Introduzione
Il presente progetto di ricerca nasce dalla constatazione che negli ultimi
cinquanta anni il paesaggio italiano è stato profondamente modificato
dalla evoluzione urbana. Una evoluzione urbana in gran parte priva
di qualità formali e funzionali. L’enorme sviluppo dei trasporti
automobilistici ha comportato una grande dispersione sul territorio
delle funzioni residenziali e produttive con ingenti consumi di suolo,
compromissione delle più evidenti peculiarità paesaggistiche, nonchè
perdita di habitat e biodiversità e dispendio energetico (Romano e
Ciabò, 2008).
La soff erenza del paesaggio dovuta a questi fenomeni è del tutto evidente
sull’intero arco della penisola e l’attenzione politica e gestionale è,
rispetto a tali aspetti, ancora carente ed irresponsabile. Secondo Ilaria
Borletti Buitoni, presidente del FAI (Fondo Ambiente Italia) “l’Italia ha
subito il peggior danno paesaggistico d’Europa negli ultimi vent’anni,
con buona pace di tutti, politica, partiti, istituzioni, economia e anche la
maggior parte dei cittadini”.
Difatti in Europa il dibattito sul consumo di suolo provocato dal
dilagamento delle conurbazioni è da diversi anni molto vivace sul
versante delle posizioni politiche, e coinvolge molte questioni sociali, di
governo del territorio e di partecipazione ai processi di pianificazione
(Barlow 1995, Cheshire 1995) mentre l’Italia sembra essere rimasta in
posizione arretrata rispetto a tali tematiche.
Di notevole interesse sono alcune ricerche più recenti che tendono a
considerare la proliferazione urbana come una “patologia” territoriale da
monitorare in modo sistematico e per la quale studiare provvedimenti e
misure di contenimento e di mitigazione (Kasanko et al. 2006). Tra queste
si devono citare il lavoro della European Environment Agency (2006)
che analizza la situazione dello sviluppo urbano in varie aree europee
anche in confronto con alcuni indicatori di naturalità e le politiche di
limitazione nel consumo di suolo causato dalla urbanizzazione che già
Introduzione
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da diversi anni alcuni paesi europei hanno attuato, e che altri stanno
gradualmente aff rontando, come la Svizzera (Datec 2005), la Gran
Bretagna (Hall 1973, Jones 2007), la Germania (Frisch 2005), la Francia
(Karrer 2000).
Tornando in Italia, al momento attuale, non esiste alcuna legge nazionale
che riconosca il consumo di suolo come una minaccia per il paesaggio o
che lo disciplini in qualche modo e l’argomento è molto poco considerato
anche dalla legislazione urbanistica e paesaggistica regionale, sebbene
nel bacino del Mediterraneo il fenomeno sia già stato evidenziato da
diversi anni (Munoz 2003).
Questo fatto, in un Paese come l’Italia, appare ancora più contraddittorio
che in altri luoghi per due ordini di ragioni.
Primo: l’Italia, banalmente, è ricca di cultura, arte e natura. L’eccellenza
di queste tre componenti del “real world” (quindi altamente diff use e
“spalmate” in modo indiff erenziato sul territorio), tra di loro strettamente
connesse da retroazioni co-evolutive, porta a sistemi tra i più complessi
dell’ intera area mediterranea. Paesaggi unici, specie rare ed endemiche
vanno a costituire un insieme di elementi di valore (Farina A., 2010).
Secondo: il nostro Paese vanta una tradizione culturale e normativa sul
tema paesaggio piuttosto longeva e apparentemente radicata nella nostra
identità nazionale. Basti dire che la prima legge a cui convenzionalmente
si fa risalire la giurisprudenza sul tema (Legge 1497 “Protezione delle
bellezze naturali”) è datata 1939 e che l’Italia riconosce la tutela del
paesaggio come un principio costituzionale (art. 9 della Costituzione).
Tali primati sono ampliamente conosciuti e riconosciuti, non è infatti
un caso che come sede per la ratifica della convenzione europea del
paesaggio sia stata scelta proprio Firenze.
Ciò che sconcerta è che nei fatti il “belpaese” mostri ancora una
impreparazione di fondo nella valorizzazione e nella tutela del proprio
paesaggio; sussiste una discrepanza ancora insanata tra i costrutti
legislativi e la loro attuazione, soprattutto per quanto riguarda misure di
tipo non oggettuali, che prendano in considerazione “l’ovunque”, il “real
world” di cui parla Farina, come d’altra parte richiesto dai più recenti
indirizzi comunitari, e non singoli elementi di inconfutabile pregio
ovvero “di notevole interesse pubblico” (D. Lgs 42/2004, art. 136).
Da cosa dipende questa debacle operativa, se eff ettivamente di debacle
si tratta? Perché in Italia è più accentuata che in altri paesi?
