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Miami Vice, serie culto degli anni ottanta riletta in chiave moderna attraverso la
versione cinematografica del 2006.
In conclusione si addurranno delle considerazioni finali, mirate a dissuadere
dall’esprimere sul fenomeno giudizi tranchant e riconsiderare lo stesso, dandogli
maggiore importanza, come conseguenza di abitudini sociali e culturali che
contraddistinguono la fase storica che si sta attraversando.
1.2 La variabile cinematografica
Convenzionalmente si indica la nascita del cinema con la data 28 dicembre
1895, giorno in cui i fratelli Louis e August Lumière organizzarono la prima proiezione
pubblica al Gran Cafè del Boulevard des Capucines a Parigi, adoperando la loro
invenzione: un apparecchio brevettato chiamato cinèmatographe. Tale apparecchio era
in grado di proiettare su uno schermo bianco una sequenza di immagini distinte,
impresse su una pellicola stampata con un processo fotografico, in modo da creare
l’effetto del movimento. I fratelli Lumière hanno avuto il merito di portare a termine
una lunga ricerca scientifica e tecnica, intrapresa da altri illustri personaggi nel corso
dell’800, e di realizzare il sogno dell’uomo, quello cioè di rappresentare le immagini in
movimento e riprodurre la realtà, non più solo nella staticità (fotografia), ma nel suo
divenire. I creatori non intuirono subito il potenziale di questo strumento come mezzo
per fare spettacolo, tant’è che affermarono che il cinema avrebbe avuto vita breve.
Invece quest’invenzione capace di coinvolgere più persone in un solo luogo e far loro
vivere una nuova esperienza, si diffuse in tutto il mondo, divenne arte e tutt’ora, a
distanza di un secolo, è elemento fondante della nostra cultura come prodotto
industriale, mezzo di comunicazione di massa, attrazione e spettacolo visivo.
Dalle prime realizzazioni in pellicola, che mostravano piccole scene della vita
quotidiana prive del sonoro e in bianco e nero, il cinema ha compiuto grandi
cambiamenti sperimentando via via nuove tecniche -prima l’introduzione del suono nel
1927, poi le ricerche sul colore a partire dalla fine degli anni ’30, sino all’attuale uso del
digitale- migliorandosi e proponendosi come un’elaborata forma espressiva, sempre alla
ricerca di nuovi contenuti e temi che raccontino il mondo e la sua società.
7
La storia della produzione cinematografica può essere descritta attraverso quattro fasi o
periodi, con precise caratteristiche tecniche e tematiche
1
. Dal 1895 al 1910 circa, si è
soliti collocare la fase del cosiddetto Cinema delle origini (o era della visione), in cui la
funzione della cinematografia è quella di attrarre e mostrare allo spettatore luoghi reali
ma lontani altrimenti sconosciuti, attraverso un linguaggio essenziale fatto solo di
immagini; insomma permette di “vedere”. Negli anni seguenti, dal 1915 al 1950, il
cinema si trasforma in un cantastorie, narra vicende originali, distinguibili per generi,
che coinvolgono lo spettatore e lo portano ad immedesimarsi con i protagonisti;
denominato come Cinema classico, diventa la fabbrica dei sogni, serbatoio
dell’immaginario collettivo che, con artifici linguistici invisibili e il sonoro, dà corpo
alle illusioni. Nasce così il regno di Hollywood e il concetto di Star System, in cui gli
attori sono figure miticizzate e modelli di riferimento, un cinema quindi che si è
obbligati a vedere. La fase successiva, quella del Cinema moderno, che si situa nel
decennio ‘60-‘70, è invece l’era dell’interpretazione, in cui l’esperienza filmica diventa
un momento di riflessione e analisi, dove la narrazione s’indebolisce per lasciar spazio
allo stile della tecnica di ripresa, permettendo al cinema di raccontare sé e il proprio
