2
Viene riconosciuto all’individuo il diritto-potere di rifiutare cure e terapie cui non
intende sottoporsi e si afferma il principio per cui un trattamento sanitario è
legittimato solo dall’accettazione consapevole del paziente.
Tuttavia, accanto all’aspetto individuale e soggettivo del diritto alla salute viene
affermato anche l’aspetto collettivo e oggettivo: l’art. 32 Cost. definisce, infatti, la
salute anche quale “interesse della collettività”.
Pertanto, il diritto dell’individuo potrà essere limitato laddove sia in gioco un bene
superiore: la salute della collettività. Ciascuno potrà liberamente esercitare il suo
diritto, rifiutando al limite anche cure essenziali, laddove questa scelta non abbia
conseguenze sull’eguale diritto altrui.
Alla luce dell’evoluzione della tutela del diritto alla salute nel nostro ordinamento, è
stato poi preso in esame una tema che rispetto ad essa presenta diversi aspetti
problematici, quello dei trattamenti sanitari obbligatori (t.s.o.): questi consistono, in
particolare, nella possibilità, per il legislatore, di imporre trattamenti sanitari, anche
contro la volontà del soggetto che vi è sottoposto, al fine di tutelare la salute
collettiva. A tal proposito l’esempio più significativo è offerto dall’obbligo di
vaccinazione finalizzato a scongiurare il diffondersi di un’epidemia.
Nonostante le garanzie dettate dalla Costituzione per il ricorso a trattamenti sanitari,
il dibattito sulla loro applicazione resta tuttavia sempre accesso, non solo per
l’inevitabile conflitto con altri diritti costituzionalmente garantiti, ma anche in forza
dei continui sviluppi nella medicina, che sollevano questioni legate non soltanto al
diritto.
In Italia si è recentemente svolto un referendum riguardante il tema della
procreazione assistita, che ha sollevato una querelle a proposito dell’opportunità o
meno delle modalità di accesso a determinate pratiche mediche per le coppie cui è
preclusa la procreazione naturale. Numerosissimi dibattiti hanno preceduto e seguito
il referendum, riguardando non soltanto aspetti “giuridici” ma soprattutto
convinzioni personali, credo religioso, morale, etica, scelte politico-sanitarie.
3
I problemi sollevati dalle ricerche sul genoma umano, o sulle forme alternative di
medicina, sulle sperimentazioni, sulla diagnosi precoce delle malattie - e si tratta solo
di alcuni esempi - sottolineano che viviamo in un periodo in cui il pluralismo di
valori, di ideali di buona vita, la molteplicità delle visioni morali si scontrano
inevitabilmente con l’azione dei pubblici poteri. Il problema di fondo che deve
affrontare il legislatore è fino a che punto rimettere alla volontà dei soggetti
direttamente interessati le decisioni circa il modo di vivere, curarsi e morire.
Nell’estrema difficoltà di trovare una soluzione a interrogativi di tal genere, nelle
pagine che seguono si cercherà di definire in primo luogo il concetto di diritto alla
salute attraverso una breve rassegna dell’evoluzione legislativa che ha interessato la
materia sanitaria.
Si tenterà poi di definire la nozione di trattamento sanitario imposto, esaminando
dapprima le garanzie previste dalla Costituzione e quindi soffermandosi sulla
disciplina generale degli accertamenti e trattamenti volontari e obbligatori, così come
fissata dalla legge 833 del 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale.
Si prenderanno quindi in esame le norme procedurali per l’imposizione dei t.s.o.,
così come disciplinate dagli art. 33, 34 e 35 della legge, nonché l’intervento della
Corte Costituzionale che ha stabilito, quale ulteriore condizione di legittimità della
normativa de quo, il diritto ad un equo indennizzo per coloro che, a seguito di un
trattamento sanitario obbligatorio, abbiano riportato danni irreversibili alla salute, in
virtù del principio di solidarietà che lega il singolo alla collettività.
L’attenzione di concentrerà da ultimo su alcuni aspetti critici emersi dalla
giurisprudenza, con particolare riferimento al caso delle vaccinazioni obbligatorie sui
minori e alle problematiche che queste pongono dal punto di vista della tutela
costituzionale.
