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INTRODUZIONE
Fin dal Vasari, attraverso i vari periodi della storia moderna e contemporanea, l‟Estasi di Santa
Cecilia di Raffaello (fig. 1) è stata studiata, talora amata appassionatamente, altre volte invece
oggetto di critiche aspre e accuse ferree. Tanti critici nel tempo si sono prodigati nella lettura sotto
molteplici punti di vista: non solo gli storici dell‟arte, ma anche gli stessi musicologi, i musicisti e i
filosofi. Per non parlare poi della fortuna visiva dell‟opera: tra disegni e memorie grafiche,
trascrizioni incisorie, stampe italiane e francesi, si può dire che quest‟opera di Raffaello ha fatto
davvero scuola.
Oggi, quale taglio critico proponiamo alla luce degli studi intercorsi in tanti anni e dell‟eterogeneità
delle interpretazioni del capolavoro raffaellesco? Possiamo superare ogni ambiguità interpretativa?
Quest‟analisi prende l‟avvio dalla critica attuale, quella novecentesca in particolare, ma non
tralascia la critica passata che, lungi dall‟essere considerata semplicisticamente superata, viene
tenuta in considerazione in relazione ai suoi tempi. Obiettivo del presente lavoro è riorganizzare i
commenti critici illustri cercando di ricondurli ad un denominatore comune, ossia ai significati
musicali, espliciti e impliciti, che permeano l‟opera e che ne hanno rappresentato la sua fortuna.
Ma cosa intendiamo per Musica? E quali sono i suoi rapporti con l‟arte? Per spiegarli, questo lavoro
intreccia eventi storico-artistici e storico-musicali nel tempo fino ad approdare al vertice più alto
della cultura italiana rappresentato dall‟epoca di Raffaello, i primi vent‟anni del Cinquecento, per
eccellenza il cosiddetto pieno Rinascimento.
Iniziamo dunque con un breve excursus di critica storica per arrivare poi a quella moderna.
Già il Vasari nel 1550 nelle sue Vite sottolinea l‟importanza dell‟“apparizione”, dell‟“estasi”, della
“divinità” del capolavoro. Egli usa gli aggettivi tipici cinquecenteschi: “rara, miracolosa, ben fatta e
colorita, divina e non dipinta”. In più, il Vasari aggiunge che gli strumenti musicali furono
rappresentati per volere di Raffaello da uno dei suoi migliori allievi, Giovanni da Udine. Anche il
Dolce ne L’Aretino del 1557 parla di “santità e divinità” dell‟opera. E il Lomazzo nel Trattato
dell’Arte della Pittura del 1584 si sofferma sull‟aspetto legato alla “contemplazione” e Santa
Cecilia viene così a ridursi a figura dell‟iconologia, con un‟immagine già prodigiosamente barocca.
Terminato il Cinquecento, per Raffaello inizia l‟interpretazione classicista seicentesca e con essa
cominciano altresì le prime accuse al suo lavoro. Se ne possono distinguere di due generi: la prima è
quella di secchezza, durezza dell‟opera; la seconda è di anacronismo dei personaggi. Da un lato
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quindi la fissità delle figure controbilanciata dalle espressioni e dalle arie meravigliose delle teste,
dall‟altro l‟incongruità degli stessi personaggi unificati in modo inafferrabile, senza apparente
storia, seppure graziosamente e armonicamente colti nel loro insieme. La sensazione che se ne trae,
nel complesso, è quella di un “capolavoro sfiorato”.
Il Malvasia nella Felsina Pittrice del 1678 parla di “figure taglienti e dure”, forse esagerando il
giudizio per spirito di rivalsa bolognese rispetto alla cultura prevalente umbro – tosco - romana. E
anche Annibale Carracci in una lettera al cugino Ludovico, stando a quanto riporta il Malvasia,
dopo avere visto il Correggio a Parma, dice: “adesso mi pare una cosa di legno tanto dura e
tagliente…”. Probabile che l‟influenza del giudizio dei Carracci abbia agito ancora fino al
Settecento.
Il Bellori nelle sue Vite del 1672, invece, cerca di difendere Raffaello dalle accuse di “umile idea” di
un “Boccalaio Urbinate”, secondo quel giudizio così duro espresso dal contemporaneo Malvasia.
Bellori riscopre la bellezza ideale riconducibile all‟opera e alla filosofia platonica sottostante,
rielaborata quest‟ultima sotto una veste nuova (neoplatonica) che vede le idee non presenti a priori,
ma ispirate dalla contemplazione della natura.
Nel Settecento, continuano nuovamente le diverse correnti di pensiero: Winckelman nel 1764 parla
di un “disegnar franco e contornar esatto”. Egli ravvede nell‟opera una trasposizione delle antiche
statue di “quiete solenne”, un genere cioè analogo a quello delle sculture classiche. Con l‟aggiunta
di una nuova suggestione emotiva, quasi ineffabile, sussurrata nell‟eternità del silenzio.
Ciò nonostante, le critiche proseguono: L. Crespi nel 1770 e J. Reynolds nel 1769 sottolineano
ancora la secchezza, una certa grettezza di maniera nell‟opera.
