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Introduzione
L’obiettivo di questo lavoro è quello di sottolineare l’importanza strategica di un
modello di gestione integrato delle risorse umane e rendere quindi auspicabile la sua
applicazione in ogni contesto aziendale.
A tal fine è stata posta particolare attenzione al sistema di valutazione del
personale, quale motore attivo della realizzazione dell’integrazione.
I presupposti all’applicazione di tali sistemi e modelli sono da ricercarsi
nell’evoluzione delle teorie organizzative e nella necessità di trasformare la
complessità legata al fattore umano in elemento competitivo per l’impresa.
In un contesto come quello odierno, caratterizzato da un mercato del lavoro
flessibile seppur spesso condizionato da elementi che esulano il merito e “il saper
fare”, è importante riuscire a definire dei meccanismi che permettano all’impresa di
impostare programmi di sviluppo futuri, su solide e coerenti analisi valutative circa il
capitale umano di cui dispone.
Le risorse umane sono, fra tutte le risorse aziendali, le uniche a costituire sistemi
autonomi che non solo interagiscono con gli stessi processi di misurazione e di
valorizzazione, ma le cui regole d’interazione non sono predefinite o predefinibili.
Ciò spiega il diverso approccio dei sistemi di valutazione delle risorse umane ai
principi di oggettività ed omogeneità valutativa che regolano i sistemi stessi, rispetto
a tanti altri sistemi di valutazione.
Se è vero, ed è dimostrato, che il cambiamento e la facilità con la quale questo è
posto in atto è uno degli elementi che rendono un’organizzazione maggiormente
competitiva rispetto ad un’altra, riuscire a costruire una struttura in grado di
determinare costantemente i propri fabbisogni, gestire la performance delle risorse e
indirizzarle su sentieri di carriera adeguati, rappresenta un fattore chiave per il
raggiungimento dell’obiettivo.
La realizzazione e la successiva attivazione di queste importanti leve gestionali
rappresentano il momento centrale del presente elaborato.
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L’interazione con gli altri sistemi gestionali dell’azienda conferiscono alla
funzione risorse umane un carattere di centralità, considerato che la struttura,
qualunque “ramo” si voglia analizzare è composta da persone.
L’applicazione di un HRMS (Human Resource Management System) richiede, in
prima analisi, di una base informativa completa su cui si poggeranno tutte le
riflessioni strategico null organizzative. E’ di naturale intuizione, alla luce di quanto
detto, l’importanza che riveste la rilevazione e la definizione dei processi e dei ruoli
aziendali, la successiva creazione di profili professionali ed organizzativi e
l’evidenziazione dei ruoli chiave (o distintivi) per l’azienda.
I sistemi di valutazione hanno il compito complesso, ma non complicato di dare
un significato alle differenze che incorrono tra ciò che la struttura attende e ciò che
attualmente si realizza.
Sotto questo aspetto il presente lavoro cerca di fornire degli strumenti che possano
garantire elevati livelli di oggettività ed omogeneità delle valutazioni. In particolare è
stata posta attenzione alla definizione del modello delle competenze quale fattore
chiave per il raggiungimento di tali obiettivi. La criticità di tali sistemi è
essenzialmente riuscire a fare percepire che ogni giudizio riguardo la risorsa valutata
non è espressione di opinioni formali ma deriva da un’intensa attività di
interpretazione di diverse componenti analitiche opportunamente pesate e
contestualizzate.
Particolare attenzione è posta sugli strumenti di rilevazione e relativa metrica
valutativa, cercando di definire quali sono i possibili errori in cui si può incorrere.
Naturale conclusione di questo percorso è la definizione delle modalità di utilizzo
dei dati a disposizione dell’azienda, sintesi dei processi di valutazione, al fine di
creare piani di sviluppo professionale, tavole di successione e di rimpiazzo per i ruoli
chiave dell’impresa e strutturare un catalogo di interventi formativi da applicare in
maniera sistematica e puntuale.
