2
l’Information and Communication Technology (ICT), in sanità definita anche con
il termine di E-he@lt, un modello basato sulle strutture e sugli strumenti che
permettono la condivisione di informazioni strutturate tra operatori sanitari e
l’integrazione di informazioni cliniche, organizzative e amministrative.
L’introduzione e l’evoluzione di ICT in un’organizzazione comporta
inevitabilmente un cambiamento nella struttura organizzativa e nella gestione e
implementazione dei processi organizzativi ed in relazione a ciò vedremo che
diviene fondamentale non procedere per tentativi, ma sarà necessario attuare una
strategia di pianificazione e programmazione per introdurre, gestire e monitorare
le ICT.
Al fine di trovare il giusto equilibrio tra la spinta della tecnologia, che
inevitabilmente conduce all’incremento dei costi della sanità, e le nuove
politiche sanitarie che puntano sulla centralità del paziente diventa necessario
fornirsi di un quadro interpretativo il più completo possibile che vada a toccare
una serie di aspetti cruciali: gli strumenti che le ICT offrono, le reali esigenze
informative delle strutture sanitarie e come le tecnologie informative cercano di
soddisfare tali esigenze, le problematiche organizzative che l’implementazione
di nuovi sistemi informativi comporta, la loro valutazione e monitoraggio
nell’ottica della razionalizzazione delle risorse.
Nella volontà di fornire un supporto all’interpretazione delle problematiche
appena descritte si colloca questo lavoro. Il percorso dello stesso parte da uno
sguardo complessivo sulle questioni relative alla gestione dei flussi informativi
nelle organizzazioni in generale. Solo dopo aver presentato e analizzato le
relazioni tra ICT e processi organizzativi essenziali e aver passato in rassegna le
varie tipologie di sistemi informativi computer based e i sistemi di integrazione
degli stessi, il focus si sposta sull’organizzazione del servizio sanitario italiano
delineandone lo sfondo legislativo su cui esso si fonda, la struttura organizzativa
alla luce del processo di cambiamento degli ultimi decenni, la cosiddetta
“aziendalizzazione” ed i processi organizzativi delle aziende sanitarie per
3
definire così le cornici entro le quali nasce il nuovo fabbisogno informativo in
sanità.
Coniugando ICT e fabbisogno informativo nel terzo capitolo, partendo da una
breve rassegna degli approcci teorici, ci si addentra nell’analisi dei sistemi
informativi adottati nel settore sanitario, illustrandone alcuni come l’Hospital
Resource Planning e l’Enterprise Resource Planning. Nell’ultima parte
l’attenzione si focalizza sulle varie aree (amministrativo-contabile, clinica,
direzionale, relazioni esterne) in cui il sistema informativo sanitario va
realizzato per rispondere a esigenze informative differenti ma non scollegate tra
loro, ed in ultimo si passa ad analizzare il problema della valutazione delle ICT
attraverso il modello dell’He@lt technology assessment.
A conclusione del lavoro si sottolinea l’esigenza che, per soddisfare la nuova e
complessa domanda dei servizi sanitari, bisogna pianificare, programmare e
valutare i processi che portano alla scelta e alla successiva implementazione del
sistema informativo ritenuto più adatto, favorendo e promuovendo
l’integrazione di sistemi informativi differenti.
Il sistema informativo sanitario deve quindi essere unitario ed integrato, pensato
e progettato in un’unica macro-ottica aziendale, al fine di superare il modello
delle “isole informative”, ovvero unità organizzative con propri sistemi
informativi completamente disaggregati e indipendenti dal resto dell’azienda.
Solo una visione unitaria del sistema informativo sanitario permetterà allo stesso
di svolgere il fondamentale ruolo di supporto alla gestione e di strumento
trainante verso il perseguimento dell’efficienza e dell’efficacia nell’offerta di
servizi particolarmente complessi come quelli sanitari.
4
Capitolo primo
Organizzazione e ICT
1. Introduzione
Il rapporto tra tecnologia e organizzazione è tema di ricerca in diverse discipline
ed in campo manageriale ha avuto grande sviluppo, soprattutto nel Regno Unito
e negli Stati Uniti, a partire dal 1950. Ma il continuo processo evolutivo delle
tecnologie affermatosi dagli anni ’90, proponendo accanto alle tecnologie
dell’informazione le tecnologie delle telecomunicazioni, ha fatto si che si
presentassero nuove sfide teoriche ed applicative in materia.
