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ingiustificata dal punto di vista economico quanto pregiudizievole per il
processo di integrazione economica europea.
L’approccio seguito è stato quello di dividere il lavoro in due parti.
Nella prima si sono affrontati gli argomenti che permettono di delineare un
quadro comune per i servizi di pubblica utilità francesi.
La definizione del concetto di missione di servizio pubblico innanzitutto, non
visto come mero strumento di propaganda del servizio pubblico quanto
piuttosto come insieme di prerogative irrinunciabili dell’azione pubblica; ciò
su cui semmai si può discutere sono le modalità di espletamento e di
finanziamento di tali missioni, in Francia fortemente legate all’esistenza delle
imprese che erogano servizi di pubblica utilità. Dopo aver osservato in quale
modo è possibile finanziare tali missioni, ci si soffermerà sulla definizione dei
fondamentali principi del servizio pubblico dal punto di vista dell’utenza e sul
modo in cui viene data loro pratica attuazione.
Segue un percorso storico dell’evoluzione del modello del servizio pubblico
francese, incentrato soprattutto sulla descrizione del periodo d’oro del
“service public”, durato dal Dopoguerra alla fine degli anni Settanta,
momento in cui la forte convergenza di interessi degli attori sociali ed
economici coinvolti (potere politico, industria, sindacati, collettività ed in
parte utenza) legittima l’azione di uno Stato autenticamente centralista che si
ritiene, in parte a ragione, l’unica istituzione in grado di implementare la
crescita economica del paese e la creazione di un’industria competitiva a
livello mondiale, ampliando contemporaneamente lo stato sociale; si vedrà
come una politica particolarmente aggressiva sul piano industriale fondata su
una particolare strategia di protezionismo offensivo ribattezzata
“Colbertismo high-tech” permetterà allo Stato di sviluppare la crescita
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sociale ed economica del paese per diversi anni. Si osserverà infine la
naturale involuzione di tale processo accompagnato da una crisi dello Stato
“imprenditore” ed in parte del modello del servizio pubblico francese, il cui
tentativo di ridefinizione attuale viene descritto più operativamente nei
capitoli dedicati ai singoli settori.
Nel terzo capitolo si osserva la proiezione nella realtà dello scontro
ideologico cui la Francia partecipa molto attivamente, che si esplica
nell’azione comunitaria in materia di liberalizzazione di quei settori per anni
considerati “protetti”, quali quelli inerenti i servizi di pubblica utilità: così
come durante il ventennio successivo alla Ricostruzione, la scuola giuridico-
amministrativa francese aveva fortemente contribuito alla costruzione delle
fondamenta giuridico-istituzionali comunitarie, è innegabile la crescente
influenza anglosassone sull’orientamento comunitario degli ultimi due
decenni, influenza che non porta certo a rinnegare l’impalcatura culturale e
sociale creata, ma che amplia le prerogative comunitarie nel senso di una
eliminazione degli ostacoli che impediscono la piena integrazione economica
europea, da molti considerata come la chiave per la rinascita del vecchio
continente.
L’approccio economico del quarto capitolo infine, si preoccupa di osservare
l’evoluzione della teoria economica in relazione alla giustificabilità delle
diverse forme di intervento pubblico nell’economia. Senza avere la pretesa di
toccare tutti gli argomenti che meriterebbero un approfondimento,
l’esposizione sintetica di alcuni modelli può fornire utili strumenti per la
comprensione dell’attuale contesto evolutivo dell’economia e dell’impresa
pubblica. Con particolare riferimento alle public utilities, se la teoria
economica non permette di giustificare l’esistenza di monopoli pubblici
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verticalmente integrati se non in presenza di fallimenti di mercato, essa non
permette neppure di associare biunivocamente una maggiore efficacia con
lo status privato dell’impresa, in concorrenza. La teoria della
regolamentazione infine sposta l’attenzione sulla necessità di ricentramento
dell’attività dello Stato su un tipo di regolazione “leggera”, che funga da
guida per lo sviluppo dell’economia.