Il diritto alla salute
4
CAPITOLO 1
IL DIRITTO ALLA SALUTE
1. Premessa
I trattamenti sanitari obbligatori implicano un’incisione diretta nella sfera più intima
di un soggetto. Proprio questa “intrusione” rende il tema particolarmente delicato e
complesso, in quanto entrano in gioco interessi e valori diversi, quali la libertà
personale, la libertà religiosa, la libera manifestazione del pensiero. Inoltre il tema
dei tso si inserisce in quello più vasto del diritto alla salute e della tutela che
l’ordinamento giuridico appresta per tale diritto.
La norma di riferimento da cui prederemo le mosse è il secondo comma dell’articolo
32 Cost. che dispone: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento
sanitario se non per disposizione di legge”. Norma che va inquadrata con la
legislazione successiva che ha dato attuazione al dispositivo costituzionale.
Quello che fin da ora si deve sottolineare è l’evoluzione nel corso degli anni del
significato attribuito al diritto alla salute, e di conseguenza alle posizioni attive e
passive collegate a tale diritto, l’uomo
1
e i poteri pubblici (Stato). Partendo dalla
considerazione della salute alla stregua di un problema di ordine pubblico, ovvero
come necessità di lotta alle malattie ed ai fenomeni morbosi pericolosi per
l’incolumità pubblica, è soprattutto grazie alla giurisprudenza che si è avuto il
progressivo riconoscimento del diritto alla salute quale diritto primario ed assoluto
dell’individuo
2
, passando per l’estensione al piano biologico, a quello sociale e
relazionale fino a coinvolgere la salubrità dell’ambiente e dei luoghi di lavoro.
1
Si parla di uomo e non di cittadino. La nostra Costituzione, infatti, tutela la salute come
“fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
2
A partire dalla fine degli anni ’70 (vedi infra).
Il diritto alla salute
5
Allo stesso modo si è evoluto il concetto di tutela della salute, che non si identifica
più con la sola conservazione dell’integrità psicofisica ma giunge ad includere anche
la promozione e lo sviluppo della stessa, al di là della mera integrità biologica.
Quando si ragiona del diritto alla salute entrano in gioco valori ed interessi non
sempre omogenei, talora confliggenti e però tutti meritevoli di tutela, che ci
coinvolgono come cittadini, ma al contempo toccano la nostra dimensione più intima
e personale. Il discorso sui trattamenti sanitari coinvolge temi scottanti quali la
libertà di coscienza e pone interrogativi pressanti quanto alle ipotesi, ai modi e alle
finalità che rendono accettabile superare il diniego del singolo all’imposizione del
trattamento. Attualmente i problemi legati alla salute interessano anche il campo
dell’etica, della propria coscienza religiosa, della medicina e della ricerca scientifica:
il notevole sviluppo delle tecnologie applicate alla medicina pone interrogativi
sempre nuovi e complicati. E come spesso accade nelle fasi di veloce sviluppo,
l’opera del legislatore è tardiva rispetto alla possibilità offerte dalla tecnologia. Si
pensi alle tematiche relative alle ricerche sul genoma umano e alle nuove frontiere
della ricerca medico - scientifica. Questioni di cui daremo un breve cenno alla fine di
questo lavoro.
Il tema dei trattamenti sanitari obbligatori è sempre stato ritenuto strettamente
collegato con quello della configurazione del diritto alla salute, che la Costituzione
garantisce come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Emerge con chiarezza l’esistenza di una pluralità di valori e interessi legati alla
salute, che talora possono essere in conflitto e il cui bilanciamento spetta al
legislatore al quale è demandato il compito di decidere il punto di equilibrio tra le
varie situazioni soggettive individuali e collettive.
Prima di passare all’analisi della disciplina dei trattamenti sanitari obbligatori, appare
utile premettere un breve excursus storico sull’evoluzione della legislazione sanitaria
e del concetto di salute.
Il diritto alla salute
6
2. L’evoluzione della legislazione in materia sanitaria: cenni
L’evoluzione di cui si è detto sopra circa il concetto di “salute” è avvenuta nel corso
degli anni. Lo stesso sistema sanitario nazionale attuale, così come lo conosciamo
oggi, è il frutto di un processo di sviluppo che vede il passaggio da uno Stato di
diritto ad uno “Stato sociale di diritto”
3
.
