INTRODUZIONE Oggigiorno alla domanda “Cos’è l’Europa?” un cittadino europeo potrebbe
rispondere: “un vasto territorio che si estende dall’Atlantico agli Urali e dal
Mar Mediterraneo al Mar Artico, in realtà non un vero e proprio continente ma
la parte più occidentale di un’entità territoriale che va sotto il nome di
Eurasia”.
Tuttavia, accanto alla definizione accademica di un nome che
etimologicamente nasce in Grecia, pochi probabilmente penserebbero
all’Europa come entità politica, frutto di un’unità fortemente desiderata dopo
secoli di guerre e di conflitti che, da sogno utopistico di pochi intellettuali, si
era trasformata in un progetto concreto e realizzabile.
Per quanto il suo concetto abbia assunto nel corso dei secoli aspetti culturali e
confini geografici differenti, esso ha tuttavia mantenuto una connotazione
difensiva dinanzi al profilarsi di gravi pericoli esterni, ad esempio la minaccia
di un’invasione, oppure all’indomani di guerre sanguinose; in questi casi
l’unità europea appariva, allora, come una possibile soluzione per la
salvaguardia della pace, di quella concordia e armonia che tanto si desiderava
al termine della seconda guerra mondiale come risposta a orrori e a tragedie.
Ciò avvenne proprio quando l’Europa si presentava più divisa che mai da
quella cortina di ferro destinata a separare il mondo intero fino alla fine degli
anni ottanta.
Ma già in piena guerra, nel 1941, sull’isola dove il regime fascista li aveva
condannati al confino, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi avevano scritto il
manifesto di Ventotene al quale fece seguito la fondazione del Movimento
Federalista europeo che puntava a realizzare un programma d’azione per
un’Europa unita e federale. La realizzazione, per quanto imperfetta, di
un’Europa comunitaria non costituiva solo un processo di aggregazione
utilitaristica come molti tutt’ora pensano. L’apprendimento della storia
europea a scuola (almeno dalla mia esperienza) ha infatti spesso mostrato
I
come l’unico motore dell’intero processo di integrazione sia stato quello
dell’utilità: la necessità di grandi accorpamenti geopolitici si sarebbe avvertita
solo per fronteggiare le impellenti necessità energetiche, le ingenti spese per la
ricerca e i vasti progetti per la sopravvivenza, dimenticando come la
costruzione comunitaria obbedisse anche ad un istinto di conservazione contro
un passato di divisioni e guerre e ad un processo storico naturale riconducibile
al trionfo della democrazia e dell’unione nel pluralismo.
La chiave di volta dell’intero disegno europeo era rappresentata dalla
Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 che è ben meno nota degli altri
trattati comunitari alla maggior parte dei cittadini europei: come meglio
argomentato nel I capitolo, è vero che la proposta avanzata dal ministro degli
esteri francese, Robert Schuman, sollecitava Francia e Germania a mettere in
comune la produzione di carbone e acciaio sotto una comune autorità per
assicurare subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, ma
la condivisione della produzione carbon-siderurgica era funzionale al
mantenimento della pace e alla sua salvaguardia con sforzi creativi e
proporzionali ai pericoli che la minacciavano. Bisogna tener presente che il
contributo che un’Europa organizzata e vitale poteva apportare alla civiltà era
indispensabile e l’obbiettivo, quindi, non era quello di creare una superpotenza
nel contesto mondiale, ma quello di creare una nuova relazione tra i popoli
europei che neutralizzasse vicendevolmente nazionalismi esagerati e
degeneranti di singole nazioni che puntavano ad imporre il loro dominio sul
vecchio continente.
I buoni auspici però coesistevano con una situazione abbastanza paradossale:
se gli stati dell’Europa occidentale attuavano dal 1951 seri sforzi verso
un’unificazione politica dopo quella economica, dall’altra invece popoli o
frazioni di popoli, fino a poco tempo prima uniti, così come nella attuale ex
Unione Sovietica, si facevano porta voce di richieste di indipendenza
nazionale dagli stati cui erano tradizionalmente aggregati rischiando di
innestare guerre civili. In realtà, dal breve excursus storico e politico da me
II
effettuato, non emerge una contraddizione: alcuni di quei paesi teatro di lotte
chiedevano in prospettiva di entrare a far parte della Comunità economica
europea e l’Europa dal canto suo invitava tutti i paesi ad associarsi ad essa per
tutelare quella pace appena instauratasi che proprio per tal motivo andava
difesa più strenuamente.
Portare a compimento quanto non era stato realizzato era dunque la
preoccupazione primaria.