A supporto delle teorie esposte è stato citato un intervento di applicazione del
modello delle competenze in un ente istituzionale con funzione giurisdizionale e di
controllo amministrativo radicato su tutto il territorio nazionale.
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1. Il Fattore Umano nelle Organizzazioni Aziendali
1.1 Cenni sulle teorie organizzative
Per teorie organizzative si intendono delle sintesi coerenti di tecniche di gestione
del fattore umano nelle aziende, sulla base di studi e ricerche che hanno preso l’avvio
nei primi anni del secolo scorso e si sono evoluti e nidificati fino ai nostri giorni. Un
riferimento di questo genere è fondamentale per comprendere il significato e la
funzione di una direzione del personale in ogni tipo di azienda.
L’iniziatore degli studi sulla direzione aziendale è Frederick W. Taylor che ha
incentrato la propria attenzione sulla possibilità di razionalizzare i metodi di lavoro
relativi ai più disparati processi produttivi. Egli individuò la necessità di separare
l’esecuzione del lavoro, dalla fase di programmazione per poter migliorare i livelli di
produttività. In sostanza il suo approccio consisteva in un rigido controllo delle
operazioni di lavoro che, scisse in segmenti di attività, fornivano la possibilità di
prevedere rigidamente tempi e metodi di lavorazione. Il Taylorismo basava la sua
impostazione su di un presupposto sociologico: la maggior parte dei lavoratori
preferisce eseguire compiti prefissati e standardizzati, piuttosto che pensare in modo
creativo. Inoltre l’incentivo fondamentale è quello economico e conseguentemente
ogni miglioramento della produttività è in funzione di un miglioramento salariale. Il
Taylorismo si presentava dunque come una modalità di dirigere scientificamente il
lavoro, limitando decisamente il proprio contributo al miglioramento dei problemi
genericamente definiti amministrativi.
Il primo tentativo di giungere ad un’organica teoria organizzativa va ascritto a
Henry Fayol. Fu il primo, infatti, che individuò le fondamentali operazioni gestionali
che si svolgono in qualsiasi tipo di azienda: operazioni tecniche; operazioni
finanziarie; operazioni di contabilità; operazioni di sicurezza; operazioni di direzione.
Partendo da esse definì la scissione organizzativa che avviene in ogni azienda in
termini di svolgimento di compiti (i concetti di “line” e “staff”). In ogni azienda vi
sono organi che hanno delle responsabilità dirette, operative e continuative e organi
che forniscono strumenti, stimoli e ausili ai diretti operatori. Da questo punto di vista
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si può parlare di una struttura gerarchico null funzionale (composta cioè sia da organi di
line che di staff con una distinzione variabile secondo le caratteristiche aziendali).
Sia Taylor che Fayol, però, hanno basato le loro teorizzazioni su aspetti
estremamente razionali che non potevano minimamente prendere in considerazione
tutta la complessità, anche in termini di irrazionalità, del comportamento umano. Fu
Elton Mayo, oggi riconosciuto fondatore della scuola delle relazioni umane, che per
primo analizzò il problema della motivazione al lavoro. Mayo stabilì, infatti, che non
sono sufficienti gli accorgimenti di natura tecnica, organizzativa, ed economica per
migliorare i livelli di produttività. L’uomo è soprattutto un essere sociale che ha
bisogno di sentirsi partecipe delle attività aziendali e delle scelte che queste
comportano, per cui, trattandolo come un oggetto (anche se ben pagato), prima o poi
si originano delle resistenze di natura individuale e collettiva. In sostanza Taylor e
Fayol hanno dato un contributo di razionalità trascurando però la componente umana.
Mayo ha esaltato la componente umana indicando però delle risposte individuali e
assistenziali. Le successive teorie hanno superato questi limiti evidenziando il
problema di fondo che è centrato sulla migliore comprensione della natura del lavoro
e di coloro che lo realizzano.
