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Introduzione
La peggior recessione dei paesi avanzati dalla seconda guerra mondiale ha avuto
inizio negli Stati Uniti nel 2006, anche se i presupposti risalgono all’aumento
significativo dal 2003 dell’erogazione di mutui ad alto rischio, incoraggiato dalla
politica accomodante della Federal Reserve, dall’aumento costante e significativo
dei prezzi delle abitazioni e dallo sviluppo delle operazioni di cartolarizzazione. I
bassi tassi di interesse favorirono la sottoscrizione di titoli cartolarizzati da molti
investitori sia negli Stati Uniti che in Europa, creando i presupposti per la
trasmissione della crisi alle economie europee. Inoltre grazie a tali operazioni le
istituzioni finanziarie poterono espandere enormemente le attività in rapporto al
capitale proprio, realizzando profitti molto elevati a fronte dell’incremento del
rischio di perdite ingenti. Lo scoppio della bolla immobiliare causò ingenti perdite
tra le banche più coinvolte nell’erogazione dei mutui subprime e tra quelle che
possedevano titoli strutturati generati dalle cartolarizzazioni per motivi di
investimento. Il mercato interbancario, in un contesto di scarsa chiarezza circa la
distribuzione di tali titoli tossici nel sistema finanziario, fu contraddistinto da un
forte aumento dei tassi e da una significativa contrazione delle disponibilità delle
banche a concedere credito ad altri istituti finanziari. L’insolvenza della banca
d’affari americana Lehman Brothers scosse profondamente la fiducia degli
operatori, alimentando un clima di fortissima tensione e incertezza sui mercati
finanziari e contribuendo a una nuova drastica riduzione della liquidità sul mercato
dei depositi interbancari e un aumento dei tassi a breve termine. La crisi divenne
sistemica estendendosi dal mercato dei prodotti strutturati all’intero sistema
finanziario, evidenziando un elevato grado di interconnessione. In breve tempo la
crisi dei mutui subprime si trasferì all’economia reale statunitense ed europea, sia
per la restrizione del credito bancario a famiglie e imprese, sia per il crollo dei
mercati azionari e dei prezzi delle abitazioni. Vi furono ripercussioni su consumi e
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investimenti, con conseguente caduta di reddito e occupazione. Le interdipendenze
commerciali tra paesi, infine, comportarono una pesante riduzione del commercio
mondiale. Numerosi istituti di credito europei in gravi difficoltà finanziarie
dovettero essere salvati da interventi pubblici, che accrebbero in modo significativo
il debito pubblico dei paesi coinvolti, acutizzando gli squilibri di finanza pubblica
dei paesi più vulnerabili. Il dissesto dei conti pubblici della Grecia e le difficoltà di
Portogallo e Irlanda si estesero anche a Spagna e Italia. Le manovre di contenimento
della spesa pubblica, cosiddetta austerity, attuate prima dai paesi in difficoltà e poi
da tutti gli stati membri dell’Unione Europea, ebbero come effetto indiretto un
rallentamento della crescita inducendo, in alcuni casi, una vera e propria recessione.
Seppur l’economia appare in ripresa, le ripercussioni sul sistema bancario nazionale
della crisi sono ancora visibili, basti citare, tra gli altri, i recenti casi Monte dei
Paschi, Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Come è stato possibile che a livello mondiale si sia evidenziata un’incapacità di
definire e mettere in atto una regolamentazione che evitasse lo sviluppo di un
sistema finanziario, causa e origine della crisi, caratterizzato da un eccesso di
debito, di complessità e di interconnessione? L’attuale regolamentazione sarà in
grado di evitare che si possa verificare una nuova crisi sistemica?
Il presente lavoro si pone l’obiettivo di verificare se lo sviluppo delle metodologie
di risk management perfezionatesi negli ultimi anni e i sempre più profondi
interventi regolatori, abbiano progressivamente migliorato la capacità delle banche
di selezionare qualitativamente la propria clientela, contribuendo a ridurre la
rischiosità complessiva del sistema finanziario. L’indagine è limitata all’analisi dei
processi di valutazione, stima e regolamentazione normativa del rischio di credito
in ambito bancario, che di fatto, soprattutto per le banche la cui attività prevalente
è concedere prestiti a famiglie e imprese, è la maggior fonte di rischio e il parametro
più indicativo per valutare l’equilibrio patrimoniale e finanziario della banca
stessa.
