6L’intrusione viene attuata, in special modo, attraverso la televisione, con un flusso continuo di parole e
immagini a cui l’autore francese attribuisce, solo ed esclusivamente, lo scopo di indurre al consumo dei beni.
Nella sua indagine accusa i proprietari dei mezzi di comunicazione di voler realizzare uno scollamento tra la
vita reale di tutti i giorni e quella rappresentata nei media, attraverso la mistificazione dei fatti, non più vissuti
direttamente dalle persone ma ideologicamente raccontati e rappresentati secondo un’ideologia borghese-
consumistica. Accusa ancora i media di volere propinare alla società un modello di vita che fa del possesso
dell’oggetto, qualsiasi oggetto, una realizzazione essenziale per ogni individuo. Stroncato dalla critica ufficiale
al momento della sua uscita, il libro è stato poi notevolmente rivalutato negli anni successivi.
Il Comitato Psicogeografico di Londra, o sedicente tale, confluiva nell’ Internazionale Situazionista senza essere stato
mai fondato, visto che quel ricchissimo giramondo, quale era l’inglese Ralph Rumney, in realtà millantava
l’appartenenza ad un movimento inesistente. In tal modo voleva portare una sua eredità culturale, una propria dote
all’I.S.
Questi e tanti altri protagonisti, riportando e ricreando uno sperimentalismo libero da dogmi e costrizioni di
qualsivoglia natura, sono gli ideatori di una stagione artistica che cerca di evitare l’inevitabile: la morsa del mercato sul
mondo dell’ arte.
Il movimento situazionista dura lo spazio di quindici anni, sino al 1972, quando si dichiara la fine dell’I.S. per
autoscioglimento, deciso dagli ultimi suoi due membri, il francese Guy Debord e l’ italiano Edoardo Sanguinetti.
L’Internazionale Situazionista vuole creare dei nuovi paradigmi per una società più libera dove a predominare siano le
stesse passioni creative e spirituali dell’animo umano. Lo scopo principale che si prefigge il movimento è quello di
“creare delle situazioni” definite come “ momenti di vita concretamente e deliberatamente costruiti mediante
l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di eventi...”. (1)
Queste situazioni quindi si dovevano realizzare all’interno dell’ambiente unitario, concepito come unità fisica, reale,
dove momenti di vita liberi da vecchi condizionamenti culturali e sociali, sottoposti alle sole regole del gioco e del
comportamento ludico, avrebbero creato nuove opportunità creative.
I Situazionisti sviluppano quella che viene chiamata la “Teoria dell’Urbanismo Unitario” che diventa la generatrice del
processo creativo dei nuovi ambienti unitari. Applicando questa teoria provano anche loro a creare l’opera d’arte totale,
al cui processo devono confluire tutte le arti. Si insegue utopisticamente il sogno creativo di altri gruppi artistici che
operarono prima dei situazionisti, come le avanguardie storiche del primo cinquantennio del XX secolo (futurismo,
dadaismo, costruttivismo e surrealismo).
Nello specifico i situazionisti cercano di creare un ambiente reale e concreto, in cui attuare la dimensione ludica della
vita e il libero dispiegamento delle passioni. L’architettura viene usata per ricreare nuovi ambienti per la vita
quotidiana, attraverso la realizzazione di nuovi quartieri tematici o “quartieri stati d’animo”, come li definisce Gilles
Ivan. In termini più comprensibili si prefigura una nuova architettura che attraverso un sapiente gioco di effetti
d’atmosfera dia vita al quartiere dell’allegria, al quartiere della passione, al quartiere della sorpresa, al quartiere del
sogno, al quartiere della paura, in cui vengono esaltati gli stati d’animo più semplici. Ruolo fondamentale viene
ricoperto anche dalla Psicogeografia, che studia gli effetti dello spazio sulla psiche umana.
Dopo i surrealisti negli anni ’20 e ’30 del novecento, i situazionisti sono i primi a tentare una nuova sintesi tra arte e
politica. Lo scopo era quello di utilizzare l’arte per rivoluzionare la politica e quindi la società. E’ questa la prima spinta
ideologica attraverso cui vengono compiute le prime teorizzazioni del movimento.
Rivalutando il concetto di sperimentazione, caro a tutte le avanguardie, l’I.S. ritiene che si debbano combattere le ormai
obsolete idee del Movimento Moderno che in realtà si è arroccato sulla concezione dei fondatori e non si è saputo
rinnovare, rinunciando in pratica alla sperimentazione. Perciò si dichiara antimoderno, ritenendosi contemporaneo alla
propria epoca perché sempre aperto alle realtà in continuo divenire.
.
Queste tesi verranno diffuse attraverso la creazione di un bollettino stampato che prenderà appunto il nome di
Internazionale Situazionista. (2)
Di situazionismo e situazionisti si è parlato tanto e discusso ancora di più. Sono state già analizzate le eredità lasciate
dall’I.S. ai successivi movimenti che hanno operato dopo di esso e che sulla scia della sua fondamentale esperienza
hanno creato e forgiato teorizzazioni più o meno concordanti. Si è parlato tanto, per esempio, di quei gruppi che hanno
dato vita al maggio francese, i quali sono stati ideologicamente ispirati dai situazionisti e fisicamente fomentati.
7Meno, invece, si è parlato delle conseguenze delle elaborazioni teoriche sul lavoro degli architetti radicali che hanno
operato a cavallo degli anni ’60 e ’70 del Novecento. Fra questi ultimi i gruppi fiorentini Archizoom e Superstudio e gli
inglesi Archigram.
Si è parlato poco anche della matrice situazionista che si ritrova nel lavoro di un architetto come Bernard Tschumi,
specialmente nelle sue architetture dell’evento.
Nulla o quasi si è parlato delle conseguenze delle teorie dei situazionisti sul lavoro di quei gruppi di giovani architetti
che operano in Italia in questo momento.
Tutta una serie di collettivi di progettazione noti e meno noti tentano, spesso riuscendovi, una riproposizione delle
ipotesi artistiche situazioniste, dalla Teoria della Deriva all’uso della Psicogeografia per cercare di elaborare una nuova
immagine della città.