Fondamentalmente si possono ricondurre a due gli aspetti critici del rapporto tra
tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni, e organizzazione
[Martinez 2004]. Il primo è relativo all’ordine di priorità tra le due variabili e
alla dominanza progettuale relativa, ovvero si tratta di trovare una risposta al
quesito: è la tecnologia il punto di partenza cui è subordinato ogni esercizio di
progettazione organizzativa? Oppure la tecnologia è solo uno strumento, per cui
scelte tecnologiche e scelte organizzative sono entrambe subordinate al principio
della razionalità economica?
Il secondo aspetto riguarda invece gli esiti che tale rapporto ha in termini di
soluzioni e forme organizzative. In sostanza ci si chiede se e come i sistemi
informativi favoriscano l’innovazione delle forme organizzative e come
quest’ultima si traduce in una variazione dell’efficacia e dell’efficienza dei
sistemi informativi stessi.
Prima di iniziare ad addentrarci nelle tematiche appena delineate è opportuno
illustrare brevemente, rifacendomi a un consolidato modello di analisi [Markus e
Robey 1988], la gran parte delle teorie e degli approcci che hanno indagato la
relazione fra ICT e forme organizzative. Esse possono essere raggruppate in tre
5
grandi filoni di ricerca: ricerca tecnologica, ricerca organizzativa e ricerca
emergente.
La tradizione di ricerca tecnologica enfatizza il ruolo che le ICT possono
assumere nel determinare la forma organizzativa (una sorta di determinismo
tecnologico) per cui l’assetto organizzativo sarebbe il risultato delle tecnologie
adottate.
La tradizione di ricerca organizzativa sostiene invece che sono le caratteristiche
di una forma organizzativa a condizionare e influenzare lo sviluppo e
l’implementazione delle ICT considerate una scelta di progettazione
organizzativa.
La terza tradizione di ricerca è quella emergente che analizza e spiega, solo ex
post, l’interazione che in pratica si crea fra le tecnologie disponibili e le
caratteristiche sociopolitiche di una forma organizzativa. Dunque, secondo
l’impostazione della ricerca emergente, le ICT creano nuove possibilità per la
progettazione organizzativa, ma si riconosce anche il fatto che tali possibilità
sono mediate da percezioni, decisioni e conoscenze degli utilizzatori di queste
tecnologie. Quindi, secondo tale filone di ricerca l’impatto delle ICT è filtrato
dalle scelte e dai comportamenti più o meno consapevoli delle persone che le
utilizzano.
Quest’ultima corrente di ricerca, quella emergente, sembra essere quello che
meglio copre le lacune dei primi due approcci, tecnologico e organizzativo,
prendendo in considerazione un fattore, quello umano, che non può essere
tralasciato in quanto sono proprio le persone che compongono l’organizzazione,
mediando le ICT, a determinarne spesso il successo o il fallimento.
Sulla scia dell’evidente importanza che il fattore umano ha assunto nella
relazione tra ICT e forme organizzative questo primo capitolo parte dal
presupposto che le persone sono dotate di una limitata capacità di elaborazione
delle informazioni che non permette loro di risolvere problemi complessi
derivanti dal fatto che gli individui agiscono in situazioni d’incertezza, ed è
6
proprio per affrontare elevati livelli d’incertezza che le persone di aggregano in
sistemi sociali e danno vita a particolari forme organizzative.
Partendo dalla razionalità limitata, dalla gestione del flusso informativo per far
fronte all’incertezza e dal passaggio dell’azione individuale in azione collettiva
il capitolo prosegue analizzando i tre processi organizzativi essenziali [Choo
1998] alla base del comportamento organizzativo: processi di “sense making”,
processi di “decision making” e processi di apprendimento (knowing).
Successivamente l’attenzione si sposta sui sistemi informativi e sulle ICT,
illustrandone la tipologia, le funzionalità e l’impatto degli stessi sistemi
informativi sui processi organizzativi essenziali, utili a farci capire in che modo
interagiscono informazioni ed organizzazione. Saranno oggetto d’analisi tre
differenti livelli di sistemi informativi: i Transaction Processing System o
sistemi informativi di livello operativo, i Knowledge Level System utilizzati per
scoprire, organizzare, integrare e diffondere la conoscenza nelle forme
organizzative, ed i Management Level System applicati a supporto dei processi
di sense making e decision making tipici dei ruoli manageriali.
Infine saranno presentati i sistemi più diffusi per l’integrazione dei sistemi
informativi, come l’ERP, e una serie di soluzioni per gestire in maniera integrata
e coerente le strategie volte a governare i flussi informativi all’interno delle
organizzazioni.