Ma quanto l’unione dei paesi dell’Europa occidentale sarebbe riuscita a far
sentire la sua voce e a servire concretamente la pace? La storia recente ci dice
ben poco; tutte le volte che il controllo dei paesi più forti si è allentato, e in
primis degli USA, i nazionalismi e le aspirazioni separatiste che covavano
sotto la cenere si erano risvegliati provocando nuove guerre, e l’impotenza di
quella che sarebbe diventata con Maastricht l’Unione europea era emersa
chiaramente. Cosa che probabilmente non sarebbe accaduta se fossero state
rispettate le identità dei popoli, i confini fissati dalla natura, o da secoli di
storia, e i diritti delle minoranze.
L’incapacità così affiorata ha spesso reso l’Unione europea soggetta a critiche.
Per il cittadino medio europeo l’Europa non solo si stava dimostrando
incapace di agire e di equipararsi alla potenza americana che dominava la
scena mondiale, ma sembrava far ben poco per risolvere la situazione.
La verità era però ben diversa. Come si dimostra nel Capitolo II di tale
elaborato, il Trattato di Maastricht puntava all’affermazione dell’identità
europea sulla scena internazionale attraverso l’adozione di una politica estera e
di sicurezza comune che con Nizza avrebbe condotto all’integrazione delle
forze armate dei singoli paesi.
Tuttavia, quanto la neo-Unione aveva divulgato la sua nuova intenzione? E
quanto i cittadini europei erano a conoscenza della nuova politica adottata per
la difesa delle identità nazionali? Gli europei avevano eternamente anelato a
quell’Europa indivisibile e unita che difficilmente vedevano realizzarsi dati i
continui scontri che animavano l’emisfero orientale dell’Eurasia. E se i mezzi
III
di comunicazione di massa aggiornavano quotidianamente il diario triste e
angoscioso dei conflitti a noi vicini, per nulla descrivevano le politiche e le
azioni soprattutto consentite, oltre che previste, dal Trattato UE da compiere
per perseguire i nuovi obiettivi comunitari relativi all’azione esterna
dell’Unione europea. Rendere noti i notevoli passi avanti compiuti dall’UE è
l’obiettivo, per questo, del capitolo sopraccitato. La nuova Comunità non era
rimasta inerme come invece le apparenze mostravano. E il Trattato di
Maastricht ne era una testimonianza: rivelando la sua natura di compromesso,
conciliava le necessità nazionali di difendere i propri interessi e la propria
autonoma possibilità di agire con il desiderio di realizzare una più grande
Europa che trascendesse le dimensioni sopranazionali.
Nell’immaginario collettivo europeo il testo del 1992 rappresentava e
rappresenta tutt’ora il grande momento di svolta che aveva permesso di gettare
le basi per avviare un sistema monetario comune negli allora quindici paesi
della comunità. La promozione del progresso economico sarebbe stata
possibile attraverso il perfezionamento del Mercato unico all’interno del quale
la moneta unica europea avrebbe cominciato a circolare nel 1999. Ma quale è
stato realmente l’impulso che ha permesso di muoversi verso la realizzazione
dell’unione monetaria? Nel Primo Capitolo che, attraverso l’analisi dei
Preamboli, percorre le tappe più importanti del lungo cammino europeo, si
spiega come l’evento che più spinse al sopranazionalismo monetario è stato
quella della riunificazione tedesca avvenuta a cavallo tra il 1989 e il 1990. La
Germania era diventata inconsapevolmente, dopo la sua riunificazione, la
guida di tutti quei paesi che erano appena usciti dall’orbita sovietica. Per
arginare le conseguenze economiche che probabilmente ne sarebbero derivate
e per proseguire verso un’integrazione politica, che nonostante tutto era ancora
lontana, era necessario un sistema monetario comune. Un sistema monetario
che istituzionalmente non nasce dal nulla; le pagine successive di questo
lavoro permettono di cogliere, oltre che le motivazioni storiche, anche tutti i
retroscena e i precedenti storici che, spero non la maggior parte dei popoli
IV
europei, non conoscono nel dettaglio: il Serpente monetario, il Sistema
monetario europeo e l’ECU sono tentativi storici da non dimenticare.
Questo a dimostrazione del fatto che l’Unione europea, a dispetto di quanto
l’informazione pubblica lasci trasparire, ha compiuto passi da gigante spesso
non adeguatamente compresi e pubblicizzati; i successi europei, dunque, non
sono nati dal nulla ma sono frutto di un cammino, spesso difficoltoso, ricco di
tappe intermedie compiute a piccoli passi.
