7
spiega con la necessità di conciliare il bisogno di semplificazione delle strutture
aziendali con quello opposto di gestire una maggiore complessità d’impresa.
Quest’ultima si manifesta sia in termini di estensione del business, diventato globale
nelle catene di fornitura e nei canali di vendita, che di livello di interazione fra
soggetti diversi, i quali in vario modo concorrono alla determinazione del valore
aggiunto del prodotto. Si realizza, quindi, un paradosso sistemico: le esigenze di
bilancio hanno costretto le imprese a contrarre le proprie strutture e, nel frattempo,
il business si è globalizzato. Il problema è oggi quello di gestire la rete, ramificatasi
al punto da coinvolgere una molteplicità di imprese medio-piccole. Esse operano in
modo autonomo, con proprie strutture, ma devono coordinarsi nelle azioni e
sincronizzarsi nei tempi di esecuzione.
La contraddizione fra snellimento delle strutture e gestione della maggiore
complessità pare, dunque, risolvibile soltanto con l’introduzione di un più elevato
livello di tecnologia ed i nuovi sistemi di gestione sembrano tenere conto delle
mutate esigenze aziendali. Assumono importanza, in questo contesto, le soluzioni
integrate per la gestione aziendale di tipo ERP che hanno registrato un vero e
proprio boom di installazioni nei grandi gruppi industriali e commerciali
internazionali. Si tratta di sistemi a copertura di tutte le aree d’impresa -
dall’amministrazione alla produzione ed alla logistica - che si prefiggono una
gestione aziendale distribuita a sostegno del decentramento operativo, pur
mantenendo uno stretto controllo delle attività; sono, inoltre, aperti ai diversi
collegamenti in rete.
In tempi molto recenti, la soglia di convenienza per l’introduzione in azienda
delle soluzioni ERP si sta notevolmente abbassando e si registrano casi di
implementazione anche nelle piccole e medie imprese. La consapevolezza circa
l’attenzione riportata in territorio italiano, “patria delle PMI”, verso le soluzioni
integrate sta alla base del presente lavoro di ricerca, condotto con l’intento di far
luce, almeno in parte, sia sul fronte descrittivo di questo nuovo prodotto informatico
8
che sulla sua potenziale sovrapposizione al modello industriale reticolare nostrano.
Ovvero, una volta illustrati i tratti distintivi di questo package, l’intento sarà quello
di capire in quali realtà aziendali ed in che misura esso contribuisce al
mantenimento o, addirittura, alla creazione di vantaggio competitivo. Ciò consentirà
di valutare il grado di compatibilità del pacchetto gestionale integrato alla
flessibilità del sistema reticolare, punto di forza della formula imprenditoriale del
Nordest italiano. A tal fine, è stato opportuno distinguere due parti, la prima delle
quali dedicata ad un approfondimento teorico dell’argomento e la seconda
all’esposizione di alcuni casi aziendali di implementazione di ERP.
Il capitolo primo analizza le tematiche relative alla gestione della conoscenza
in azienda ed al supporto fornito, oggi come ieri, dalla tecnologia informatica alla
produzione di valore; in queste pagine trovano trattazione sia i sistemi informativi
tradizionali che i nuovi strumenti di ‘knowledge management’. Il capitolo secondo
riporta le tappe dell’evoluzione storica propria dei singoli sistemi informativi
funzionali, ovvero quelli di produzione, della logistica, commerciale e di marketing,
finanziario, di amministrazione e controllo, e del personale. Il contenuto di questo
capitolo è utile allo scopo di rappresentare il panorama del software aziendale
antecedente l’avvento delle soluzioni integrate, cioè per comprendere come erano e
sono articolati i gestionali che stanno per essere sostituiti dagli ERP in un numero
sempre crescente di imprese. Il capitolo terzo, dunque, entra nel merito dei sistemi
gestionali integrati analizzandone requisiti, condizioni, difficoltà implementative,
possibili integrazioni e impatti, nonché un’esauriente fotografia della situazione di
mercato. Il primo paragrafo, nello specifico, è incentrato sulla definizione
generalmente accolta di ERP, seguita dal tentativo di collocazione del prodotto
nella transizione in corso da tecnologie dell’elaborazione e della trasmissione dei
dati in forma strutturata a tecnologie del coordinamento e della comunicazione fra
persone; un ERP, dunque, da posizionare più o meno vicino ai sistemi esperti e, di
converso, più o meno assimilabile ai connettori di intelligenza distribuita. Il capitolo
9
quarto inquadra il gestionale integrato nell’ambito della piccola e media azienda,
dopo aver delineato gli aspetti salienti del tessuto imprenditoriale italiano. In esso
vengono esposti, inoltre, l’evoluzione organizzativa ed informatica tipica
dell’impresa di dimensioni ridotte e, più in generale, il rapporto di quest’ultima con
l’Information Technology. Anche per il midmarket nostrano, in aggiunta, è fornita
una fotografia della situazione del business registrata dagli integrati.
