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Capitolo primo 
 
I SISTEMI ELETTORALI 
 
 
1. Premessa 
 
Si può definire un sistema elettorale come un complesso di regole o una 
combinazione di procedure che influenzano le modalità con cui gli elettori 
esprimono il loro voto, le possibilità che i partiti presenti alle elezioni ottengano o 
meno rappresentanza parlamentare e, infine, le modalità con cui i voti vengono 
tradotti in seggi
1
. Di solito la discussione e le analisi sui sistemi elettorali si 
concentrano in maniera particolare sulla formula di trasformazione dei voti in seggi 
come elemento qualificante per l’esame del suo funzionamento. In generale la 
formula elettorale può essere definita come il meccanismo di trasformazione dei voti 
in seggi con la funzione di interpretare le preferenze elettorali espresse dagli elettori 
sulle schede nell’ambito di un collegio come base per una distribuzione legittima di 
seggi tra i concorrenti. Come si vedrà nel prosieguo dell’analisi, però, un sistema 
elettorale in senso stretto è invece qualificato da una pluralità di variabili in cui la 
formula costituisce solo un elemento importante che agisce in correlazione con le 
altre
2
.   
                                                          
1
Pasquino: I sistemi elettorali,  in Barbera, Amato, Manuale del diritto pubblico, Il mulino, 1984, pag. 375 
 
 
2
 Lanchester: Sistemi elettorali e forma di governo, Il mulino, 1981, pag.43-44 e 98 
 5
La divisione principale all’interno dei sistemi elettorali è fra rappresentanza 
proporzionale e rappresentanza maggioritaria, ma dato che entrambi i criteri 
ammettono una varietà di gradi e di commistioni, la classificazione dei sistemi 
elettorali risulta più complessa. 
Una prima distinzione può essere effettuata sulla base di un criterio statistico-
matematico, in virtù del quale si giunge a distinguere fra: 
a) sistemi maggioritari estremi (quali il plurality sistem adottato dagli inglesi) 
b) sistemi maggioritari corretti (quali il doppio turno alla francese) 
c) sistemi proporzionali estremi (scrutinio di lista in collegi plurinominali e 
utilizzazione dei resti in sede di collegio unico nazionale, o addirittura scrutinio 
di lista in un unico collegio nazionale) 
d) sistemi proporzionali corretti (voto cumulativo, voto limitato, clausole di 
sbarramento, premio di maggioranza). 
Una ulteriore classificazione, sempre sulla base del criterio statistico-matematico, è 
quella che dispone i sistemi elettorali nelle tre categorie dei sistemi maggioritari, 
proporzionali e misti, dove la prima e seconda categoria ricomprendono la prima e 
terza categoria della precedente tipologia, mentre la terza (i sistemi misti) incorpora i 
sistemi maggioritari corretti e proporzionali corretti
3
. 
Da un altro punto di vista, con riferimento  alle formule elettorali, i sistemi elettorali 
possono essere distinti in: 
a)  sistemi che richiedono la maggioranza relativa (formula maggioritaria semplice) 
                                                          
 
3
 Fisichella: Elezioni (sistemi elettorali), in Enc. Dir., Giuffrè, 1970, pag. 649-650 
 
 
 6
b) sistemi che richiedono la maggioranza assoluta o relativa dei suffragi espressi in 
un secondo turno elettorale (formula maggioritaria a doppio turno) 
c) sistemi che attribuiscono i seggi sulla base di una determinata  proporzionalità 
con i voti espressi (formula proporzionale). 
Quest’ultima classificazione
4
 appare la più funzionale in ordine ad un discorso sui 
sistemi elettorali articolato in chiave di scienza costituzionale; ed a questa 
distinzione ci atterremo nel proseguo della trattazione del presente capitolo, 
analizzando quindi ciascuna categoria così individuata per concludere poi con una 
disamina delle influenze che i sistemi elettorali determinano in relazione alla 
rappresentanza ed al sistema di governo.  
                                                          
