2
La domanda è: qual è il limite alla crescita? La risposta
economica si può trovare in quella caratteristica delle risorse naturali
che prende il nome di scarsità. Il concetto resterà centrale, per la
scienza economica, per tutto il corso dei due secoli successivi e sarà
interpretato in modi anche molto diversi tra loro. Negli anni sessanta e
settanta del nostro secolo, alcuni economisti e sociologi hanno dunque
ripreso il concetto di scarsità assoluta delle risorse espresso da
Malthus che prevede la non sostituibilità delle risorse esaurite con
altre nuove.
Il risultato è stato la diffusione di scenari e previsioni per il
futuro quasi catastrofiche che, fortunatamente, non sono mai state
confermate dai fatti.
Porre l'accento sui limiti alla crescita ebbe, in ogni caso, anche
il merito di far sorgere alcuni interrogativi sulle future possibilità di
sviluppo del genere umano e sulla necessità di un maggiore e più
attivo interesse da parte della sfera politica per le questioni relative
alla tutela ambientale.
L'inquinamento nel nostro secolo era, infatti, già entrato a far
parte delle politiche pubbliche, ma solo come problema cui far fronte
con strumenti repressivi, rappresentati da tasse pigouviane o dalla
determinazione di standard fissi d’emissione. Il principio seguito era
3
quello del “chi inquina paga”, basato su di una politica di Comando e
Controllo che consiste nella predisposizione di una norma e degli
standard da rispettare e che quindi prevede inevitabilmente dei
controlli che, se dovessero accertare delle infrazioni, porterebbero alla
sanzione. Questo sistema ha, però, progressivamente dimostrato
l'incapacità di raggiungere gli obiettivi prefissati a causa della
difficoltà e degli alti costi necessari per attuare controlli sistematici ed
efficaci..Gli anni ottanta hanno inoltre visto l'emergere di numerosi
casi d’inquinamento transnazionale che rendono ancor più difficile
identificare con precisione chi inquina e, dunque, chi paga.
L'assottigliamento della fascia d’ozono, le piogge acide, la riduzione
della biodiversità, l'innalzamento delle temperature sono solo alcuni
dei fenomeni globali d’inquinamento e di depauperamento
dell'ambiente che interessano tutti e che, dunque, richiedono prese di
posizione congiunte da parte di tutti i Paesi del pianeta.
L'approccio microeconomico e pigouviano alla tutela
dell'ambiente ha dimostrato, in questi ultimi anni, tutta la sua
inadeguatezza. A partire dagli anni ottanta, i rappresentanti dei
Governi si sono spesso incontrati per discutere sulle tematiche
ambientali e per parlare non più di crescita economica, ma della
possibilità de realizzare uno sviluppo veramente sostenibile, vale a
4
dire in grado di tener conto anche delle esigenze delle generazioni
future. L'opinione pubblica, dal canto suo, inizia a porre al settore
produttivo alcune richieste identificabili con un crescente bisogno di
trasparenza e d’informazione sulla gestione del rischio ambientale
connesso ai processi produttivi e all'utilizzo dei prodotti.
Negli ultimi anni nasce e si sviluppa anche una domanda che
possiamo definire "verde", costituita da persone disposte a pagare di
più per prodotti il cui minor impatto ambientale sia garantito.
A questo punto è ovvio chiedersi quale sia stata la reazione
delle imprese. La congiunta pressione di tutti questi fattori ha condotto
all'introduzione nell'organizzazione di alcune imprese di sistemi di
gestione, certificazione e comunicazione ambientale in modo del tutto
volontario, in altre parole non come adeguamento passivo ad una
normativa. La gestione ambientale tende ad essere considerata dal
management un passaggio successivo alla gestione di qualità e un
vantaggio strategico in più sulla concorrenza. È questo il punto su cui
si focalizzerà l'attenzione nella seconda parte di questo lavoro. Il ruolo
attivo delle imprese e quello dell'informazione sembra, infatti, essere
l'anello fino ad oggi mancante che dovrebbe portare progressivamente
alla diffusione di un modello di sviluppo industriale veramente
sostenibile.