linguaggio sempre più complesso, in cui è impossibile l’identificazione tra lo spettatore
e il fruito. Si giunge infine alla fase attuale, quella del Cinema Postmoderno, di cui
Laurent Julier stima l’inizio in concomitanza con l’uscita del film Guerre Stellari (Star
Wars, 1978), poiché sintesi delle caratteristiche visive e narrative di questo stile. Ma in
cosa consiste questo stile post moderno? Riprendendo la definizione di James Collins,
esso corrisponde ad «Un eclettismo radicale fondato sulla giustapposizione di discorsi
conflittuali (arte colta/cultura popolare, contemporaneo/storico etc.), dove il testo
diventa “sito” di modi di rappresentazione che si intersecano»
2
. L’idea di fondo è di
sovvertire tutti i valori e le ideologie fino ad oggi esistenti, incapaci ormai di appagare i
bisogni della società, proponendone di nuovi e operando secondo una logica inclusiva;
lo slogan post moderno, opponendosi a quello moderno, annuncia infatti: Less is not
more, less in a bore (Robert Venturi, architetto e teorico del postmoderno). Si crea
accumulando materiale, lavorando su ciò che è preesistente, modificandone la forma e il
1
Casetti, Francesco, La forma cinema nella sua evoluzione storica, in Enciclopedia del Cinema VOL. I,
Treccani, Milano, 2003, pp.40-60
2
Jullier, Laurent, Il cinema postmoderno, edizioni Kaplan, Torino, 2006, p.18
8
significato. Secondo Jameson, altro teorico del postmoderno, i caratteri fondamentali di
quest’era contemporanea, che attraversa tutte le arti, non solo il cinema, sono:
l’ibridismo, in cui la cultura elitaria si unisce a quella di massa; la frammentazione,
ossia una disgregazione e moltiplicazione del punto di vista; la superficialità, dietro cui
non si cela più un significato profondo, ma il senso è immediatamente percepibile;
l’euforia, ossia un repentino e immotivato passaggio a opposti stati emozionali;
l’omogeneizzazione dello spazio e la presentificazione del tempo, in cui l’infinito e
l’eterno si risolvono nel qui e ora.
3
Simbolo della post modernità nel cinema è il film-concerto, espressione coniata da
Jullier in questi termini:
Il film- concerto non mostra necessariamente musicisti su una scena, ma prende dal concerto
amplificato tre delle sue caratteristiche più evidenti: l’obbligo di ricorre ad un dispositivo
tecnologico concepito ad hoc; […] l’idea di spettacolo hic et nunc; […] il prevalere della
dimensione sonora su quella visiva[in cui] una colonna sonora avvolge lo spettatore occupando
tutte le frequenze, o quasi dello spettro, emanando da una serie di altoparlanti che immergono
l’uditoria in un bagno sonoro al quale esso non si può sottrarre.
4
Il film diventa così un’esperienza totalizzante che, aggirando la ragione, coinvolge e
appaga direttamente tutto il sistema sensoriale, provocando un piacere fine a se stesso.
Esso consiste nel divertimento allo stato puro, che sostituisce alla realtà una dimensione
virtuale, grazie anche all’impiego della tecnologia digitale, in cui corpi e forme sono
simulacri, continuamente ammassati, poi plasmati e rimodellati a piacere; un cinema
allusionista che produce sensazioni più che senso, sotto forma di strizzatina d’occhio
allo spettatore, sapendo che costui è in grado di riconoscere l’allusione e apprezzarla. È
l’era della simulazione che mette in crisi il nesso tra visione e conoscenza attraverso gli
“effetti speciali” e punta verso una convergenza tecnologica, in cui si stringono alleanze
tra diversi media, soprattutto con la televisione, e uno stesso prodotto può essere fruito
più volte e su supporti diversi.
3
Canova, Gianni, L’alieno e il pipistrello: la crisi della forma nel cinema contemporaneo, Bompiani,
Milano, 2000, pp.9 -13.