4
 Pasquino: I sistemi elettorali,  in Barbera, Amato, Manuale del diritto pubblico, Il mulino, 1984, pag. 376 
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2. Il sistema maggioritario ad un turno 
 
Come abbiamo già visto il sistema maggioritario semplice è legato alla formula 
elettorale che richiede, ai fini dell’assegnazione del seggio, la maggioranza relativa 
dei voti. Come può risultare anche da questa brevissima descrizione, questo sistema 
elettorale opera, normalmente,  in circoscrizioni cosiddette uninominali, nelle quali 
cioè viene eletto un solo candidato. In circoscrizioni uninominali la soglia 
percentuale per il conseguimento del seggio può abbassarsi a dismisura, essendo 
funzione del numero dei partiti e/o candidati. Quanto più elevato è il numero dei 
partiti e/o candidati presenti, tanto più bassa è la soglia percentuale alla quale può 
essere vinto il seggio. Dal punto di vista della intensità di attitudine “manipolativa”
5
 
dei sistemi elettorali (che può andare da un massimo di attitudine manipolativa dove 
stanno i sistemi che possiamo convenire di chiamare “forti” poiché intervengono in 
misura rilevante nella determinazione della scelta dell’elettorato, condizionandola e 
per certi versi vincolandola, a un minimo dove stanno i sistemi cosiddetti “deboli” 
che lasciano all’elettore la più ampia libertà di scelta) il sistema maggioritario 
semplice è l’esempio più caratteristico di sistema forte che punta non tanto a 
produrre un Parlamento che rifletta la distribuzione dei voti, ma a produrre un chiaro 
vincitore. Un vincitore a maggioranza relativa è semplicemente chi arriva primo e, 
pertanto, è spesso l’espressione della “maggiore minoranza”, laddove un vincitore 
con maggioranza assoluta rappresenta una vera maggioranza. Pertanto i sistemi 
maggioritari semplici non prestano attenzione alla rappresentanza esatta, ma 
                                                          
5
 Elemento di valutazione e relativa classificazione tratta da Fisichella, Elezioni (sistemi elettorali), Enc. Dir., Giuffrè, 
1970, pag. 650 
 8
favoriscono la sovrarappresentazione dei partiti più forti e penalizzano i più deboli,  
che vengono sottorappresentati. La distorsione  rappresentativa può essere talmente 
accentuata da permettere che un partito “conquisti” il governo pur essendo arrivato 
secondo nel voto popolare. Si sacrifica, quindi, la rappresentatività del Parlamento al 
bisogno di governabilità, di governi efficienti. 
Tipico esempio di sistema maggioritario semplice è il plurality sistem inglese: 
sistema maggioritario a collegio uninominale dove è sufficiente la maggioranza 
relativa dei voti validi perché il candidato sia dichiarato eletto. Le formule elettorali 
di tipo plurality contraddistinguono il mondo anglosassone, in quanto, oltre alla 
Gran Bretagna, esse sono attualmente utilizzate in Canada, Nuova Zelanda, Stati 
Uniti e Sud Africa. Altro elemento importante di questa formula è costituito dal fatto 
che essa è strettamente associata a circoscrizioni uninominali e con scheda elettorale 
che porta il nome e, spesso, ma non necessariamente, l’affiliazione partitica del 
candidato. Come nel tempo ha dimostrato l’esperienza inglese, è stato possibile che 
la maggioranza assoluta dei seggi sia stata conquistata da un partito che non ha 
ottenuto la maggioranza assoluta dei voti oppure che il medesimo risultato sia stato 
raggiunto da uno schieramento che ha ottenuto meno voti del più forte partito di 
opposizione. Esiti che a noi possono risultare sconcertanti ma che la realtà storica, 
culturale anglosassone riesce ad assorbire con sufficiente facilità
6
. 
 