5
Si conclude qui questa breve rassegna in cui si è inteso
anticipare alcuni dei possibili punti di incontro esistenti tra economia
ed ambiente, ricordando che la complessità del problema fa sì che esso
debba essere affrontato in modo parallelo e concorde a livello micro e
macroeconomico e che, dunque, una sola di queste soluzioni sarebbe
insufficiente. Localizzazione e globalizzazione delle risposte,
sembrano essere i due fattori da cui non si può prescindere, come
confermato dal ruolo centrale che stanno assumendo da un lato
l'impresa e dall'altro le linee di politica pubblica definite a livello
soprannazionale.
6
CAPITOLO I
LO SVILUPPO SOSTENIBILE
1. Aspetti generali
È chiaro come sia ormai quasi impossibile identificare in toto
quali siano le parti in causa nei processi d’inquinamento industriale,
con conseguenti costi di negoziazione elevatissimi. È difficile
soprattutto perché le attività produttive non provocano effetti
solamente sull'ambiente circostante e sugli abitanti del sito in cui si
trova l'impianto produttivo.
Fenomeni come l'effetto serra e l'assottigliamento dello strato
d’ozono producono, oggi, effetti distribuiti su tutto il pianeta e non
possono, quindi, essere regolati semplicemente con politiche basate
sul principio del “chi inquina paga”.
Queste ovvie considerazioni hanno contribuito a portare il
problema della necessità di porre delle regole in campo ambientale ad
uno dei primi posti dell'agenda politica internazionale. È indicativo il
fatto che, già nel 1988, l'ambiente fosse stato indicato dai cittadini
della Comunità economica europea (oggi Unione Europea) come il
7
secondo tra i problemi politici al momento più importanti, subito dopo
la disoccupazione e nettamente prima dell'inflazione e della riduzione
degli armamenti, come si deduce dai dati raccolti da DG Information,
Communication and Culture pubblicati su Eurobarometer
1
.
L'importanza del problema ambientale appare ancora più
rilevante se si tiene conto del fatto che, come sottolineato da Jacques
Delors in un celebre libro bianco sul problema del lavoro all'interno
della C.E.E., ambiente ed occupazione, sono strettamente collegati nel
senso che molti dei nuovi posti di lavoro potrebbero in futuro nascere
proprio nel settore della tutela ambientale
2
.
Questo allarmismo riguardo a problemi come il lavoro e
l'ambiente, nonché la maggiore consapevolezza dell’opinione
pubblica, ha sicuramente avuto il merito di contribuire a determinare
un crescente interesse da parte dei Governi e degli organismi
soprannazionali per i problemi in questione.
Per quanto riguarda la tutela dell'ambiente, a partire dagli anni
settanta, si sono svolti alcuni vertici cui hanno partecipato i
rappresentanti della maggioranza dei Paesi del pianeta. Si è cercato,
non senza difficoltà ed insuccessi, di raggiungere accordi su questioni
1
EUROBAROMETER, n. 30 Bruxelles, 1988
2
CEE, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo al Consiglio
economico e sociale: il libro verde sul risarcimento dei danni ambientali, Com. (93) 47, Bruxelles,
1993.
8
di livello globale o più specifico riguardo ai problemi portati
dall'inquinamento e dal modello di sviluppo economico corrente, ma
anche di discutere sulle nuove modalità di produzione e di
prevenzione dei rischi connessi ad uno sfruttamento non sostenibile
delle risorse naturali. Si sono anche delineate delle nuove linee di
sviluppo politico ed economico che si dovrebbero adottare a livello
globale, in modo tale che i Paesi con legislazioni più restrittive, non
vengano a trovarsi in una situazione di svantaggio competitivo rispetto
a quelli che pongono meno limiti all'impatto delle proprie attività
produttive sull'ambiente.
