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competitiva d’eccellenza segna solo la prima tappa,
potenzialmente effimera, verso il successo.
Il lavoro è diviso in 4 capitoli: i primi tre si
focalizzano prevalentemente sul dibattito dottrinale,
passando in rassegna le diverse correnti teoriche.
L’ultimo, invece, tratta un caso preso dalla realtà, dotato
di una forte valenza emblematica.
Nel primo capitolo esploriamo alcuni concetti
generali come “strategia d’impresa” e, con maggiore
dovizia di particolari, quello di “vantaggio competitivo”.
Prenderemo le mosse dall’opera di Porter (pioniere
sull’argomento) e della sua industrial organization, per
arrivare all’analisi della resource based view. Il capitolo si
conclude con un accenno ad un’altra teoria che, pur non
essendo imperniata attorno al concetto di vantaggio
competitivo, ne ha riconosciuto la centralità: l’approccio
reticolare e relazionale.
Nel secondo capitolo ci sforziamo di gettare le basi
per una visione strategica unitaria che travalichi gli
steccati “ideologici” che separano i vari filoni di studio.
Sotto questo aspetto evidenzieremo i limiti e le crepe che
essi hanno mostrato nel corso degli anni. Una particolare
attenzione sarà riservata alla leadership di costo, alla
differenziazione, e alcuni cenni riguardanti la
focalizzazione. Alla conclusione di questo capitolo si
vedono alcune critiche a Porter e alla resource based view,
e si prepara il terreno al successivo capitolo, introducendo
l’ipotesi della “terza via”.
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Il terzo capitolo è interamente dedicato alla
cosiddetta “terza via”, ovvero la contemporanea ricerca
della leadership di costo e della differenziazione.
Gli anni Settanta, oltre che per la crescita del costo
del lavoro ed il peggioramento del sistema di relazioni
industriali, si caratterizzano anche per un forte aumento
della turbolenza ambientale in cui le imprese si trovano ad
operare. Da una parte lo sviluppo dei mercati ed i
cambiamenti culturali inducono una sempre maggiore
segmentazione della domanda, che si arricchisce anche di
forti elementi di dinamicità ed instabilità, dall’altra
emergono altri fenomeni come l’inflazione a due cifre,
l’aumento del costo dell’energia, l’accelerazione dei ritmi
tecnologici e la conseguente difficoltà di gestione
dell’innovazione, che spingono le imprese a cercare nuove
strategie e nuovi modelli di funzionamento più
compatibili con le mutate condizioni ambientali.
Efficienza, flessibilità e differenziazione sono
caratteristiche opposte che le tecnologie disponibili non
riescono a conciliare: le imprese si trovano dunque ad
affrontare il cosiddetto “productivity dilemma”, e cioè
scegliere la flessibilità, sacrificando ad essa la
produttività, oppure scegliere la produttività, a scapito
della flessibilità. La strategia di mercato impone dunque la
scelta di una strategia tecnologica e viceversa, il che
comporta che l’individuazione del business - sino ad
allora definito esclusivamente dal rapporto
prodotto/mercato - debba tener conto anche del know-
how, delle capacità, delle potenzialità e delle
caratteristiche tecnologiche dell'impresa.
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In questo contesto, il terreno decisivo del confronto
competitivo è dato dal rapporto dell’impresa con il
mercato e cioè dalla sua capacità non solo di raggiungere
obiettivi di efficienza massima, di ottimale combinazione
dei fattori, di massimizzazione dei profitti, quanto anche
di seguire l’evoluzione della domanda, pesantemente
caratterizzata da elementi di incertezza e di turbolenza,
oltre che da una forte accelerazione dei processi di
cambiamento.
I sistemi produttivi diventano dunque i veri
responsabili della perdita di competitività delle imprese,
sia perchè non riescono a far fronte alle mutate esigenze
dei mercati, sia perchè sono causa di forti diseconomie,
facendo perdere visibilmente terreno alle imprese a fronte
dei risultati raggiunti negli anni precedenti in termini di
efficienza e di produttività.
La produzione ritorna dunque alla ribalta nel contesto
strategico d’impresa, anche se, giova ricordare, con un
ruolo del tutto negativo in quanto, con la sua rigidità, si
oppone al cambiamento sviluppatosi nei mercati e nei
meccanismi competitivi. Le imprese rifocalizzano quindi
il processo innovativo sul sistema produttivo e si afferma
l’importanza della definizione di una corretta strategia
tecnologica, la quale diventa parte essenziale della
strategia d’impresa. In questo capitolo, quindi troveremo
nuove strategie produttive come l’automazione flessibile,
la produzione modulare, fino ad arrivare al concetto di
piattaforma e di qualità totale.
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Il quarto capitolo esamina la fortunata parabola della
compagnia automobilistica giapponese Toyota, quale
esempio, quale esempio di Industria che ha utilizzato la
“Terza Via”. Partendo da una descrizione di ampio raggio
sulla casa Toyota, il lavoro si va sempre più concentrando
su quelle che sono le strategie adottate dall’azienda e sui
fattori che contribuiscono a rendere Toyota una delle
maggiori Case Automobilistiche del Mondo.
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Capitolo 1
Dall’origine della strategia al vantaggio
competitivo.
1.1 Si parte dal basso: la strategia.
Sebbene la strategia d’impresa sia una disciplina
molto giovane, in dottrina si sono già formati differenti
correnti teoriche ciascuna portatrice di peculiarità proprie.