Se nella prima parte del testo si delineano quelle che sono le caratteristiche di
un modello di economia pubblica tipicamente francese, oltre a metterne in
luce l’evoluzione, nella seconda parte l’analisi settoriale permette di operare
le dovute distinzioni per i diversi servizi di pubblica utilità, ridimensionando
in qualche modo la compattezza del sopracitato modello. Lo spazio fisico
dedicato ad ogni singolo settore è correlato direttamente alla criticità della
sua transizione organizzativa (in relazione naturalmente all’azione normativa
comunitaria), al “peso” del settore nel contesto economico francese ed alla
peculiartità delle prerogative in funzione delle quali si è orientato il suo
sviluppo (si pensi alle ragioni che hanno determinato la scelta piuttosto
radicale dell’opzione nucleare francese).
Il settore elettrico è quello a cui si dedica il maggior spazio, proprio perché al
centro di molteplici istanze di diversa origine che ne rendono controversa
l’evoluzione: così l’esistenza di un operatore elettrico verticalmente integrato
(EDF) tra i più sviluppati al mondo, e la sua spiccata “specializzazione
nucleare” nata dalla forte volontà della Francia di assicurarsi dal rischio di
nuovi shock di offerta energetica (1973), si scontrano violentemente col
precetto comunitario di graduale liberalizzazione del mercato elettrico; i
recenti episodi in merito alla trasposizione della direttiva “elettrica” 96/92
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CE (avvenuta con quasi un anno di ritardo) lo dimostrano. È difficile in tale
contesto isolare le ragioni della riluttanza francese alla pretesa
economicamente legittima di riportare il monopolio legale alle dimensioni di
quello naturale: volontà di tutelare gli interessi della collettività nei confronti
di un servizio così importante? analisi costi-opportunità estesa che prende in
considerazione diversi fattori (programmazione sul lungo termine della
politica energetica) e che orienta verso la preferenza accordata al monopolio
pubblico? Stato “Leviatano” ansioso di raccogliere i frutti di anni di
investimenti? Probabilmente tutte queste ipotesi hanno un fondo di verità, ma
quel che è certo è che il ritardo nella trasposizione della direttiva 96/92 non è
giustificabile con alcuna di queste considerazioni e che esso potrebbe
produrre conseguenze nefaste per la Francia sul piano internazionale,
nonostante si sia provveduto in extremis alla tormentata approvazione, in
data 1/2/2000.
Il settore ferroviario, subisce un’evoluzione meno concitata, visto che
comunque la questione della apertura del mercato è di minore importanza
rispetto al preoccupante declino settoriale in atto da due decenni. Il bilancio
dell’operatore pubblico SNCF è contraddittorio: numerose tratte regionali
passive, promettenti progetti di reti transeuropee, problemi di rigidità
organizzativa arginati con un lento processo di decentramento organizzativo;
sul fronte del trasporto merci si osserva alla fine del millennio una certa
ripresa in parte dovuta alla creazione di “corridoi internazionali” di
trasporto che permettono un migliore adattamento dei servizi alla domanda.
Unbundling formale, decentramento gestionale, accollo da parte dello Stato
del debito: la gestione del declino del settore ferroviario non si discosta molto
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da quella operata in altri paesi (Germania), anche se i tempi sono diversi e lo
è anche il contesto istituzionale-amministrativo.
Il settore postale mostra invece un certo equilibrio nella transizione.
L’operatore pubblico La Poste, seppur con vincoli dovuti in parte
all’infrastruttura fisica (17.000 uffici sul territorio francese) ed umana (ben
300.000 dipendenti), dopo alcune difficoltà riscontrate a metà degli anni
Novanta, ha saputo ricrearsi un certo equilibrio economico e prospettive di
crescita in termini di diversificazione strategica. Una grossa rilevanza assume
il perimetro del servizio universale consacrato dalla normativa comunitaria
ed il corrispettivo dominio d’attività “riservato” all’eventuale operatore
pubblico, opzione di cui la Francia si avvale pienamente; interessante sarà
comunque osservare l’evoluzione del perimetro del servizio universale
riconosciuto, in relazione al progresso tecnologico ed all'evoluzione della
domanda, con particolare riferimento alla scadenza della direttiva
comunitaria 96/67 nel 2004.
Un capitolo ridotto infine viene consacrato al settore delle telecomunicazioni,
per il cui processo di liberalizzazione la Francia ha curiosamente giocato un
ruolo di prim’ordine in Europa: in questo caso, la straordinaria evoluzione
tecnologica unita alla minore rilevanza delle missioni di servizio pubblico
espletate (servizio universale escluso) e, probabilmente, a considerazioni di
opportunità economica in merito alla cessione di France Télécom hanno fatto
si che la transizione (ancora in atto) sia stata relativamente “indolore”
rispetto a quella degli altri servizi di pubblica utilità.