4
Ivi. p.37
9
1.3 La variabile seriale e quella televisiva
Il termine seriale trae la sua origine dal modello produttivo caratterizzante i
processi industriali durante il diciannovesimo secolo, in cui i beni di consumo, per
soddisfare una domanda sempre più crescente, vengono riprodotti in serie. Questo
periodo viene altresì chiamato “epoca della riproducibilità tecnica”, sottolineando
l’importanza dell’innovazione tecnologica e dei modelli organizzativi adottati in questo
settore. Neanche i prodotti culturali possono esimersi dal meccanismo mosso da ragioni
prettamente economiche, sicché come per i beni di consumo tradizionali la loro
creazione deriva da una previa scomposizione delle componenti, poi riunite in “catena
di montaggio” e modulate a seconda del supporto a cui sono destinate. In questo caso
specifico ciò che viene ideato partendo dalla frammentazione del contenuto è proprio la
narrazione, che risulta un procedimento aperto con momenti di sospensione. La formula
seriale, che caratterizza la storia di ogni medium nel momento in cui esso diventa mezzo
di comunicazione di massa, si presenta, allora come adesso, in tre modalità distinte:
quella narrativa, in cui le vicende narrate sono scomposte nel rispetto di precise regole
temporali, spaziali e riguardanti la costruzione dei personaggi; quella produttiva che
presenta vantaggi economici riducendo i tempi di lavorazione, fornendo sempre nuovi
contenuti e costruendo un pubblico fedele; quella di fruizione che prevede un consumo
parcellizzato e prolungato, in grado di creare affezione e reciprocità tra il pubblico e il
contenuto. Tutte queste dimensioni confluiscono nel prodotto finale, senza lasciar
trasparire la complessità che vi è a monte.
Volendo ripercorrere a grandi linee il viaggio compiuto dalla serialità attraverso i
diversi media, non si può che partire dall’incontro tra di essa e la grande letteratura.
Nel 1836 Charles Dickens con “Il circolo di Pickwick”, romanzo edito in venti
fascicoli mensili, segna la nascita della narrativa seriale. A differenza delle altre
pubblicazioni a puntate, caratterizzate da un andamento narrativo predefinito, questo
romanzo è un’opera in progress, il cui sviluppo si costruisce mese dopo mese, in
divenire, basandosi in oltre sui suggerimenti dei lettori, in fremente attesa di conoscere
l’evoluzione della storia, interrottasi la volta precedente all’apice della tensione
narrativa (espediente del cliffhanger). Questo tipo di opera genera attese nei lettori, li
coinvolge, creando un meccanismo che li induce a comprare il fascicolo successivo,
incrementando esponenzialmente le vendite. Poco tempo dopo il romanzo a puntate, in
10
Francia compare la formula del feuilleton, connubio tra stampa e letteratura, che
frantuma il libro e ne diluisce i contenuti sulle pagine dei quotidiani, in un supplemento
di quattro pagine integrato al giornale, permettendone una distribuzione ancora più
ampia che raggiunge le classi meno abbienti, trasformando la lettura in un passatempo
non più elitario ma popolare. Ben presto, seguendo l’esempio di Dickens, gli scrittori
del feuilleton imparano a tessere le vicende giorno per giorno, modulando la produzione
narrativa su quella del supporto, cercando di raggiungere un pubblico sempre più vasto.
Le trame si infittiscono, caratterizzandosi di una forte drammaticità e sensazionalità che
colpiscono e coinvolgono il lettore: tanto più si riesce a suscitare emozioni, maggiore
sarà il successo.
La serialità narrativa si diffonde così da nazione a nazione, raggiungendo anche le coste
d’oltreoceano e muta aspetto modulandosi in base al supporto veicolante e al territorio
di distribuzione. Agli inizi del novecento è ormai un fenomeno globale e procede il suo
percorso all’interno dei nuovi mezzi di comunicazione come il cinema e il fumetto,
rivolgendosi ad un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo, diversificandosi; il
pubblico affezionato è costituito da quello femminile e giovanile, che a differenza dei
predecessori può sognare non più per parole ma per immagini. Ogni epoca è
rappresentata da un mezzo di comunicazione egemone e ognuno di questi si appropria
del genere seriale. Questo assume infatti notevole importanza per l’affermazione del
nuovo mezzo radiofonico; si pensi agli Stati Uniti d’America, in cui sin dagli anni Venti
si privilegia il modello di radio commerciale, finanziata solo da inserzionisti
pubblicitari. Per assicurarsi tali finanziamenti e battere la concorrenza, si creano
programmi adatti a contenere messaggi promozionali, che quindi subiscono interruzioni
nel loro flusso, e che si rivolgono ad un preciso pubblico fidelizzato, poiché è presente
una maggiore conoscenza dell’audience e delle abitudini di fruizione. La formula seriale
si dimostra ancora una volta la modalità più efficace per queste strategie commerciali.