La situazione precedente alla nostra Costituzione, di uno Stato detto “di diritto”, era
caratterizzata dalla non ingerenza, dal raggiungimento di obiettivi minimi di ogni
organizzazione statuale e dal riconoscimento dei diritti civili e delle libertà del
cittadino.
Nel periodo successivo all’Unità l’intervento pubblico nel settore della sanità era,
infatti, diretto a preservare l’igiene pubblica. La legge 20 marzo 1865 n. 2248, che
estendeva allo Stato Unitario l’ordinamento sanitario del Piemonte, affidava al potere
pubblico l’esercizio delle attività amministrative di “vigilanza igienica, assistenza
sanitaria e gestione dei servizi in materia di igiene e sanità”. L’intervento pubblico,
che comprendeva attività sanitarie ed assistenziali, aveva quali destinatari esclusivi
gli indigenti, che però non potevano vantare alcun diritto all’azione dei pubblici
poteri. L’azione statale integrava, infatti, le iniziative svolte dalle Opere Pie e da altre
istituzioni della società civile – soggetti terzi rispetto allo Stato - che avevano già
avvertito il problema della salute e dei diritti sociali
4
. Furono soprattutto gli ordini
religiosi ad occuparsi di sanità e salute; attraverso l’assistenza e la beneficenza,
prendendosi cura dei soggetti più svantaggiati senza, però, essere sottoposti al alcun
vincolo giuridico nella loro opera.
3
R. Ferrara –P.M. Vipiana, Principi di diritto sanitario, Torino, 1999, 9- 11. La tutela della salute
come fondamentale diritto dell’uomo non rientrava nel catalogo di valori, e soprattutto di principi,
giuridicamente apprezzabili dagli Stati a carattere monoclasse. E’ pertanto con l’evoluzione e con l a
trasformazione dei modelli di Stato monoclasse e con il loro modificarsi in forme di Stato a carattere
pluriclasse che prende l’avvio il processo di riconoscimento e di promozione dei diritti «sociali», ivi
compreso il diritto alla salute. Il punto di snodo di tale processo è costituito dalla formazione, in una
prima fase, del c.d. Stato amministrativo e solo in un momento successivo dello Stato sociale di
diritto.
4
M. Cocconi, Il diritto alla tutela della salute, Padova, 1998, 9; A. Poggi, Istruzione, formazione e
servizi alla persona tra Regioni e comunità nazionale, Torino, 2002, 79.
Il diritto alla salute
7
In relazione alle attività svolte da tali enti l’intervento dello Stato si manifestava in
prevalenza nella forma indiretta del controllo pubblico, prima ad opera della legge 3
agosto 1862 n. 753 e poi della legge 17 agosto 1890 n. 6972.
Tali leggi indirizzavano, infatti, il controllo pubblico in prevalenza agli atti di
gestione del patrimonio degli enti in virtù del rilievo pubblico acquisito dai loro fini,
senza però arrivare ad un riconoscimento in capo ai cittadini di posizioni giuridiche
riconducibile ad una prima forma di “ diritto alla salute”. Lo Stato non si assumeva
in alcun modo l’onere finanziario delle relative attività. La legge 17 luglio 1890 n.
1890, ad esempio, in materia di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza
(IPAB) determinava solo la creazione di una rete pubblica di assistenza accanto a
quella sviluppata dagli ordini religiosi e privati.
Caratteristica di questo periodo è che la cura della malattia e la rimozione delle cause
sono concepite come problemi di ordine pubblico e non come un interesse diretto
allo svolgimento delle attività sanitarie ed assistenziali. Significativo di come la
salute venisse identificata con un problema di sicurezza pubblica era la devoluzione
delle relative competenze, a livello centrale, al Ministero dell’Interno
5
e sotto la sua
dipendenza, a livello periferico, ai Prefetti, ai sotto- Prefetti e ai Sindaci.