La tesi che si sostiene attraverso questo lavoro è quella dello stretto legame che intercorre fra i diversi gruppi sopra
citati e l’internazionale situazionista. Scavando all’interno delle esperienze radicali, di Tschumi e delle odierne
esperienze progettuali italiane, vedremo come l’idea della New Babylon di Constant venga ripresa in più di una fantasia
architettonica, riproposta varie volte in diversi contesti e nelle più diverse concettualizzazioni. Vedremo come l’idea
della costruzione delle situazioni sia divenuta una costante nella ricerca progettuale odierna.
Prima di addentrarci nella storia vera e propria del movimento, cerchiamo di capire, attraverso una serie di definizioni
date dagli stessi situazionisti, come essi si autodefinivano e come definivano le loro principali attività sperimentali. (2)
Situazionista è: “...ciò che si riferisce alla teoria o all’attività pratica di una costruzione di situazioni. Ma anche colui
che si adopera alla costruzione di situazioni e chi è membro dell’Internazionale Situazionista.”
Situazionismo è: “... vocabolo privo di senso, forgiato abusivamente derivandolo dal vocabolo precedente...”
Psicogeografia è: “...studio degli effetti precisi dell’ambiente geografico, disposto coscientemente o meno, che agisce
direttamente sul comportamento effettivo degli individui”.
Psicogeografico è: “ ...relativo alla psicogeografia, ciò che manifesta l’azione diretta dell’ambiente geografico
sull’affettività”.
Urbanismo Unitario è: ”..la teoria dell’insieme d’impiego delle arti e tecniche che concorrono alla costruzione
integrale di un ambiente in legame dinamico con esperienze di comportamento”.
Deriva è :“ ...modo di comportamento sperimentale legato alle condizioni della società urbana: tecnica di passaggio
frettoloso attraverso vari ambienti. Si dice anche, più particolarmente, per designare la durata di un esercizio continuo
di questa esperienza.”
Detournement è: “... spiazzamento di elementi estetici precostituiti. Integrazione di produzioni attuali o passate delle
arti in una costruzione superiore dell’ambiente. In questo senso non vi può essere pittura o musica situazionista, ma un
uso situazionista di questi mezzi. In un senso più primitivo, il detournement all’interno delle antiche sfere culturali è un
metodo di propaganda, che testimonia l’usura e la perdita d’importanza di queste sfere.”
8
9PRINCIPALI TEMI SITUAZIONISTI
I situazionisti volevano rivoluzionare la società e il suo stesso modo di vivere la realtà quotidiana.
Per fare questo si servivano dell’architettura perchè “ l’architettura è il mezzo più semplice per articolare il tempo e lo
spazio, per modellare la realtà, per far sognare.”(3) Cosi afferma Gilles Ivan, pseudonimo di Ivan Chetcheglov, nel suo
Formulario per un Urbanismo Unitario, apparso sul primo numero della rivista Internazionale Situazionista nel 1958.
Ecco di seguito alcuni passaggi: “L’architettura, considerata come il mezzo più semplice di articolare il tempo e lo
spazio, di comporre la realtà e di far sognare, potrà divenire domani il mezzo di conoscenza e di azione possibile, di
modificare le attuali condizioni di tempo e di spazio. Il complesso architettonico sarà modificabile. Il suo aspetto
cambierà in parte o totalmente secondo la volontà degli abitanti.
Nel richiamarsi alla costruzione delle situazioni su cui verrà fondata la futura civiltà, Chetcheglov spiega come
praticamente dovranno sorgere le nuove costruzioni: “ queste avranno un grande potere evocativo; ci saranno edifici
simbolici che rappresenteranno i desideri, le forze, gli avvenimenti passati, presenti e futuri. I quartieri dovranno
corrispondere agli stati d’animo che si susseguono per caso nella vita quotidiana: ci saranno il quartiere strano e
quello della felicità riservato alle abitazioni, il quartiere nobile e tragico per i bambini, il quartiere storico con musei e
scuole, il quartiere utile con ospedali e magazzini per il deposito…L’attività principale degli abitanti sarà una
continua dérive ed il cambiamento di paesaggio di ora in ora condurrà allo spaesamento completo; più tardi, per
l’inevitabile usura di gesti, questa dérive passerà dal campo del vissuto a quello della rappresentazione”.
Questo discorso rivoluzionario era già apparso precedentemente nel bollettino dell’Internazionale Lettrista, chiamato
Potlacht, movimento di cui lo stesso Chetcheglov faceva parte prima di aderire all’I.S.. Attraverso questo discorso si
cerca di creare, d’infondere, quella che potremmo definire un’esperienzialità nel vissuto quotidiano, cioè una forma di
esperienza diretta e partecipata della quotidianità.
Questo discorso costituisce una prima formulazione di quello che diverrà la ricerca delle situazioni, attraverso cui
stimolare e rendere passionale la vita.
E’ un discorso che viene ripreso direttamente dall’avanguardia surrealista. Quando Andrè Breton, leader e teorico del
movimento surrealista, parla di rivoluzione del desiderio per modificare il vissuto quotidiano, intende appunto una vita
alla ricerca della soddisfazione sensuale, da attuare attraverso il sogno e le esperienze inconscie a cui esso sogno ci
conduce. Nel sogno siamo in grado di liberarci dai condizionamenti culturali e dalle inibizioni che possono limitare il
libero dispiegamento della fantasia. In questo modo Breton e compagni concepiscono un non conformismo assoluto(4)
che ritengono possa essere raggiunto solamente in uno stato appunto inconscio.
I situazionisti capovolgono il ragionamento: considerano l’esperienza surrealista valida ma ormai logoro il suo metodo
di attuazione e, soprattutto, non più proponibile nella nuova società europea del dopoguerra. Considerano un limite la
ricerca di una vita passionale solo attraverso l’inconscio, reputando invece valida la ricerca di una vita passionale da
raggiungere direttamente nella realtà quotidiana.
Vedremo più in là nei capitoli seguenti le ulteriori influenze surrealiste, per ora ci soffermiamo sull’Urbanismo unitario.
Conseguentemente alla formulazione del discorso di Chetcheglov, inizia una serrata critica, da parte dell’allora
movimento International Lettriste, sull’urbanistica funzionalista e razionalista, attraverso la ricerca di una forma di
interazione fra spazio urbano e comfort e un loro uso ludico e dinamico.
