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Introduzione
Questo lavoro nasce dalla partecipazione ad un progetto di ricerca sviluppato dal
Professor Maurizio Brasini, presso l'Università degli studi dell' Aquila.
Tale progetto mira a testare la sensibilità dello strumento AIMIT, al di fuori del
contesto per cui è stato propriamente costruito, dando spazio ad eventuali ipotesi di
miglioramento.
L'AIMIT è uno strumento di codifica formulato nel 2008 da Liotti e Monticelli con lo
scopo di rilevare la presenza dei vari Sistemi Motivazionali Interpersonali (SMI) nelle
trascrizioni di sedute di psicoterapia, al fine di migliorare il trattamento del paziente e
l'efficacia dell'intervento del terapeuta.
Il presente lavoro si articola in 3 capitoli:
nel primo capitolo verrà spiegato cosa si intende con Sistemi Motivazionali
Interpersonali e quale sia la loro storia. Per offrire al lettore una panoramica
più completa dell'argomento, sarà riportata sia l'evoluzione del pensiero che ha
permesso di giungere dall'evoluzionismo fino alla Teoria di Liotti, da cui nasce
lo strumento AIMIT, sia la prospettiva di Lichtenberg, quale teoria eziologica
alternativa;
il secondo capitolo analizzerà nel dettaglio il Manuale AIMIT, specificando
cosa indaga e attraverso quali metodi; inoltre per garantire una panoramica più
esauriente verrà descritto brevemente un ulteriore strumento, la SVAM,
anch’esso utilizzato per analizzare i sistemi motivazionali che emergono da
sedute di psicoterapia;
una conoscenza dei fenomeni indagati e dello strumento usato per indagarli,
introducono il terzo capito nel quale verrà riportato il mio contributo
sperimentale. Nel dettaglio mi sono occupata di analizzare trascrizioni tratte da
vari forum, occupandomi in particolare della presenza del Sistema
Motivazionale Interpersonale Sessualità.
L'analisi statistica dei miei dati verrà confrontata con quella degli altri colleghi che si
sono occupati dell'uso dell'Aimit in altri contesti.
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Capitolo 1 I sistemi motivazionali interpersonali (SMI)
I sistemi motivazionali interpersonali sono stati definiti attività mentali complesse e in
gran parte inconsce, che fungono da base per il funzionamento mentale di ogni
individuo. Secondo autori di formazione bowlbiana e di orientamento cognitivo-
evoluzionista, questi sistemi organizzano i comportamenti, supportati dalle
rappresentazioni mentali di se stessi e degli altri (costruite sulla base dei precedenti
vissuti) e delle emozioni (Ducci et al., 2000).
Usando come modello teorico di riferimento questi sistemi è possibile analizzare in
un'unica prospettiva i rapporti fra motivazione, emozioni e comportamenti
interpersonali. Molti autori si sono interessati allo studio dei sistemi motivazionali
interpersonali ed hanno sviluppato una serie di modelli psicopatologici: nel presente
capitolo verranno discussi in particolare quello cognitivo-evoluzionista di Liotti e
quello psicanalitico di Lichtenberg (Liotti, Iannucci, 1993; Liotti, 1996a;
Lichtenberg,1989).
Benché le due teorie li concettualizzino secondo angolazioni e sfumature diverse, non
vi è dubbio che entrambe li collocano all’interno della biologia del sistema nervoso
centrale. A parte questo comune punto di partenza però, i due autori li faranno
discendere da due percorsi diversi: evoluzionista e neurofisiologico per Liotti,
neurobiologico per Lichtenberg.
Secondo Liotti i Sistemi Motivazionali, che si caratterizzano esplicitamente come
interpersonali, oltre ad avere una radice biologica, ne posseggono una evoluzionistica.
Infatti il concetto di SMI è costruito in una zona che si potrebbe definire di “cross-
over”, in cui l’apporto di etologia, neurobiologia evoluzionistica e psicologia si
incontrano e si fondono in una interessante sintesi multidisciplinare.
Nei paragrafi seguenti verrà discussa la base evoluzionistica tanto accreditata da vari
autori (Ellenbergher, 1976; MacLean 1984; Gilbert 1989; Liotti 1994, 2000), il
concetto di motivazione e il suo rapporto con le emozioni, nel tentativo di delineare
quale sia il percorso che conduce all'identificazione dei sistemi motivazionali
interpersonali. Si concluderà poi proprio con i due principali modelli dei sistemi
motivazionali (Lichtenberg, 1989; Liotti, 2008).