2. Individui, informazioni e strutturazione dell’azione collettiva
È risaputo che affinché gli esseri umani possano mettere in atto comportamenti
“razionali” essi cercano di acquisire quante più informazioni così da avere un
quadro il più chiaro possibile delle alternative, degli effetti e delle conseguenze
che tali comportamenti causano. A tal fine gli individui sfruttano la loro capacità
per gestire il flusso informativo. Tale capacità impone l’attivazione di un
7
processo scomponibile in tre fasi: attività di raccolta di input, attività di
elaborazione di tali input e trasmissione o comunicazione di output.
Ovviamente come già sappiamo l’uomo deve fare i conti con alcuni vincoli del
processo di gestione del flusso informativo che gli consentono solo una gestione
ridotta e limitata delle informazioni. Tali limiti sono sia di natura prettamente
biologica sia connessi alla capacità di gestire e “trattare” gli stimoli provenienti
del mondo esterno. A tal proposito ci può essere utile il contributo di March
[1994] che classifica tali vincoli distinguendoli in: problemi di attenzione,
problemi di memoria, problemi di comprensione, problemi di comunicazione. È
evidente comunque che ogni individuo ha una capacità inadeguata e non riesce a
gestire tutte le informazioni teoricamente necessarie (overload informativo) per
la propria decisione.
Alla luce di questi condizionamenti e limiti informativi, Herbert Simon [1947]
ha definito limitata la razionalità che le persone seguono quando prendono
decisioni e mettono in atto comportamenti. Per Simon, come sostiene Martinez
[2004], il modo in cui si decide di mettere in atto un comportamento è vincolato
da limiti che si articolano su tre livelli: il livello informativo, il livello inconscio
e il livello sociale. In tal modo ogni comportamento appare il risultato di un
compromesso derivante dall’incrocio delle diverse spinte. Tale compromesso,
assodato che la razionalità è limitata, non sarà la soluzione ottimale, così come
non potranno esserlo gli obiettivi perseguiti e accettati; si spiega in tal modo il
fatto che gli individui accettino soluzioni ritenute soddisfacenti rispetto alle
aspettative di partenza.
Per vari motivi, come abbiamo visto, l’individuo non può andare alla ricerca
della soluzione ottimale perché si trova ad agire in condizioni di incertezza e
dunque non è in grado di assegnare alle conseguenze delle proprie azioni una
precisa probabilità di accadimento rendendo così la scelta un problema. Ne
deriva che l’incertezza si manifesta attraverso gli specifici problemi che bisogna
affrontare e risolvere.
8
Analizzando i problemi, lo stesso Simon [1960] ne distingue tre tipologie in
base al grado d’incertezza che li caratterizza:
- problemi strutturati;
- problemi non strutturati;
- problemi semistrutturati.
I problemi strutturati sono problemi ripetitivi, risolvibili con una metodologia
predefinita e soluzioni standard già note.
I problemi non strutturati si riferiscono a eventi nuovi o inaspettati che devono
essere risolti ex novo, senza un modello o una procedura guida.
I problemi semistrutturati, com’è facilmente intuibile, sono quelli solo
parzialmente risolvibili mediante il ricorso a una procedura.
Passando adesso a focalizzare l’attenzione sull’informazione, sappiamo che essa
è composta da dati (numeri, simboli e figure) che costituiscono il materiale
grezzo che compone l’informazione stessa.
Le informazioni dunque nascono mediante un’elaborazione dei dati che vengono
selezionati, aggregati, confrontati gli uni con gli altri. Dal punto di vista della
manifestazione fisica, esse spesso si presentano sotto forma di un documento, un
disco, un filmato video ecc. Ma ciò che è fondamentale è quello che si genera
con l’uso delle informazioni, ovvero la conoscenza, anche se in realtà, come
sostengono Davenport e Prusak [1998], essa deriva dall’incontro fra le
informazioni disponibili e le convinzioni, le esperienze, i valori e le regole già
possedute dalle persone.
Dunque le informazioni servono all’uomo per risolvere problemi,cioè le
manifestazioni dell’incertezza. A riguardo Daft e Macintosh [1981] sostengono
che l’incertezza viene fuori dalla differenza fra il volume di informazioni
necessarie per svolgere un’attività e il volume di informazioni già possedute da
un individuo. Tale incertezza, definita più precisamente fabbisogno informativo,
è ciò conduce ad attivare i processi di ricerca delle informazioni. In tale contesto
si inserisce quello che Arrow [1974] definisce il paradosso dell’informazione: è
9
impossibile valutare un’informazione prima di averla acquisita e compresa;
infatti, quello che non si conosce non può essere valutato e per comprendere il
valore di un’informazione occorre averla già acquisita e quindi avere sostenuto
il costo della sua ricerca, raccolta e acquisto.