Abbandonando a priori la pretesa di scegliere tra le
definizioni alternative di strategia quella “migliore”, ai
fini del presente lavoro sarà sufficiente sottolineare che il
minimo comune denominatore di ciascuna di esse consiste
nella valorizzazione del concetto di “decisione”.
La dottrina, pertanto, concorda sulla polivalenza
della materia, capace di rientrare nella maggior parte delle
scelte attuate dall’impresa nel corso della propria vita.
L’oggetto della strategia può presentarsi ad un
duplice livello:
• Se si parla di decisioni a livello di impresa nel suo
complesso, si è nell’ambito della corporate
strategy;
• Se ci si focalizza su una specifica “strategic
business area
1
” si parla di business strategy
2
.
1
In Italia è definita A.S.A. ovvero area strategica d’affari.
2
Nel caso di imprese mono-business, corporate strategy e business
strategy coincidono. All’estremo opposto va considerata la situazione
delle imprese conglomerate, nelle quali le differenze a livello di
9
La corporate strategy dà un indirizzo generale alle
attività di impresa, preoccupandosi di renderle il più
coerente possibile, in modo da raggiungere l’obiettivo di
indirizzare l’intera organizzazione verso le performance
richieste. In tal senso si inseriscono le decisioni riguardo
le strategic business area in cui competere, il quantitativo
di risorse da assegnare ad ognuna di esse, le scelte di
integrazione verticale o orizzontale, quelle di
diversificazione, le considerazioni riguardo l’entrata o
l’uscita dai business.
La business strategy ha un’ampiezza più ristretta e
la si può identificare con le politiche decisionali che
vengono attuate dall’impresa nelle sue singole componenti
costitutive a diretto contatto con il mercato. Il concetto
A.S.A. permette di superare la tradizionale suddivisione in
termini di prodotto/mercato, e sottolinea la possibilità che
un prodotto possa soddisfare clienti e bisogni differenti
competendo in più aree di attività, oppure, che linee di
prodotto apparentemente molto diverse tra di loro,
possano essere collegate per competere in un unico
business. E’ evidente l’importanza per ogni business di
avere una propria strategia, elaborata da un autonomo
staff manageriale, dotato di budget e risorse appropriate.
Viene da sé, di conseguenza, che ogni strategia a livello
A.S.A. deve perseguire obiettivi che non si discostino
dalle valutazioni fatte a livello corporate per raggiungere
strategia possono essere marcate, al punto che l’unità della direzione
aziendale può essere difficilmente individuabile.
10
quella coerenza generale che ogni impresa dovrebbe
costantemente ricercare.
Dalle prime definizioni di Drucker
3
di decisione
strategica, intorno al 1954, non è passato che mezzo
secolo, ma la strategia di impresa ha avuto evoluzioni
veloci e interessanti, sottolineate dall’emergere di diverse
scuole di pensiero (dall’Harvard Business School, alla
scuola razionalistica, a quella comportamentalistica, per
citarne alcune) e di diversi autori che si possono definire
come dei veri e propri guru a cui affidarsi per capire le
fondamenta del pensiero strategico (da Chandler ad
Ansoff, da Porter ad Hamel, ad esempio).
Il susseguirsi di approcci a volte molto simili tra
loro, a volte completamente diversi, ha accompagnato lo
scorrere degli anni dal 1960 ad oggi, in un processo di
logico quanto essenziale adattamento degli studi teorici
con le esigenze pratiche emerse in relazione ad un
ambiente sempre più mutevole e turbolento. Il contesto
attuale insegna che i principi generali e le regole
decisionali della gestione dell’impresa possono facilmente
mutare e divenire i principali artefici del fallimento delle
organizzazioni se non rigenerati e adattati alle esigenze
emergenti.
La relatività di ogni singola impresa e di ogni
singolo contesto competitivo non va mai dimenticata. È
proprio tale relatività che ci spiega l’assenza di un filone
3
Non tutti i testi convergono riguardo l’identificazione di Drucker
quale pioniere della strategia di impresa. Per quanto riguarda l’Italia,
il precursore viene considerato Roberto Fazzi.
11
strategico classificabile come superiore agli altri, e che
rende infinita e costante la ricerca della one best way, la
strategia unica e migliore, che in realtà non solo non esiste
oggi, ma che, probabilmente non esisterà mai.
Un elemento fondamentale per raggiungere il
successo è rappresentato dal raggiungimento del
vantaggio competitivo.
1.2 Una meta fondamentale: il vantaggio
competitivo.
Negli ultimi venti anni il concetto di vantaggio
competitivo è stato ampiamente trattato nella maggior
parte degli studi e dibattiti riguardanti la strategia
d’impresa. Il riconoscimento della sua importanza
nell’ambito della definizione delle decisioni, sia a livello
corporate che a livello business, è un dato di fatto
incontestabile che traspare dall’analisi di tutti i più recenti
filoni teorici in tema di gestione strategica.
Tale riconoscimento, essendo unanime, dovrebbe
portare ad una omogeneità nell’individuazione del
concetto, ed in effetti da una lettura delle diverse
definizioni adottate nei testi universitari e nei manuali,
sembrerebbe emergere una certa uniformità di fondo:
• “il grado in cui l’impresa riesce a creare e
conquistare valore attraverso l’offerta di prodotti o