Un capitolo conclusivo infine tenta di tracciare un bilancio del rapporto tra
evoluzione del modello del “service public” e singole evoluzioni settoriali.
Senza avere la pretesa di quantificare l’efficienza globale delle imprese
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pubbliche osservate, si può comunque giudicare in maniera abbastanza
positiva la loro efficacia, sia dal punto di vista della soddisfazione della
domanda che per il contributo fornito all’espletamento delle missioni di
interesse generale che, con le dovute differenze da settore a settore, sul piano
strategico, visto che a prescindere dalla loro privatizzazione, molte di esse
sembrano tutto sommato sufficientemente predisposte a vivere in futuro in un
contesto maggiormente concorrenziale. Di tutt’altro spessore è la sfida che
interessa le istituzioni pubbliche, che debbono essere in grado di ridefinire le
prerogative dell’intervento pubblico nell’economia in un contesto fortemente
evolutivo in cui non necessariamente il “service public” troverà uno spazio
paragonabile a quello avuto in passato.
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1 Le missioni di servizio pubblico come giustificazione
dell'intervento pubblico nell’economia
Introduzione
Ci si occupa in questo capitolo dell’analisi delle giustificazioni fondamentali apportate dalla dottrina francese
dell’azione pubblica in sostituzione al mercato; dopo una breve indagine definitoria, volta ad acquisire
familiarità con la terminologia di base in materia (dalla definizione tipicamente francese di missione di
servizio pubblico a quella di servizio universale), si passa a considerare quali sono gli strumenti tecnici e
finanziari principali che sul piano operativo permettono di garantire la fornitura dei servizi richiesti alla più
ampia utenza possibile, nonché il dibattito che anima la necessità di utilizzo di alcuni di questi strumenti.
L’appendice di fine capitolo si occupa di definire quali siano i principi che un servizio pubblico deve
garantire, e mostra che l’applicazione concreta di tali principi a livello giuridico risulta in Francia effettiva.
Identificazione delle missioni di servizio pubblico
Condizione necessaria per l’esistenza di una missione di servizio pubblico è l’individuazione di un bisogno
riconosciuto dalla collettività che l’iniziativa privata non soddisfa. Ciò implica il fatto che tale missione abbia
un costo di cui il mercato non si fa carico. Il bisogno individuato può essere legato all’esistenza di libertà
fondamentali, o più tangibilmente all’esistenza di solidarietà riconosciute. L’esistenza dei “servizi pubblici“ a
rete (trasporti ferroviari, energia, telecomunicazioni, ecc.) è intimamente legata a tali bisogni e alle “libertà”
che li legittimano; da anni essi sono lo strumento principale attraverso cui tali libertà si concretizzano; una
frase di L. Duguit, fondatore della dottrina francese del servizio pubblico, sintetizza bene tale concetto: “le
libertà, per essere effettive, hanno bisogno che lo stato organizzi i suoi servizi pubblici a rete“; questa frase
ricalca abbastanza fedelmente il precetto contenuto nel preambolo della Costituzione francese secondo cui i
beni e le imprese che hanno le caratteristiche di un servizio pubblico nazionale e/o di un mo nopolio naturale
debbono diventare proprietà della collettività; è interessante confrontare tale definizione con quella
“economica“ di servizi (a carattere industriale e commerciale) di pubblica utilità, per la cui esistenza è
condizione necessaria la presenza di un monopolio naturale e/o di fallimenti di mercato, in particolare la
mancanza della garanzia di erogazione di un servizio in maniera uniforme sul territorio nazionale: come si
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avrà modo di osservare, se il concetto di monopolio naturale non lascia spazio ad equivoci, l’identificazione
del fallimento del mercato con la necessità di istituire il servizio pubblico non può essere considerato a tutti
gli effetti un concetto estemporaneo, nella misura in cui si tende ad identificare il servizio pubblico con una
impresa pubblica verticalmente integrata. La lenta e travagliata metamorfosi organizzativa del “service
public“ dell’ultimo decennio mostra come quella appena esposta sia molto più di una semplice divergenza
definitoria.