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La capacità di stimare correttamente il rischio di credito assunto o da
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Nel Gruppo UBI Banca l’incidenza del rischio di credito, in termini di capitale allocato rispetto al
totale dei rischi cui è esposto, era del 80,53% al 31/12/2016.
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assumere rappresenta, a fini regolamentari, interni ed esterni, una delle condizioni
necessarie, seppur non sufficiente, per evitare possibili situazioni di dissesto
finanziario. Per le banche è divenuto quindi strategico poter disporre di strumenti
sofisticati a supporto della valutazione qualitativa del portafoglio creditizio, tra cui
l’utilizzo di un proprio sistema di rating interno. L’implementazione di tali
metodologie nel Gruppo UBI Banca ci consente, infine, di esaminare come una
delle più importanti banche nazionali ha scelto di strutturare l’insieme di modelli,
processi e controlli da utilizzare per la valutazione del rischio di credito.
Riepilogando, il testo si sviluppa partendo dalla definizione del rischio di credito e
dall’illustrazione delle principali metodologie per il calcolo dei parametri che
concorrono alla misurazione dello stesso, cui è dedicato il primo capitolo
Nel secondo capitolo si descrive come, a partire dall’istituzione del Comitato di
Basilea del 1974, si sia cercato, con alterne fortune, di salvaguardare la stabilità
finanziaria, attraverso una regolamentazione via via più complessa e sofisticata, al
fine di rafforzare la solidità e la solvibilità del sistema bancario internazionale e al
tempo stesso ridurre le differenze competitive tra banche operative in paesi diversi.
Il terzo capitolo si occupa di sistemi di rating, ovvero i processi di valutazione
utilizzati sia dalle agenzie di rating che dalle banche per stimare il rischio di credito.
Infine nell’ultimo capitolo si espone come è stato approcciato il processo di
progettazione e predisposizione di un sistema di rating nel Gruppo UBI Banca.
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1. Il rischio di credito
1.1 Premessa
Tra i rischi che una banca deve essere in grado di misurare e gestire, sicuramente il
rischio di credito costituisce la tipologia più significativa, soprattutto per le banche
cosiddette tradizionali.
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La prima parte del capitolo si occuperà di definire il concetto stesso di rischio di
credito, concetto che, seppur all’apparenza semplice, evidenzierà aspetti che
necessiteranno di alcuni chiarimenti.
Successivamente si esamineranno i componenti del rischio di credito. Partendo
dalla distinzione tra perdita attesa e perdita inattesa, si approfondiranno
principalmente i parametri che concorrono a misurare la perdita attesa, che
rappresentano peraltro i principali input richiesti dalla funzione regolamentare, al
fine di poter calcolare il patrimonio di vigilanza minimo richiesto alle banche.
Infine, per ognuno di tali parametri, oltre ad approfondirne le peculiarità saranno
descritte le principali metodologie utilizzate per la loro stima. Nello specifico, per
quanto riguarda la probabilità di insolvenza, saranno presi in esame i modelli a forte
componente soggettiva, i modelli di natura statistica e i modelli basati sui mercati
di capitale, mentre per la perdita in caso d’insolvenza verranno trattate le
metodologie implicite ed esplicite.
1.2 La definizione di rischio di credito
Per quanto apparentemente semplice e delimitato, il concetto di rischio di credito
racchiude diversi significati ed è utilizzato con riferimento a diverse categorie di
rischio e a diverse tipologie di strumenti finanziari. Nell’ambito dell’attività di
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Tra gli altri rischi possiamo citare il rischio di tasso e liquidità, il rischio di mercato e il rischio
operativo.
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intermediazione creditizia il concetto in esame ne rappresenta senza dubbio
l’aspetto più tradizionale e caratterizzante. In effetti una prima e semplificata
definizione, prevalentemente utilizzata in ambito bancario, riguarda il rischio che
la controparte creditrice (banca) possa subire perdite derivanti dall’inadempienza
di una controparte (cliente) nei confronti della quale esiste un’esposizione
creditizia.