La Psicogeografia, la Dérive e il Detournament costituiscono le basi filosofiche su cui attuare questo tipo di ricerca.
Ne abbiamo accennato prima, ma ora vediamo più in dettaglio di cosa si tratta.
La psicogeografia è lo studio degli effetti precisi che l’ambiente geografico, coscientemente ordinato o no, esercita
direttamente sul comportamento affettivo degli individui. E’ una pratica anticipata appunto dal movimento
dell’I.L., soprattutto nelle osservazioni del giovane Ivan Gilles (che immaginava un approccio urbano fondato
sull’esperienza vissuta) e poi precisata e sviluppata in modo più approfondito, in seno all’International
Situationiste.
Una delle primissime applicazioni della psicogeografia viene attuata dall’artista franco-marocchino Abdelhafid
Khatib. Questi è autore di un saggio di descrizione psicogeografica del quartiere parigino delle Halles, fino ad
allora caratterizzato dalla presenza di mercati di vario tipo, etnici e non, e di abitazioni popolari. Queste erano
presenze povere e quindi disturbanti, vista la collocazione del quartiere in una zona centrale all’interno della
capitale francese.
Il progetto di rinnovamento urbano, imposto dalle autorità cittadine, prevedeva la demolizione delle abitazioni
popolari e della zona dei mercati, da collocare successivamente in periferia.
Nel saggio di descrizione psicogeogrfica, Khatib ovviamente si oppone alla loro demolizione e propone di
utilizzare i vecchi padiglioni del mercato come piccoli complessi dedicati all’educazione ludica dei lavoratori,
10
esaltando contemporaneamente l’utilizzo corrente dell’intero quartiere, il suo carattere di popolarità e lo
spessore di vita vissuta.
Khatib continua analizzando la mappa delle strade e delle correnti di traffico e gli ingorghi creati dell’enorme
movimento di camion per le operazioni di carico e scarico delle merci, soprattutto durante le ore notturne.
A questo punto dell’analisi divide il quartiere in zone psicogeografiche (individuate e distinte sulla base
dell’uso che se ne fa) e mette in relazioni i diversi percorsi, quelli che la gente fa quotidianamente (le più
diverse categorie di persone), cercando di trovare in essi gli elementi di interesse collettivo al fine di trovare
zone omogenee che possano condurre verso una logica del perdersi urbano.
Questo significa stabilire una dimensione psicogeografica (definita dal danese Asjer Jorn “la fantascienza
dell’urbanistica “) che, tra le tante cose, intende anche andare incontro agli usi e costumi del luogo, senza
cercare di stravolgerne la natura sociale e culturale con progetti calati dall’alto e guidati da politiche
speculative.
Lo strumento fondamentale utilizzato per la ricerca psicogeografica è quello della Dérive.
La Dérive, strettamente legata all’ambito urbano, riveste un ruolo fondamentale nella creazione delle situazioni e nello
studio della psicogeografia, e viene definita come una pratica di spaesamento emotivo, da attuare attraverso
cambiamenti improvvisi d’ambiente.
Debord sosteneva che tale pratica andava estesa a tutte le forme conosciute di rapporti umani, come l’amicizia
e l’amore. Nel praticare tale attività le persone dovevano lasciarsi andare ad un comportamento ludico-
costruttivo, rinunciare alle normali capacità cognitive e concedersi completamente alle sollecitazioni
dell’ambiente e degli eventuali incontri. Come ha notato lo storico Mario Perniola, nel suo saggio critico sul
situazionismo, due aspetti caratterizzano la deriva: uno passivo, che è proprio questo dell’abbandono alle
sollecitazioni ed agli incontri occasionali, ed uno attivo, derivante dalla conoscenza delle variazioni
psicologiche.
La dérive (in francese) o deriva (in italiano) nasce dalle esperienze deambulatorie surrealiste degli anni venti
del Novecento. Operazioni, queste ultime, totalmente arbitrarie, perchè prevedevano il camminare in un luogo
o verso un luogo senza un determinato scopo. La dérive situazionista si differenzia da questa per la ricerca di
situazioni oggettive di interesse o di noia.
In questo camminare alla ricerca delle situazioni, un notevole aiuto poteva arrivare certamente dalla
conformazione fisica del luogo. Più il sito in cui si svolgeva la deriva era in grado di fornire stimoli e
sollecitazioni alla psiche umana, più l’esperienzialità di questo luogo aveva effetti positivi sulla psiche. Sulla
base di questo discorso, la dèrive, applicata all’architettura dei luoghi, porta ad immaginare spazi in continuo
cambiamento, in modo da avere continue e diverse sollecitazioni psichiche. I situazionisti immaginano
abitazioni con pareti divisorie mobili in modo da avere spazi da ingrandire o diminuire a volontà oltre che
trasformabili in altezza.
Nell’organizzazione dell’ambiente attraverso la pratica della deriva, una parte notevole doveva sempre essere
riservata al gioco, “che il funzionalismo e il design industriale cercavano di eliminare”. Gioco a cui invece,
secondo i situazionisti, spettava il compito di spezzare l’isolamento dell’individuo nella società.
Essendo l’attività ludica un momento da condividere (sempre o quasi) con altre persone, un processo
partecipativo, doveva allora servire per affrancare la gran massa della popolazione da un’eccessiva attenzione
mostrata, sino a questo momento, nei confronti della produzione di oggetti banali ed effimeri e dei comfort
della società consumistica.