                                                          
6
 Luciani: Il voto e la democrazia, Ed. Riuniti, 1991, pag. 87-89 
 9
 
3. Il sistema maggioritario a doppio turno 
 
Il sistema maggioritario a doppio turno, pur rientrando nella grande categoria dei 
sistemi maggioritari, costituisce  un vero e proprio sistema a se stante.  
Esso si articola in due convocazioni elettorali (a distanza l’una dall’altra di una 
settimana o di quindici giorni), nella prima delle quali si scelgono i candidati che 
potranno poi presentarsi al secondo turno elettorale
7
, nel quale si determinerà chi 
sarà effettivamente eletto. In pratica, esemplificando al massimo, “al primo turno si 
sceglie, al secondo turno si elimina”
8
. 
L’elezione con la formula elettorale in oggetto può avere luogo sia in collegi 
uninominali, ed è l’eventualità più frequente, sia, come si verifica più raramente, in 
collegi plurinominali. Illustriamo ora la meccanica del sistema nei collegi 
uninominali, avvertendo che nei collegi plurinominali il processo meccanico è, 
mutatis mutandis, sostanzialmente analogo. 
 Al primo turno è eletto il candidato che totalizza la maggioranza assoluta dei voti 
validi espressi nel collegio, anche se è del tutto possibile, ma praticamente 
inutilizzato, limitarsi ad un quorum minore. Se nessun candidato ottiene la prescritta 
maggioranza, si procede ad una seconda votazione, di solito una o due settimane  
dopo. L’ammissione al secondo turno può essere variamente regolata. E’ possibile 
che essa sia consentita soltanto ai due candidati che hanno ottenuto il maggior 
                                                          
7
 E’ possibile che non si faccia luogo al secondo turno nel caso in cui nella prima tornata elettorale un candidato 
raggiunga la maggioranza assoluta dei voti validi, in quanto, nel qual caso, risulta immediatamente eletto 
 
8
 Fisichella: Elezioni (sistemi elettorali), Enc. Dir., Giuffrè, pag. 651 
 
 10
numero di voti al primo turno; può inoltre esserne riconosciuto il diritto a tutti i 
candidati che hanno conseguito una certa percentuale di suffragi; infine, a livello 
teorico, può venire ammessa la ripresentazione di tutte le candidature proposte al 
primo turno, senza esclusioni. Nel caso i candidati ammessi al secondo turno siano 
solo due, chi risulterà eletto avrà necessariamente conseguito la maggioranza 
assoluta dei voti validamente espressi, mentre in tutti gli altri casi per essere eletti al 
secondo turno è sufficiente la maggioranza relativa dei voti validi. 
Il sistema  da una parte permette agli elettori di votare due volte, con un intervallo di 
tempo fra il primo ed il secondo voto, e ciò implica la possibilità che gli elettori 
possano consapevolmente riorientare le loro scelte sulla base dei risultati del primo 
turno; dall’altra funge di fatto da riduttore inducendo i candidati meno votati al 
primo turno a ritirarsi, invitando frequentemente i rispettivi elettori a riversare i voti 
sui candidati superstiti di gruppi o di partiti affini. 
Per l’ampiezza dell’arco storico abbracciato, l’esperienza più rilevante e indicativa 
di doppio turno è quella compiuta dalla Francia, la quale ha fruito di tale sistema 
durante il Secondo Impero (dal 1851 al 1870), poi dal 1873 al 1936 (salvo il periodo 
1919-1927), e ne fruisce attualmente, avendolo la Quinta Repubblica riadottato a 
partire dalle elezioni per l’Assemblea Nazionale del 1958.  
Oggi la Quinta Repubblica francese usa il doppio turno sia per l’elezione del 
Presidente che per quella dell’Assemblea Nazionale. Nel primo caso si richiede la 
maggioranza assoluta; perciò, per la corsa presidenziale, sono ammessi al 
ballottaggio soltanto i primi due candidati meglio piazzati al primo turno. Per 
l’Assemblea Nazionale, invece, il secondo turno richiede soltanto un vincitore a 
 11
maggioranza relativa, e molto dipende, quindi, da quanti candidati vi sono ammessi. 
All’inizio la soglia di ammissione fu fissata, in Francia, al sei per cento, ma è stata 
poi gradualmente elevata fino ad arrivare al 12,5 per cento attuale. 
Tornando ad una visione più generale, si può evidenziare come il sistema 
maggioritario a doppio turno consenta all’elettore, al primo turno, la stessa libertà di 
scelta che gli dà il sistema proporzionale, consentendogli di esprimere liberamente la 
sua “prima preferenza”. Questo avviene in quanto il primo turno, a meno che un 
candidato non consegua immediatamente la maggioranza assoluta, funge da 
selezione e non da elezione. Continuando, il secondo turno si svolge generalmente 
due settimane più tardi sulla base dei risultati elettorali del turno precedente: è solo 
in questa fase che l’elettore è indotto o forzato ad esprimere un voto strategico 
incentrato sui possibili vincitori; infatti, un elettore che conosce i risultati del primo 
voto, e che può perciò calcolare le possibilità di vittoria dei candidati rimasti in 
lizza, è sicuramente un elettore impegnato in un “voto razionale”, o comunque 
messo nelle condizioni di comportarsi razionalmente
9
. 
Fondamentale importanza assume la eventuale presenza di una soglia di ammissione 
al secondo turno, in quanto dalla sua presenza e dal livello della stessa dipendono il 
numero dei candidati ammessi al secondo turno e, conseguentemente, i meriti ed i 
vantaggi del sistema in esame. Il doppio turno può definirsi forte quando richiede 
una maggioranza assoluta, e, perciò, quando è associato a collegi uninominali ed al 
ballottaggio; può definirsi forte-debole quando richiede un’alta soglia di ammissione 
al secondo turno (ad esempio l’attuale soglia francese del 12,5 per cento degli 
elettori aventi diritto) e, inversamente, debole-forte quando la soglia di ammissione 
                                                          