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Tale definizione ha il limite di considerare esclusivamente
l’inadempienza come causa generatrice di rischio e di non valutare la possibile
prevedibilità ex-ante della stessa.
Maggiormente esaustiva appare la definizione il rischio di credito come il rischio
che una variazione inattesa del merito creditizio della controparte, nei confronti
della quale esiste un’esposizione creditizia, generi una corrispondente riduzione
inattesa del valore di mercato della posizione creditizia stessa.
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Rispetto alla prima definizione fornita, quest’ultima presenta alcuni aspetti che
necessitano di alcuni chiarimenti.
Il primo riguarda l’ampliamento dello stesso concetto di rischio, che non riguarda
esclusivamente l’evento estremo e maggiormente patologico del rapporto di
credito, ovvero l’inadempienza della controparte (rischio di insolvenza o credit
default risk), ma anche il semplice deterioramento del merito creditizio della stessa
(rischio di migrazione o di downgrading), che non necessariamente genererà una
perdita in termini economici, impattando comunque sul valore di mercato
dell’attività finanziaria rappresentata dalla posizione creditizia. Conseguentemente
il rischio di credito deve essere misurato e gestito facendo riferimento non a una
semplice distribuzione binomiale dei possibili eventi (inadempienza o regolare
adempimento degli obblighi contrattualmente stabiliti), che consentirebbe di
cogliere adeguatamente il solo rischio di insolvenza, quanto piuttosto avendo a
riferimento una distribuzione nella quale gli eventi di cui sopra sono gli estremi
all’interno dei quali vi sono diversi livelli di probabilità che questi eventi possano
3
UBI Banca (2015), p. 11.
4
Resti e Sironi (2008), pp. 351-353.
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in futuro manifestarsi.
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Inoltre tale definizione specifica come condizione necessaria, per poter
compiutamente considerare come rischio una variazione del merito creditizio, il
fatto che tale variazione debba essere inattesa. Infatti se non lo fosse ci si
aspetterebbe che la banca avesse adeguatamente valutato tale informazione, grazie
al costante monitoraggio delle condizioni economico-finanziarie dell’affidato, sia
dal punto di vista della decisione o meno di concedere un affidamento, sia in
secondo luogo sul prezzo (pricing) da applicare all’operazione per ottenere
un’adeguata remunerazione rispetto al rischio stimato assunto.
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Infine, deve essere richiamato il concetto di esposizione creditizia, che risulta esteso
non solo agli impieghi tradizionali di una banca (crediti verso clientela e attività
finanziarie a bilancio), ma anche alle posizioni fuori bilancio, quali fra le altre le
garanzie prestate e gli strumenti derivati negoziati over the counter (OTC).
Oltre ai già menzionati rischio di insolvenza e rischio di migrazione il rischio di
credito comprende le seguenti ulteriori principali tipologie:
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È molto probabile che prima di giungere all’inadempienza vi siano segnali prodromici di essa
riguardanti sia variazioni del profilo economico-finanziario della controparte debitrice (come un
sensibile aumento dell’indebitamento, perdite in conto economico già a livello di gestione
caratteristica), sia variazioni nell’ambiente socio-economico in cui opera (come un mutamento in
negativo dello scenario settoriale in cui opera l’affidata). Altrettanto ovvio risulta che il rischio di
migrazione sia tanto maggiore quanto più elevata sia la vita residua dell’esposizione creditizia in
essere (e quindi vi sia maggior arco temporale per il manifestarsi di eventuali variazioni inattese).
Infine va considerato che un’eventuale diminuzione del valore di mercato dell’attività finanziaria
rappresentata dalla posizione creditizia, potrebbe tramutarsi in una perdita in termini economici nel
caso vi sia necessità di liquidare anticipatamente tale attività, ad esempio attraverso un’operazione
di cartolarizzazione.
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Risulta piuttosto evidente che tali considerazioni per una banca debbano valere per un portafoglio
creditizio complessivo, in quanto per una singola operazione o controparte non sempre è possibile
far dipendere la concessione di un affidamento e il pricing da applicare, esclusivamente dalle stime
del rischio da assumere.
7
Resti e Sironi (2008), p. 357.