La parte seconda si apre col capitolo quinto dedicato ad una breve
presentazione della software house tedesca SAP AG e del suo prodotto R/3, un ERP
di fama internazionale. Tale introduzione è resa indispensabile dal fatto che tutti i
casi aziendali analizzati riguardano l’implementazione di R/3, appunto. Il capitolo
sesto espone, dunque, i singoli casi riguardanti imprese localizzate nella Terza
Italia; dallo studio di essi si è cercato di ricavare non soltanto un’analisi descrittiva
dei processi di implementazione, pure degna di nota, bensì anche degli impatti avuti
sull’organizzazione, sui processi di business e sulla suddivisione delle competenze
interne. Non sono stati trascurati nemmeno i disagi cui le aziende hanno dovuto far
fronte durante e dopo l’adozione dello specifico software integrato. Le
considerazioni in merito ai risultati della ricerca rientrano nel capitolo settimo, a
conclusione del presente lavoro. Il principale quesito che si intende soddisfare
riguarda, come già anticipato, il grado di compatibilità esistente fra il modello
imprenditoriale di successo della tipica impresa del Nordest e quello industriale
sottostante l’analisi e lo sviluppo di un sistema ERP. La quantificazione di tale
livello di affinità è ritenuta condizione imprescindibile al fine di individuare in che
misura l’azienda media debba far ricorso sia al sistema gestionale integrato che a
strumenti aggiuntivi per il presidio di quanto sfugge all’elaborazione strutturata
delle informazioni. Lo scopo è, dunque, quello di fornire un tramite per orientarsi al
meglio nell’economia dei sistemi informativi aziendali. Certo, l’analisi condotta su
un campione composto da soli cinque casi non può avere la pretesa di essere
rappresentativa di tutto l’universo aziendale di riferimento. Ma può giungere
10
ugualmente all’identificazione di pochi e inconfutabili elementi da utilizzare per
segnare un tracciato, al di fuori del quale è plausibile ritenere non sia garantito il
buon esito dell’adozione di una soluzione integrata.
11
CAPITOLO 1
GESTIONE DELLA CONOSCENZA E INFORMATICA AZIENDALE
1.1 CAPITALISMO RETICOLARE E CONOSCENZA: LA SFIDA PER L’ECONOMIA ITALIANA
La raccolta, l’elaborazione, lo scambio e l’archiviazione dei dati al fine di produrre e
distribuire informazioni
1
sono, ormai, tipiche attività aziendali; il risultato di tale
impegno è costituito da un patrimonio di conoscenza
2
, di capacità sociali di
sperimentare ed apprendere. I fenomeni di interesse per l’attuale impresa sono in
continuo aumento e ciò genera maggiore complessità
3
nell’esplicazione delle attività
appena richiamate. Recenti indagini e ricerche, realizzate su un campione di imprese
nazionali ed internazionali più evolute, illustrano alcune tendenze generali emergenti
che caratterizzano i bisogni informativi e di trattamento dati
4
. Relativamente alla
situazione italiana emergono alcune tendenze.
1) Si registra una crescita dimensionale che interessa la maggior parte delle
imprese, consentita dalla positiva situazione economica in atto da molti anni. Il
consolidamento di piccole imprese ne ha costituite di medie; quelle che si potevano
già classificare come tali sono diventate grandi e quelle che appartenevano a questa
categoria si sono ulteriormente ampliate. Pur con delle eccezioni, tale propensione
1
I dati rappresentano la materia prima grezza con cui si producono le informazioni; in altri termini i dati sono una
rappresentazione oggettiva della realtà, mentre le informazioni sono prodotte per un destinatario che intende utilizzarle
per scopi specifici (Camussone, 1990).