A questo punto un qualsiasi lettore potrebbe chiedersi: “Che cosa significa
“piccoli passi”? Quale è il reale significato di queste parole? Sottintendono
un’ideologia sconosciuta ai più, e se sì, quale?” Lo scopo di questa tesi è stato
anche questo: cogliere e spiegare il pensiero politico, oltre che analizzare il
suo evolversi e i motivi della sua trasformazione, che ha permesso di
raggiungere quell’unità che ha progressivamente perso i tratti di una
federazione europea. La strada che in origine si scelse di imboccare era quella
del funzionalismo: “l’Europa non potrà farsi in una sola volta, ne sarà costruita
tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una
solidarietà di fatto”; dunque una formazione progressiva che doveva cercare
costantemente e pacificamente il consenso di tutti i suoi protagonisti attraverso
accordi graduali su specifici settori prima di tutto economici. Solo da uno spill
over economico ne sarebbe seguito uno politico e non viceversa.
Ma può effettivamente dirsi che l’equivalente dell’“Unione europea” sia
unicamente l’“economia”?
Certamente no, e tale affermazione ha le sue dimostrazioni nel capitolo IV e V .
L’Europa è stata posta di fronte alle grandi sfide della globalizzazione e il che
le ha conferito nuove responsabilità alle quali non ha potuto sottrarsi.
Cominciava a prefigurarsi una sorta di Stato sociale le cui origini risalgono in
realtà al Trattato di Roma; per quanto la Comunità non fosse riuscita a
instaurare politiche veramente comunitarie, anche a causa delle diverse
impostazioni adottate dalle politiche dei paesi membri, questo non le ha
impedito di prendere misure tipicamente sociali. Una sorta di legislazione
V
europea comune sulla tutela e sulla sicurezza dei cittadini e dei lavoratori
europei già garantiva sin dagli anni 60 la libertà di circolazione, la libertà di
assunzione, il salario, adeguate condizioni di occupazione, diritti in materia di
sicurezza sociale, insediamento della famiglia del lavoratore nel paese
ospitante, ecc..
La conoscenza nel dettaglio, da parte di un cittadino medio europeo, di tali
normative consentirebbe di eliminare quelle parvenze esclusivamente
economiche che caratterizzano purtroppo l’immagine dell’UE. Non perché
questo rappresenti necessariamente un male ma è alquanto paradossale che la
maggior parte dei popoli degli stati membri abbia cominciato a sentirsi
europeo solo dal 1° gennaio 2002 quando in dodici dei quindici stati membri
dell’Unione europea cominciava a circolare una moneta unica che sostituiva
quelle nazionali. Da quel momento in poi tutti, più concretamente, si sentivano
“cittadini d’Europa”, partecipi di una Comunità ben più grande del vecchio
stato nazionale, che in realtà, da ben molti decenni prima, si occupava dei suoi
popoli non curanti di un panorama europeo che le istituzioni e gli organi
comunitari cercavano di rafforzare.
Sono infatti ben note le critiche che i più rivolgono alla Comunità economica
europea per l’esistenza di un deficit democratico, a parer di molti, eccessivo, e
per la scarsa capacità d’informazione dell’UE.
Ma quanti sono realmente i cittadini che cercano il contatto con le istituzioni
comunitarie e quanti coloro che conoscono il corpo di disposizioni normative
europee attraverso una lettura dei Trattati? Per quanto l’Europa abbia cercato
di stabilire contatti con i vari segmenti della società civile, pur compiendo
errori, comprensibili se si tiene conto dell’estensione del territorio di
riferimento, molti europei sanno ben poco dei contenuti e del senso di ciò che
era e di ciò che è stato fatto. Trasparenza, pubblicità, democrazia, sono state
per questo le principali tematiche che la Convenzione europea ha affrontato.
Quest’ultima, grazie ad un metodo di lavoro aperto, ha cercato di alimentare il
dibattito nella società civile, di raccogliere opinioni in un foro democratico
VI
rappresentativo dei popoli e degli stati membri, che in realtà non ha portato a
grandi risultati. Probabilmente perché se i popoli europei ignorano i successi e
i fallimenti passati dell’Europa, difficilmente avrebbero potuto e potranno
comprendere in futuro l’importanza dei cambiamenti che l’eventuale entrata in
vigore della Costituzione europea apporterebbe.
Per partecipare alla formazione di un’Europa dei cittadini occorre
“conoscere”, e per “conoscere” occorre non solo che l’UE fornisca i canali
attraverso i quali spiegare implicazioni e contenuti del sistema europeo, ma è
necessario che i popoli europei diventino parte attiva del dialogo cognitivo
comunitario.
Fornendo una documentazione dettagliata sulle più importanti tematiche
europee e spiegando i fallimenti ma soprattutto i notevoli passi avanti
compiuti, mi hanno permesso di raggiungere lo scopo ultimo della mia tesi:
dimostrare che l’Unione europea è molto di più di ciò che si apprende
sporadicamente dai mezzi di comunicazione di massa; non è solo un insieme
ben strutturato di organi e istituzioni in cui i rappresentati degli stati membri
fanno fatica a raggiungere un accordo, ma è anche e prima di tutto “società”,
in cui tematiche e problemi come quelli relativi all’uguaglianza, alla cultura, al
lavoro, alla giustizia, alla difesa trovano spazio al pari delle questioni
economiche, e in cui i principali protagonisti sono i cittadini d’Europa
chiamati a vivere e a costruire attivamente il nuovo spazio europeo.