Iniziando con trasmissioni a due voci, in cui i personaggi dialogano tra loro raccontando
la proprie vicende rocambolesche, trasmesse nel prime time, si giunge al format seriale
creato appositamente per la radio, la soap opera, il cui nome deriva dal prodotto
commerciale pubblicizzato durante la trasmissione, ossia detersivi e saponi. Questo
genere, contrassegnato dal sentimentalismo caro già ai romanzi d’appendice, propone
alle proprie ascoltatrici storie quotidiane, coinvolgenti e commoventi, per lo più
11
d’amore, con uno sviluppo narrativo che tende all’infinito. Da qui scaturiscono le grandi
saghe familiari che, come The Guidind Light (Sentieri,1937), caratterizzeranno non più
solo la produzione seriale radiofonica, ma anche quella televisiva. Nemmeno il
cosiddetto tubo catodico riesce a resistere al fascino della serialità, rendendola un
meccanismo imprescindibile della propria programmazione.
Questo background storico è servito per introdurre un importante macroarea della
programmazione televisiva, che fa della serialità un proprio elemento fondante, ossia la
fiction, indicante tutti quei testi basati sull’invenzione narrativa , sulla costruzione di un
universo verosimile, costituito da ambienti personaggi e azioni, dinamizzati in un
racconto.
5
All’interno di essa rientra proprio il telefilm, termine prettamente italiano in
sostituzione dell’internazionale tv series. Per meglio comprenderne le caratteristiche,
bisogna adeguatamente rapportarlo e confrontarlo con le programmazioni affini
all’interno della macroarea.
Umberto Eco ha individuato due modelli principali di narrazione, a cui tutti i prodotti
seriali, non solo televisivi, sottostanno: la Serie, in cui lo schema narrativo è costante e
presenta personaggi fissi senza nessuna evoluzione cronologica, e la Saga, in cui invece
è presente uno sviluppo cronologico, a cui sono sottoposti personaggi e vicende.
Da un punto di vista propriamente televisivo, la principale modalità di definizione e di
distinzione tra i diversi prodotti di fiction è il formato, definito in base alla scansione o
disposizione temporale del discorso narrativo all’interno del palinsesto; possono così
delinearsi alcune grandi famiglie:
§ Film per la tv, una storia compiuta che non presenta caratteristiche di serialità, la
cui durata è di circa novanta minuti.
§ La miniserie, suddivisa in un numero limitato di puntate, da due a sei, e che
prevede uno sviluppo cronologico attraverso un percorso narrativo breve (anche
detta forma seriale debole).
§ Il serial, suddiviso in puntate, cioè segmenti narrativi aperti con sviluppo
cronologico delle vicende, terminanti in un momento di suspense chiamato
Cliffhanger, che induce lo spettatore a seguire le vicende nella puntata
successiva; esso è incentrato su più personaggi fissi, le cui storie si intrecciano a
5
Grasso A. , Scaglioni M., Che cos’è la televisione, Garzanti, Milano, 2005, p.132.
12
diversi livelli di complessità, a seconda della durata del programma, che può
essere definita e limitata, oppure potenzialmente infinita come le soap opera.
§ La serie, la cui struttura narrativa è articolata in episodi conclusi e autonomi
l’uno dall’altro, aventi in comune il personaggio principale, fulcro tematico
dell’episodio sia della serie nella totalità, per lo più rappresentato con
caratteristiche accentuate che ne facilatino la riconoscibilità, e alle prese con
macroproblematiche di base; ne sono esempio L’ispettore Derrick e il Tenente
Colombo. La serie prevede due varianti, definite in base alla situazione narrativa
e alla durata degli episodi: la situation comedy (sitcom), svolta per lo più in
interni, familiari o lavorativi, con una durata episodica pari a 25 minuti; e il
telefilm, articolabile in generi, anche di forte derivazione cinematografica,
distribuito in segmenti di 50 minuti. Tra i generi che lo compongono, si citano il
police/detective drama, adventure, international intrigue, legal drama,
newspaper drama, medical drama, science fiction etc..