1.1 Il fondamento evoluzionistico degli SMI
Nella teoria di Liotti, la nozione di SMI fonda le sue basi sull'evoluzionismo. I modelli
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psicologici sono stati notevolmente influenzati dalle teorie di Darwin: perfino Freud
subì l'influenza delle teorie del naturalista britannico, come ha fatto notare Ellenbergher
(1976) citando, ad esempio, la teoria degli istinti.
La maggior parte delle teorie psicopatologiche sembra però che siano state costruite
trascurando il fatto che gli esseri umani si sono evoluti da altri animali, così come
spesso ignorano l’evoluzione del comportamento sociale e le sue relazioni con la
psicopatologia. Per questo non viene preso in considerazione il fatto che specifici
comportamenti sociali sono l’espressione di soluzioni evoluzionisticamente
determinate. Questo è vero soprattutto per ciò che riguarda la scienza cognitiva: quando
si è sviluppata negli anni Settanta e Ottanta il corpo è stato relegato al ruolo di
“macchina”, che sembra operare, alternativamente, secondo i codici del pensiero e del
comportamento (Ellenbergher, 1976). Lo sviluppo del computer ha poi determinato uno
spostamento degli schemi culturali nella costruzione della relazione mente-corpo: in
questo caso è avvenuta la stessa conseguenza che una certa filosofia del dualismo ha
generato in medicina. Infatti, così come troppo spesso la medicina ha trascurato la
mente, anche molte teorie psicologiche hanno perso di vista il corpo. Questo non
significa sostenere che il divario, spesso paradossale, fra corpo e mente, tra esperienza
soggettiva ed oggettiva, sia facilmente colmabile, al contrario. Tuttavia, molti autori
concordano (Gilbert 1989; Liotti 1994, 2000; MacLean 1984) nell'affermare che il
corpo, con la sua storia evoluzionistica, deve essere considerato lo strumento
fondamentale per la comprensione di alcuni meccanismi mentali e comportamenti che
da essi derivano.
E' possibile tracciare dei punti generali riguardanti l’evoluzione seguendo lo schema
proposto da Gilbert (1989).
Il processo di selezione è centrale per l’evoluzione stessa e consiste nel meccanismo
attraverso cui l’evoluzione opera un cambiamento delle specie. La selezione ha però
bisogno di una serie di alternative tra cui optare. Infatti è necessario che si sviluppino
all’interno di una popolazione delle variazioni genetiche tra gli individui; tali variazioni
devono essere impercettibili, ma significative. Questo permette che la variazione
migliore, cioè quella in grado di massimizzare la sopravvivenza, si affermi sulle altre.
Parlando di comportamenti sociali è evidente che il processo di selezione opera non
solo all’interno di una popolazione, ma entro la popolazione di organismi sociali. Se si
considera quindi il comportamento competitivo, sessuale o di accudimento, vediamo
che il processo evolutivo concentra il suo oggetto di studio sui migliori vantaggi che
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strategie e tattiche di interazione, inter e intraspecifiche, permettono di raggiungere.
Quindi i comportamenti sociali evolvono attraverso tattiche e strategie, le quali servono
a favorire il miglior vantaggio nell’interazione fra gli organismi. E' doveroso però
sottolineare che quanto esposto nelle righe precedenti non respinge l'idea che il più
generale principio evoluzionistico, cioè la variazione, contribuisca al massimo
sfruttamento delle risorse ambientali: quello di cui si vuole discutere in questa sede è
principalmente l'adattamento sociale. Nel sistema nervoso centrale (SNC) vi è l’organo
principale per l’esecuzione di interazioni sociali competenti al fine dell'adattamento: è
infatti attraverso il SNC che si può compiere una strutturazione organizzativa e
l’esecuzione degli atti sociali. Tutto ciò si basa sull'assunto di Gilbert (1989) che
l’adattamento sociale presuppone alcuni meccanismi mentali.
Non tutti gli sviluppi evolutivi sono positivi in senso assoluto: se dovesse cambiare
l’ambiente di riferimento potrebbero trasformarsi in handicap, cioè punti di debolezza
piuttosto che manifestarsi come punti di forza quali sono, proprio perchè sono
altamente specifici e contestualizzati.