Durante il fascismo, con la moltiplicazione degli enti a cui venivano affidate funzioni
di carattere sanitario-assistenziale, l’intervento pubblico rimaneva pressoché
invariato: il T.U. del 1934 affidava ancora la tutela della salute al Ministero
dell’Interno e riservava ai soli indigenti l’assistenza sanitaria pubblica. L’interesse
perseguito attraverso tali attività era ancora un interesse pubblico.
In questo periodo, come detto sopra, si ebbe una moltiplicazione degli enti cui
vennero affidati compiti in materia di sanità, tale da creare una frammentazione delle
competenze fra organi diversi dell’Amministrazione centrale (ad es. la lotta contro la
malaria venne affidata al Ministero dell’Agricoltura, la tutela sanitaria del lavoro al
Ministero delle Corporazioni) ed enti pubblici istituiti con finalità assistenziali (ad es.
l’Opera maternità ed infanzia), ed ancora nel settore della previdenza con
5
Il Ministero della Sanità verrà istituito solo nel 1958.
Il diritto alla salute
8
l’istituzione delle Casse Mutue cui venne affidata l’assistenza sanitaria dei lavoratori.
Come già nel periodo liberale, il potere pubblico perseguiva un interesse di ordine
pubblico, senza assumersi né finanziare le attività “sanitarie” ma limitandosi al loro
controllo
6
.
E’ stata la Costituzione a ridefinire totalmente il ruolo dell’intervento pubblico in
materia di sanità. E’ sufficiente leggere il dettato costituzionale per accorgersi della
novità rispetto alla legislazione post unitaria e fascista. Se tale legislazione limitava il
potere pubblico al perseguimento di un interesse pubblico, il primo comma dell’art.
32 Cost., invece, non solo identifica il compito dei poteri pubblici nel settore della
“tutela della salute” intesa in modo più ampio e globale, ma statuisce anche che
l’intervento pubblico è diretto a soddisfare un fondamentale diritto dell’individuo.
L’attenzione si sposta quindi sulla persona umana.
Si ha, quindi, una vera e propria frattura rispetto agli indirizzi di politica legislativa
fino ad allora prevalsi. Quattro sono gli elementi di novità che si possono
evidenziare: la qualificazione della salute come diritto fondamentale; la sua diretta
reperibilità all’individuo; la contestuale qualificazione quale diritto collettivo;
l’attribuzione alla Repubblica del compito della sua tutela
7
.
La tutela della salute viene affidata dalla Costituzione all’azione coordinata di tutti i
poteri pubblici, richiamati dal termine “repubblica” nel testo costituzionale.
Bisogna immediatamente notare che, come avvenuto per altre norme costituzionali, il
disposto del primo comma dell’art. 32 non riceve immediata attuazione
8
. Non solo
6
M. Cocconi, op. cit., 13: l’intervento pubblico era diretto, anche in tal caso, a coordinare e a
unificare il sistema e gli istituti di previdenza, cioè alla regolamentazione pubblica del settore. Il
compito di realizzare, sotto il profilo finanziario, la tutela previdenziale veniva viceversa affidato alle
categorie interessate, attraverso il ricorso allo schema assicurativo privato. L’interesse perseguito dalla
disciplina pubblica del settore era quindi ancora di ordine pubblico. La regolamentazione
nell’ordinamento corporativo degli interessi sociali era diretta infatti a prevenire al conflittualità
sociale che questi avrebbero creato con l’intensificarsi del processo industriale. La discontinuità
rispetto all’intervento pubblico del periodo liberale appariva pertanto quantitativa, non qualitativa. In
un caso e nell’altro l’interesse perseguito attraverso la regolamentazione normativa del settore non
consisteva nell’assunzione delle relative attività e nel loro finanziamento da parte del potere pubblico
ma nella loro soggezione a controllo pubblico.
7
A. Poggi, op. cit., 81.
8
La consapevolezza dell’effettiva portata dell’art. 32, e quindi della complessità della fattispecie
indicata come diritto alla salute, ha stentato ad affermarsi negli anni immediatamente successivi
Il diritto alla salute
9
bisogna attendere la legge 13 marzo 1958 n. 296 per l’istituzione del Ministero della
Sanità, ma i compiti che vengono affidati a tale ministero non realizzano
quell’unificazione delle attribuzioni esercitate dai pubblici poteri in materia di sanità
tanto auspicata dall’Assemblea Costituente. Rimanevano, infatti, esclusi dalla
direzione del Ministero della Sanità gli enti mutualistici e previdenziali, che
continuavano ad operare sotto il controllo del Ministero del Lavoro.