Negli anni ’50 Douglas Mc Gregor definisce come “teoria X” quella che afferma
l’avversione naturale di ogni individuo per il lavoro, la preferenza ad essere guidati e
controllati evitando così il peso della responsabilità, e come “teoria Y” quella che
mette in evidenza la propensione al lavoro e la necessità di sentirsi coinvolto per dare
il meglio di se stessi. Entrambe le teorie appaiono verosimili e contestualizzabili. In
realtà, interpretano il comportamento assunto dagli individui, come risposta al
comportamento del vertice, cioè alle modalità di gestione del personale adottate. Da
questo punto di vista è molto utile considerare anche l’articolazione di base dei
sistemi di comportamento organizzativo proposta da Likert, nell’ambito di un
interessante contributo allo sviluppo delle teorie motivazionali. In particolare, ha
assunto rilievo la distinzione, ancor oggi attuale, tra sistema autoritario, sistema
paternalistico, sistema consultivo e sistema partecipativo.
Sul finire degli anni ’50 le nuove teorie sulle relazioni umane fanno sì che il fine
ultimo sia non più la quantificazione e la standardizzazione del lavoro, ma la ricerca
dell’uomo giusto al posto giusto. Il contesto in cui si muovevano le aziende era di un
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aumento sostanzioso della produttività e dei livelli di occupazione, assistiti da una
prima crescita sindacale. Alla luce di quanto detto tale pensiero organizzativo
cercava di migliorare le relazioni tra direzione e dipendenti attraverso
un’applicazione, “ragionata” ed umana, delle regole.
Alla fine degli anni ‘60 l’uomo diventa soggetto attivo e non più solo variabile
dipendente, una più massiccia sindacalizzazione, che induce un più elevato livello di
conflittualità interna alle aziende, rende necessario porre maggiore attenzione allo
sviluppo di nuove tecniche di gestione, basato su un reale coinvolgimento dei
soggetti operanti, da parte della direzione aziendale.
In altre parole, si gettano le basi per una più marcata evoluzione delle tecniche di
valutazione fino a pervenire ad un più elevato concetto di meritocrazia per approdare
alle logiche di formazione permanente.
Con gli anni ‘70 si inizia a sviluppare quello che diverrà più tardi l’approccio
sistemico al governo di impresa. E’ in questo periodo, con le teorie di Hertzberg,
Seiler e Lawrence, che l’organizzazione inizia ad essere vista e vissuta come
complesso che si deve adattare all’ambiente per il raggiungimento dei risultati. La
gestione della conflittualità e la tendenza alla coerenza tra personale, organizzazione
e strategia sono i fattori critici per promuovere e gestire il cambiamento. E’ sempre
in questo periodo che iniziano a svilupparsi i concetti di pianificazione delle risorse
umane e lo sviluppo dei sistemi informativi a supporto. L’approccio sistemico
realizza la modalità attraverso la quale è possibile governare la complessità che
azienda, struttura e contesto tendono a generare interagendo tra loro. La trattazione
proposta potrebbe dilungarsi ancora per numerose pagine ma il significato da
cogliere in questa sezione è il fornire una panoramica di quali siano state le basi
fondanti delle varie teorie organizzative, al fine di comprendere meglio la
problematica legata alla gestione delle risorse umane, al governo delle complessità
che ne derivano e alla introduzione dell’importanza del fattore umano, naturale
richiamo a quello che sarà il nucleo centrale dei prossimi capitoli, ovvero i sistemi di
valutazione del personale.