Si possono individuare un insieme di bisogni comunemente considerati come alla base di una società civile
moderna: sono i cosiddetti servizi regaliani di difesa, tutela dell’ordine pubblico, giustizia; si possono poi
individuare dei servizi rientranti nel perimetro del “welfare“ individuato, principalmente legati alla
identificazione di diritti fondamentali quali istruzione e sanità; raramente lo statuto pubblico delle
imprese/amministrazioni che coprono tale servizio viene messo in discussione nelle società occidentali, anche
se non viene riconosciuto il monopolio pubblico per l’erogazione di tali servizi.
All’infuori di questi casi esiste un certo margine di discrezionalità legato alla individuazione di un bisogno
potenzialmente generatore di una missione di servizio pubblico; tale discrezionalità risiede principalmente
nella scelta dei criteri di determinazione della missione, criteri variabili a seconda della cultura o della
situazione politica di un paese, nonché della congiuntura economica: ciò che oggi è considerato servizio di
pubblica utilità, potrebbe non esserlo in futuro, e viceversa. La ridefinizione periodica delle missioni è
essenziale, anche se può risultare di difficile attuazione nel breve termine.
Quando si parla di fallimenti del mercato, si fa riferimento implicitamente al concetto di esternalità, che
indica l’incapacità del mercato di individuare, quantificare, sanzionare e modificare gli effetti che l’azione di
(gruppi di) individui hanno sull’attività/benessere di altri individui (C. Henry); tali effetti possono essere
positivi o “di club“, (come nel caso di un nuovo abbonato al telefono, che per il fatto di permettere ad
individui già abbonati di comunicare con lui “merita” di pagare un prezzo inferiore al costo marginale) o
negativi; i più comuni sono quelli legati ai danni recati all’ambiente da immissioni nocive causate da attività
di vario genere, immissioni che non verrebbero prese in considerazione per la determinazione del prezzo se il
mercato non fosse pubblico o regolamentato.
Più in generale, una delle finalità imputabili alla missione di servizio pubblico è la garanzia di un utilizzo
spazio-temporale efficace delle risorse e del territorio: in alcuni casi solo la forza pubblica è in grado di
assicurare un’azione coordinata sul lungo periodo che tenga conto anche di esigenze diverse dalla mera
erogazione “ottima” del servizio; spesso, infatti, il lungo termine non viene sufficientemente preso in
considerazione dagli agenti economici operanti sul mercato, i quali non sono incitati a tenere conto delle
ripercussioni future delle loro decisioni attuali; si pensi alla missione di programmazione del parco di
produzione elettrico di un paese, che serve ad evitare che gli operatori privati di settore prendano in
considerazione, nelle loro scelte di investimento, unicamente indicatori di medio-breve termine quali i prezzi
relativi delle risorse energetiche. L’utilizzo spaziale “ottimo“ delle risorse fa invece riferimento alla
sopracitata esigenza di garantire l’erogazione di determinati servizi in maniera uniforme sul territorio sia per
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permettere a tutti l’accesso ad un determinato servizio alle medesime condizioni quanti-qualitative, sia in
funzione della missione di pianificazione territoriale: le imprese di pubblica utilità francesi contribuiscono
pesantemente alla politica di pianificazione territoriale, attraverso strumenti quali la perequazione tariffaria e
l’allocazione dell’infrastruttura pubblica in funzione di tale politica (si pensi alla forte diffusione degli uffici
postali nelle zone rurali francesi in via di spopolamento, incitata dalla politica di pianificazione territoriale e
non certo da considerazioni di opportunità economica).
In un altro ordine di finalità rientrano le missioni legate al concetto di coesione sociale.
Ci si interessa ad un tipo di coesione “sostanziale”, nel momento in cui la missione si fa carico della
soddisfazione di bisogni “sociali” degli individui, cioè di bisogni sentiti da essi in quanto appartenenti alla
società; l’obbiettivo è la non esclusione dal servizio di chi, in condizioni economiche normali, non vi potrebbe
accedere; si tratta in particolare di combattere l’esclusione non solo di chi abbia handicap fisici, ma anche
economici. Simmetricamente, i mezzi specificamente utilizzati per garantire l’accesso a tali soggetti non
debbono favorire anche chi dal servizio non sarebbe escluso: in concreto, se non entrano in gioco
considerazioni di diverso tipo (valenza simbolica), si tendono a preferire forme di perequazione relativa
piuttosto che assoluta, se non addirittura il ricorso a fondi creati ad hoc per permettere il finanziamento della
missione “sociale“ senza provocare ulteriori effetti distorsivi sulle tariffe (il finanziamento avviene in tal caso
attraverso l’imposizione generica); su questo argomento si tornerà nei prossimi paragrafi.