Il detournement è un altro concetto cardine della pratica prima lettrista e poi situazionista. Nasce infatti in seno al
Movimento lettrista di Isou come stravolgimento delle parole e del senso di un discorso; viene poi ripreso
dall’Internazionale Lettrista e dai situazionisti, che ne rimodulano il significato e ne reindirizzano le finalità
verso il sovvertimento dei valori culturali ed estetici. Il detournament è esso stesso una ripresa del concetto del
“ready-made”dadaista (bell'e fatto), cioè il cambiamento di significato da attribuire all’uso di un oggetto, ma
questa volta ampliato, da parte dei situazionisti, dal campo degli oggetti e della rappresentazione dell’arte al
campo della comunicazione e della pratica quotidiana della vita. Infatti nella pratica dadaista implicitamente
veniva sempre riconosciuto un certo valore all’opera d’arte, anche se deturpata. Marcel Duchamp, uno dei
principali protagonisti della stagione dadaista intorno agli anni venti, attraverso l’attribuzione di un significato
artistico ad un orinatoio (“Fontana”) che diventa in tal modo opera d’arte, compie una deturpazione agli occhi
dei benpensanti, ma allo stesso tempo permette la ri-significazione dello stesso concetto di opera d’arte. La
conseguenza è che stravolge e rivoluziona il significato attribuito abitualmente all’opera d’arte ma ne conserva
i presupposti. I situazionisti cercano di ampliare la prospettiva attraverso quella che chiamano “la perdita
d’importanza del significato originario di ogni singolo elemento autonomo e l’organizzazione di un altro
insieme significante “(5).
11
L’opera d’arte non doveva più essere il singolo elemento autonomo separato ma un insieme di elementi
significanti. Sarebbe stata la stessa vita quotidiana a dover divenire opera d’arte, come luogo simbolo in cui
tutti i possibili elementi divenivano in qualche modo significanti.
Nei detournements situazionisti si assisterà all’appropriazione di significati e strumenti tipicamente borghesi,
come nell’uso dei manifesti pubblicitari e della propaganda per la divulgazione delle idee, ma con una nuova
attribuzione di significato in un contesto diverso ed in una prospettiva rivoluzionaria.
Le prime indagini sul senso del detournament vengono effettuate qualche anno prima, rispetto alla nascita del
situazionismo, in seno all’Internazionale Lettrista di Debord e Ivan, con il Formulario per un Urbanismo Unitario e poi
con l’esplicitazione nel Progetto di abbellimento per la città di Parigi, sempre nei primi anni cinquanta.
Viene proposta una nuova dimensione dell’architettura che porta le persone ad interagire, direttamente e continuamente,
con le strutture provvisorie che la circondano. Tutto questo si evince bene dal testo sul Projet d’embellissements
rationnels de la ville de Paris, apparso sul Potlatch n° 23, bollettino del movimento lettrista, in cui si suggerisce di :
Aprire la metropolitana la notte, dopo il passaggio dei convogli, tenendo i passaggi debolmente illuminati con luci
intermittenti. Con una diversa sistemazione delle scale di sicurezza e la creazione di passerelle dove necessarie, aprire
i tetti di Parigi alla passeggiata. Aprire di notte i giardini pubblici con una illuminazione adatta da permettere la
deriva psicogeografica. Munire tutti i lampioni nelle strade pubbliche di interruttori in modo che il pubblico possa
modificare a suo piacimento le stesse luci.
Per le chiese, sono state avanzate quattro soluzioni differenti, tutte riconosciute valide al fine della sperimentazione: tra
queste verrà scelta la migliore.
Nella formulazione del progetto per Parigi, Debord si dichiara partigiano della distruzione totale di tutti gli edifici
religiosi di tutte le confessioni: “Qu’il n’en reste aucune trace, et qu’on utilise le space”. Gil J. Wolman propone di
conservare le chiese e le strutture di tutti i culti religiosi, di trattarli come edifici ordinari, di farci giocare i bambini.
Michele Bernstein chiede di distruggere parzialmente le chiese in modo tale che le rovine non dichiarino più la loro
precedente destinazione. La soluzione perfetta sarebbe quella di distruggere completamente le chiese e di ricostruirne
le rovine. Jacques Fillon invece propone la trasformazione delle chiese in “case per far paura, utilizzandone gli
ambienti attuali e accentuandone le sensazioni di panico che possono provocare.
Provocatoriamente si pongono contro il Portale di Chartres dichiarando che “la bellezza quando non è una promessa di
felicità, deve essere distrutta”. Gil J.Wolman propone di cambiare le stazioni o sopprimerle, e inoltre: cambiare o
modificare arbitrariamente tutte le indicazioni riguardanti le partenze ( destinazioni ed orari). Questo per favorire la
dériva. Accentuare l’ambiente sonoro nelle stazioni con la diffusione di audio provenienti da altre stazioni.
Soppressione dei cimiteri .Distruzione totale dei cadaveri e di questo genere di ricordi, senza lasciare tracce. Questo
per il messaggio reazionario che trasmettono…. Abolizione dei musei….. Libero accesso illimitato di tutti e tutte alle
prigioni. Possibilità di farvi dei soggiorni turistici….. Nessuna discriminazione tra visitatori e condannati…. Far
cessare l’incretinimento del pubblico a causa degli attuali nomi delle strade. Eliminare i consigli municipali, i nomi
che fanno riferimento alla resistenza, gli Emile e gli Eduard ecc ……..
Una successiva svolta teorica avviene in seguito alla formazione dell’Internazionale Situazionista, durante la terza
Internazionale tenutasi a Monaco di Baviera. In tale momento c’è l’adesione all’I.S. del gruppo tedesco SPUR e si crea
il Bureau de recherches pour un Urbanisme Unitaire, destinato alla progettazione di ambienti unitari, con la diretta
partecipazione di artisti, architetti e sociologi.
Questo ufficio è una diretta filiazione dei quel Beureau de recherches surrealiste nato trent’anni prima in seno al
movimento bretoniano, che aveva il compito di raccogliere il materiale del gruppo.
La di ricerca sull’Urbanismo Unitario diviene centrale nell’I.S., e ciò si evince anche da quanto dice lo stesso Constant:
“… secondo la dichiarazione di Amsterdam, il programma dell’I.S. potrebbe considerarsi fallito se non si realizzasse in
tale attività…attraverso la costruzione di ambienti completi…”.
Bisogna tener conto che l’U.U. non risulta essere una nuova teoria urbanistica ma una critica dell’urbanistica. Così
come la presenza dell’I.S. nel campo dell’arte sperimentale deve essere vista come una critica all’arte sperimentale, la
ricerca sociologica una critica alla sociologia e cosi via. Il tutto inteso come creazione globale di una nuova esistenza.