2
La conoscenza è caratterizzata da una maggiore generalità rispetto al dato: non riguarda la descrizione di un esemplare
specifico, bensì la descrizione delle proprietà di intere classi. La conoscenza relativa ad una classe può, quindi, essere
applicata a tutti gli esemplari che compongono la classe medesima (Camussone, 1994).
3
La teoria dei sistemi definisce, dato un soggetto di riferimento, la complessità come:
- il grado di varianza esprimibile da un fenomeno, ossia il numero di casi possibili che si presentano distinti nel
senso di qualitativamente differenti per aspetti significativi;
- il grado di indeterminazione (non conoscenza, non controllo) con cui si presentano le sue varianti rispetto al
soggetto.
4
Camussone, 1994.
12
risulta confermata da aggregazioni e fusioni di più imprese registratesi recentemente
in alcuni settori economici.
2) Si verifica un marcato processo di internazionalizzazione delle imprese.
Aziende che prima operavano in un contesto nazionale vengono sempre più
coinvolte nella competizione internazionale, non solo in veste di esportatrici di
prodotti finiti, ma anche come soggetti che avviano attività produttive o commerciali
in paesi stranieri. C’è, però, da registrare soprattutto un processo di globalizzazione,
che non è sinonimo di internazionalizzazione. Tale distinzione semantica evidenzia
la discontinuità intervenuta fra due epoche differenti: il fordismo ed il postfordismo;
non essendo ancora completamente avvenuto il passaggio a quest’ultimo, si segnala
la compresenza di forme diverse, tipiche di ciascuno dei due. Il termine
“internazionalizzazione” presuppone un mondo organizzato secondo i canoni del
modello fordista e riguardava un gruppo ristretto delle maggiori imprese che si
espandono all’estero
5
. La “globalizzazione”, invece, è propria di un’epoca di crisi del
fordismo e di prima sperimentazione di relazioni postfordiste. La tecnologia ha
annullato le distanze anche per imprese di piccola e media dimensione:
l’internazionalizzazione si ri-definisce in senso postfordista, trasformandosi da
fenomeno di élite a fenomeno di massa e coinvolgendo l’economia nella sua
interezza
6
; ciò verrà più ampiamente trattato nel capitolo dedicato alla piccola e
media impresa.
3) Si manifesta un’esigenza di “multidimensionalità” nel controllo delle
attività operative. Molte imprese operano in più di un mercato, proponendo più linee
di prodotto, facendo capo a più unità produttive, ... . Non risulta sufficiente, in tali
condizioni, un controllo globale dei risultati economici; non ci si può nemmeno
fermare ad una disgregazione di tali esiti secondo dimensioni prestabilite. Gli
5
Grandinetti e Rullani, 1994.
13
operatori aziendali, infatti, necessitano della combinazione di più dimensioni di
analisi e della comparazione in termini di efficienza di più unità produttive. Il
reperimento di informazioni analitiche è l’attuale richiesta, che prende il posto prima
occupato dalla sintesi economica, ora non più esaustiva.
4) Aumenta la richiesta di tempestività nella conoscenza dei fenomeni
aziendali. Tale esigenza deriva dalla crescente dinamicità del contesto economico
caratterizzante la situazione attuale; la disponibilità in tempi relativamente brevi di
sintesi infra-annuali sull’andamento economico delle attività dell’impresa risulta
oggi irrinunciabile. La molteplicità delle imprese desidera prendere visione, con
frequenza perfino mensile, dei principali valori economici emergenti dalla propria
attività; a tal fine, si provvede alla redazione di rendiconti economici provvisori
mensili o trimestrali. Questi risultati devono essere disponibili entro pochi giorni dal
termine del periodo al quale si riferiscono. L’articolazione del sistema contabile è
tanto più complessa quanto più la struttura aziendale risulta estesa, sia in senso
orizzontale che in quello verticale. L’articolazione è massima qualora l’impresa
disponga di molteplici unità operative dislocate in ambiti geografici diversi; vi sarà,
in questa situazione, la compresenza di più sistemi contabili per la gestione, ciascuno
dei quali conforme alle esigenze specifiche dell’unità locale cui compete. Tali
distinti sistemi dovranno, però, disporre di alcuni requisiti, che sono:
a. l’integrabilità, allo scopo di consentire il consolidamento dei risultati economici;
b. l’allineamento, per ottenere sintesi temporalmente allineate, e
c. la tempestività, al fine di far pervenire i rendiconti con un ritardo accettabile
rispetto al periodo di riferimento.