La contribuzione data dalla missione di servizio pubblico alla coesione può essere anche di natura simbolica:
in questo senso la coesione è intesa come sentimento collettivo di appartenenza ad una società che tratta
equamente i suoi membri. E’ in tale prospettiva che, in Francia in modo particolare, l’accesso ai servizi
pubblici è spesso considerato alla stregua di un diritto fondamentale, in quanto esso stesso accessorio
all’esercizio dei diritti fondamentali: è la capacità dell’uomo a “funzionare” ad essere presa in considerazione;
si trovano indicazioni in questo senso anche nell’ex articolo 130.a del Trattato di Roma (articolo 158 del
Trattato di Amsterdam) nel quale si indica l’accesso ai servizi pubblici come “contributo al rafforzamento
della coesione economica e sociale” dell’Unione Europea.
L’importanza dell’azione pubblica che emerge da queste considerazioni, non è comunque immutabile nel
tempo: la definizione della missione e dell’ampiezza del suo raggio d’azione vanno valutate in maniera
costante e rigorosa; la banalizzazione delle missioni, nonché l’immobilismo di cui le organizzazioni atte a
garantirle possono essere vittima, costituiscono probabilmente il pericolo maggiore corso dal modello
francese del servizio pubblico: ciò che da più viene messo in discussione, non è l’opportunità dell’intervento
pubblico nell’economia, quanto le modalità di tale intervento; l’evolutività che lo Stato saprà imprimere ai
concetti e alle forme organizzative del “service public“, determineranno in parte il futuro di tale modello e
delle imprese pubbliche che lo incarnano.
Da più parti si sostiene la tesi della sostanziale irrisorietà economica di molte delle missioni di servizio
pubblico fornite; tale punto di vista, se pur opinabile, mostra che esiste un solo rimedio per il servizio
pubblico: una costante ridefinizione della missione espletata, una rigorosa analisi economica (sia quantitativa
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che qualitativa) per adattare il mezzo al fine, ed una certa flessibilità per quanto concerne le modalità di
organizzazione del servizio.
Di qui ad affermare la completa identificabilità delle missioni di servizio pubblico, il passo non è certo breve:
se definire il perimetro di uno specifico servizio universale ed il modo in cui finanziarlo è relativamente
semplice, non si può dire lo stesso per una missione di carattere generale quale per esempio è la pianificazione
territoriale; si pensi alla difficoltà di quantificare il surplus collettivo recato dalla non chiusura di una stazione
ferroviaria o di un ufficio postale poco frequentati, nell’ottica di una politica territoriale volta a contrastare lo
spopolamento rurale.
Diverse considerazioni possono essere fatte in relazione alla quasi simmetria operata nel contesto francese tra
necessità di intervento diretto dello Stato nell’economia ed esistenza di missioni di servizio pubblico; oltre
alla concezione di giustizia sociale che si adotta nello specifico contesto spazio/temporale francese, ciò che
importa capire è che in realtà non esiste un legame indissolubile tra la necessità di garanzia delle missioni ed
esistenza di imprese pubbliche, per cui debbono essere implementati tutti quegli strumenti che permettono di
rendere economicamente e socialmente comparabile qualunque forma di intervento pubblico diretto
nell’economia (l’impresa di pubblica utilità ne è l’esempio più evidente) con altre modalità di espletamento
delle missioni di interesse generale.
Modalità di espletamento delle missioni di servizio pubblico.
In funzione delle finalità delle missioni sopracitate, l’autorità organizzatrice (lo Stato) definisce per il
servizio un “regime di fornitura” opportuno, che precisa a che condizioni e in base a quali vincoli le missioni
di servizio pubblico vanno assicurate e che si concretizza in un piano di lavoro le cui direttive principali sono
stabilite in base ai principi di servizio pubblico (si veda l’appendice sui principi di servizio pubblico alla fine
di questo capitolo), principi che risultano quindi essere una condizione necessaria per la definizione di una
missione. L’attività dell’autorità organizzatrice non si riduce alla pianificazione della missione (concedendo
l’attività a privati o costituendo un ente pubblico ad hoc); deve anche assicurare il rispetto delle disposizioni
date; in sostanza sono tre le funzioni di regolamentazione da svolgere preferibilmente da autorità separate:
definizione delle regole, decisioni individuali (concessione di licenze o creazione di enti pubblici ad hoc) e
controllo del funzionamento del mercato.