Un suo sottotipo è la serie antologica, i cui episodi, sebbene accomunati dallo
stesso tema, sono imperniati su personaggi sempre diversi, ad esempio il caso di
The Twilight Zone (Ai confini della realtà) , di Rod Serling.
Questa nomenclatura convenzionale semplifica il riconoscimento del prodotto, senza
tener conto dell’evoluzione storica dei programmi, dalla cosiddetta Golden Age degli
anni ’50 che vide la nascita di molti generi sopra citati, tra cui il western, il fantastico e
le sitcom, sino agli ultimi decenni, fiorente periodo produttivo di fiction in cui è
frequente l’ibridazione sia di strutture (tra serie e serial), sia di generi ( police e medical
drama ad esempio). Negli anni ’90 le serie televisive si sono affermate spesso come
forme di “testualità di culto”, destinate a generare modalità di fruizione intense,
appassionate, addirittura performative, in cui l’appuntamento con il programma diventa
un “evento impedibile”.
1.4 L’effetto serialità
Quali sono le motivazioni che portano il pubblico ad affezionarsi ad un prodotto
seriale e attraverso quali meccanismi?
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Alla base del coinvolgimento dello spettatore, a prescindere dalla serialità, vi è il suo
desiderio di essere trasportato in altra dimensione, godendo della possibilità data
dall’atto narrativo di vivere altre storie diverse dalla propria e al contempo di quella di
cooperare, attraverso la fruizione, alla costruzione del testo. In una narrazione
audiovisiva quindi allo spettatore è richiesto un impegno, uno sforzo intellettivo volto a
comprendere il senso della trama e il suo sviluppo, ma anche un investimento di tipo
emotivo: il fruitore si lascia cullare dal racconto che suscita forti emozioni in lui , grazie
anche all’azione dell’immaginazione che subentra a colmare la lacuna causata
dall’assenza di un giudizio di esistenza delle circostanze attivanti, essendo lo spettatore
consapevole di fruire un artefatto simulativo. Affinché questo coinvolgimento sia
possibile il mondo finzionale descritto deve anche avere diversi punti di contatto con il
reale, ossia essere verosimile, descrivendo azioni possibili in ambienti possibili,
promuovendo una tensione referenziale, e riferirsi al sistema valoriale di cui il fruitore è
portatore.
Eco, nel testo Travels in Hyperreality del 1986, sostiene che per essere di culto
un’opera deve allestire un mondo completamente arredato, dove i fan-adepti possano
citare caratteri ed episodi come se fossero aspetti del loro mondo intimo e personale, e
possano riconoscervi una competenza condivisa. Il testo deve anche esibire alcune
imperfezioni: deve interrompere, spostare, scardinare in modo che si possano ricordare
solo alcune parti, attivando proprio l’immaginazione. Aggiunge inoltre che durante il
processo cognitivo d’interpretazione lo spettatore distingue nel testo frame comuni,
derivanti dall’esperienza e frame intertestuali, che derivano invece dall’enciclopedia
culturale, dotati di un fascino particolare tale da far rievocare sensazioni ed emozioni
come in un dejà vù.
6
Sempre nell’ottica cognitivista, il coinvolgimento della fruizione di qualsiasi racconto
audiovisivo si sviluppa parallelamente alla comprensione del personaggio, protagonista
della storia e cardine dell’interpretazione testuale, da cui scaturisce il processo di
immedesimazione motoria e motivazionale. Essa attraversa tre fasi: la prima è il
“riconoscimento”, in cui lo spettatore ne afferma l’esistenza applicando ad esso lo
stesso schema valido per il riconoscimento di una persona nella vita reale, ossia un
6
Spaziante, Lucio, Da Twin Peaks a The Kingdom II: limiti e derive dell’espressione televisiva,
Associazione Italiana Studi Semiotici, rivista on line, 10 settembre 2007, p.6
http://www.associazionesemiotica.it/ec/contributi/spaziante_10_09_07.html