Non si vuole una reazione al funzionalismo ma il suo superamento, oltre i vantaggi procurati da questo, quali
l’adattamento alle funzioni pratiche, la comodità, l’eliminazione della decorazione eccessiva; in tal modo si cerca di
arrivare a conseguire un ambiente funzionalmente appassionante, con strade di vita reale, atmosfere non abitabili,
scenari da sogno ad occhi aperti.
I situazionisti nell’enunciare tali criteri programmatici dichiarano di essere assolutamente contrari non solo alla
costruzione di nuove chiese ed edifici di culto in genere, ma anche alla loro conservazione: questo perchè sono
rappresentazioni di una società ormai sorpassata ed in via di estinzione; pertanto diventa inutile perpetuare tali
costruzioni in un’epoca funzionalmente diversa.
Propongono inoltre lo sfruttamento degli attuali scenari urbani in senso ludico, così come pretende di realizzare la
pratica della deriva, anche in contemporanea alla costruzione di nuovi spazi.
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Ed è qui che entra in gioco il detournament architettonico, con delle realizzazioni che non siano fisse nel tempo ma
possano continuamente mutare sia a livello di singola unità che di spazio completo.
Vengono prese come riferimento le civiltà del passato, come quella cambogiana e messicana perchè edificarono le loro
città in luoghi climaticamente favorevoli. Questi luoghi erano le foreste vergini, ricchissime di risorse utili all’uomo, ma
anche di spazi in continuo mutamento a causa dell’avanzare impetuoso della vegetazione. In questo modo le città
dell’uomo erano costrette ad un continuo vagare nello spazio alla ricerca di terre libere.
Cosi diventava possibile costruire nuovi quartieri abbandonando quelli vecchi che venivano risucchiati dalla foresta nel
giro di brevissimo tempo. Ciò viene definito da Debord e compagni un matrimonio con la natura più audace di quello
immaginato dallo stesso Frank Lloyd Wright nella sua Città Vivente. L’avanzare continuo della foresta, la lotta
continua per strappare ad essa lo spazio della città condannerebbe quest’ultima ad un perpetuo rinnovamento creativo, e
le persone che vi abitano non sarebbero mai fisse in un dato punto della città, ma costrette a cambiare di continuo le
abitazione e i luoghi d’incontro. In questo stato di continuo cambiamento i situazionisti vedevano la condizione
preferibile per una società creativa, libera dalle abitudini che condizionavano la normale vita urbana. Questo tempo,
libero dalle costrizioni sociali e culturali in continuo mutamento, sarebbe stato dedicato interamente al gioco e alla
creazione di un nuovo spazio ludico.
La teoria della deriva come ricostituzione dell’ambiente umano.
“Una o più persone che si lasciano andare alla deriva rinunciano, per una durata di tempo più o meno lunga, alle
ragioni di spostarsi e di agire che sono loro generalmente abituali, concernenti le relazioni, i lavori e gli svaghi che
sono loro propri, per lasciarsi andare alle sollecitazioni del terreno e degli incontri che vi corrispondono”.(6)
Chombart de Lauwe, scrittore parigino, nel suo Paris e l’agglomeration parisienne del 1952, nota come un quartiere
urbano non è determinato solamente da fattori geografici ed economici, ma anche dalla rappresentazione che ne hanno i
suoi abitanti e quelli degli altri quartieri. Per dimostrare l’angustia degli spazi reali dove ciascuno vive, realizza un
quadro dove sono rappresentati i diversi percorsi di una studentessa che attraversa le vie della città. Per la ragazza la
vera mappa di Parigi potrebbe essere un triangolo che ha come centri nevralgici la Scuola di scienze politiche, il
domicilio e la casa del professore di pianoforte. Ciò evidentemente è in contrasto con la rappresentazione delle mappe
del potere che vedono come luoghi centrali e di snodo delle funzioni i luoghi rappresentativi e decisionali.
Una costruzione geografica che tenga conto di tali singole peculiarità è quella fornita attraverso la tecnica della deriva:
così, oltre a percorrere le vie cittadine in base a uno scopo preciso, si dà importanza al caso che gioca un ruolo
fondamentale nell’osservazione psicogeografica.
Tuttavia, l’attenzione al caso( fortuna, destino, accidente) deve essere valutata con attenzione, vista la naturale tendenza
umana a far prevale le abitudini rispetto alle possibilità creative; fu tale scarsa attenzione, oltre alla mancanza di un
preciso scopo, il motivo, secondo i situazionisti, che portò al fallimento della prima deambulazione surrealista del 1923.
Quattro surrealisti che partirono da una città verso l’aperta campagna non si resero conto di quanto tale avventura
suburbana potesse essere deprimente per il semplice motivo che gli interventi del caso in aperta campagna sono più
scarsi che mai. In questa specifica situazione il caso diventa l’elemento fondamentale ma secondo i situazionisti sarebbe
stato necessario guidarlo all’interno delle infinite sue possibilità.
Nel bollettino omonimo dell’I.S. vengono dati dei consigli pratici che facilitano la deriva situazionista:
alla deriva ci si può andar da soli ma è preferibile la formazione di parecchi piccoli gruppi di due, tre, quattro e anche
cinque persone, magari particolarmente affiatate, che siano giunte ad una stessa presa di coscienza. Questo per
consentire il confronto tra le diverse impressioni avute e permettere delle conclusioni oggettive.
Non è considerato possibile il superamento di dieci persone nel gruppo.
La durata media di una deriva è di una giornata (considerata come intervallo tra due diversi periodi di sonno). Si svolge
secondo tempi fissati deliberatamente od in modo fortuito, durante momenti abbastanza brevi, o, al contrario, durante
parecchi giorni senza interruzione. Alcune derive si sono prolungate per tre o quattro giorni ed anche più, senza
soluzione di continuità nonostante la necessità di dormire.
L’influenza delle variazioni climatiche non è determinante se non nel caso di piogge prolungate, che le impediscono
quasi del tutto; ma temporali ed altre precipitazioni sono piuttosto propizi. Il campo di azione della deriva può essere
più o meno definito a seconda che miri allo studio di un terreno o a risultati affettivi spaesanti. L’uso del taxi può essere
particolarmente indicato se vogliamo percorrere un certo tratto di città oppure se vogliamo seguire solo una determinata
direzione per un certo tempo, poiché permette di conseguire risultati relativi ad uno spaesamento personale. se invece
13
andiamo all’esplorazione diretta di un terreno vuol dire che privilegiamo un tipo di ricerca di urbanismo
psicogeografico.