Tornando alla razionalità limitata, c’è da dire che essa è la spiegazione per cui si
sviluppa un’azione organizzativa collettiva rivolta ad affrontare (problem
facing) e risolvere (problem solving) i problemi in situazioni di incertezza.
L’esito di tale aggregazione degli individui sono le diverse forme di
organizzazione in cui gli individui stessi si appropriano di un sistema di
conoscenze e di esperienze che è superiore al proprio e che si manifesta
attraverso procedure, routine, ruoli, strutture, linguaggi, valori condivisi
[Martinez 2004]. Quindi la modalità di funzionamento di tali organizzazione
rappresenta un’azione organizzativa collettiva che conduce al raggiungimento di
specifici obiettivi e alla soddisfazione delle esigenze individuali, ciò implica
così che un’organizzazione diventi attore organizzativo cioè titolare di un
comportamento.
Tale processo attraverso cui gli individui, aggregandosi in organizzazioni,
realizzano strutture (regole, convenzioni, ruoli, norme di comportamento) che
influenzano e condizionano il comportamento degli stessi individui è definito
processo di strutturazione.
Affidandoci a ciò che sostiene il sociologo Anthony Giddens [1976; 1979; 1984]
ritenendo che i comportamenti individuali non possono non tener conto del
contesto sociale all’interno del quale si sviluppano ci è più semplice capire
perché la relazione tra persone e strutture sociali sia definita dallo stesso
Giddens duale: sono le persone che, con il loro comportamento creano le
strutture sociali, ma le strutture sociali a loro volta danno significato e forma alle
azioni delle persone.
Per comprendere e studiare dunque tali strutture sociali create dagli individui
Martinez [2004] suggerisce tre dimensioni: il significato, ovvero la loro capacità
10
di fornire schemi d’interpretazione con cui attribuire significato ai
comportamenti e agli eventi; il potere, relativo alla capacità di decidere come si
ripartiscono le risorse fra gli individui; la legittimazione, ovvero la loro capacità
di regolare con norme, comportamenti premiando quelli “corretti” e sanzionando
quelli impropri.
Per analizzare invece il comportamento delle persone in un contesto
organizzativo, così come consolidato negli studi sociali, si è soliti distinguere
quattro livelli di analisi: l’individuo, il gruppo, l’azienda, il network [Mercurio e
Testa 2000].
Il comportamento delle singole persone le une con le altre e con le strutture
sociali collettive si considera tipico del livello di analisi individuale [Martinez
2004]. Il gruppo invece si presenta come un’unità di analisi di ordine superiore
che evidenzia come un insieme di più persone interagisca e coordini il proprio
comportamento per raggiungere un obiettivo [Daft 2001]. Poi il livello azienda
si riferisce invece ad un insieme di gruppi aggregati con vari criteri e
accomunati da una valenza distintiva comune di carattere giuridico-economico.
Il network infine si riferisce a sua volta ad un insieme di aziende che scambiano,
condividono e mettono in comune risorse scarse [Martinez 2004].
Riprendendo la relazione duale di Giddens sembra essere coerente affermare che
individuo, gruppo, azienda e network possono essere considerati sia strutture
sociali sia attori organizzativi ed è ovvio che tutti gli attori organizzativi
interagiscono tra di loro. Tali relazioni possono essere analizzate secondo due
prospettive [De Vita 2000]: la prospettiva intra-organizzativa e la prospettiva
interorganizzativa.
Adottare un punto di vista intraorganizzativo significa prendere in esame come
all’interno di un gruppo, di un’azienda, di un network interagiscono fra loro gli
attori che lo compongono.
11
Scegliere invece una prospettiva interorganizzativa significa valutare come un
attore collettivo interagisce con altri attori per costituire un sistema organizzato
di regole sociali di ordine superiore.
C’è da dire inoltre che ogni attore organizzativo elabora poi una particolare
rappresentazione del sistema sociale di riferimento definito come sistema di
business (business system). Esso deriva da un’attività di selezione, simile a
quella individuale, dell’attore organizzativo che percepisce ed interpreta come
rilevanti per la sua sopravvivenza e sviluppo lo svolgimento di alcune attività.