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1.2 La rilevanza delle risorse intangibili per l'azienda
Le risorse di cui un'impresa dispone sono i beni, le capacità ed ogni altra
disponibilità necessaria per far fronte alle opportunità e alle minacce del mercato. In
molti casi, tuttavia, non risulta possibile esprimere il valore di tali risorse all'interno
dello Stato Patrimoniale: si parla, infatti, di risorse immateriali o intangibili. Queste
ultime si identificano con le conoscenze organizzative accumulate nel tempo e con il
sistema di relazioni che l'impresa istituisce con gli interlocutori esterni. Tra le risorse
intangibili vanno inoltre menzionate quelle legate alla marca, all'immagine
dell'impresa e, non ultime, le conoscenze delle singole persone a tutti i livelli della
struttura, ossia il capitale umano. Vi sono, infine, risorse immateriali che risiedono
all'esterno dell'impresa, ovvero la condivisione delle informazioni e degli obbiettivi
da raggiungere e la fiducia percepita, la quale comporta atteggiamenti favorevoli da
parte di soggetti esterni.
La prospettiva basata sulle risorse (RBVnull Resource Based View) pone per la
prima volta l'accento sugli elementi interni e intangibili per raggiungere un equilibrio
tra capacità dell'impresa e aspettative del mercato. Non basta, quindi, disporre di
risorse materiali e immateriali per realizzare il vantaggio competitivo, ma è
necessario avere la capacità di gestirle e combinarle per conseguire il successo. Tale
visione afferma inoltre che, per garantire la reale sostenibilità di un vantaggio
competitivo, le capacità e le risorse di un'impresa dovranno soddisfare una serie di
condizioni.
La prima condizione prevede che la risorsa sia critica, ossia determinante per
sfruttare un'opportunità o attenuare i rischi presenti nell'ambiente competitivo ove
opera l'impresa e in grado di incrementare la sua efficacia ed efficienza. In secondo
luogo, le risorse devono possedere una condizione di rarità. Qualora talune risorse
critiche siano disponibili per un grande numero di concorrenti, infatti, esse non
potranno costituire una fonte di vantaggio competitivo. Terza condizione è
l'imperfetta mobilità delle risorse, il che implica una difficoltà nel trasferirle altrove.
Non a caso, le attività più complesse vengono trasmesse mediante affiancamento.
Tale caratteristica è anche associata al concetto di complessità sociale, per il quale ad
una data risorsa, portata in un diverso contesto, non è attribuibile lo stesso valore.
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Altra condizione prevista dalla RBV è rappresentata dall’imperfetta imitabilità,
ossia nell'impossibilità per i concorrenti di riprodurre a loro volta la risorsa in esame
nel proprio ambiente.
Alle caratteristiche già menzionate, infine, vanno aggiunte secondo Grant, la
durevolezza e l'appropriabilità della risorsa. La prima va intesa come capacità
dell'impresa di mantenere e sviluppare nel tempo le proprie competenze, in relazione
ai mutamenti ambientali; la seconda consiste, invece, nella capacità di generare ed
usufruire delle rendite provenienti dall'uso della risorsa e quindi di beneficiare dei
profitti da essa creati. Dall'introduzione della RBV, la dottrina aziendale è andata
sempre più evolvendosi, fino agli inizi del XXI secolo, in cui è ormai ampiamente
riconosciuto il ruolo delle risorse immateriali, inteso come:
null Determinante essenziale della vitalità e competitività delle imprese;
null Fonte della capacità di produrre reddito, o di generare valore, per l'impresa e
per i soggetti che partecipano alla sua attività;
null Elemento che diviene necessario considerare e analizzare in modo specifico,
ogni volta che sorge l'esigenza di calcolare il valore economico dell'impresa
stessa.