6
Grandinetti e Rullani, 1996.
14
5) Si avverte l’esigenza di rappresentare sempre più fedelmente la realtà
d’impresa. La mole consistente di operazioni amministrative e l’esigenza di
maggiore tempestività nell’ottenimento dei risultati non possono esistere a scapito
della precisione nella riproduzione dei fenomeni aziendali. Negli ultimi anni si è
sviluppata, al contrario, una propensione verso la maggiore fedeltà possibile da
perseguire nella descrizione dei fatti rilevanti. Questa maggiore fedeltà si realizza
parallelamente ad una crescente analiticità, nonché puntualità, delle rilevazioni.
6) Si è in presenza di una richiesta di sistemi amministrativi facilmente
modificabili per adeguarli alle variazioni del contesto in cui si muove l’impresa. Un
sistema giudicato eccellente sulla base delle attuali necessità può risultare, dopo
qualche anno, inefficace o, addirittura, un ostacolo all’espansione aziendale, qualora
non possa essere adeguato alle subentrate esigenze. Nei casi in cui sia possibile,
l’adeguamento del sistema deve risultare agevole e non comportare onerosi processi
burocratici (come, ad esempio, la stesura di una nuova modulistica, lo studio di
nuove procedure manuali, un’ulteriore formazione del personale impiegatizio e così
via). L’ideale sarebbe che l’intervento di manutenzione toccasse le logiche di
contabilizzazione o di trattamento amministrativo di un’operazione, modificando il
meno possibile il rapporto tra la componente umana ed il sistema amministrativo.
7) Non è più possibile ignorare l’esigenza di presidio dei dialoghi fra
operatori economici distinti espressa dalle piccole e medie imprese italiane. Per
comprendere a fondo tale realtà è bene paragonare la grande azienda, emblema del
fordismo, ad una grande sfera, all’interno della quale rientrano le innumerevoli
operazioni eseguite autonomamente; va da sé che i legami con l’ambiente esterno
saranno limitati ai pochi fornitori a monte ed ai pochi clienti a valle. Al contrario, la
piccola-media impresa è assimilabile ad un minuscolo globo attorno al quale ruotano
molti fornitori e clienti che interagiscono con esso. Da tale diversa configurazione
15
derivano due distinte richieste di governo della conoscenza: la grande impresa
domanda il presidio dei processi aziendali interni ad essa, maggiormente rilevanti
rispetto alle interazioni con l’esterno in una struttura siffatta; la piccola impresa,
invece, avanza la necessità di amministrazione dei dialoghi con altre aziende, sia
amministrativi che di collaborazione e coordinamento.
La compresenza delle tendenze illustrate nei sette punti precedenti genera un
vertiginoso aumento del numero e della complessità delle informazioni delle quali
un’azienda deve attualmente disporre; la maggior parte di questa conoscenza non è
attinente ai rapporti interni alla singola impresa, bensì travalica i confini aziendali
per informare in merito all’intera catena del valore in cui è inserita l’azienda. Si
deve, quindi, operare un monitoraggio non solo sui concorrenti, ma anche sui
fornitori e sui clienti, fino ai “fornitori dei fornitori” ed ai “clienti dei clienti”. La
conoscenza che ne deriva conferisce all’impresa titolare il potere di governare tutto il
flusso di prodotti, servizi e oggetti virtuali che percorre la catena; il possesso
dell’informazione dà la capacità di distinguere fra varianti aventi diversa utilità
7
per
ciascuna azienda e ciò consente di assumere decisioni minimizzandone i relativi
rischi. La conoscenza serve alle imprese come strumento per gestire la complessità
caratterizzante l’attuale contesto economico, al fine di creare valore
8
e vantaggi
competitivi
9
. Per questa via, ci si collega al concetto di strategia
10
, la quale prevede
un uso ampio e selettivo dell’innovazione, che può essere distruggitrice e creatrice
7
Si intende utilità attesa, cioè valore soggettivamente attribuito, secondo una scala di coerenti preferenze, alle
conseguenze associabili ai diversi corsi di azione. Massimizzare l’utilità attesa significa calcolare gli effetti associabili a
ciascuna alternativa di azione e scegliere il corso di eventi cui corrisponde il più elevato apprezzamento in termini di
preferenze soggettive (Rullani, 1996).
8
Il termine valore viene qui utilizzato col significato di utilità.