I primi tentativi di adeguamento al dettato costituzionale si hanno a partire dalla metà
degli anni ’60 con la programmazione economica e successivamente con la
realizzazione dell’ordinamento regionale.
Negli anni ’60 la constatazione che le decisioni affidate al mercato o ad interventi
pubblici settoriali fossero insufficienti a superare gli squilibri esistenti nelle diverse
aree territoriali del Paese e tra le varie categorie sociali fece sentire l’esigenza di una
programmazione globale
9
.
Sino a quel momento, infatti, nessun tipo di riforma aveva riguardato il settore
sanitario, che era caratterizzato da una molteplicità di soggetti pubblici e privati,
operanti con motivazioni e modalità eterogenee, il cui maggior difetto era costituito
dall’incapacità di assicurare quel minimo di parità di trattamento nella tutela della
salute che, oltre che discendere dall’art. 32 Cost., si fondava in primo luogo sul
principio di eguaglianza
10
.
Con la legge n. 685 del 7 luglio 1967 veniva approvato il programma economico
nazionale per il quinquennio 1966-1970 che aveva come obiettivo in materia di
sanità, previdenza ed assistenza sociale quello di attuare un “compiuto sistema di
sicurezza sociale” realizzato con “profonde riforme nell’ordinamento sanitario,
previdenziale ed assistenziale”.
all’entrata in vigore della Carta repubblicana e può dirsi che abbia raggiunto completa maturazione
solo tardivamente, parallelamente all’adozione delle grandi leggi di riforma in materia sanitaria (la
legge n. 132/1968, c.d. legge ospedaliera, e la legge n. 833/1978 istitutiva del Servizio sanitario
nazionale). Le ragioni di tale ritardo sono molteplici ed hanno investito il riconoscimento sia della
libertà che del diritto a prestazioni. D. Morana, La salute nella Costituzione italiana: profili
sistematici, Milano, 2002, 4; M. Cocconi, op. cit., 16; vedi anche infra § 3.
9
M. Carrabba, Programmazione per settori e sistema politico, Bologna, 1980, 53; F. Forte, Manuale
di politica economica, Torino, 1975, 1080.
10
A. Poggi, op. cit., 87.
Il diritto alla salute
10
Le direttrici della Riforma prevedevano fra l’altro l’attribuzione al Ministero della
Sanità di un ruolo di direzione e coordinamento della politica sanitaria nazionale,
l’estensione a tutti i cittadini delle prestazioni sanitarie preventive, curative e
riabilitative ed infine la fusione graduale digli istituti mutualistici. Su questo quadro
venne emanata la legge n. 168 del 1968 di riforma ospedaliera, in base alla quale gli
enti ospedalieri avrebbero dovuto acquisire un ruolo centrale nel contesto di
assistenza sanitaria quali destinatari di tutte le competenze di tipo curativo e
preventivo
11
.
L’intervento pubblico inizia così ad andare oltre la semplice regolamentazione del
settore “sanità” e configura sempre più l’assunzione e la promozione dell’attività in
tale settore, concepita come servizio.
A questo scopo contribuisce, accanto all’esperienza della programmazione, l’azione
delle Regioni che cercano di realizzare gli obiettivi costituzionali. Dal 1972 al 1974,
infatti, le Regioni tendono a riorganizzare le funzioni amministrative in materia di
sanità, ora incentivando ora imponendo l’aggregazione delle stesse. L’accorpamento
che ne consegue determina un mutamento dell’intervento pubblico che acquista una
valenza sociale come servizio rivolto alla collettività e non soltanto come ruolo
episodico destinato a fronteggiare un’emergenza individuale
12
.