Sul piano teorico e dell'elaborazione concettuale, questa consapevolezza è frutto
di una significativa convergenza ravvisabile in distinti filoni di ricerca, che si
affiancano alla già trattata RBV, nell'ambito delle discipline economiche, aziendali e
manageriali. Alcuni di questi si ricollegano a spunti e intuizioni anche molto lontani
nel tempo, ma hanno dato luogo soprattutto a sviluppi di ricerca negli ultimi 30 anni,
con una forte accelerazione di intensità negli anni ‘90. E' significativo richiamare i
seguenti filoni di studi, che hanno non poco accompagnato e influenzato le
esperienze delle imprese di ogni paese e settore:
null La teoria del capitale umano, che ha riconosciuto una fonte importante di
ricchezza e di reddito in fattori immateriali, come l'istruzione e il progresso
scientifico e tecnico (Becker, 1975). Questa visione, espressa in un primo
tempo al livello macroeconomico e macronullsociale, è stata poi estesa alle risorse
e capacità umane presenti in azienda. Fino ad affermare che l'organizzazione
stessa può essere considerata capitale (Scifo, 1974).
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null Le metodologie sviluppate in materia di qualità, soprattutto attraverso il total
quality approach, tendente a coinvolgere non solo il management ma tutti gli
operatori aziendali in una prospettiva di miglioramento continuo, orientata
dall'attenzione per il cliente (Juran, 1964, Deming, 1982).La qualità del
prodotto o del servizio è intimamente legata alla qualità dell'azienda, della sua
organizzazione e del suo management. Le sue determinanti fondamentali sono
quindi ravvisabili in una serie di fattori intangibili legati in gran parte a
caratteristiche e comportamenti delle risorse umane a tutti i livelli dell'impresa.
null Gli studi sull'apprendimento organizzativo, che sottolineano la necessità per le
organizzazioni di modificarsi di continuo per corrispondere e trarre vantaggio
rispetto alle trasformazioni del contesto in cui operano (Senge, 1990).
null L'apprendimento si manifesta sia come una routine adattiva, rivolta sia alla
soluzione di problemi, sia come assunzione di nuovi paradigmi concettuali,
discontinui rispetto alle esperienze passate (ArgyrisnullSchon, 1978).
null La learning organization emerge come nuova configurazione aziendale, che
favorisce l'emergere del pensiero sistemico e adotta forme di sviluppo
organizzativo capaci di superare gli ostacoli e le routine difensive che
normalmente limitano l'apprendimento individuale e collettivo (Argyris C.,
1993).
null La concezione dell'impresa e dell'economia incentrata sulla creazione di
conoscenza, rappresenta in qualche modo il catalizzatore delle diverse risorse
immateriali (Drucker, 1993, NonakanullTakeuchi, 1995). E' la capacità di creare
conoscenza la fonte continua di innovazione e quindi il fondamento del
vantaggio competitivo, al livello sia dell'impresa, che delle nazioni o dei più
ampi sistemi economico sociali.
null Le ricerche sulla cultura organizzativa, che hanno evidenziato l'importanza di
fattori tipicamente qualitativi e intangibili, come i valori, i significati, i simboli,
le convinzioni radicate e condivise delle persone nel determinare i
comportamenti individuali e di gruppo (Schein, 1985).
null La capacità dell'organizzazione e dei suoi leader di orientare questi aspetti e di
costruire una cultura aziendale costituisce un elemento di coesione
organizzativa ed un presupposto per il successo aziendale (Pfeffer, 1981).
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null La prospettiva del people value, che inserendosi nelle direttrici di ricerca
tracciate dai filoni del capitale umano, della visione competence based e della
creazione di conoscenza, afferma come la capacità di attrarre e trattenere
risorse professionali di qualità e dotate di talento costituisca ormai in modo
generalizzato il più importante fattore di successo e di generazione del valore
per le imprese (Ulrich, 1997, O'Reilly IIInullPfeffer, 2000).
Da questo patrimonio di elaborazione concettuale in continua crescita emerge un
quadro assai ampio e variegato delle risorse invisibili o intangibili, di come
classificarle, metterle in gerarchia o scala di priorità, combinarle in un insieme
coerente.