9
Vantaggio competitivo è una formula con la quale si sintetizzano tutti i fattori che possono offrire qualche vantaggio
nella competizione per la conquista, il mantenimento o l’ampliamento di posizioni di mercato (a un’impresa, a un
distretto industriale, a uno stato). Questa nozione si è proposta all’attenzione di coloro che si occupano di politica
industriale, di gestione aziendale e di politica economica dopo il successo dell’opera di M. Porter, studioso americano di
management (Enciclopedia dell’economia, Garzanti, 1995).
10
Col termine strategia aziendale s’intende l’insieme delle scelte di fondo adottate dall’azienda per conseguire obiettivi
di lungo periodo. Tali scelte si traducono in specifici percorsi strategici (Enciclopedia dell’economia, Garzanti, 1995).
16
allo stesso tempo: è distruggitrice di vecchie tecnologie, di vecchi prodotti e creatrice
di nuove tecnologie, di nuovi prodotti.
L’odierna pressione competitiva, che si esercita a tutti i livelli della catena del
valore, costringe le imprese italiane ad accelerare il ritmo di innovazione; le
tradizionali scelte strategiche non sono più sufficienti e, in alcuni casi, risultano
perfino errate. La strategia di leadership di costo, intrapresa dall’azienda con lo
scopo di divenire il produttore a più basso costo nel settore in cui essa opera, può
essere efficacemente adottata solo qualora non comporti una parallela riduzione della
varietà e della variabilità dei propri prodotti; in caso contrario, l’azienda sarebbe
privata della capacità di rispondere ad un mercato sempre più imprevedibile e
complesso. Altre due strategie di base rappresentano, al pari della prima, adattamenti
di modesta portata e sono: la differenziazione, con la quale l’impresa mira a darsi
un’immagine che la individui rispetto alle altre o che caratterizzi i suoi prodotti
rendendoli “unici” per alcuni consumatori, e la focalizzazione, ovvero la precisa
individuazione di un determinato segmento di mercato contestualmente ad
un’organizzazione produttiva e di vendita idonea a soddisfare quel segmento
11
. Un
significativo passo avanti nell’attuale competizione, anch’esso però non esauriente,
riguarda la riduzione del time to market ed una maggiore attenzione agli stimoli
provenienti dal mercato; si tratta di una strategia attuabile esaltando le virtù di
flessibilità e differenziazione, di cui molte imprese di dimensioni ridotte riunite a
sistema hanno già dato prova. Far confluire le informazioni dal mercato alla
produzione può attuare la transizione dal modello push a quello pull
12
, conseguendo
contestualmente un considerevole vantaggio in merito alla personalizzazione; il
cliente può, infatti, co-progettare il prodotto o servizio suggerendo gli attributi
desiderati, riducendo così il rischio per l’azienda. Si tratta, in altri termini, del
passaggio da un approccio make and sell a quello sense and respond, paradigma di
11
Rispoli, 1993.
12
Nel modello push la produzione avviene in funzione delle previsioni di mercato, mentre nel modello pull la produzione
risulta “trainata” dalla domanda di mercato, via via che questa si manifesta (Collesei, 1994).
17
forte capacità di ascolto del mercato
13
. Ma nemmeno questa può oggi essere
considerata una soluzione decisiva.
Ciò di cui necessita l’impresa italiana, caratterizzata com’è da ridotte
dimensioni, è di ridurre e, nel tempo, eliminare il gap in termini di investimenti in
conoscenza e di riuso della stessa. Essa deve cimentarsi nel miglioramento
dell’organizzazione delle conoscenze possedute, nella razionalizzazione
dell’esperienza pratica man mano che viene compiuta e nel suo collegamento alle reti
del sapere codificato. Lo sforzo richiesto alle aziende è certamente notevole, ma con
la garanzia di un ritorno dell’investimento altrettanto significativo. Questa strategia
dev’essere perseguita con la convinzione che si tratti di uno strumento per cogliere a
pieno le opportunità offerte dalla globalizzazione. Il cambiamento può prendere le
mosse dal ridisegno delle reti di fornitura e di distribuzione, compiendo il passaggio
dalle reti brevi (realizzate in base a contatti diretti o all’appartenenza allo stesso
ambiente) alle reti lunghe (nelle quali i contatti diretti sono ragionevolmente limitati
dalla distanza e gli ambienti di appartenenza sono diversi); ciò implica la
delocalizzazione di alcuni nodi delle attuali catene. I distretti industriali
14
, tipica
realtà italiana, devono modificare il proprio modus operandi liberandosi
dall’identificazione coi sistemi chiusi, proiettati all’esterno solo dal lato delle
vendite; la concorrenza globale impone loro di divenire transnazionali anche nelle
attività che stanno a monte della catena del valore. Essi dovranno acquisire l’abilità
di comprimere la distanza fra i vari nodi della rete costruendo modalità di interazione
in real time. In tal modo, le decisioni vengono assunte interattivamente; un ruolo da
13
Studio del Gartner group.