L’estensione massima su cui attuare la deriva può essere una città o le sue periferie, la minima anche solo una piccola
unità d’ambiente, come un solo quartiere o anche un solo isolato. Viene proposto anche un estremo di deriva
consistente nella permanenza statica per un’intera giornata all’interno della stazione metropolitana di Saint Lazare, nella
città di Parigi.
L’esplorazione di uno spazio presuppone l’avere stabilito delle basi e l’aver calcolato la direzione delle penetrazioni. In
seguito alla percorrenza degli spazi ci si concentra nello studio delle normali mappe geografiche, eventuali mappe
ecologiche e quindi la creazione di quelle psicogeografiche, che sono la rettifica ed il miglioramento delle prime.
Ma ecco un altra modalità di deriva:
“...il soggetto viene pregato di recarsi da solo ad una certa ora in un certo luogo che gli viene fissato. E’ slegato dai
penosi obblighi di un appuntamento normale, perchè non ha nessuno da aspettare. Tuttavia, poichè questo
appuntamento possibile lo ha condotto inaspettatamente in un luogo che può conoscere o meno, ne osserva i dintorni.
Contemporaneamente potrebbe essere stato dato un altro appuntamento possibile, nello stesso luogo, a qualcuno di
cui egli non può prevedere l’identità. Può anche non averlo mai visto, fatto che induce ad attaccare discorso con
diversi passanti. Può non trovare nessuno o anche, per caso, chi ha fissato l’appuntamento possibile. In ogni caso, e
sopratutto se il luogo e l’ora sono stati ben scelti, l’uso del tempo del soggetto prenderà una piega imprevista. Può
persino chiedere per telefono un altro appuntamento possibile a qualcuno che ignori dove il primo appuntamento si è
svolto. Appaiono evidenti le risorse quasi infinite di questo passatempo.”(7)
Un'altra modalità ancora è quella di introdursi nottetempo nei piani delle case in demolizione per studiarne gli spazi,
oppure percorrere Parigi in autostop durante uno sciopero dei mezzi pubblici senza fermarsi, con il pretesto di aggravare
la confusione, facendosi trasportare in un luogo qualsiasi, o ancora errare nel sottosuolo delle catacombe proibite al
pubblico. Tutti questi sono modi per attuare delle derive in cui la funzione del gioco è fondamentale.
Seguendo tali eventuali percorsi, si creano nuove mappe psicogeografiche, con l’aiuto delle vecchie mappe geografiche,
in modo tale che possano diventare, per cosi dire, influenzali, capaci cioè di modificare la percezione dello spazio,
dell’architettura e dell’urbanistica. Dall’utilizzo di queste nuove mappe chiunque poteva trovare il percorso del taxi che
seguiva una direzione senza un preciso motivo e ripeterlo o inventarne uno proprio partendo da esso; chiunque poteva
leggere i luoghi in cui si trovavano i palazzi in demolizione senza che a questi si fosse in grado di attribuire i normali
elementi di interesse, da quello storico a quello architettonico.
Rientra in questo tipo di discorso situazionista immaginare la creazione di nuove forme di architettura che partono da
quella del labirinto, giudicata la più adatta alla deriva, ma una forma labirintica sviluppabile nelle diverse direzioni,
come il progetto di casa elicoidale che si voleva realizzava a New York “...dove gli alloggi avranno la forma di una
fetta di torta. Potranno venire ingranditi o diminuiti a volontà attraverso lo spostamento delle pareti mobili. La
suddivisione in semipiani evita di limitare il numero di stanze poichè l’affittuario può chiedere di utilizzare la fetta
seguente immediatamente sopra o sotto quella che già abita. Questo sistema permette di trasformare in sei ore tre
appartamenti di quattro stanze in un appartamento di dodici stanze o più.”
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La polemica con i “ vecchi “ funzionalisti.
I situazionisti, in prima istanza, volevano costruire delle città, che essi ritenevano essere l’ambiente adatto al
dispiegarsi illimitato di nuove passioni.
Per fare questo attuarono una serrata critica a quella che passava per essere la vera architettura moderna del periodo,
l’architettura funzionalista e razionalista del movimento moderno. Quest’ultima era un’idea di architettura che si
rifaceva agli insegnamenti impartiti nel Bauhaus, la scuola tedesca che ha segnato la storia dell’architettura moderna.
La scuola fu poi chiusa dai nazisti. Nel Bauhaus nasce un’idea di architettura funzionalista e razionalista che basa tutti i
suoi criteri costruttivi e le sue regole di realizzazione solamente sulla fredda razionalità e sulla corrispondenza tra forma
e funzione. Questa del Bauhaus è un’idea di architettura basata sulle proporzioni del corpo umano e sulle strette
necessità di movimento di questo. E’ così che nasce l’idea di una casa-macchina da abitare, teorizzata dall’architetto
franco-svizzero Le Corbusier. Tutta questa idea di architettura è fortemente avversata dai situazionisti.
Il programma dell’Urbanisme Unitaire infatti si oppone ad una visione del mondo dell’architettura cosi funzionalmente
rigida, anche se vengono riconosciuti dei grandi meriti rivoluzionari a Le Corbusier, per il rinnovamento da lui
introdotto nell’architettura nella prima metà del ‘900.
Nel suo lavoro Le Corbusier tiene conto, in particolar modo, delle esigenze dell’industria e dei suoi sistemi di
produzione seriale. Dalla produzione in serie infatti nascono progetti come La Machine Habité e l’Unité d’Habitation,
che i situazionisti considerano i suoi maggiori contributi all’architettura. Ma tali contributi erano ormai considerati
superati dai situazionisti. Era necessario portarsi avanti rispetto a tali posizioni.
Nel loro programma i situazionisti fanno riferimento pubblicamente ad un’idea di sintesi fra arte e tecnica che deve
necessariamente corrispondere allo stile di vita delle persone e non solamente alle sue misure fisiche.
Al contrario Le Corbusier, secondo i situazionisti, ha la volontà di voler armonizzare universalmente un modo di vita
cristiano e capitalistico considerato sfrontatamente come immutabile.