I valori del paesaggio.
Categorie interpretative, tecniche diagnostiche e regole gestionali
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Il primo interrogativo porta a sua volta a chiedersi se, in eff etti, il trend
che sta interessando il paesaggio italiano sia percepito dalla maggioranza
degli operatori del settore (esperti, tecnici e amministratori) e dei
cittadini, come un fattore negativo. Potrebbe infatti darsi che il concetto
di valore che comunemente è attribuito in Italia al paesaggio non venga
intaccato da fenomeni riconducibili alla crescente conversione urbana
dei suoli.
Il nodo della questione risiede nella risposta che viene fornita in Italia
alle richieste di valutazione che nel tempo sono pervenute e tuttora
pervengono dall’apparato normativo. A partire dalla Legge 1494/1939,
passando per la 431/1985 fino ad arrivare al “Codice dei beni culturali e
del paesaggio” (D. Lgs 42/2004), la giurisprudenza esige una valutazione
del paesaggio finalizzata all’indirizzo di adeguate misure gestionali e
conservative.
Queste misure, che per sin dalle origini sono state rivolte ai beni
paesaggistici, cioè immobili e aree di notevole interesse pubblico, con il
recepimento della Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000)
dovrebbero essere estese a tutto il territorio, attraverso la redazione di
appositi strumenti di pianificazione che il D. Lgs. 42/2004 identica nel
Piano paesaggistico. Tuttavia, essendo ancora nel D. Lgs. 42/2004 i
beni paesaggistici l’elemento cardine nella norma, la propensione verso
una visione discretizzata del paesaggio è ancora attuale.
L’estrazione dalla matrice paesaggistica di singoli “beni” oltre a
circoscrivere le politiche del paesaggio solo a pochi elementi del
territorio, enfatizza la settorializzazione dei criteri di valutazione.
Il paesaggio è infatti un oggetto dalla natura polisemica e olistica (Socco,
1999) pertanto sono svariati gli approcci paradigmatici che possono
guidare i processi interpretativi e giudicanti che a loro volta dovrebbero
indirizzare le scelte di governance. È dunque plausibile che ci sia una
variazione nell’applicazione di regole gestionali dipendente dalle
categorie interpretative con cui viene letto il paesaggio.
Tali riflessioni portano inevitabilmente ad un indagine comparativa
della cultura, della normativa e delle prassi operative che investono il
tema “paesaggio” in Italia.
È proprio dalla ricomposizione di questo articolato quadro che muove i
passi la presente ricerca.
Il lavoro può essere tripartito secondo il seguente schema:
Introduzione
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Interpretazioni e critica di modelli e metodi; 1.
Analisi dei fenomeni correlati; 2.
La sperimentazione nel Comune di Atri. 3.
I tre blocchi concettuali sono idealmente concatenati tra loro in modo
che le conclusioni di ogni sezione rappresentino gli spunti di apertura
per quella successiva.
Nella prima parte i vari approcci culturali sono stati distinti, e
conseguentemente analizzati, secondo tre visioni principali: estetico-
visuale, culturale ed eco-funzionale.
Secondo tale logica è stata eff ettuata una revisione critica delle tecniche
e dei casi applicativi aff erenti alle tre categorie interpretative (estetico-
visuale, culturale, eco-funzionale) che hanno guidato le politiche sul
paesaggio in Italia al fine di:
mettere in luce eventuali criticità, non tanto intrinseche nelle
singole metodologie, quanto rapportate agli eff etti che la scelta
di determinati approcci porta nelle regole gestionali e dunque
nelle trasformazioni del paesaggio
individuare possibili punti d’incontro tra le diverse concezioni.
Le conseguenze del modus operandi descritto nella prima parte del
lavoro sono al centro dell’indagine condotta nella seconda parte, dove,
partendo dal presupposto che crescita estensiva dell’urbanizzazione
possa rappresentare un importante fattore nella definizione della
qualità del paesaggio e nell’individuazione di possibili regole gestionali,
si propone uno studio applicativo volto a:
inquadrare il fenomeno della conversione urbana dei suoli
in Italia a diverse scale al fine di tracciarne la consistenza,
indicare i paesaggi più suscettibili al fenomeno, quindi quelli
potenzialmente più a rischio e quelli già “esausti”;
mettere a fuoco il problema rispetto agli strumenti che
maggiormente ne sono responsabili ma che, proprio per questo,
rappresentano i mezzi più efficaci per invertire la tendenza in
atto: i PRG.
La conversione urbana dei suoli viene analizzata a scala nazionale
attraverso i dati disponibili dai diversi studi condotti in questi anni
sull’argomento; a scala regionale studiando, attraverso il supporto di
applicativi GIS, il trend delle aree urbanizzate della regione Abruzzo
negli ultimi cinquant’anni in tre diversi momenti (1956, 1980, 2000)
I valori del paesaggio.
