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INTRODUZIONE
1. Avvicinarsi alla Lega Nord
La Lega Nord è il partito più longevo fra quelli presenti attualmente in
parlamento1. Tale affermazione la ritroviamo in forma analoga sulle prime pagine
delle numerose pubblicazioni sul partito di Bossi, uscite negli ultimi due anni a
firma di autorevoli cronisti di importanti testate nazionali e regionali [Parenzo,
Romano 2008; Signore, Trocino 2008; Passalacqua 2009, Jori 2009]. Questo
proliferare di libri sull’argomento ha coinciso con il rinnovato slancio con cui la
Lega ha affrontato le scadenze elettorali e le vicende politiche degli ultimi quattro
anni. Gli ottimi risultati, conseguiti dal Carroccio, hanno fatto maturare
l’esigenza, nel vasto pubblico italiano e non solo fra gli addetti ai lavori, di
disporre di una chiave di lettura nuova; una bussola per orientarsi nel periglioso
mare della politica italiana.
Questi testi, non a caso, hanno il merito di arrivare nel momento stesso in cui la
Lega Nord compie il venticinquesimo anno di età2. Un punto questo, in cui è
possibile tracciare, se non un bilancio, almeno un ritratto abbastanza realistico del
fenomeno Lega. Il problema che salta subito all’occhio, che può coincidere con il
limite di alcune di queste opere, è proprio il tentativo di spiegare questa
fenomenologia in maniera omnicomprensiva, con l’ambizione mal celata di non
trascurare nulla; o almeno niente di rilevante. Ma l’impresa svela subito la sua
inattuabilità. E’ irrealistico, nei fatti, tentare di render conto di un fenomeno tanto
complesso in una sola manovra, o di farlo attribuendo uguale importanza a tutti i
suoi aspetti. Di contro, la scelta di temi, vicende e processi considerati
maggiormente rilevanti, mette lo studioso di fronte al difficile esercizio della
selezione. Compito, quest’ultimo, tutt’altro che asettico. Cos’è stato poco
rilevante per loro non lo sarà per me in questo lavoro.
Infatti, la tendenza prevalente è stata quella, forse più agevole, di adottare un
approccio cronologico delle vicissitudini della Lega e dei suoi membri più
autorevoli: un racconto, persino un romanzo [Parenzo, Romano 2008], delle
vicende accadute, negli ultimi trent’anni, in quella lingua di terra compresa fra il
Po e le Alpi. Una serie di episodi, quelli narrati, che ci permettono di
1
Se si escludono i Radicali che, infatti, non trovano posto in un gruppo parlamentare proprio ma in
quello del Partito Democratico.
2
Trenta se si considera, come molti fanno, l’inizio della Lega Nord con la nascita della Liga
Veneta. Per Bossi, invece, la Lega Nord nasce nel 1984 con la fondazione della Lega Autonomista
Lombarda.
2
familiarizzare con l’oggetto ma che non ci consentono di comprenderne le ragioni
profonde. Tentativo, questo, che ci accingiamo a fare, almeno in uno dei suoi
molteplici aspetti, in queste pagine.
Naturalmente il lettore che approccia al fenomeno Lega trova estremo giovamento
da queste letture, dato che senza la conoscenza delle vicende, e delle circostanze
in cui esse si inseriscono, non sarebbe possibile fondare alcun tipo di analisi o di
ragionamento complesso.
La Lega Nord nasce dall’unione (la federazione) di leghe regionali e autonomiste
che, almeno in Veneto ed in Piemonte, avevano mosso i primi passi già prima
della folgorazione di Bossi sulla via del federalismo. Esistono numerosi esempi di
leghe e movimenti autonomisti del nord Italia3. Tra i partiti più datati e
maggiormente strutturati ricordiamo il Sudtiroler Volkspartei e l’Union
Valdotaine, che saranno sempre dei riferimenti imprescindibili per il leghisti.
Esperienze come la Liga Veneta di Tramarin e Rocchetta, L’Union Piemontèisa di
Roberto Gremmo, e l’Uopa ossolana di Alvaro Corradini, già sul finire degli anni
settanta, rivendicavano l’autonomia del proprio popolo come conseguenza
naturale e obbiettivo imprescindibile per una comunità omogenea per cultura,
tradizione, identità etnica. L’istanza autonomistica nei confronti dello Stato
italiano è stata, però, affermata anche attraverso la produzione culturale di circoli
storici e dialettali che, numerosi in molte regioni, nascevano per salvaguardare la
specificità e il valore delle proprie radici e tradizioni. Se tutte le leghe sono
eminentemente politiche, per temi trattati e rivendicazioni fatte, non tutte
sceglieranno le elezioni come banco di prova del proprio radicamento o come
strumento per giungere al proprio obiettivo.