L’obiettivo che si tende a perseguire, ribadito dalla legislazione statale successiva, è
di superare la frammentazione delle competenze esercitate in questa materia dai
diversi enti e di realizzare l’unificazione dei poteri pubblici nella prospettiva della
11
All’ente ospedaliero, persona giuridica pubblica, vengono ricondotte le IPAB e gli altri enti pubblici
operanti esclusivamente nell’assistenza ospedaliera e, per scorporo, gli ospedali appartenenti ad enti
pubblici aventi anche altre finalità. La figura dell’ente ospedaliero compie l’uniformità del modello
strutturale di erogazione dell’assistenza ospedaliera, eliminando le varietà organizzative precedenti.
Inoltre, viene configurato quale ente istituito dalla Regioni, sottoporto pertanto a vigilanza regionale.
A. Poggi, op. cit., 87-88.
12
M. Cocconi, op. cit., 20: è in tale prospettiva che viene inoltre programmato e coordinato dalla
legislazione regionale anche l’apporto e il ruolo delle istituzioni private che concorrono alla
realizzazione degli stessi obiettivi. L’acquisizione, da parte delle Regioni , di un ruolo di governo
nella sanità, oltre che sviluppare le tendenze delineate dall’azione regionale, corrisponde agli auspici
di una dottrina istituzionale prevalente degli anni ’70, cfr. per tutti A. Barbera, La Regione come ente
di governo, in Pol. del Dir., 1973, 6.
Il diritto alla salute
11
loro delineazione come servizi. Vengono, pertanto, attribuite direttamente alle
Regioni le funzioni di assistenza ospedaliera
13
e poi sanitaria
14
.
Questo quadro si delinea sempre più fino ad arrivare alla riforma di settore del 1978
che, accogliendo le direttrici di sviluppo sopra indicate, configura l’azione pubblica
diretta all’assunzione della responsabilità complessiva di un servizio pubblico,
tendendo a superare il sistema organizzativo mutualistico esistente, che aveva
dimostrato la sua inadeguatezza alla realizzazione del diritto alla salute così come
definito dalla Costituzione, sia per la difformità dei trattamenti erogati sia per i limiti
della tutela offerta di tipo meramente riparatorio.
I principi sui quali si basa la riforma, infatti, si rifanno alla forma di Stato sociale
delineato dalla Costituzione, in particolare gli artt. 2 e 3 Cost. I pubblici poteri
devono tutelare la salute, quale interesse della collettività, realizzando condizioni di
eguaglianza sostanziale tra i cittadini nei confronti del servizio ma nello stesso
tempo, quale diritto fondamentale dell’individuo, rispettando la dignità e la libertà
della persona umana. Risulta così del tutto inadeguata la concezione, tipica del
periodo liberale, dell’azione pubblica diretta solo ad evitare situazioni di pericolo per
l’incolumità pubblica o a salvaguardare l’igiene, ad eliminare gli stati patologici
senza però implicare un’attività di prevenzione.
L’art. 1 della legge 833 del 1978 dispone infatti che “la Repubblica tutela la salute
come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il
servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel
rispetto della dignità e della libertà della persona umana”.
Questo mutamento di prospettiva o meglio di principi ispiratori determina una serie
di conseguenze, prima fra tutte l’estensione dell’ambito di intervento pubblico, come
puntualmente elenca l’art. 2 della legge indicata, alla “formazione di una moderna
coscienza sanitaria.. la prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di
vita e di lavoro, la diagnosi e la cura degli eventi morbosi… la riabilitazione degli
stati morbosi…la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene
13
Legge n. 386 del 1974
14
Legge n.349 del 1977; D.P.R. n. 616 del 1977
Il diritto alla salute
12
dell’ambiente…l’igiene degli alimenti, delle bevande……la formazione
professionale e permanete”.
In secondo luogo il rimando all’eguaglianza sostanziale dei cittadini fa si che
vengano estese a tutti i cittadini senza distinzioni le prestazioni sanitarie. Il servizio
sanitario, come già affermato dal terzo comma dell’art. 1 della legge sopra citata, è
destinato alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e
psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e
secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio.
