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Tab. 1 - Provenienza geografica degli intervistati
percorso educativo; continuo ed essenziale
sarà il riferimento agli scritti e ai discorsi del
fondatore Baden-Powell.
Tutti gli scouts intervistati appartengono a
Comunità Capi
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pisane; si tratta di persone
che non solo hanno completato tale percorso,
ma hanno fatto una scelta consapevole di
Partenza
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prima e di sottoscrizione del Patto
Associativo
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poi. Sono proprio loro, insomma,
che dovrebbero portare avanti i valori dello
scoutismo tra i ragazzi.
Si tratta per la maggior parte di persone fra i
venti e i trent’anni – tratto che con tutta
probabilità avrà influenza sui risultati. Ne
avremo conferma o smentita nelle conclusioni.
Al campione di scouts sono stati affiancati
altrettanti intervistati che non hanno mai fatto
parte del movimento, corrispondenti con
discreta precisione per età, genere e livello
culturale.
Ho cercato di variare la provenienza
geografica il più possibile in modo di avere
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La Comunità Capi riunisce gli educatori (capi scout) appartenenti a ciascun gruppo (in una stessa città possono
esistere più gruppi scout): essa si occupa della loro formazione permanente, della gestione del gruppo e dei rapporti fra
l’Associazione e l’ambiente locale.
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È il momento conclusivo del percorso educativo scout: il rover/la scolta che chiede ed ottiene la Partenza si distacca
dalla comunità di clan/fuoco, testimonia di aver compiuto delle scelte precise (Fede, Servizio, Politica) e di essere in
grado di tradurre in concreto nella società ciò che lo scoutismo negli anni gli ha insegnato.
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È il documento che i Capi e gli Assistenti Ecclesiastici dell’AGESCI sottoscrivono al momento del loro ingresso in
Comunità Capi: dell’Associazione esso esprime identità, idee, impegno e valori. In particolare, il Patto Associativo è
strutturato in quattro paragrafi: il primo identifica l’Associazione; gli altri tre chiariscono le implicazioni della scelta
scout, cristiana e politica (quelle che, al momento della firma, i futuri capi si impegnano a testimoniare nella loro vita e
nel servizio educativo con i ragazzi).
regione intervistati
Valle d’Aosta 0
Piemonte 0
Liguria 2
Lombardia 0
Trentino Alto Adige 0
Veneto 1
Friuli Venezia Giulia 1
Emilia Romagna 1
Toscana 30
Marche 1
Umbria 1
Lazio 2
Abruzzo 1
Molise 1
Campania 1
Puglia 3
Basilicata 2
Calabria 2
Sicilia 2
Sardegna 1
N 52
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rappresentanti di tutte le zone d’Italia (vedi tab. 1), pescando in particolare fra gli
studenti fuori sede.
Penso di essere riuscita in modo sufficiente a bilanciare molti parametri, eccezion
fatta, come già detto, per l’età.
Ai tre capitoli iniziali seguirà l’analisi delle interviste, ripartita con lo stesso criterio.
In conclusione si tireranno le fila dei risultati, nel tentativo di controllare se emerga o
meno una qualche discrepanza fra i valori di chi è scout e quelli di chi non lo è. E
soprattutto, quanto i primi corrispondano effettivamente a quelli originari del
movimento fondato da Baden-Powell.
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LE DIMENSIONI VALORIALI
1. RESPONSABILITÀ / DIPENDENZA
Noi ci impegnamo…
Ci impegnamo noi, e non gli altri
Unicamente noi, e non gli altri
Né chi sta in alto, né chi sta in basso
Ne chi crede, né chi non crede.
Ci impegnamo
Senza pretendere che gli altri si impegnino
Con noi o per conto loro
Come noi o in altro modo.
Ci impegnamo
Senza giudicare chi non s’impegna
Senza accusare chi non s’impegna
Senza condannare chi non s’impegna
Senza cercare perché non s’impegna.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo
Si muta se noi mutiamo
Si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura.
(Don Primo Mazzolari)
Questa dimensione valoriale, presentata da Marradi in Raccontar storie (2005),
contrappone la capacità di camminare con le proprie gambe alla tendenza a percepire
se stessi come dipendenti da altri: che siano persone (la mamma, il datore di lavoro, il
dottore, il professore, il politico) oppure entità soprannaturali o astratte (la divinità, la
fortuna, il fato, la società).
Responsabile è chi sa scegliere in modo autonomo ed è in grado poi di portare avanti
le decisioni prese (caricandosi anche delle conseguenze che hanno o potrebbero
avere, e degli effetti di propri errori o mancanze); colui che si pone, invece, all’altra
estremità della dimensione non risponde di se stesso: tutto è demandato a chi sta più
in alto, che ha il dovere di guidare il soggetto e risolvere per lui (in tutti i sensi: a suo
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favore e al suo posto) ogni genere di problemi. “Ego non ha responsabilità, quindi
non può avere colpe” (Marradi 2005, 87).