Ad Umberto Bossi invece, che nel 1984 dà vita alla Lega autonomista Lombarda
(che in seguito verrà ribattezzata Lega Lombarda), va riconosciuta la grande
intuizione di aver spostato il fuoco dalla rivendicazione etnica ed identitaria, più
cara alla Liga Veneta, a quella dei diritti sociali ed economici. Il merito di Bossi è
stato soprattutto quello di aver pensato in grande e di aver messo insieme molte
esperienze autonomiste (sollecitarne la creazione anche dove esse non esistevano)
per farne una federazione, un grande cartello elettorale, con cui presentarsi alle
elezioni europee del 1989 [Signore, Trocino 2008]. La lista “Lega Lombrada-
Alleanza Nord” sarà solo il preludio di quello che diverrà un grande movimento
politico che avrà come scopo precipuo, tutt’ora in auge, quello di perseguire
l’indipendenza del Nord dallo Stato italiano attraverso metodi “democratici”4. La
Lega Nord diventa, grazie a Bossi, un partito che farà della contesa elettorale il
suo campo di battaglia. Una Lega Nord che, nonostante sia sempre stata guardata
e considerata con pregiudizi etici, estetici e politici [Jori 2009], non sembra aver
3
Jori [2009] ne conta oltre 90.
4
Art. 1, Statuto della Lega Nord per l’indipendenza della Padania, marzo 2002.
3
provato mai imbarazzo, prendendo parte al governo del paese, con alterne fortune
e diverso grado di efficacia, per oltre 8 degli ultimi 15 anni; nel centrodestra a
fianco di Berlusconi.
Un attore politico longevo ed influente che ci accompagna da oltre 25 anni di
storia politica. Nonostante fosse già presente al momento della caduta del muro di
Berlino, al Parlamento della Prima Repubblica, attivissima ai tempi di
tangentopoli e delle stragi di mafia del 93 ispira ancor oggi sentimenti di novità e
di cambiamento presso gli elettori, continuando a suscitare sorpresa, ad ogni
scrutinio, nella gran parte dei commentatori e degli analisti.
Insomma, leggere questi libri, come leggerne molti altri meno recenti, è come
rovesciare la scatola di un puzzle sul tavolo, e veder cadere in ordine sparso le
tessere. Certo, senza la ricostruzione dei fatti le tessere sarebbero bianche, il
colore della carta immacolata o del tipo marroncino del cartone. Il nostro
obiettivo, perciò, è quello di mettere insieme i pezzi per completare almeno
un’area, una parte del puzzle leghista. Per farlo ci serve la teoria e la letteratura
scientifica sulla Lega Nord, di cui faremo una breve rassegna nella seconda parte
di questa introduzione. La teoria, come la scatola del puzzle, è quella che reca
l’immagine del soggetto che dobbiamo ricostruire. Affidandoci solamente al fiuto
e alla fortuna possiamo sperare di assemblare qualche pezzo ma, se abbiamo
intenzione di ricomporre almeno una bella porzione, abbiamo bisogno
dell’immagine sulla scatola.
1.1 I sindaci
La parte di puzzle che ho deciso di ricomporre in questo mio lavoro è quella che
vede La lega Nord cimentarsi con il governo delle amministrazioni comunali
attraverso i suoi sindaci. Guardare ai sindaci significa osservare le città che essi
amministrano, le regioni e le province a cui queste appartengono: una fetta del
sistema politico, negli aspetti di politics. Significa osservare l’ambiente sociale, il
contesto culturale in cui l’amministrazione e la politica agiscono; significa
ripercorre le carriere ed i percorsi individuali di questi uomini e queste donne, da
dove vengono e dove ambiscono ad arrivare; significa osservare le relazioni fra
organismi ed istituzioni che sono tutt’altro che separate, gli aggiustamenti
reciproci, gli equilibri che si vengono a realizzare; indagare le policies che gli
attori mettono in atto; osservare il partito di cui fanno parte dal loro punto di vista,
secondo il giudizio che essi ne danno. Significa guardare ai mutamenti che
avvengono nella politica e nei partiti, ed allo tesso tempo osservare quelli che
avvengono nelle città, e gli accomodamenti reciproci che fra essi intercorrono.
