare”, i due termini apparivano assolutamente
indivisibili. Oggi il know-how è diventato un elemento autonomo rispetto ai
14
fattori produttivi tradizionali “materiali”, quali materie, risorse umane,
organizzazione e tecnologia. Attualmente le conoscenze possono rappresentare il
differenziale competitivo di una azienda.
Questa differenziazione tra fattori produttivi «reali» e «virtuali» fa si che
le aziende si focalizzino sull’uno o sull’altro fattore a seconda dei casi e delle
opportunità.
La propensione verso processi di esternalizzazione può derivare anche dai
valori culturali presenti in un paese. Sembra emergere, cioè, che in paesi in cui la
cultura manageriale è più forte ed adeguata a governare la complessità del
sistema produttivo, l’interesse a spostare all’esterno alcune attività sia minore.
Ciò è pienamente coerente e di conseguenza può spiegare la grande
attenzione che il sistema produttivo italiano ha verso l’outsourcing. Infatti il
nostro paese ha difficoltà a governare sistemi complessi per cui ha necessità di
operare su sistemi semplici, allo stesso tempo deve focalizzarsi sulle core
competence e far crescere gli elementi di imprenditività dentro i processi
aziendali.
Il nostro sistema produttivo aziendale è caratterizzato da medie e piccole
imprese che hanno il grosso vantaggio di essere vitali e flessibili nella gestione.
Dietro queste caratteristiche positive, però, c’è il segno di una gestione
oligarchica fatta di intuizioni più che di progetti e di ricerca, di improvvisazioni,
di adattamenti a fronte di situazioni mutevoli più che di dinamismo pensato e
capacità di anticipare il futuro.
Certamente ci sono anche i grandi gruppi industriali dove le cultura
organizzativa è più forte e consolidata, ma resta il fatto che la cultura
manageriale di riferimento del sistema italiano è più quella del piccolo
imprenditore che quella della grande corporation. Per cui, per le imprese italiane,
l’outsourcing diventa una scelta obbligata, e il luogo di sviluppo di tale processo
sarà l’«architettura a rete».
Ma perché il sistema produttivo italiano ha chiari limiti di managerialità?
Ossia perché è incapace di gestire in modo razionale ed efficiente le risorse
produttive?
15
Sicuramente la nostra cultura manageriale è scarsa rispetto a quella degli
altri paesi perché è stata affidata per molti anni essenzialmente a meccanismi di
autoapprendimento e, anche se ultimamente gli istituti di formazione (pubblici e
privati) hanno cercato di colmare la lacuna, il gap rimane e non è colmabile a
breve.
Inoltre, la maggior parte del management italiano ha un approccio emotivo
e non razionale ai problemi, le scelte sono dettate più dalla contingenza che dalla
razionalità.
L’azienda italiana è anche caratterizzata dal prevalere degli elementi
gerarchici sul corretto funzionamento organizzativo e ciò impedisce che
l’azienda si sviluppi mettendo in pratica alcune logiche moderne, come il
miglioramento continuo dal basso, o alimenta logiche di «cordata», ossia fa
nascere alleanze fra soggetti per raggiungere obiettivi di potere dei soggetti stessi
piuttosto che obiettivi aziendali.
Tali considerazioni dimostrano che la cultura manageriale italiana è
debole e limitata; in un contesto del genere l’outsourcing può essere uno
strumento di rivitalizzazione del sistema produttivo, anche se comunque occorre
diffondere l’imprenditività.
Una dimensione più congrua, più funzionale alla competizione globale
può essere dunque quella di realizzare, con l’outsourcing, dei network in cui ogni
piccola azienda è una cellula di un sistema completo e complesso.
16
2 I network
Il network, come abbiamo appena accennato, viene utilizzato per un
miglior governo della complessità. È proprio attraverso l’outsourcing che
nascono questi organismi a «rete» (fig. n.4) che permettono vantaggi competitivi
di grande rilevanza.
Figura n.4: “Rete di partner”
Fonte: Furlanetto Luciano, Mastriforti Carlo, op. cit. vedi nota n°11.
Possiamo dire che il network rappresenta il punto finale di un processo di
outsourcing e che si configura come una rete di partner legati da rapporti
particolari, dove ciascuno svolge la sua attività focalizzandosi solo sulle proprie
core competence.
All’interno del network troviamo i «nodi» rappresentativi delle aziende
che compartecipano alla rete, mentre i collegamenti tra i nodi rappresentano i
flussi di interscambio. Nella rete, come vedremo, è possibile realizzare diversi
livelli di sinergie. Inoltre essa presenta il carattere di essere “solidale”: prima di
tutto perché ogni nodo può gestire situazioni critiche con il supporto degli altri
nodi, e poi perché nessuno può massimizzare il proprio risultato di efficienza e
efficacia indipendentemente dagli altri: non è possibile che una singola impresa
realizzi profitti elevati se il network nel suo complesso perde. In sintesi la
struttura a rete consente di sfruttare le opportunità derivanti dalla condivisione di
risorse e conoscenze.
All’interno della rete i rapporti tra i partner possono essere di diverso
tipo
11
:
11
Cfr Furlanetto Luciano, Mastriforti Carlo, “Il network” in “Outsourcing e Global Service. Nuova
frontiera della manutenzione” , Franco Angeli, Milano 2000, pg. 49.
Core business
+
servizi
strategici
Core
Business
17
modello satellitare: l’azienda “madre” delega competenze in prevalenza
operative, mantenendo in proprio i servizi ingegneristici e lo sviluppo del
know-how.
modello neuronale: l’azienda “madre” delega una responsabilità di tipo
globale all’outsourcer, controllando da solo il know-how dei segmenti del
processo produttivo gestiti.
Fondamentalmente, ciò che cambia è il vincolo che lega i partner
all’azienda “madre” e quindi anche il tipo di collaborazione presente all’interno
del network.
3 La concentrazione sul core business
Per realizzare un’impresa snella, in cui molte attività e funzioni vengono
affidate all’esterno, occorre concentrarsi sul core business. Per core business si
intende l’insieme di attività nelle quali l’impresa raggiunge una capacità e un
livello di specializzazione eccellenti, nelle quali riesce a far meglio rispetto ai
concorrenti e a porre delle barriere difensive del suo mercato.
Oggi definire il proprio core business, allo scopo di valutare se delegare o
meno le attività che non vi appartengono, è utile per acquisire maggiore
flessibilità e efficienza organizzativa, focalizzando meglio l’allocazione degli
investimenti.
Negli anni ’80, per affrontare le crisi di mercato, le imprese ristrutturavano
il proprio business, intervenendo sul prodotto, convinte che una volta
individuato il prodotto “giusto” fosse sufficiente realizzare grandi economie di
scala per generare migliori risultati economici, e di conseguenza superare le crisi.
Le imprese si strutturavano all’interno per affrontare i loro problemi
piuttosto che ricorrere a terzi. Il motivo di ciò era un retaggio culturale di poca
fiducia verso i fornitori e la convinzione che fare direttamente fosse meglio che
far fare.