9
 Valutazioni di Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, Il mulino, 1994, pag. 78-79 
 12
è relativamente bassa (ad esempio 5-6 per cento); infine, può definirsi debole 
quando non c’è alcuna soglia o il doppio turno opera in collegi plurinominali. 
Con un breve sguardo alla realtà italiana, si evidenzia come il sistema maggioritario 
a doppio turno è stato introdotto per l’elezione diretta dei Sindaci dalla legge 
81/1993. La formula elettorale prevede l’elezione immediata del Sindaco che al 
primo turno consegue la maggioranza assoluta dei suffragi; in assenza di tale 
maggioranza, si procederà ad un secondo turno elettorale (da effettuarsi quindici 
giorni dopo il primo) al quale risulteranno ammessi solo i due candidati che hanno 
ottenuto il maggior numero di voti validi al primo turno. Per l’elezione del Sindaco, 
sarà, quindi, necessaria sempre la maggioranza assoluta dei voti espressi. 
 
 
 13
4. Il sistema proporzionale 
 
Il sistema proporzionale comprende l’insieme delle formule elettorali nelle quali il 
principio comune è che i seggi debbono essere distribuiti ai partiti in proporzione al 
numero o alla percentuale di voti ottenuti e che debbono variare di conseguenza: più 
voti più seggi, meno voti meno seggi. Quindi, tutte le volte che un sistema elettorale 
è chiamato proporzionale ci fa presumere che ci sia un certo ugual rapporto tra voti e 
seggi. Ciò detto, però, il passaggio alla distribuzione dei seggi viene effettuato 
attraverso varianti in vigore nelle varie formule proporzionali, ognuna con una sua 
storia, con sue caratteristiche specifiche, con sue conseguenze determinabili. 
Volendo tracciare un parallelismo
10
 con i sistemi maggioritari, al fine di enucleare i 
riferimenti di base della formula ora in esame, possiamo evidenziare come nei 
sistemi maggioritari il vincitore “prende tutto”, mentre in quelli proporzionali la 
vincita è spartita tra coloro che ricevono una quota sufficiente del voto 
(generalmente, ma non sempre, il c.d. quoziente elettorale). Nei sistemi maggioritari 
la scelta dell’elettore è canalizzata e alla fine ristretta ad una minima alternativa; nei 
sistemi proporzionali gli elettori non sono costretti a concentrare il voto e il loro 
ventaglio di scelta può essere ampio. Ancora, i sistemi maggioritari propongono 
candidati singoli, persone; mentre quelli proporzionali propongono generalmente 
liste di partito. Ma, comunque, ciascun sistema può contenere una grande quantità di 
varianti. 
                                                          