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Quella di sindaco è una carica elettiva: un individuo che concorre attraverso
strutture e procedure democratiche alla guida dell’amministrazione municipale. Il
sindaco dovrebbe conoscere la popolazione, la burocrazia e la città. Conoscere la
sua storia, le risorse, le virtù ed i problemi, immaginarla nel futuro e
programmarne lo sviluppo. Il sindaco non è solo, né nella forma né nella sostanza.
E’ eletto direttamente dai cittadini, lavora con una giunta che esso stesso nomina e
presiede, ha ripetuti scambi col Consiglio Comunale di cui anch’egli fa parte, è a
capo della struttura tecnico-amministrativa comunale [Vandelli 2005]. Il punto di
vista del sindaco sull’amministrazione municipale, sulla città e sui suoi abitanti
non è oggettivo ma è senz’altro, a parità di altre condizioni, il più esaustivo. Il
sindaco è vicino al territorio come coloro che lo abitano.
Quello di sindaco, in Italia, è un ruolo eminentemente politico, non è né un city
manager di stampo anglosassone né un mero rappresentante istituzionale o un
portavoce della comunità. Egli presiede una giunta che ha funzioni esecutive,
viene votato dai cittadini sulla base di un programma politico e dal Consiglio
Comunale sulla base di un piano di mandato[Vandelli 2005]. Entrambi questi
istituti sono regolati da leggi dello stato. Il sindaco non è isolato. Il sindaco è
frequentemente espressione di un partito politico; le giunte, a loro volta, sono
composte da membri di partiti politici o da individui indicati da questi. Il sindaco
è un politico che spesso viene dai partiti, da essi trae gran parte del suo senso e
anche della sua forza.
Con la riforma intervenuta 1993 poi si realizza una vera e propria rivoluzione
negli enti locali. Fra i numerosi cambiamenti intervenuti il più significativo è
sicuramente quello dell’elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini che lo
pone così al centro delle dinamiche politiche cittadine, in un rapporto diretto con
la città. E’ in questo contesto che il sindaco appare come il più autorevole
interprete del territorio, la figura più vicina ad esso che lo stato e la politica
possano esprimere.
1.2 Il territorio
Non c’è politico leghista che non dichiari che il riferimento principale del suo
operato sia il territorio. Cosa intendano i leghisti per territorio, però, è tutt’altro
che chiaro. Comprenderlo sarebbe uno degli strumenti principali per capire la
Lega stessa. Pur non essendo un tale approfondimento lo scopo principale di
questo lavoro, risulta necessario, in questa sede, provare ad interrogarsi sulla
natura del concetto.
Il territorio evocato dalla Lega è sì il luogo in cui trova posto la comunità locale,
ma è qualcosa di più. E’ un contenitore, è un concetto che raccoglie ed unisce il
5
popolo, il territorio fisico su cui esso è insediato, la terra che si dissoda e che
ospita le attività e i lavori. Il territorio è la cultura, le tradizioni, i costumi ed i
valori, la lingua ed anche la religione. Sarebbe più corretto parlare di territori,
perché ciascuno ha come riferimento un’identità territoriale specifica. Infatti, la
sfida ed il successo della Lega di Bossi è stata proprio quella di unificare questi
territori in una nuova idea di nazione, quella padana, proponendo un’unica storia,
un’unica cultura, “uniche condizioni sociali, morali ed economiche” per tutti i
popoli del nord [Biorcio 1997]. La costruzione simbolica della nazione padana ha
richiesto una narrazione dettagliata [Bossi 1995,1996] ed una serie di iniziative
rituali [Biorcio 1997] che tentassero di portare il vasto pubblico ad identificarsi in
concetto di appartenenza che non era, e tutt’oggi non è, fra quelli maggiormente
sentiti, se non fra gli elettori stessi della Lega.