Diversa la posizione del contemporaneo Mengs, profondamente appassionato di Raffaello. Egli
contribuisce, con la sua opera critica (Pensieri sulla bellezza del 1762) anche alla diffusione, dopo
gli studi italiani, dell‟artista a livello europeo.
Goethe nel 1786, durante il suo viaggio in Italia, ha un primo incontro con Raffaello proprio grazie
alla visione della Santa Cecilia. Per lui Raffaello è il dio della pittura.
Lo spirito romantico fa cambiare dunque direzione: Heinse nel 1783, poi Stendhal, Shelley e infine
Schlegel nel 1804 rivalutano il mito di Raffaello che viene considerato, dopo Shakespeare, il
secondo animo sublime del passato. Per Schlegel Raffaello è l‟incarnazione stessa della pittura, la
bellezza assoluta, la sua caratteristica è l‟universalità.
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Agli inizi dell‟Ottocento la pittura permeata dal romanticismo è considerata al pari di una poesia.
Per ogni rappresentazione esiste un reciproco musicale ad essa organicamente legato da un vincolo
d‟amore che unisce suono e colore in un‟anima comune, come affermava lo scrittore romantico
Ludwig Tieck. Ecco che la pittura diventa anche musica, intesa romanticamente come l‟universale
legge celeste. Il quadro è un‟architettura sonora. L‟estetica romantica e la filosofia idealistica
portano alla compenetrazione della musica nell‟arte, la prima concepita come interiore armonia e, in
sostanza, per dirla con un termine dell‟area germanica, come stimmung.
Per questi motivi, l‟Estasi di Raffaello torna al suo massimo splendore e la sua fama si accresce,
grazie anche alla coincidenza (sfortunata per l‟Italia, ma fortunata per l‟arte) con il trasferimento a
Parigi delle migliori opere italiane come disposto da Napoleone.
Con il ritorno a Bologna e il termine della parabola romantica, riprendono le critiche all‟opera,
quelle di Ruskin nel 1845 che rivaluta la grande arte pre-rinascimentale e quelle del Mommsen,
sempre a metà secolo, che sottolineano come Santa Cecilia sia completamente rovinata dal barbaro
restauro. In quegli anni, Santa Cecilia diventa sempre più una pittura considerata nazarena, studiata
con un modello metodologico e filologico ragionato e sistematico, secondo i principi dello storico
dell‟arte J.D. Passvant.
Importanti anche le successive disquisizioni del Cavalcaselle tra il 1882-85 e del Morelli nel 1892.
Il primo nel suo saggio Raffaello, la sua vita e le sue opere analizza in modo scientifico i dettagli
dell‟opera apprezzandone “quel magistrale trattamento, quelle forme, quell‟espressione dei volti,
quella grandiosa dignità e quel colorito che erano doti proprie di Raffaello…”. Morelli nel suo
Italian Painters dice che la maestosa, nobile testa della Maddalena non poteva che essere stata
concepita dal “divino maestro”.
A questo punto si apre il Novecento e con esso gli studi dell‟arte recenti, quelli che sono alla base di
questa dissertazione e che abbiamo considerato sotto un‟ottica unificata, quella del rapporto
esclusivo con la Musica.
Il Cap. 1 avvia una ricostruzione storica del culto romano di Santa Cecilia, dalle origini fino al
Cinquecento. Viene poi descritto il contesto culturale in cui l‟Estasi di Santa Cecilia di Raffaello fu
commissionata, tracciando un parallelo tra la storia di Bologna, con la sua committenza locale, e la
vita di Raffaello a Roma durante gli stessi anni. Vengono altresì ricostruiti sommariamente altri due
eventi significativi per l‟opera raffaellesca: il suo trasferimento a Parigi durante il dominio di
Napoleone e il suo ritorno a Bologna dopo il Congresso di Vienna.
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Nel Cap. 2 si intrecciano le vicende della storia della musica con quelle della storia dell‟arte,
prendendo sempre come punto di approdo temporale l‟epoca di Raffaello, il Rinascimento. Questa
anamnesi storica ci porta a individuare i rapporti sottesi nella Santa Cecilia tra arte e musica,
soprattutto se posti in relazione con gli aspetti filosofici.
Nel Cap. 3 i rapporti precedentemente individuati vengono studiati e tradotti in significati musicali:
l‟Imago Musicae è il primo significato, iconografico, esplicito dell‟opera, collegato alla
rappresentazione pittorica degli strumenti musicali. Ma anche l‟Harmonia Mundi, quel senso di
armonia musicale del mondo, come descritto dagli antichi, pervade il nostro quadro facendolo
ricondurre al revival delle teorie filosofiche neoplatoniche. Un altro significato musicale è
ricercabile, nella contrapposizione tra musica celeste/musica terrestre, anche sull‟asse Amore /Eros
con una simmetrica opposizione tra amore divino/amore umano. Infine, un ultimo simbolismo
sonoro è stato riscontrato nell‟aspetto più contemplativo del dipinto, l‟Estasi, che conduce l‟opera
verso il superamento dell‟armonia classica.