10
 Sartori: Ingegneria costituzionale comparata, Il mulino, 1994, pag. 17-19 
 14
Come già accennato, mentre tutti i sistemi proporzionali si propongono di tradurre in 
proporzione i voti in seggi, essi differiscono nei loro gradi di proporzionalità a 
seconda delle regole di assegnazione dei seggi in concreto adottate. 
Passando all’analisi delle suddette regole, il sistema più puro è il voto singolo 
trasferibile in circoscrizioni plurinominali. Qui, si chiede agli elettori di disporre i 
candidati in ordine di preferenza; ogni voto eccedente il raggiungimento della quota 
(il quoziente elettorale) è riassegnato alle seconde preferenze; poi i candidati meno 
votati sono eliminati e le loro preferenze sono distribuite fino a che tutti i seggi non 
siano stati assegnati. 
Sistemi proporzionali meno puri, e meglio conosciuti
11
, sono: a) il metodo dei “più 
alti resti”, b) il metodo D’Hont o della “più alta media”, c) la formula Saint-Lague. 
Il sistema dei più alti resti (adottato, ad esempio, in Italia per la Camera dei Deputati 
fino al 1993) prevede che un seggio è assegnato per ogni quoziente pieno (stabilito 
dividendo i voti per il numero dei seggi), tutti i seggi rimanenti sono attribuiti ai 
partiti con il più alto numero di voti residui o resti. 
Il metodo della più alta media (D’Hont) è il metodo di gran lunga più usato (in 
Austria, Belgio, Italia fino al 1993 per il Senato, e in diversi altri Paesi) ed è il meno 
proporzionale in quanto tende a favorire i partiti più grandi. La formula D’Hont 
consiste nel dividere i risultati elettorali dei partiti che si sono presentati in una certa 
circoscrizione per la successione dei numeri naturali: 1, 2, 3 e così a seguire fino a 
raggiungere il numero dei seggi da assegnare; i quozienti così ottenuti si situano in 
                                                          
 
11
 Baras, Botella: El sistema electoral, Tecnos, 1996, pag. 187-190 
 15
una tabella: i seggi in competizione saranno attribuiti, in ordine decrescente, ai 
quozienti più alti. 
Infine, il metodo Saint-Lague, usato (in una versione modificata) solo in Svezia e in 
Norvegia, risulta meno proporzionale del sistema dei più alti resti ma più 
proporzionale del metodo della media più alta. Essenzialmente il metodo Saint-
Lague introduce una variante alla formula D’Hont costituita dal fatto che il primo 
denominatore è più elevato: 1,4 e che la distanza fra i denominatori (o divisori) 
successivi è più ampia di quella prevista dalla formula D’Hont. 
Le differenze tra questi sistemi sono, potremmo dire, matematiche. Ma il fattore che 
più determina la proporzionalità o disproporzionalità è la grandezza della 
circoscrizione, dove la grandezza non va misurata né in base alla estensione 
geografica né in base all’entità della popolazione, ma in relazione al numero dei 
seggi in palio. Così, sono circoscrizioni ampie quelle che hanno più di cinque-sette 
seggi e piccole quelle che ne hanno di meno. Quindi, più ampia è la circoscrizione e 
maggiore è la proporzionalità (un’unica circoscrizione nazionale, ad esempio, 
avvicina fortemente alla proporzionalità pura), e, all’inverso, più piccola è la 
circoscrizione minore sarà la proporzionalità (i voti che si collocano al di sotto del 
quoziente o della soglia necessaria per vincere saranno semplicemente perduti)
12
.  
I sistemi proporzionali richiedono circoscrizioni plurinominali, nelle quali si pone 
l’elettore di fronte a liste partitiche di nomi. Queste liste di partito possono essere: a) 
“bloccate”, nel senso che i candidati sono eletti nell’ordine determinato dal partito; 
                                                          