Quello che in questa sede è interessante rilevare, è il fatto che mai, prima d’ora, in
modo esplicito e consapevole, nel discorso pubblico o fra gli scopi dichiarati del
partito, il territorio era stato concepito come target dell’azione amministrativa,
come il territorio comunale da amministrare. Semmai il territorio è stato inteso
nella logica simbolica e più radicale dell’auto-governo da parte del popolo che lo
abita [Biorcio 1997]. Questo non significa che la Lega non abbia partecipato, o
che non partecipi oggi, alle elezioni amministrative. A queste, anzi, il Carroccio
ha preso regolarmente parte fin da quando, nel 1985, conquista un seggio nei
consigli comunali di Gallarate e Varese. Ciò significa, semmai, che, fra i leghisti,
il governo locale era semplicemente uno degli strumenti del proprio grande
progetto politico (l’indipendenza della Padania), sicuramente non il più
importante. Un terreno su cui misurarsi e contarsi, non un fine in sé. Solo di
recente, infatti, la dirigenza leghista, con Bossi in prima fila, ha posto al centro del
discorso politico i propri amministratori locali ed i sindaci in particolare. Essi
sono stati indicati come fattore di forza e di radicamento del partito, come volano
di consensi, prova della capacità del partito di governare, anche e soprattutto, gli
enti locali, ad ulteriore conferma della maturità e del valore della classe dirigente
leghista.
Perché solo oggi pare emergere questa consapevolezza? Quali mutamenti sono
intervenuti nel partito e quale strategia la leadership sta portando avanti?
Per tentare di offrire una risposta a questi interrogativi è necessario, in prima
istanza, domandarsi se l’importanza di governare gli enti locali sia mai stata
sottovalutata veramente oppure se, come appare più plausibile, tale riflessione sia
stata lasciata volontariamente sottotraccia, dovendosi confrontare con
l’impossibilità, o l’estrema difficoltà, per la Lega stessa di ambire a governare i
comuni del nord. Infatti, per un movimento politico agli esordi, il cui consenso
elettorale è diffuso su tutto il territorio del nord, ed un sistema elettorale
proporzionale a ripartizione nazionale, risulta, paradossalmente, più facile
6
eleggere dieci deputati che il sindaco di un comune, di grandi o piccole
dimensioni che sia; operazione questa che richiede un consenso concentrato che si
attesti su percentuali di suffragi elevate.
Infatti, la Lega Nord, per competere alla conquista di alcuni centri del nord Italia,
ha dovuto riprodurre in sede locale le alleanze che stava costruendo a livello
nazionale, cioè, quelle che la condurranno in seguito al governo del paese. Il
Carroccio, già prima dell’ingresso nel primo governo Berlusconi, sarà infatti
costretto a trattare con i partiti di regime5 per strappare a Varese la candidatura a
sindaco a favore di Raimondo Fassa [Diamanti 1993], primo Borgomastro
leghista di un capoluogo di provincia6. E’ con la discesa in campo di Berlusconi e
l’avvento di FI, con la trasformazione dell’MSI in Alleanza Nazionale, che si
viene a realizzare un cartello elettorale capace di raccogliere abbastanza suffragi
per conquistare sindaci e maggioranze nei comuni del nord. La Lega,
nell’economia complessiva di una tale alleanza e grazie ad alcune contingenze
legate al meccanismo di elezione diretta del sindaco introdotto nel 1993 [Vandelli
1997], riesce a conquistare alcuni comuni italiani7. Però, come vedremo più
avanti, non tutte le esperienze amministrative passate, anche significative come la
Milano di Formentini nel 1993, saranno ricordate come positive per il partito e per
le città.
Infatti, l’iniziale difficoltà di controllare gli enti locali e di farne il perno centrale
della propria attività politica, non sembra essere legata solo ad una questione di
cifre elettorali o capacità coalizionale, se consideriamo infatti che, a parte
sporadiche eccezioni, la Lega è quasi sempre stata alleata, anche in sede locale,
con FI e AN, e che i voti della Lega nel 1996 sono superiori a quelli registrati in
qualsiasi altra tornata elettorale precedente e successiva [Diamanti 2003]. Ma
semmai si dovranno tenere in giusta considerazione questioni inerenti alla classe
dirigente leghista, all’offerta politica e lo stile di governo locali, all’attenzione che
il partito dedica agli enti locali. Tutti aspetti su cui ci concentreremo in questo
lavoro.
Resta comunque da rispondere al quesito che ci siamo posti, cioè, il motivo per
cui solo oggi viene data tanta importanza alla figura e al ruolo del sindaco. Quali
trasformazioni hanno investito il partito di Bossi, quali ne hanno cambiato le
priorità e gli orientamenti?