Nel quadro giuridico francese sono parlamento e governo che promulgano le regole generali, mentre le
decisioni individuali vengono prese da autorità amministrative subordinate, come i ministri. La legalità di tali
regole (contenute in decreti) è sott oposta al controllo del giudice amministrativo.
Nel caso specifico delle imprese di pubblica utilità, lo strumento di definizione degli obblighi in termini di
espletamento delle missioni di servizio pubblico è il “Cahier des charges“, una sorta di agenda degli impegni
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col quale vengono precisati diritti e doveri dell’operatore pubblico; la pianificazione del lavoro sul medio
termine e la quantificazione degli obblighi dell’impresa avvengono invece tramite il “Contrat de Plan“, un
importante documento attraverso cui il governo formalizza gli obbiettivi in termini quantitativi (livello dei
prezzi), qualitativi (servizio reso) e di contributo operativo alle missioni di servizio pubblico (pianificazione
territoriale, coesione sociale, ecc.); questo strumento viene utilizzato da oltre trent’anni per definire gli
obblighi dell’operatore elettrico EDF e più recentemente si è incominciato ad utilizzarlo anche con La Poste,
SNCF e France Télécom.
Come già detto, campo della missione e modalità di organizzazione debbono essere fortemente adattivi: se da
un lato l’inquadramento costituzionale e i principi che giustificano le missioni devono essere duraturi,
dall’altro leggi e regolamenti che definiscono tali missioni in concreto devono essere uno strumento flessibile
che permetta periodiche modifiche.
Riguardo a ciò che spetta agli utenti dei servizi pubblici, due sono gli aspetti controversi.
La relazione col prestatario, innanzitutto; l’utente si trova in misura di pretendere la fornitura di un servizio
ad un determinato prezzo/livello di qualità, anche se si trova di fronte ad un fornitore spesso in monopolio:
tale paradosso si spiega con la titolarità di specifici diritti identificati e “quantificati“ , il cui godimento viene
assicurato dallo Stato per mezzo dei sopracitati vincoli posti alle imprese pubbliche.
Un altro problema è legato all’eterogeneità dell’utenza, che fa si che diverse fasce di utenti nutrano diverse
aspettative nei riguardi del prestatario; a seconda della posizione economica e sociale un utente tenderà ad
aspettarsi un prezzo basso ed una gamma di prodotti relativamente poco ampia, nel caso esso sia
economicamente sfavorito; viceversa, chiederà una vasta gamma di servizi, curandosi meno del prezzo, se è
più abbiente. Delle soluzioni tecniche prospettabili per tenere conto di tali diverse esigenze, si parlerà nel
paragrafo dedicato alle opzioni tariffarie.
Il servizio universale
Quello di universalità è un concetto fondamentale, distinto da quello di servizio pubblico (del quale può
essere considerato una componente) e al centro di importanti dibattiti anche a livello comunitario.
Si parla del servizio universale come del servizio di base, considerato:
1. Indispensabile al “funzionamento” della persona, in quanto garantisce la fruizione di determinati
servizi a prescindere dalle condizioni economiche dell’individuo.