L’ambiente in cui si trovano ad operare le organizzazioni cambia con
un’accelerazione vertiginosa. La liberalizzazione, la globalizzazione e la
digitalizzazione possono essere considerate le tre macro determinanti del
cambiamento. Le continue fusioni e compravendite costringono le società coinvolte
ad affrontare radicali trasformazioni sia sul piano culturale sia sul piano
organizzativo. I circuiti informativi dell’economia globale operano ad una tale
velocità e si servono di un numero così ampio di fonti che portano il sistema a
sfuggire ad ogni controllo. Le persone spesso non sono in grado di comprendere tali
trasformazioni, che superano la capacità di adattamento, sia degli individui sia delle
organizzazioni stesse. Questo fa sì che, a livello manageriale, si diffonda una
sensazione che la situazione stia sfuggendo al controllo, e qui prende corpo la
convinzione, che per poter sopravvivere bisogna accettare l’ineluttabilità del
cambiamento.
L’organizzazione deve essere interpretata non più come una macchina ma come
un sistema vitale. Le macchine e la tecnologia influenzano oggigiorno ogni aspetto
della nostra esistenza. Molti ritengono che la meccanizzazione abbia generato molti
vantaggi consentendo all’uomo di intervenire sulla natura ed in parte dominarla. Le
stesse organizzazioni nel passato, ma anche quelle odierne, sono interpretate facendo
riferimento alla metafora meccanica. La teoria e la pratica del management sono
plasmate da un processo metaforico incentrato sulla macchina che influenza tutto ciò
che facciamo. La vita organizzativa è tuttora gestita con modalità tese a raggiungere
la precisione di un orologio. La teoria dell’organizzazione classica e lo “Scientific
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Management si sono sviluppati e “venduti” per garantire la massima efficienza
possibile. In verità tale approccio poteva avere un senso, quando la mutevolezza
ambientale era minima. I principi gestionali dello Scientific Management possono
addirittura essere controproducenti. Le immagini e le metafore meccaniche offrono
una visione parziale. Le procedure standardizzate così come i canali di
comunicazione precostituiti non consentono di affrontare efficacemente situazioni
nuove ed impreviste, dal momento che tutto è preordinato e i processi decisionali
devono seguire percorsi ben precisi che vanificano la tempestività decisionale.
L’efficienza è quindi raggiunta mediante il controllo esercitato dall’alto verso il
basso.
Per tutti questi motivi nasce la necessità di identificare una nuova metafora più
adatta al contesto altamente mutevole. Il sistema vitale in questo senso coniuga la
capacità di raggiungere alti livelli di efficienza all’altrettanto fondamentale capacità
di adattamento ed autoregolazione in contesti esterni fortemente competitivi e
mutevoli.
Per analizzare un’organizzazione bisogna innanzi tutto chiedersi cosa vi è alla
base della stessa? Tra le risposte plausibili una sicuramente è “ Le Persone”, vale a
dire quel Capitale Umano costituito dall’insieme di capacità, competenze, voglia di
fare e motivazione che rappresentano il requisito necessario per la creazione di ogni
azienda. Tuttavia per creare un gruppo, un’entità sociale che non sia solo la somma
delle specialità di ogni individuo, occorre che le persone creino tra loro una serie di
relazioni e legami. Ecco dunque il capitale delle relazioni sociali, ossia il complesso
delle ricchezze e dei benefici esistenti in virtù delle relazioni sociali che gli individui,
hanno instaurato. Si viene a creare una nuova forma di capitale: Il “Capitale
Strutturale”, ovvero la risultante degli sforzi collettivi delle persone che costituiscono
l’organizzazione, e non una semplice operazione aritmetica basata sull’addizione dei
singoli individui. Si giunge, quindi, ad una cultura di impresa. Infine occorre
analizzare l’organismo azienda situato nel suo contesto, ovvero il mercato.
Sicuramente l’innovazione e la capacità di differenziarsi dagli altri sono gli elementi
che le permettono di posizionarsi in modo più o meno competitivo all’interno
dell’ambiente in cui opera.