5
Così Bossi chiamava i partiti tradizionali.
6
Invece il primo sindaco in assoluto la Lega lo ottiene nel 1990 a Cene, un piccolo paese di 3900
abitanti della bergamasca. Ancora oggi questo paese ha un sindaco del Carroccio, Cesare Maffeis .
Cronistoria della Lega Nord.
7
Anche Novara eleggerà un sindaco leghista. Pur non essendo il partito di maggioranza relativa la
Lega si ritrova al ballottaggio e lo vince.
7
1.3 Le trasformazioni in atto e la nuova sfida
La madre di tutte le trasformazioni, quella che aprirà nuovi orizzonti per il
Carroccio, è stata indicata come la “Lega di governo” in antitesi ad una “lega di
lotta”. Si tratta del progetto esplicito, di cui la dirigenza leghista sembra già essere
consapevole agli inizi degli anni 90, di “presentarsi non più come partito anti-
partito, compagine anti-sistema, ma come forza politica che guida il cambiamento
ed il rinnovamento del sistema politico e delle istituzioni, a livello centrale e a
livello locale. Cercando, cioè, di superare la condizione comoda ma anche
vincolante, di madre di tutti i dissensi mostrandosi in grado di trasformare i
dissensi in una base per governare”[Diamanti 1993].
Infatti, nonostante le vicissitudini parlamentari del 94, che prima portano la Lega
al governo e poi lo vedono cadere proprio per mano sua, il conseguente
allontanamento di Bossi da Berlusconi, il ritorno della Lega ad una scelta
movimentista [Biorcio 1997]8, di scontro frontale contro tutti e tutto9[Signore,
Trocino 2008], non verrà mai meno il tentativo, non sempre riuscito, di conciliare
i due opposti orientamenti, di lotta e di governo. L’idea di governo, sia centrale
che locale, non abbandonerà mai più la Lega.
La letteratura scientifica sull’argomento ci parla di questo. Infatti non navighiamo
a vista. I testi più accurati sulla Lega ad opera di Ilvo Diamanti [1993, 1995] e
Roberto Biorcio [1997], ci raccontano di una Lega che, al momento in cui essi la
osservano, si sta cimentando con la ridefinizione del concetto di territorio, e cioè
col tentativo di “riuscire a rendere compatibili i termini di “Nord” e di “regione”
con quelli di stato o, peggio, di nazione: termini a cui essa deve fare pur
rifermento, se intende porsi in una prospettiva di governo”[Diamanti 1993].
Tentativi che proseguiranno fino ai giorni nostri e non saranno privi di
implicazioni. Primeggia fra queste l’equilibrismo di Bossi nel suo tentativo di
“normalizzare” il linguaggio e le posizioni meno concilianti e conciliabili.
Nonostante oggi la Lega Nord sembri aver aggiustato la sua posizione in modo da
armonizzare il discorso sulla Padania con la prospettiva e la prassi di governo,
questo sforzo non è valso a garantirle una posizione ideale. Infatti a contraddizioni
risolte ne seguitano altre nuove ed emergenti, che risultano tanto più ineludibili ed
inevitabili per un partito in continuo cambiamento.
A noi interessa la Lega di Governo, quella di cui ci raccontano Diamanti e
Biorcio. Tuttavia, il fatto che i nostri autori ci lasciano proprio nel momento in cui
8
Nel tentativo di riprendersi voti ed identità che l’avvento di FI avevano messo in discussione.
9
Periodo in cui nasce l’idea di Padania (anche il quotidiano), un comitato di liberazione un
parlamento del nord a Mantova ed un Governo sole, periodo in cui proseguono le epurazioni
interne, ma in cui soprattutto si parla di secessione.