2. In un contesto spazio/temporale ben definito.
E’ la seconda parte di tale definizione ad essere oggetto di dibattito: chiaramente nessuno può pensare di
concepire un servizio universale immutabile nel tempo; esistono diversi tentativi di definizione più o meno
restrittiva del servizio universale; quello britannico per la telefonia fissa per esempio, individua il servizio di
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base come l’accesso a tutti gli utenti alla rete, una fatturazione dettagliata, la possibilità di impedire la
chiamata di certi numeri dal proprio telefono, la possibilità incondizionata di ricezione telefonica e di utilizzo
dei numeri di urgenza (a prescindere dal pagamento della bolletta). È evidente comunque, che definizioni
troppo restrittive del servizio universale non soddisfano pienamente chi vede nell’applicazione pratica di tale
concetto un potenziale giustificativo di diseguaglianze socio/economiche strutturali, nel momento in cui essa
implichi la creazione di un servizio “minimo”, di sopravvivenza e soprattutto, con prospettive di evoluzione
nettamente inferiori a quelle del simmetrico servizio “normale”; ciò porterebbe a lungo termine al pericolo di
bipartizione abbastanza netta in due fasce di utenza, fatto inaccettabile per una società che fondi la sua
ragione d’essere nella crescita comune e nella coesione sociale. Non è quindi il concetto di universalità in se
ad essere in discussione, quanto l’uso che se ne fa ed il rapporto tra la sua adattività all’evoluzione
tecnologica/culturale e quella del servizio “non universale” (cioè quello più evolutivo, non garantito): un
rapporto che deve rimanere il più possibile prossimo all’unità .
Il meccanismo preferibile attraverso cui garantire il servizio universale rimane quello legislativo; così come
per il diritto all’energia in Francia, anche altri diritti potrebbero essere consacrati direttamente dalla legge; ciò
può però causare due tipi di problemi: innanzitutto il procedimento legislativo può risultare poco duttile;
inoltre, la consacrazione implicherebbe una minor flessibilità del budget dello Stato, attraverso cui vengono
finanziati i servizi forniti a garanzia dei diritti ritenuti fondamentali.
Sul piano operativo, due questioni risultano fondamentali per combattere l’esclusione e garantire un servizio
universale di una certa ampiezza:
1. Diversificazione delle opzioni tariffarie.
2. Scelta del mix di finanziamento del servizio universale (e del servizio pubblico).
In realtà questi argomenti non riguardano solo le modalità di finanziamento del servizio universale, quanto in
genere quello delle missioni di servizio pubblico direttamente correlate all’erogazione di servizi da parte di
imprese di pubblica utilità e, in ultima analisi, all’economicità della gestione di tali operatori.
È opportuno infine ricordare che tali soluzioni possono aprire un interessante dibattito tecnico (come si vedrà
nei successivi paragrafi), ma che la questione centrale della necessità di consistenza effettiva del serv izio
universale in relazione a variabili spazio/temporali non è legata a formule matematiche quanto piuttosto al
dialogo sociale e politico.
La diversificazione tariffaria.
Una volta individuato il costo totale dei servizi forniti dall’impresa di pubblica utilità, composto dal costo di
erogazione dei servizi eventualmente ampliato dal costo delle missioni di servizio pubblico ad essi imputati,
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ci si può interrogare su quale sia il modo migliore per erogare tali prestazioni massimizzando il surplus
collettivo e rispettando il vincolo di economicità dell’operatore pubblico.
La diversificazione tariffaria è uno strumento che trova il suo fondamento teorico/economico nel modello di
autoselezione; esso illustra come un’analisi efficace delle esigenze della domanda, esplicitata in una
diversificazione tariffaria idonea e chiara per l’utente, possa portare ad una maggiore utilità complessiva per
la collettività. Per quanto complessa la questione può essere ricondotta ad un problema di ottimizzazione,
dove esistono tante funzioni di utilità da ottimizzare quante sono le diverse fasce di utenza individuate,
vincolate dalla condizione di equilibrio budgetario del prestatario di servizi e/o del gestore dei fondi di
perequazione. Sono comunque necessarie determinate condizioni per il successo dell’operazione.
La questione è di concepire delle opzioni tariffarie che permettano, senza costi di informazione aggiuntivi
(cioè senza la necessità di studiare ogni singolo caso per sapere
a quale fascia di utenza il soggetto appartenga), di fare in modo che ogni utente sia naturalmente portato ad
usufruire del servizio desiderato.
Una esemplificazione può chiarire la questione; si tratta di immaginare l’esistenza di due sole fasce di utenza
di una determinata categoria di servizi (energia, telecomunicazioni, ecc.); la prima categoria è costituita da
utenti a reddito basso, che non hanno grosse esigenze di diversificazione del servizio, mentre la seconda è
costituita da utenti a reddito alto, o comunque sufficiente perché il costo dei servizi risulti di secondaria
importanza rispetto ad una loro offerta diversificata e ad un livello qualitativo superiore. Rimane comunque il
fatto che la prima fascia di utenza ha necessità di utilizzare il servizio, anche se solo in una certa misura; non
è importante qui stabilire se tale gamma ristretta di servizi coincida o meno con ciò che in un determinato
contesto spazio-temporale viene chiamato servizio universale; né risulta utile identificare ogni singolo utente,
associandolo alla gamma di servizi che utilizza, attraverso un meccanismo di selezione costoso per il
prestatario e dai risultati incerti (a causa dell’arbitrarietà di definizione delle fasce di utenza), che tra l’altro
verrebbe male accettato dagli utenti .