VII
CAPITOLO I EUROPA UNITA, PERCHE’
1.1. L’IDEA DI UN’EUROPA UNITA PER LA PACE E PER IL
PROGRESSO Il lungo cammino, iniziato alla metà del XX secolo per costituire un’Europa
unita, prende avvio dalla “sconfitta” generale della II guerra mondiale che
aveva lasciato un continente materialmente prostrato e spiritualmente
annichilito: nel cuore della civile Europa l’uomo aveva scelto di asservire ogni
risorsa e ogni intelligenza allo sterminio di milioni di persone. Il nazionalismo
e la sovranità nazionale avevano mostrato tutto il loro potenziale distruttivo.
L’indispensabile ricostruzione materiale prese avvio con il Piano Marshall
elaborato dal segretario di stato americano il 5 giugno del 1947 all’università
di Harvard. Il 3 luglio dello stesso anno, Francia e Inghilterra risposero al
discorso di Marshall tenendo una conferenza a Parigi con la quale si istituì un
Comitato generale per la cooperazione economica e dopo la quale gli stati
partecipanti avrebbero dovuto redigere relazioni contenenti piani e previsioni
circa le soluzioni del problema della ricostruzione economica. La Conferenza
di Parigi dell’anno successivo istituì l’OECE, organismo che riuniva tutti i
paesi dell’Europa occidentale in un’impresa politico-economica memorabile.
L’OECE, che rese possibile la progressiva liberalizzazione degli scambi, si
rivelò una soluzione positiva nonostante le difficoltà connesse alla
cooperazione economica che apparivano tanto maggiori quanto più il quadro
geografico era vasto ed eterogeneo. Se i risultati raggiunti furono positivi,
l’apparato istituzionale dell’OECE però non oltrepassava il quadro della
consueta unione internazionale tra stati i cui organi non avevano la capacità di
esplicare poteri autoritativi nei confronti degli stati membri. Un’unione di stati
così eterogenea non avrebbe potuto muoversi se non su un piano orizzontale e
soprattutto meramente economico 1
. Soltanto un diverso movente, in primis
1
Rolando Quadri, Riccardo Monaco e Alberto Trabucchi, Trattato istitutivo della Comunità Europea.
Commentario, Milano, Giuffrè, 1965, pp. 4-6.
1
politico, avrebbe potuto lanciare il processo di integrazione europea, non solo
per prevenire il ripetersi di ciò che non sarebbe mai dovuto accadere, ma
anche per continuare a credere nella civile convivenza.
Per rispondere a tali necessità occorreva un progetto non solo politico ma
anche valoriale.
La straordinaria mobilitazione che ne è seguita, che ha portato in alcuni paesi
come l’Italia alla nascita delle costituzioni nazionali, garanti di diritti e di
libertà prevedendo freni e controlli ad una sovranità statale che si era rivelata
capace di ledere e di minare la pace internazionale, ha dato una risposta
sopranazionale alle esigenze europee con la Dichiarazione Schuman, vessillo
passato della volontà di promuovere e salvaguardare la “pace”.
È questa la parola che apre la dichiarazione e che racchiude lo spirito e la
volontà pacificatrice di un continente materialmente e spiritualmente prostrato
che aveva assistito inerme al potenziale distruttivo di quella sovranità statale
che invece avrebbe dovuto farsi carico di mantenere un clima di distensione
interno e di riappacificazione internazionale.
Occorreva salvaguardare quella “pace” 2
che Schuman e Monnet auspicano di
tutelare “con sforzi creativi e proporzionali ai pericoli che la minacciano” 3
. Ma
quali erano i pericoli che minacciavano l’Europa al termine di una guerra che
per nulla aveva messo fine ai disagi internazionali?
Tra le questioni irrisolte, sullo scenario europeo era preponderante il problema
della Germania: le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, decise ad
evitare che la ex-potenza tedesca riconquistasse una posizione di predominio
in Europa, furono concordi sulla necessità di demilitarizzare la Germania e
disarmarla sul piano industriale. E soprattutto per de Gaulle contenere la
Germania era di fondamentale importanza affinché la Francia potesse rimanere
una grande potenza 4
.
2
Dichiarazione Schuman, http://Politica_On_Line.it/ , 20/05/2007.
3
Ivi.
4
Klaus Schwabe, Il Piano Schuman:una svolta nella politica mondiale, Ruggero Ranieri e Luciano
Tosi (a cura di), La Comunità europea del carbone e dell’acciaio (1952-2002), Padova, Cedam, 2004,
pp. 19-20.
2