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la Lega sceglie di imboccare la strada del governo, nei fatti, non compromette la
possibilità di comprenderne le evoluzioni ed i mutamenti, perché, ancora oggi,
lungo quella strada, pur tra soste ed accelerazioni, la ritroviamo. In particolare, la
concezione di territorio è stato oggetto di un costante lavoro di ridefinizione, un
percorso per prove ed errori in cui hanno transitato militanti sostenitori ed elettori
leghisti versando ciascuno un proprio contributo. Se per la Lega a cavallo degli
anni 80 e 90 il riferimento al territorio è un elemento simbolico, una bandiera, una
clava da brandire contro il sistema dei partiti e contro lo stato romano e
accentratore: il territorio contro la politica [Diamanti 2009], oggi invece sembra
prendere forma anche un’altra idea di territorio. Se prima il territorio bisognava
liberarlo dallo sfruttamento dello stato coloniale [Bossi 1995, 1996], ora bisogna
governarlo, e solo attraverso il suo governo, nell’interesse esclusivo della gente, si
può liberarlo. Lega di governo oggi significa governare il territorio, nelle regioni,
nelle province e nei comuni.
Perciò, è nel quadro che abbiamo delineato, che gli amministratori locali della
Lega ed i sindaci, in particolare, hanno destato il nostro interesse. I sindaci intesi
come cartina tornasole del mutamento che sta avvenendo dentro ed intorno al
partito, nella politica italiana. Questo lavoro trae linfa dalla convinzione che
parlare coi sindaci leghisti, guardare il loro comune attraverso i loro occhi e
sentire raccontare il territorio dalle loro bocche, sia lo strumento migliore per
indagare l’anima profonda del partito e, allo stesso tempo, per scoprirne le
vocazioni e le prospettive future.
Preliminarmente è, tuttavia, necessario inquadrare il fenomeno lega dal punto di
vista teorico, lo faremo brevemente scegliendo un’impostazione capace di
spiegare la dinamica e l’evoluzione del partito, dando giusta attenzione allo stato
della letteratura scientifica e ai maggiori studi che sono stati condotti
sull’argomento.
2. Un attore politico
2.1. Il retroterra
Che Italia è quella della Lega delle origini, quella a cavallo degli anni 80?
Un’Italia che studiosi ed osservatori hanno interpretato attraverso concetti
generali capaci di riassumerne le inclinazioni e gli sconvolgimenti. Processi
mondiali e dinamiche più specificatamente italiane che Ilvo Diamanti, nel
tentativo di spiegare le ragioni del radicamento del leghismo, ha proposto di
osservare da Nord [Diamanti 1996]. E’ infatti agli sconvolgimenti che investono il
nord Italia in quegli anni che dobbiamo guardare se vogliamo capire il sostrato su
9
cui attecchirà la proposta leghista e la risposta che i cittadini e gli elettori ne
daranno: un mix insoddisfazione economica, domanda crescente di integrazione e
regolazione sociale, richiesta di risposte nei confronti dello stato, crisi del modello
di rappresentanza dei partiti di massa ed in particolare della DC. Tutte tensioni e
rivendicazioni a cui la Lega Nord tenterà di dare voce e su cui fonderà la propria
proposta politica.
Lungi dall’essere omogeneo dal punto di vista socio-economico, il nord Italia, pur
nelle enormi diversità geografiche, presenta due modelli peculiari di sviluppo. Il
primo, quello del triangolo industriale Torino-Milano-Genova, caratterizzato dalle
grandi industrie di tipo fordista su cui si è basato il miracolo economico del
secondo dopoguerra che, nel momento in cui lo fotografiamo, si trova ad
affrontare una crisi e cerca di riadattarsi ai nuovi paradigmi post-fordisti. In
particolare Torino, grazie alla FIAT, al suo indotto e alle molte altre industrie
metal-meccaniche, continuerà svolgere il suo ruolo rendendosi più flessibile e
moderno; Milano, si qualificherà come metropoli della finanza e del terziario
diffuso, guadagnando il primato nella produzione dei beni immateriali e
riconvertendo la sua economia intorno dei nuovi lavori nel campo dei servizi. In
queste città emergono nuovi sistemi di regolazione sociale, ceti sociali portatoti di
una nuova domanda. Infatti, se da una parte “cambia il mondo sociale della
grande impresa nel quale non esiste più una classe operaia omogenea” [Diamanti
1996] ed il sindacato dovrà ripiegare nella sua funzione, dall’altra emerge una
nuova borghesia: figure imprenditoriali, autonome e professionali, ma anche
lavoratori flessibili e precari, al margine del sistema produttivo e privi di alcun
tipo di garanzia e rappresentanza.