L’insieme di queste attività, determinanti per l’organizzazione, può essere
scomposto in quelli che vengono definiti da Choo, i tre processi organizzativi
essenziali:
- processi di “sense making” con cui si dà un significato ai problemi e agli
eventi che si osservano;
- processi di “decision making” o di decisione che servono a scegliere il
comportamento da adottare;
- processi di apprendimento (knowing) con cui si formano i primi due e
con cui si valuta se il risultato del proprio comportamento ha prodotto
gli esiti desiderati.
3. I processi organizzativi essenziali e l’approccio Information Processing
View
3.1 Il dare senso dell’organizzazione: processi di sense making
Come già anticipato, i processi di sense making si riferiscono a tutti quei
componenti (cognitivi, relazionali, interpretativi) che un attore organizzativo
adotta per comprendere e dare un significato al business system. Come sostenuto
da Martinez [2004], per comprendere a pieno tali processi risulta semplicistica e
poco corretta l’interpretazione meccanicistica del rapporto tra business system e
attore organizzativo, ovvero una relazione di causa (stimolo) ed effetto (risposta-
12
azione). La relazione è invece dinamica e viene definita di risposta circolare: nel
momento stesso in cui un attore reagisce ad uno stimolo e mette in atto un
comportamento, contemporaneamente modifica il contesto dal quale proviene lo
stimolo.
Sappiamo che per dare senso all’ambiente esterno un attore organizzativo si
affida alle proprie percezioni collettive su sé stesso e sul suo sistema di business
che si sviluppano e si consolidano mediante un processo retroattivo che Weick
[1979] ha denominato “enactment” (attivazione e/o rappresentazione).
L’enactment costituisce la prima delle tre fasi, secondo la scomposizione dello
stesso Weick, di un tipico processo di sense making. Le altre due fasi sono
quella di selezione e quella di memorizzazione.
La prima fase, di enactment, si avvia dal momento in cui si notano dei
cambiamenti o delle discordanze rispetto alla propria esperienza che conducono
l’attore organizzativo ad eseguire azioni rivolte da “attivare” il contesto per
avere il cosiddetto “materiale grezzo”, cioè dati e informazioni ambigue e
stimolanti cui dare un significato nella fase successiva.
Nella fase di selezione, i dati emersi dall’azione di enactment vengono
selezionati in funzione della loro coerenza con gli obiettivi e gli interessi di un
attore organizzativo. Infine, nella fase di memorizzazione si archiviano le
informazioni e le esperienze effettuate attivando i processi di knowing e si
definiscono le conoscenze di base su cui si costruiranno le successive fasi di
rappresentazione del contesto.
Ancora Weick [1995], sui processi di sense making, ne distingue due tipologie:
quelli fondati sulle convinzioni e quelli fondati sull’azione. I processi di sense
making fondati sulle convinzioni si basano o sul confronto o sulle aspettative.
Il confronto si attiva quando gli attori organizzativi, partendo ciascuno dalle
proprie convinzioni, sviluppano, presentano, paragonano e valutano le diverse
posizioni e prospettive, quando significati e frames, ovvero “cornici mentali”,
preesistenti non sono coerenti tra di loro. Se, invece, significati e frames sono
13
coerenti tra loro l’interpretazione si basa sulle aspettative; in tal caso le
convinzioni preesistenti guidano la selezione delle informazioni chiave e la
scelta delle possibili interpretazioni.
I processi di sense making fondati sull’azione, invece, possono basarsi o sulla
giustificazione o sulla manipolazione. La giustificazione avviene quando un
attore organizzativo giustifica, dandogli significato, il comportamento già
attuato. Nella manipolazione gli attori intervengono direttamente sul proprio
contesto per dargli un significato. Comunque in tutti i sottoprocessi di sense
making l’obiettivo dell’attore organizzativo è sempre lo stesso, ovvero ridurre
l’ambiguità e l’incertezza.
È interessante notare che un ruolo fondamentale nei processi di sense making è
svolto dagli individui che hanno una posizione di confine, definita di bandary
spanning [Jemison 1984; Scott 1992], delle organizzazioni. Infatti a risultare
determinanti sono le capacità di giudizio e la percezione di tali individui.
Come già anticipato in precedenza, nel momento in cui l’uomo è esposto a
stimoli esterni diventa fondamentale per l’interpretazione degli stessi la sua
percezione.