Ritornando ad un quadro generale sull'evoluzionistico, Buss (1987) sostiene che
Darwin ha suggerito tre meccanismi selettivi:
1. la selezione naturale: avviene un'evoluzione di elementi che permettono
all’individuo di adattarsi alle caratteristiche fisiche dell’ambiente;
2. competizione intrasessuale: si realizza un'evoluzione di caratteristiche che
permettono all’individuo di essere avvantaggiato nella competizione sessuale;
3. competizione intersessuale: si compie un'evoluzione di caratteristiche in grado
di rendere un individuo maggiormente attraente per gli individui del sesso
opposto.
Spesso insorgono dei conflitti fra queste tre diverse tipologie.
Il successo nella lotta per la sopravvivenza sembra dipendere in larga misura proprio
dall’abilità individuale nel campo della risoluzione di questo conflitto. Darwin basò in
particolare tutta la sua teoria sulla massimizzazione della funzione sessuale: ogni
adattamento evolutivo era al servizio di quella che egli definì la sexual riproductive
fitness (Gilbert, 1989).
Secondo i sostenitori della teoria inclusive fitness la sopravvivenza dell’individuo
attraverso la funzione sessuale non rappresenta l’obiettivo evoluzionisticamente più
importante. Si ritiene infatti che l’obiettivo degli individui sia quello di assicurare la
sopravvivenza del proprio materiale genetico, anche a scapito della propria. Se si
concepisce la sopravvivenza in quest'ottica si spiegano più facilmente le strategie che
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altrimenti risulterebbero incongruenti con un modello fondato esclusivamente
sull’individuo e sulla sua competenza sessuale: ci si riferisce nello specifico alla cura
della prole, alla ricerca di uno status sociale, alla ricerca di aiuto, ma anche ai
comportamenti altruistici e cooperativi.
Il connubio di questi due obiettivi, la sopravvivenza del proprio materiale genetico e la
quella individuale permettono l’evoluzione di alcuni tipi di comportamento sociale
(Gilbert, 1989).
Nonostante queste teorie sociobiologiche appaiano molto affascinanti, è doveroso
utilizzare una certa cautela nella loro applicazione. Infatti è necessario ricordare che,
oltre alla determinazione genetica, l’individuo umano subisce anche la “forza della
cultura” e si caratterizza per una propria psicologia. Queste due importanti istanze
comportano molte varianti nel comportamento sociale rispetto a quello che aveva
inizialmente previsto la inclusive fitness theory. E' innegabile che la cultura offra un
contesto diverso rispetto a quello originariamente previsto per tali predisposizioni, ed è
stato già discusso quanto gli adattamenti evolutivi siano altamente contestualizzati.
Prendendo in considerazione la specifica configurazione psicologica dell'uomo,
bisogna riconoscere che un posto centrale è occupato dalla coscienza. Grazie ad essa
l’individuo possiede una grande flessibilità nel perseguire i suoi obiettivi (in termini di
analisi costi/benefici). Ne deriva che assumono notevole importanza la storia di
apprendimento del soggetto, le sue attitudini ed il particolare ambiente sociale nel quale
è inserito, rispetto alle semplici strategie postulate dalla inclusive fitness theory
considerata singolarmente (ibidem).
Tutto questo per sottolineare nuovamente che non è assolutamente produttivo, oltre che
scientificamente scorretto, nell’analisi del comportamento umano limitarsi ad uno
sterile riduzionismo. Il fatto che gli organismi siano organizzati in base a differenti
livelli di strutturazione e che l’interazione fra questi livelli assume diversi gradi di
complessità è un altro motivo per cui si consiglia cautela nell’applicazione
incondizionata delle teorie sociobiologiche.
Tutto questo permette di ipotizzare che gli individui non si prefissano direttamente
come obiettivo il successo riproduttivo o la sopravvivenza del loro materiale genetico;
piuttosto mirano a questi obiettivi attraverso strategie indirette: ad esempio
accumulando risorse, che possono essere materiali o relazionali. Se questa attività si
realizza favorevolmente allora il successo riproduttivo, e così anche quello della
sopravvivenza del proprio materiale genetico, vengono a seguire (Gilbert, 1989).
Per sintetizzare: gli obiettivi primari e le mète che potremmo specificare come