Il finire degli anni settanta, d’altra parte, segna anche in Italia la scoperta [Trigilia
2002] di un secondo modello di sviluppo fondato sulla micro-imprenditorialità
diffusa, radicalmente differente e alternativo a quello della grande impresa
fordista. Prima che l’attenzione degli studiosi di tutto il mondo si concentrasse
sulle aree che in Italia sembravano reggere meglio alla riorganizzazione
produttiva e alle sfide del fenomeno post-fordista, questo modello di sviluppo era
stato inteso come segno dell’arretratezza economica e come motivo del ritardo
italiano. Invece la Terza Italia [Bagnasco 1977], cioè l’area del centro e del nord
est del nostro paese, presenta un gran numero di piccole imprese concentrate in
sistemi locali con elevato grado di specializzazione settoriale, caratterizzate da
una forte integrazione del mercato del lavoro e del processo produttivo [Trigilia
2002]. L’elevata integrazione e specializzazione produttiva dà forma a veri e
propri distretti industriali, che permettono di rispondere in modo flessibile ai
cambiamenti del mercato grazie alla capacità di assecondare l’evoluzione
tecnologica, ma soprattutto grazie alle risorse relazionali, istituzionali e strutturali
largamente presenti al loro interno. Al centro di questo sistema trovano posto oltre
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che la famiglia e la comunità locale, che “garantiscono e riproducono l’etica del
lavoro, la solidarietà, la trasmissione delle conoscenze e delle competenze
professionali; e al contempo favoriscono la diffusione di valori acquisitivi, la
stabilità e l’integrazione sociale” [Diamanti 1996], anche le due principali
subculture politiche territoriali, quella “bianca” e quella “rossa”. Per esse
s’intende non solo la stabile concentrazione del voto rispettivamente nel nord-est
per la Democrazia Cristiana e nel centro per il Partito Comunista Italiano, ma
anche un senso di identificazione profonda dei territori e delle popolazioni con le
idee, le strutture, le istituzioni e le iniziative dei due principali partiti italiani
[Ramella 2005]. Gli studiosi per descrivere la convergenza di questo peculiare
tipo di struttura economica e sociale con uno specifico tipo di rappresentanza
politica, usano il termine localismo [Diamanti 1996]. Il localismo non è un
fenomeno generalizzato ma interessa solo le zone della Terza Italia; il termine
connota “una società che agisce combinando le regole della reciprocità e delle
solidarietà con quelle dello scambio, il che determina una sorta di mobilitazione
sociale di mercato” [Bagnasco 1988]. Se però, come abbiamo rilevato, il
localismo qualifica esclusivamente le regioni della Terza Italia, all’interno di esse
è possibile trovare numerosi localismi, tanti quanti sono i modelli di sviluppo
locale specifici (le combinazioni originali) dei territori che ne fanno parte. Il ruolo
rivestito in questi contesti dalle subculture politiche rispecchia un senso di
identificazione profonda tra i partiti tradizionali, la loro azione, e le società che
tali partiti assorbono; si tratta di un’appartenenza reciproca che si tradurrà sempre
in un voto stabile e duraturo per essi. I partiti alimentano l’autonoma capacità di
organizzarsi delle comunità e, allo stesso tempo, ne alimentano il senso di
appartenenza; governano gli enti locali con l’obbiettivo di sostenere le istituzioni
tradizionali, le forme di sviluppo e gli interessi delle comunità [Diamanti 1996].
La DC nel nord-est e il PCI nel centro Italia, pur nelle loro diversità di azione,
sono localisti. Per quello che in questa sede ci interessa, e concentrandoci, se pur
limitatamente, sul ruolo della DC, occorrerà rilevare che il partito cattolico non
solo si presenta come il partito dello sviluppo e della comunità locale ma anche
come il garante degli interessi della stessa comunità nei confronti dello Stato.
Perciò, prima la crisi e poi la caduta della DC, insieme allo sconvolgimento
sociale che ne conseguirà, non farà altro che acuire le tensioni, e lasciare
temporaneamente prive di rappresentanza queste comunità. Non è un caso, infatti,
che la geografia del voto leghista ricalchi quella del voto per la Democrazia
Cristiana, giacché la Lega Nord prenderà piede e si manterrà forte nelle aree di
piccola impresa, ad urbanizzazione diffusa e a tradizione bianca.
A questo punto, rimandando ad ulteriori letture per l’approfondimento di queste
tematiche [Bagnasco 1977, 1988; Trigilia 2002], possiamo sintetizzare, per