Il concetto di responsabilità è fondamentale per lo scoutismo, a tutti i livelli del
percorso educativo ma in maniera più accentuata e significativa nell’ultima parte
(quella in cui i ragazzi sono ormai abbastanza grandi da fare scelte autonome e
consapevoli). Il ragazzo è un individuo che deve muoversi con le proprie forze nella
direzione in cui crede sia più giusto per lui andare. Non ci sono alibi che reggano;
nessuno (neanche il più autorevole dei capi: un genitore, una guida spirituale, un
superiore in qualsiasi ambito e a qualunque livello) può scegliere per lui o prendersi
carico degli errori o dei danni che ha provocato.
Ad un primo confronto, sembra che i due modi di concepire la dimensione
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siano
sostanzialmente uguali. Proviamo ad approfondire le trattazioni: ci servirà a
controllare se, e quanto, questa prima impressione corrisponda al vero.
“Colui che viene punito non si sente colpevole, ma piuttosto sfortunato […]. Il male
sta fuori di lui: l’avere ascoltato i cattivi consiglieri è stata una disgrazia […]. I
consiglieri, non lui, sono cattivi” (Banfield, 1958/1976, 155).
I consiglieri di cui parla Banfield costituiscono l’incarnazione del “protettore
magico” (Fromm, 1941) in cui l’adulto dipendente traspone il ruolo della mamma,
alla quale era abituato ad affidarsi in tutto e per tutto durante l’infanzia.
“Nella tradizione culturale italiana i protettori, più o meno magici, sono
innumerevoli” (Marradi 2005, 125).
L’abbandonarsi completamente alla volontà di entità altre rispetto al sé, che hanno il
potere (e in qualche modo anche il dovere) di muovere a propria discrezione i fili
della nostra vita, porta a legittimare la totale inerzia della mente: scegliere, decidere,
pensare non ci serve più, perché è qualcun altro a farlo per noi.
Una soluzione senza dubbio molto comoda, come ha sottolineato anche Kant (1793,
53): “È così comodo essere minorenni! Se ho un libro che pensa per me, se ho un
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Questo capitolo e i due successivi propongono un confronto fra le dimensioni come le concepiscono Marradi (2005) e
gli autori da lui citati da una parte, e lo scoutismo dall’altra. Per evitare troppe ripetizioni, capiterà che per definire i
primi userò semplicemente l’espressione “gli autori”.
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direttore spirituale che ha coscienza per me, non ho più bisogno di darmi pensiero per
me. Non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa
occupazione”.
C’è una metafora di Baden-Powell tanto calzante ed immediata da esser stata citata
tante volte che ogni scout la conosce: “Guida da te la tua canoa” (1922/2006, 25). È
tratta dal ritornello di una canzone popolare che il fondatore aveva fin da giovane
individuato come “davvero un buon consiglio per la vita” (ibidem).
Chi rema in una barca non può guardare dove va e si affida al timone tenuto da altri,
rischiando in ogni momento di cozzare contro qualche scoglio senza rendersene
conto; al contrario, chi spinge con la pagaia la canoa guarda a sé e va sempre avanti.
C’è poi anche qualcuno che preferisce imbarcarsi passivamente, lasciandosi
trasportare “dal vento della fortuna o dalla corrente del caso” (ibidem); inutile dire
che quest’ultimo sistema non è meno pericoloso che remare alla cieca.
“Preferisco uno che guardi innanzi a sé e sappia condurre la sua canoa, cioè si apra da
solo la propria strada. Guida tu stesso la tua canoa, non contare sull’aiuto degli altri”
(ivi, 25-6).
Mi sembre che questo sistema sia straordinariamente simile a quello che abbiamo
descritto in precedenza.
Neanche il ruolo attribuito a un’entità superiore in senso religioso discrimina la
visione degli autori che consideriamo e quella del fondatore dello scoutismo. In
entrambi i casi, rimettersi alla divinità non scarica dalle proprie responsabilità come
dalle proprie eventuali colpe.
Una delle storie che Marradi ha usato nelle sue ricerche per indagare la dimensione di
cui ci stiamo occupando tratta proprio la questione del rapporto fra il singolo e una
guida trascendente
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. La posizione di responsabilità estrema era in quel caso espressa
come: “ci si deve prendere la responsabilità di giudicare volta per volta con la propria
testa, senza fare appello a centri di gravità permanenti” (2005, 139).
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La storia, dal titolo gravità, prende spunto da una canzone di Battiato, e indaga se per gli intervistati sia legittimo o
meno rimettere integralmente i propri giudizi a un’entità trascendente (di tipo religioso o al più etico).