Categorie interpretative, tecniche diagnostiche e regole gestionali
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mettendolo a confronto con le dinamiche demografiche comunali e con
le tipologie paesaggistiche presenti; a scala provinciale, grazie ai dati
forniti dalla Provincia di Teramo nell’ambito della redazione del nuovo
PTCP , analizzando il consumo di suolo, oltre che nei periodi indicati,
anche in relazione alle previsioni dei PRG dei 47 comuni del teramano,
in modo da mettere in luce l’eff ettivo legame tra gli strumenti urbanistici
generali e le alterazione dei paesaggi.
Ogni passaggio di scala comporta un approfondimento concettuale che,
partendo da una valutazione della dimensione del problema, arriva
ad investigare i rapporti che sussistono tra il dilagare del fenomeno
dell’artificializzazione dei suoli e gli strumenti di pianificazione
territoriale ed urbanistica.
Nel terzo ed ultimo blocco, si descrive una sperimentazione degli input
ottenuti nel corso della ricerca in un caso concreto di pianificazione
urbanistica: il processo di multilevel governance del Comune di Atri (TE). Il
progetto, partito nel 2009, vede la contemporanea e coordinata redazione
di 4 strumenti programmatici all’interno del territorio comunale di
Atri (il nuovo Piano Regolatore Generale, il Piano Particolareggiato
del Centro Storico, il Piano di Gestione del SIC “Calanchi di Atri”, il
Piano Particolareggiato del Parco Agricolo) attraverso un percorso
multidisciplinare e partecipato a cui la scrivente ha preso parte come
responsabile dei due piani a matrice ambientale, il Piano di Gestione
del SIC ed il Piano Particolareggiato del Parco Agricolo. Grazie alla
redazione contestuale, affianco al PRG, di piani settoriali come il Piano
del Centro Storico, il Piano del Parco Agricolo ed il Piano di Gestione del
SIC, c’è stata la possibilità di eff ettuare dei focus su determinati ambiti
sensibili (il patrimonio storico, il contesto rurale e l’ambiente naturale),
altrimenti di difficile ottenimento, che hanno permesso di individuare
con maggiore accuratezza target specifici di sostenibilità verso cui
indirizzare in modo concreto le scelte progettuali e la normativa.
Uno degli obiettivi ottenuti da tale processo è stato quello di portare
in fase di adozione un PRG a ridotto consumo di suolo, con un notevole
ridimensionamento delle aree programmate rispetto al PRG attualmente
vigente.
1
L'Italia è una Repubblica fondata
sul paesaggio?
1.1 La normativa italiana tra questioni irrisolte e visioni
consolidate
La normativa italiana sulla tutela del paesaggio vanta più di 60
anni di storia, considerando convenzionalmente come origine della
giurisprudenza sul tema la Legge 1497 del 1939 “Protezione delle
bellezze naturali”.
Nonostante il percorso evolutivo della suddetta regolamentazione,
più articolato e più longevo della stessa normativa urbanistica, si sia
sviluppato entro un periodo così ampio tale da lasciar presupporre il
raggiungimento di un elevato grado di maturazione, il tema “paesaggio”
è ancora al centro di un vivace dibattito che va avanti, quasi senza
soluzione di continuità da circa cento anni, rinvigorendosi di volta
in volta in concomitanza della promulgazione di una nuova norma
sull’argomento.
In eff etti, alcune carenze palesate dagli addetti ai lavori sin dagli anni
‘30, oggi rimangono ancora irrisolte.
I germi di tali criticità sono evidenziati già nel 1931, dall’allora
direttore generale per le Belle Arti, Luigi Parpagliolo, in una relazione
al comitato Touring sulla riforma della Legge 11 giugno 1922, n. 778
“Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare
interesse storico”. Egli, partendo dalla citazione dell’art.1 della Legge
secondo cui “sono dichiarate soggette a particolare protezione le cose
immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a
causa della loro bellezza naturale e della loro particolare relazione con
la storia civile e letteraria. Sono protette altresì dalla presente legge le
bellezze panoramiche”, aff erma che tale definizione porta ad una “netta
distinzione fra le cose immobili, che hanno un’entità propria ben definita,
e quindi identificabili nei loro particolari, e le bellezze panoramiche, o
meglio il paesaggio, che sfugge ad una precisa identificazione e quindi mal
si presta ad essere raggiunto dalla stessa norma legislativa, quanto meno
Capitolo 1 - L’Italia è una repubblica fondata sul paesaggio?