La chiave di volta è costituita dalla concezione di un menu di opzioni tariffarie che penalizzi, in termini di
costo, la gamma dei servizi “evolutivi” (normalmente richiesti dalle fasce di utenti più abbienti), mantenendo
basso il prezzo di quei servizi comunemente considerati “di base”. E’ ciò che si verifica per esempio nel
settore postale, dove la definizione di un insieme di servizi “riservati“ all’operatore pubblico permette tra
l’altro il finanziamento del servizio universale definito. Le opzioni tariffarie previste per i servizi elettrici
invece hanno come scopo la normalizzazione del consumo energetico quotidiano e stagionale, di modo da
garantire un maggior risparmio energetico al paese.
Nel momento in cui le tariffe sono studiate in modo tale da garantire la copertura dei costi (in particolare si
tende a coprire i costi di infrastruttura col ricavo dei servizi non di base);
tale meccanismo di autoselezione permette la compatibilità della massima utilità per gli utenti con esigenze di
equilibrio dei costi.
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Se si accantona questo esempio banale, ci si rende conto che l’esistenza di fasce di utenza non chiaramente
distinte, come spesso accade nella realtà, renda più difficile l’applicazione concreta del meccanismo
autoselettivo: il fatto che esistano differenze sfumate tra gruppi di utenti, fa si che differenze di prezzo troppo
marcate non siano compatibili con l’incitamento degli utenti dei servizi non di base al loro acquisto, mentre
in caso di avvicinamento dei prezzi verso il basso, tale condizione (detta di compatibilità incitativa) viene
ristabilita, ma a discapito della copertura dei costi fissi. Ad ogni modo, in caso di eccessiva omogeneità delle
fasce di utenza, viene meno il legame tra massima utilità per gli utenti ed equilibrio finanziario del fornitore
del servizio; nel momento in cui la soluzione prospettata è un rincaro dei servizi di base (si ha quindi un
avvicinamento dei prezzi verso l'alto), il problema torna ad essere di giustizia sociale.
In sostanza, tale meccanismo è efficace in caso di sufficiente diversificazione dell’utenza, mentre in caso
contrario un deficit finanziario o una minor soddisfazione degli utenti sono il prezzo da pagare. Appare chiaro
come, anche se i modi per raggiungerlo sono molteplici, l’obbiettivo sia in realtà unico: minimizzare le
distorsioni delle scelte dei consumatori, fornendo una certa base di servizi minimi agli utenti più sfavoriti e
garantendo l’equilibrio finanziario del prestatario.
In relazione all’eterogeneità dell’utenza, in alcuni settori l’uso del meccanismo di autoselezione è più indicato
che in altri; nel campo delle telecomunicazioni per esempio, i bisogni sono in genere nettamente più
diversificati che nel campo dell’energia, dove il consumo è più uniforme e le fasce di utenza meno distinte:
ciò significa che il costo dell’adempimento della missione di servizio pubblico è da questo punto di vista
comparativamente più elevato per l’energia che non per le telecomunicazioni, nel caso in cui si utilizzino
meccanismi incitativi di questo tipo per la copertura dei costi. La diversificazione tariffaria comunemente in
uso per il trasporto ferroviario infine permette, nel momento in cui si individuano dei servizi e delle fasce di
utenza ben definiti, di coprire il costo medio del servizio e, in alcuni casi, addirittura del costo
dell’infrastruttura; si pensi al progetto TGV francese, che permette di offrire un servizio di base con
caratteristiche qualitative notevoli, anche grazie alla identificazione di una fascia di utenza (coloro che
viaggiano in prima classe) che permette la copertura del costo del servizio ed in ultima analisi,
l’autofinanziamento del progetto TGV (che riceve comunque finanziamenti comunitari); purtroppo il settore
ferroviario francese non può per diverse ragioni vantare questa capacità di equilibrio economico in altri rami
di attività come il trasporto merci ed i trasporti regionali..