 
12
 Pasquino: I sistemi elettorali, ,  in Barbera, Amato, Manuale del diritto pubblico, Il mulino, 1984, pag. 385-387 
 16
b) “aperte”, nel senso che non c’è un ordine predeterminato e che gli elettori hanno 
la possibilità di esprimere una o più preferenze. A parte il voto di lista, due altre 
possibilità sono la “lista libera” e il “voto limitato”. Nel sistema della lista libera 
l’elettore ha tanti voti quanti sono i candidati da eleggere mentre il voto limitato dà a 
ciascun elettore più di un voto ma meno voti rispetto al numero di persone da 
eleggere. 
 
 
 
4.1. Segue: i correttivi del sistema proporzionale 
 
Volgendo lo sguardo ad una valutazione complessiva del sistema proporzionale si 
può notare come esso incorpora e promuove una preoccupazione dominante: 
l’uguale assegnazione “in proporzione” dei seggi in base ai voti. Il suo merito 
indiscusso è dunque l’equità della rappresentanza, ma, in virtù di ciò, si espone a 
due principali critiche: produce una frammentazione partitica eccessiva e non 
affronta o, comunque non risolve, l’esigenza di governabilità, la necessità di governi 
efficaci ed efficienti. Per quanto concerne l’accusa della frammentazione, essa può 
essere superata rendendo meno puro il sistema proporzionale; meno puro è il 
sistema, meno sono i partiti
13
. Permette tale soluzione lo stabilire soglie di 
ammissione alla rappresentanza, ossia una percentuale minima di voti che un partito 
deve ottenere per poter partecipare alla ripartizione dei seggi. Il termine con cui si 
identificano tale soglie è clausola di sbarramento. E’ impossibile stabilire a priori 
                                                          
13
 Sartori: Ingegneria costituzionale comparata, Il mulino, 1994, pag. 73-76 
 17
quale sia la soglia giusta, poiché la congruità o l’equità di una dipende in ciascun 
Paese da come si distribuiscono i voti. Certamente andare sotto un livello del 3 per 
cento ha poco senso, in quanto non si otterrebbero risultati apprezzabili; allo stesso 
modo, superare il 10 per cento  significherebbe porre un ostacolo eccessivo 
all’accesso alla rappresentanza. Comunque sia, di norma, le clausole di sbarramento 
soddisfano lo scopo per le quali sono state concepite e, come qualcuno vorrebbe, 
non possono neppure ritenersi di per sé illegittime: qualunque sistema elettorale 
(anche il più proporzionale che si possa immaginare) subordina infatti l’accesso alla 
rappresentanza parlamentare al raggiungimento di un minimo consenso e contiene, 
perciò, sempre una clausola di sbarramento, per quanto esigua, implicita ed occulta 
possa essere. Il dubbio riguarda principalmente quelle clausole che vengono adottate 
con lo scopo specifico di colpire alcuni destinatari predeterminati, in modo tale da 
renderne arduo o impossibile l’accesso alla rappresentanza. A parte il caso limite di 
una clausola di sbarramento elevatissima che assicuri la rappresentanza ad uno solo 
dei partiti in competizione (la cui illegittimità è palese), l’introduzione di una soglia 
d’accesso in un sistema di partiti nel quale i rapporti di forza e la consistenza di 
ciascuno dei competitori sono conosciuti, definisce uno sbarramento privo 
dell’astratta neutralità che gli sarebbe propria allo stato nascente del sistema politico, 
ma inevitabile. Invocare questo argomento significherebbe escludere la legittimità di 
qualunque riforma elettorale che non avvenisse “a bocce ferme”, e, per di più, 
negare l’evidenza che ogni scelta elettorale è funzionale al raggiungimento di precisi 
obiettivi politici
14
. 
                                                          
 
14
 Sulla legittimità della clausola di sbarramento e relativa conclusione, Luciani: Il voto e la democrazia, Ed.  
Riuniti, 1991, pag. 35-40