Obiettivo che viene realizzato attraverso l’uniformità dei livelli delle prestazioni
sanitarie assicurate sul territorio nazionale e con l’assunzione a carico del bilancio
statale del finanziamento del servizio attraverso la progressiva fiscalizzazione dei
contributi assicurativi. L’art. 57 della legge 833, rubricato infatti “unificazione dei
livelli delle prestazioni sanitarie”, affida al piano sanitario nazionale il compito di
stabilire i tempi e i modi per unificare gradualmente le prestazioni sanitarie già
erogate dai disciolti enti mutualistici, dalle mute aziendali, dagli enti, casse, servizi e
gestioni autonome degli enti previdenziali.
Il piano nazionale ha altresì il compito di attuare l’uniformità nelle condizioni di
salute sul territorio nazionale superando gli squilibri regionali, con particolare
riferimento alle condizioni di arretratezza socio-sanitarie nelle regioni meridionali
15
.
Come stabilito dagli artt. 53 e 55, infatti, il raccordo tra l’azione dello Stato e delle
Regioni è attuato dal piano sanitario nazionale stabilendo gli indirizzi e gli obiettivi
cui devono riferirsi i piani regionali, nonché le norme generali di erogazione delle
prestazioni sanitarie, le procedure e le modalità per le verifiche periodiche dello stato
di attuazione del piano.
Tuttavia il tentativo di realizzare l’eguaglianza tra i cittadini sia in senso soggettivo –
intendendo cioè tutti i cittadini senza distinzione quali destinatari delle prestazioni
sanitarie - sia in senso oggettivo – cioè come prestazioni sanitarie uguali in tutto il
15
Tale obbiettivo affidava alla Riforma il difficile equilibrio fra il rispetto dei poteri riconosciuti dalla
Costituzione alle Regioni, in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera, e la legittimazione offerta a
interventi diretti dello Stato in tale materia dall’esigenza di soddisfare un interesse nazionale. Vedi M.
Cocconi, op. cit., 25; L. Paladin, Diritto Regionale, Padova, 1985, 89.
Il diritto alla salute
13
Paese - sarà una delle cause di fallimento della riforma e del conseguente riordino
della Sanità.
Il progressivo abbandono, nel corso degli anni ’70, di esperienze di programmazione
economica globale prefigurava già nel momento dell’istituzione del Servizio
nazionale la possibilità di una programmazione di settore priva di garanzie sotto il
profilo del finanziamento. Inoltre l’associazione delle Regioni alla formazione della
politica sanitaria nazionale appariva inadeguata in quanto limitata alla presenza
minoritaria di rappresentanti regionali nel Consiglio sanitario Nazionale,organo
consultivo del Governo per l’elaborazione e l’attuazione del Piano nazionale, e non si
estendeva alla determinazione dell’importo del Fondo Sanitario Nazionale.
I fattori che determinarono l’insuccesso della riforma si possono così riassumere
nella mancata attuazione della programmazione di settore, nell’aumento della spesa
pubblica per la sanità, che incide in maniera sempre maggiore sul bilancio,
sull’importanza della legge finanziaria, conseguente all’assenza del piano sanitario
nazionale, con un ruolo determinante nella determinazione dei finanziamenti.
Distorcendo totalmente la logica originaria del disegno del 1978 il controllo della
spesa sanitaria viene perseguito agendo sulle modalità e sui tempi del trasferimento
delle risorse dal centro alla periferia. L’automaticità dei trasferimenti previsti
dall’art. 51 della legge di riforma viene sostituita da accrediti su conti correnti presso
la Tesoreria centrale dello Stato evitando il circuito delle Tesorerie regionali. Inoltre,
una quota dei fondi viene trasferita in base alle effettive necessità delle Usl.
Ne consegue un accentramento delle funzioni di gestione delle risorse finanziarie e
una compressione dei poteri regionali così lontano dall’equilibrio che la riforma ha
tentato di delineare. Si tende, inoltre, ad individuare nel Ministero della Sanità, e non
nelle Regioni, il ruolo di garante dell’osservanza, da parte delle Usl, delle
prescrizioni di carattere finanziario dirette al contenimento della spesa sanitaria. Tale
tendenza ha trovato conferma nei provvedimenti legislativi successivi alla riforma
del 1978, che hanno riconosciuto al Ministero della Sanità la responsabilità di
vigilare sull’impiego della risorse finanziarie da parte dei livelli sub-centrali di
governo, affidandogli l’esercizio di poteri di controllo.