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dalla stessa norma legislativa dettata per le cose facilmente individuabili
nei loro confini e nelle loro caratteristiche.”... “Se non si tien bene in mente
questa sostanziale distinzione, non si può comprendere l’economia di
tutta la legge e non si possono neppure comprendere le difficoltà - non
poche e non lievi - che s’incontrano nella sua applicazione. Giacché è per
le cose immobili aventi i caratteri voluti dal primo comma dell’articolo l°,
e cioè per le bellezze naturali propriamente dette, che la legge impone le
notificazioni, [...] mentre per tutelare le bellezze panoramiche essa non
concede che un intervento volta per volta, caso per caso, quando nuove
costruzioni, ricostruzioni ed attuazioni di piani regolatori (non si parla
di piani di ampliamento) possono danneggiare l’aspetto e lo stato di
pieno godimento del paesaggio” “La difesa poi del paesaggio, la quale
non è e neppure assistita da questa mite pena contravvenzionale, è tutta
imperniata nell’art. 4 della legge: in virtù di questo articolo, il Ministero,
nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni ed attuazioni di piani regolatori
può prescrivere distanze, misure ed altre norme, necessarie perchè le
nuove opere non danneggino l’aspetto e il pieno godimento delle bellezze
panoramiche. Or nessun mezzo preventivo ha il Ministero per far giungere
a tempo la sua azione tutelativa: esso deve attendere che gli sia indicata
la nuova opera. Ma spesso quest’opera è così avanzata che le provvidenze
da prendere (distanze, misure, altezze, ecc.) si trovano di fronte ad uno
stato di fatto che ha già compromesso la vista del paesaggio.”...”Io mi sto
studiando di evitare queste opposizioni o di ridurle al minimo, facendo
studiare, là dove ancora è possibile, dei piani regolatori paesistici, nei
quali siano già preventivate (mi si perdoni questa parola prettamente
commerciale) le provvidenze in favore delle bellezze panoramiche della
città.”
Dal discorso del Parpagliolo, emergono questioni che rimarranno
al centro della discussione sulla tutela del paesaggio per decenni, e
che, nonostante le successive implementazioni normative che hanno
tentato di dare risposte cogenti a tali istanze (Legge n. 1497/1939,
Legge n. 431/1985, Dlgs. n. 490/1999, D. Lgs. N. 42/2004 e successive
integrazioni) tuttora sono dibattute:
1. difficile identificazione del bene “paesaggio”
2. mancanza di strumenti per attuare una valutazione preventiva dei
beni paesaggistici
3. necessità di integrare la tutela del paesaggio negli strumenti urbanistici
I valori del paesaggio.
Categorie interpretative, tecniche diagnostiche e regole gestionali
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(piani regolatori).
Un primo tentativo di risposta ai quesiti appena sollevati, viene fornito
dalla già citata legge “Protezione delle bellezze naturali” del ‘39 (alla
cui revisione Parpagliolo stesso contribuì) che introduce, con l’art. 5,
per le località incluse nell’elenco di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 1, il Piano
Territoriale Paesistico di competenza ministeriale “al fine di impedire
che le aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla
bellezza panoramica”.
I contenuti del Piano Paesistico sono definiti dall’art. 5 della L. 1497/1939
e dal successivo RD 1357/1940, art. 23 ed hanno una connotazione
molto vicina a quella dei piani particolareggiati.
I piani territoriali paesistici di cui all’art. 5 della legge (1497/1939) hanno
il fine di stabilire:
1) le zone di rispetto;
2) Il rapporto tra aree libere ed aree fabbricabili in ciascuna delle diverse
zone della località;
3) Le norme per i diversi tipi di costruzione;
4) La distribuzione e il vario allineamento dei fabbricati;
5) Le istituzioni per la scelta e la varia distribuzione della flora.
La previsione di Piani Paesistici, la cui applicazione rimane tra l’altro
fondamentalmente disattesa, supporta una forma di tutela tipicamente
“oggettuale” (Romano B., 2005), che imbriglia l’identificazione dei
valori paesistici all’interno di elenchi di immobili e di siti esteticamente
circoscritti (tanto da un punto di vista estetico-storico, quanto estetico-
naturalistico).
Come ben noto, il Piano Paesistico assume un peso maggiore nel
1985, con la legge “Galasso” “Disposizioni urgenti per la tutela delle
zone di particolare interesse ambientale”, che estende il vincolo
paesaggistico a più ampie porzioni di territorio individuate in modo
univoco ed oggettivo secondo criteri fisici, considerando anche canoni
più strettamente ambientali, con un implicito riferimento alle funzioni
ecologiche piuttosto che semplicemente estetiche o testimoniali degli
ambiti naturali.
I contenuti pei Piani Paesistici, che questa volta trovano attuazione nei
contesti regionali, non si discostano però in modo sostanziale dal quelli
precedentemente stabiliti e permane la logica di una tutela paesistica
discreta e a macchia di leopardo.