Già in Potlatch, Constant, Debord e gli altri, pubblicano articoli di condanna alle tesi dell’architetto franco-svizzero: il
suo progetto di Città Radiosa viene considerata come il prototipo per caserme di abitazione in cemento armato adatte
alla struttura socio politica odierna. “Le Corbu” viene considerato “..irresponsabile costruttore di unità di abitazioni, di
ghetti verticali, di celle mortuarie, di chiese, semplicemente seguendo le direttive della polizia.” All’interno dei suoi
progetti di città “... la vita diviene conclusa in isolette chiuse, distribuite in comunità sorvegliate, dove le possibilità di
incontro e di rivolta sono inattuabili; è cominciata la rassegnazione automatica e l’alienazione. Si deve essere ben
sciocchi per riconoscere in queste opere l’architettura moderna.”
Maquette del Plan Voisin, Le Corbusier, 1925 Immagine del progetto della Ville Radieuse, Le Corbusier, 1933.
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Unité d’Habitation, Marsiglia 1947-1952, Le Corbusier
Ma non è solo l’architetto dell’Unité d’Habitation il bersaglio dell’I.S.
E’ dei primi anni ’50 l’aspra polemica tra il situazionista Asjer Jorn e l’architetto concertista Max Bill, una polemica
che è la continuazione della lotta verbale tra i situazionisti e quello che considerano un vecchio modo di vedere
l’architettura, quale era l’impostazione che Bill voleva dare come direttore della nuova scuola di architettura di Ulm.
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Questa polemica sarà uno dei motivi che favoriranno la nascita, prima del MIBI (Movimento per una Bauhaus
Immaginista) e poi dell’I.S.
Ma vediamo nel dettaglio come si svolgono i fatti.
Nel 1953 viene data occasione all’architetto concretista Max Bill, allievo di Walter Gropius, di fondare la nuova
Bauhaus(8) con le stesse finalità della scuola di Weimar (prima) e di Dessau (poi), riproponendone le stesse posizioni in
modo più radicale. La finalità era quella dell’inserimento dell’arte e dell’artista nel ciclo di produzione dell’economia
industriale, attraverso la riproposizione del ruolo che storicamente ha avuto l’artigiano.
Nella scuola di Ulm l’impostazione generale era, per finalità e scopi, la stessa del Bauhaus, ma si differenziava
fondamentalmente nel metodo d’insegnamento, essendo state escluse materie come la pittura, le ricerche nel campo
dell’immagine, della fantasia, dei segni, sostituite da un’istruzione puramente tecnica di industrial design, architettura e
urbanistica. La finalità era quella di realizzare un’università della forma e della funzione, che avesse il culto esclusivo
dell’estetica e dell’utilità, con un’assoluta enfatizzazione degli strumenti scientifici e matematici. Questa era
l’impostazione didattica della Scuola di Ulm che voleva essere la continuazione di quella ben più famosa dove avevano
insegnato Paul Klee e Vasilij Kandinskij (il Bauhaus).
Asjer Jorn si scaglia violentemente contro questa prospettiva istituzionalizzante e di sistema. Dapprima, appena saputa
la notizia delle intenzioni della ricostituzione della scuola tedesca sull’esempio del vecchio Bauhaus, cerca un piano di
collaborazione con l’architetto svizzero, offrendogli il suo apporto artistico. Successivamente, vedendosi rifiutata la
collaborazione, cerca di opporgli una nuova strategia.
Dal nosocomio di Neuchatel, , in Svizzera, dove si trovava per una brutta infezione virale, chiama a raccolta, attraverso
comunicazioni epistolari, gli artisti internazionali. L’intento era quello di contrapporgli un’organizzazione
internazionale di ricerche sul campo dell’immagine e della fantasia. Fra i primi ad aderire all’iniziativa ci sarà il
Movimento di Pittura Nucleare(9) di Milano, di cui fanno parte Enrico Baj, Sergio D’Angelo e Joe Colombo, oltre ad
alcuni componenti dell’ ormai disciolto gruppo CoBrA .
Cosi’ ad Albisola Marina, nell’estate del 1954, si tengono i primi “Incontri Internazionali della Ceramica”, a cui
partecipano Fontana, Baj, D’Angelo, Scanavino, Appel, Corneille, Matta, Jorn, Koeing, Giguere e Jaguer.
Determinante, per la riuscita del progetto, sarà l’incontro avuto da Jorn con il pittore sperimentale Pinot Gallizio con cui
nascerà un intensa e proficua collaborazione.
Gallizio era un farmacista prestato alla pittura; praticava un espressionismo astratto molto personale e sperimentava
l’uso dei più diversi materiali e supporti. Usava resine, colori ad olio ed aniline alimentari mescolate con sabbia,
carbone, ruggini e limature di ferro applicate su supporti diversi, come legno, carta e masonite.
Del 1954 è il primo quaderno del movimento, con l’importante testo di Jorn dal titolo “Immagine e Forma”. La
pubblicazione riflette sul significato dei termini dati dal funzionalismo. L’autore dice: “ oggi è necessario un nuovo
Bauhaus che sappia riunire tutte le esperienze delle arti libere secondo un’ esperienza di soggettività collettiva , qual è
la concezione odierna dell’individuo”. Per Jorn è anche naturale che tale nuova prospettivaparta dall’Italia “… che in
questo momento ha l’architettura più libera ed avanzata d’Europa, che ha come punte di diamante, il programma della
rivista Spazio diretta da Luigi Moretti(10), ed il Movimento Spaziale di Ettore Sottsass “.
Secondo il MIBI, l’architettura doveva quindi creare degli ambienti che non fossero solamente luoghi in cui svolgere
delle funzioni, per quanto utili potessero essere, ma capaci di sollecitare le forme di espressività e passionalità umana
sotto tutti i punti di vista. Questo stimolo passionale doveva avvenire attraverso la sollecitazione della vista, del tatto,
dell’udito e finanche dell’olfatto.
In seguito all’instaurarsi di tutti questi contatti tra il danese Asjer Jorn e i vari personaggi su citati, nasce il 9 settembre
del 1955 il Laboratorio Sperimentale del Movimento per una Bauhaus Immaginista.