14
I distretti industriali sono aree industriali che presentano particolari caratteristiche spaziali, economiche e sociali. I
principali elementi distintivi del distretto industriale sono: a)un ambito territoriale abbastanza ristretto, ben connesso da
vie di comunicazione interne; b)una popolazione di famiglie che vive e, perlopiù, lavora in tale ambito; c)una
popolazione di imprese manifatturiere piccole e/o medio-piccole, indipendenti le une dalle altre e operanti
prevalentemente nel territorio: popolazione composta da gruppi di imprese, ognuno specializzato in qualche fase del
processo produttivo complessivamente caratterizzante il distretto; d)una rete di relazioni commerciali con l’esterno, per
l’acquisto di materie prime ed ausiliarie e di macchine e, soprattutto, per la vendita dei prodotti “tipici” del distretto;
e)una specifica “cultura” e una propria “rete istituzionale”, risultanti da un processo storico di adattamento reciproco fra
le condizioni di riproduzione sociale e quelle di competitività esterna del distretto; f)di conseguenza, un’immagine
18
protagonista viene riservato, quindi, alle tecnologie della comunicazione e alla
logistica. L’impresa, inoltre, dovrà gestire e dominare le diversità incontrate nel
proprio percorso, optando per un’apertura culturale ed un decentramento strategico
che permetta alle nuove unità costituitesi all’estero di operare autonomamente.
Da quanto finora esposto emerge chiara la necessità di nuovi investimenti in
conoscenza, poiché l’economia postfordista delle reti globali è un sistema che innova
nelle modalità di apprendere, dando vita a inedite forme di divisione del lavoro
cognitivo. Ciò significa che si modificano le modalità di produzione, scambio e
utilizzo delle conoscenze. Il capitalismo reticolare favorisce la specializzazione delle
competenze e dei ruoli, perché nelle reti è possibile ricorrere facilmente ai servizi
esterni, ma anche per motivi cognitivi; essa, infatti, aumenta il rischio
dell’investimento in conoscenza - poiché, accrescendo il numero dei concorrenti e le
loro diversità, destabilizza le posizioni acquisite sui mercati in cui le competenze
vengono utilizzate - e moltiplica il valore delle conoscenze di successo - perché offre
loro un mercato molto ampio di potenziali acquirenti. La situazione che di
conseguenza si delinea rende conveniente da parte delle imprese: a) la focalizzazione
sul core business
15
molto specialistico; b) il ricorso all’outsourcing
16
di rete per tutte
le altre conoscenze di cui si manifesta la necessità; c) l’estensione massima possibile
del bacino di vendita
17
della competenza offerta. Ne deriva che la rete di fornitura a
monte e di distribuzione/assistenza a valle è anche una rete cognitiva, che integra le
competenze specialistiche di diversi produttori. Questi produttori utilizzano la
comunicazione ed i contatti tipici della rete per presidiare la loro interdipendenza,
così da rendere i rapporti affidabili e proficui
18
.
unitaria e dei caratteri tipici, riconosciuti dai membri del distretto e dai loro interlocutori esterni; g)infine, un forte senso
di appartenenza e di identificazione da parte dei componenti (Enciclopedia dell’economia, Garzanti, 1995).
15
Il core business è il nucleo di attività di competenza esclusiva di una determinata impresa (Camussone, 1994).
16
L’outsourcing consiste nell’esternalizzazione di attività che non sono di stretta competenza di un’impresa, la quale
ricorre quindi ad un’altra instaurando con essa un rapporto durevole (Camussone, 1994).
17
Col termine bacino di vendita s’intende l’area territoriale dalla quale provengono i clienti di un determinato prodotto o
servizio (Collesei, 1994).
18
Benedetti e Di Bernardo, 1997.