Volendo dare una definizione della percezione, essa può essere intesa come un
processo psicologico attivo nel quale gli stimoli sono selezionati e organizzati in
modo significativo. A tal proposito Martinez [2004] sostiene che la percezione
è influenzata da numerosi fattori, raggruppabili in tre categorie: le caratteristiche
del soggetto che percepisce, le caratteristiche dell’oggetto o evento che viene
percepito e la situazione in cui si realizza la percezione.
Inoltre, nell’evidenziare l’importanza del ruolo dei processi di sense making
svolti nelle organizzazioni è utile notare come essi contribuiscono a creare una
struttura collettiva di significati condivisi e persistenti attraverso la quale l’attore
dispone di una “griglia di lettura” già precostituita cui fare riferimento per
attribuire un significato al contesto esterno e che rappresenta una sorta di
“programmazione mentale collettiva” [Hofstede 1980]. Ad esempio nell’azienda
14
l’insieme dei significati condivisi viene definito sovrastruttura, cioè il modo in
cui si compone quella che viene chiamata la sua cultura aziendale.
3.2 Il decidere organizzativo: processi di decision making
La teoria della razionalità limitata evidenzia come le decisioni siano assunte in
condizioni di incompletezza informativa e sotto la pressione esercitata da
specifici vincoli. Naturalmente al momento della decisione gli attori
organizzativi possono decidere in modo differente. Sono almeno quattro le
diverse tipologie di processi di decision making [Martinez 2004] che
caratterizzano un attore organizzativo:
- processi decisionali standardizzati;
- processi decisionali politici;
- processi decisionali incrementali;
- processi decisionali anarchici.
C’è da dire, prima di analizzare i vari tipi di processi decisionali, che molti
comportamenti sono l’esito della conformità a regole, norme, procedure, routine
e consuetudini riconosciute come valide, appropriate e legittime e che quindi
vengono date per scontate, secondo quella che si definisce logica
dell’appropriatezza [March e Olsen 1989].
I processi decisionali standardizzati non implicano la ricerca di nuove risposte,
ma traggono vantaggio da risposte già elaborate in precedenza da altri attori
successivamente codificate in standard: procedure operative, norme o regole
sociali e sono proprio tali standard a fornire modelli di comportamento utili per
rendere più efficiente ed efficace il processo decisionale degli individui e
facilitare, di conseguenza, il conseguimento dei loro obiettivi [Simon 1947].
Alcuni standard, definiti procedure operative (Standard Operative Procedure,
SOP) spesso vengono utilizzate dagli attori organizzativi che reagiscono a stimoli
esterni attivando programmi d’azione già pronti.
15
Cyert e March [1963] hanno individuato una classificazione delle più comuni
SOP in: procedure di esecuzione dei compiti; procedure di archiviazione e
reporting; procedure di gestione delle informazioni; procedure di pianificazione
e programmazione. Vediamo le differenze tra le diverse procedure.
Le procedure di esecuzione dei compiti indicano ad un attore organizzativo
come svolgere le proprie attività (stabilire il prezzo di un prodotto, analizzare il
mercato, riorganizzare un’impresa, ecc.).
Le procedure di archiviazione e reporting sono applicate invece per monitorare e
controllare come sono state svolte le attività (procedure contabili e di analisi
economico-finanziaria di un’impresa).
Le procedure di gestione delle informazioni, come osserveremo meglio più
avanti, servono invece a formalizzare il modo in cui sono gestiti i flussi
informativi delle organizzazioni.
Le procedure di pianificazione e programmazione, infine, sono utilizzate per
gestire e distribuire le risorse a disposizione di un attore organizzativo (sistemi
di budgeting, di selezione e valutazione del personale).
Sappiamo che non esistono solo le SOP e che l’attore organizzativo può anche
fare affidamento a regole sociali o a norme giuridiche che gli consentono di
identificare con precisione i comportamenti considerati legittimi e appropriati in
quella specifica situazione.
Comunque, il contesto delineato finora non si riferisce solo agli individui, ma
anche gruppi, aziende e network sono immersi (embedded) in insiemi di regole,
di principi deontologici, di criteri di legittimità che ne definiscono in termini
normativi le modalità di funzionamento e i criteri di successo e che essi tendono
ad incorporare.
In relazione a ciò il processo attraverso cui le relazioni sociali e i modelli di
comportamento si trasformano in regole e norme per gli attori organizzativi
viene definito istituzionalizzazione [Lanzalaco 1995]. Ritornando alla
standardizzazione delle procedure è interessante notare che l’adozione e la