L’atto di fondazione è firmato da Giuseppe Gallizio, Asjer Jorn e Pietro Simondo, ed ha come finalità quella di
promuovere la libertà di sperimentazione nel campo artistico.
A loro si uniranno, come detto, il pittore Enrico Baj del Movimento di Pittura Nucleare dove si pratica l’indagine
automatica; l’architetto Ettore Sottsass jr.(11),, che attua una ricerca sperimentale verso nuove forme nell’architettura;
Walter Olmo, con la ricerca nel campo musicale che immagina un’interazione tra la musica e il tempo.
Dal maggio ’56 tutti questi artisti assumono la comune posizione antifunzionalista nella ricerca di una “ nuova
architettura per la vita”. Da questo momento il Laboratorio Sperimentale per una Bauhaus Immaginista diventa un vero
e proprio Movimento per una Bauhaus Immaginista. Il congresso fondativo del MIBI si tiene al municipio di Alba dal
2 all’8 settembre 1956, sul modello degli incontri internazionali del movimento CoBrA, e sarà accompagnato da una
mostra del Laboratorio Sperimentale di Alba con opere di Jorn, Gallizio, Simondo, Constant, Rada, Kotic, Wolman,
Garelli. Viene posto al centro il problema dell’utilizzazione “autre” della tecnica da parte dell’artista libero, in
contrapposizione al designer che è invece al servizio dell’industria.
Le discussioni sfociano nelle interessanti operazioni di Pittura Industriale del Gallizio e nell’Urbanisme Unitarie.
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In seguito ci sarà l’adesione al Mibi dell’organizzazione francese International Lettriste, di Guy Debord e Michele
Bernstin, nata da una costola del Movimento Lettrista.
Grazie anche a quest’ultima adesione, il movimento si avviava verso un nuovo corso che avrebbe generato nuove forme
d’arte, di architettura e di comportamento.
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La Pittura Industriale di Giuseppe “Pinot” Gallizio.
La sua prima tela, lunga 68 m. e alta 75 cm., rappresentava per lui stesso l’estensibilità concreta del gesto, del fluire del
colore oltre i limiti del quadro, e cercava di provocare un avvolgimento tra uomo ed ambiente.
Si tratta dell’uscita della pittura nell’ambiente. La tecnica, pur rientrando nell’informale, è certamente “ trascesa dalla
definizione situazionista di un nuovo concetto politico e quantitativo di produzione, tale da inflazionare il mercato
artistico, fino al superamento dell’arte.” (M.Bandini)
Metri, decine di metri, chilometri di pittura da tagliare per farne tappeti, abiti, decorare tavoli, ambienti, divani, per
essere usata, consumata, vissuta e distrutta in comportamenti collettivi: questa era la pittura industriale.
E’quella che lo storico dell’arte Maurizio Calvesi definisce il quadro totale della sua esperienza artistica, in cui
molteplici aspetti, gesti, comportamenti di Gallizio, si fondono nel suo essere chimico, enologo, archeologo, capo degli
zingari e tante altre cose. Il disprezzo del pittore per l’organizzazione gerarchica della società va a confluire in una
fiducia verso l’irrazionale (vero strumento di progresso) che porterà ad “ un mondo peggiore ma liberato” (Gallizio).
La prima esposizione di pittura industriale viene organizzata nel 1958 alla galleria Notizie di Torino.
Il pittore sarebbe arrivato alla mostra con un taxi e, una volta sceso, sarebbe entrato nella galleria camminando su di un
percorso di pittura industriale srotolato dalla porta fin sul marciapiede… ”ma peinture, je marche dessous”.
Tre grossi rotoli di 70, 14 e 12 metri vengono esposti srotolati e appesi alle pareti. Indossatrici si muovono lungo il
percorso della mostra con vestiti di pittura. L’unità dell’ambiente propugnata dall’Urbanisme Unitaire veniva attuata
rivestendo le pareti con la pittura che si allungava e pendeva davanti ai visitatori. Fra le varie curiosità appariva anche il
Terminofono di Walter Olmo, apparecchio musicale che emetteva suoni musicali variabili a seconda della diversa
distanza dei visitatori.
In questo modo i situazionisti attuano un’antipittura, in un’operazione che è anche detournement della gallerie d’arte
dove si svolge la mostra, dei critici d’arte che vi partecipano e dei collezionisti e artisti.
Nella relazione di presentazione della mostra, Michele Bernstein, compagna di Guy Debord, dice:
“ La pittura a metri è originale, la sua vendita avviene all’aria aperta, dai piccoli negozi ai grandi magazzini...non ci
sono più problemi di dimensione perché la tela è tagliata sotto gli occhi dell’acquirente soddisfatto...non più temi
metafisici, non più ingannevoli riproduzioni di capolavori eterni, non più inaugurazioni...non più pittori...”.
Un altro esempio fondamentale di utilizzo della Pittura Industriale è quella del 1959 alla galleria Renè Drouin di Parigi,
a quel tempo una delle più importanti d’Europa. Si trattava della prima realizzazione pratica di quell’ambiente unitario
proposto nel programma dell’Urbanismo Unitario.
La Caverna dell’Antimateria, questo il nome dell’ambiente, doveva rappresentare la sintesi delle arti tante volte
ricercata dai movimenti artistici di avanguardia. C’era il ricorso alla pittura, divenuta pittura industriale, che ricopriva
interamente le pareti, il soffitto ed il pavimento della Caverna; ed anche il ricorso alla sorgente sonora, attraverso il
Terminofono, strumento di Walter Olmo che rilasciava diverse qualità e intensità di suono a seconda della vicinanza del
visitatore alle diverse zone dell’ambiente.
Si voleva creare un ambiente in cui fosse possibile uno scambio di energia chimica, biologica e psichica con lo
spettatore, dove anche l’esperienza olfattiva potesse rivestire un ruolo importante attraverso l’impiego di resine
profumate a base di erbe naturali. L’ambiente viene fatto con pittura automatizzata e disintegrata, e descritto come
imprevedibile per toni e contrasti di colori:
“l’aroma resinoso vi porterà in un ambiente irreale, un sottosfondo musicale creerà l’atmosfera ansiosa di un mondo
in formazione...”(12)