Prima di arrivare a delineare le attuali tendenze nell'evoluzione
della macroeconomia dell'ambiente e, in particolare, il concetto di
sviluppo sostenibile e le interessanti correlazioni tra questo e
l'innovazione tecnologica, ritengo comunque utile riprendere
brevemente alcuni concetti di fondamentale importanza emersi per la
prima volta con una certa forza nel testo “I limiti dello sviluppo”, la
cui prima edizione, del 1972, si è rivelata per molti versi profetica.
Uno dei maggiori meriti del testo è infatti, quello di aver
anticipato e contribuito a portare all'interno dei dibattiti internazionali,
pur se in modo forse troppo parziale e poco oggettivo, molti dei
problemi che la crescita economica indiscriminata ha messo in luce
9
negli anni seguenti e di cui avremo modo di parlare nel seguito di
questo capitolo.
2. “I limiti dello sviluppo”
Negli anni sessanta un gruppo d’intellettuali, noto con il nome
di Club di Roma, alla luce di alcuni avvenimenti, tra cui ricordiamo il
crescente inquinamento delle acque, la crescita esponenziale della
quantità d’energia richiesta dalla produzione industriale e il costante
aumento dell'inquinamento atmosferico negli ambienti urbani o ad alta
concentrazione d’industrie iniziarono a porsi alcune domande relative
alla sostenibilità futura di un tale modello di sviluppo economico.
La questione fondamentale era, dunque, capire se un siffatto
sistema potesse autoriprodursi all'infinito o se vi fossero dei limiti
doverosi da rispettare.
Nacque così l'idea di costruire un modello computerizzato in cui
sarebbero state analizzate alcune variabili e le rispettive possibili
correlazioni tra loro, tra cui la crescita della popolazione e
dell'inquinamento, supponendo che il loro andamento nel futuro non
avrebbe subito grandi mutamenti rispetto ai trend riscontrati nel
periodo preso in considerazione dai dati. Dall'incontro di questi fattori
10
si sarebbero, in seguito, determinati uno o più scenari di previsione del
futuro.
Il modello fu implementato su computer da Dennis Meadows e
da alcuni suoi collaboratori nei laboratori del MIT (Massachusset
Institute of Technology) e i sorprendenti risultati furono pubblicati,
nel 1972, nel celebre testo dal titolo I limiti dello sviluppo
3
. L'incontro
delle variabili considerate portò a delineare uno scenario che possiamo
sicuramente definire di tipo "neomaltusiano", in pratica ad una
prospettiva che prevedeva il raggiungimento, in tempi brevissimi, di
una sorta di stato stazionario caratterizzato da un arresto della crescita
economica, causato in primo luogo dall'esaurimento progressivo delle
risorse naturali e dall'inquinamento crescente. Tutto ciò avrebbe
comportato, come conseguenza per l'umanità, un inesorabile declino
del tasso di reddito pro capite, fino al progressivo raggiungimento di
un livello di pura sussistenza per tutti gli abitanti del pianeta Terra.
I molti critici dello scenario cui il modello di Meadows aveva
condotto obiettarono che esso non teneva in debito conto le possibili
variazioni che avrebbero potuto verificarsi nel futuro e, soprattutto, le
scoperte tecnologiche e di nuove risorse sfruttabili che avrebbero
potuto sostituire quelle esaurite, secondo una prospettiva, più
3
D.H MEADOWS, D.L. MEADOWS e R. JORGEN, Oltre I limiti dello sviluppo, Il Saggiatore,
Milano, 1993.
11
ricardiana che maltusiana, di sostituibilità pressoché infinita delle
risorse presenti sul pianeta con altre di nuova scoperta.
Meadows risponde a queste osservazioni critiche dicendo che la
vera e propria sfida cui bisognerebbe dare una risposta, in tempi il più
possibile brevi, è quella di trovare un modo per nutrire le generazioni
future fin da adesso, senza rimandare le decisioni ai posteri, data
l'innegabile natura di stock esauribile di molte delle materie prime
presenti sulla Terra.
Infatti, proprio il limite fisico di tali risorse è ciò che, secondi
gli aderenti al Club di Roma, più ci dovrebbe preoccupare.
Siamo evidentemente di fronte ad una prima decisa e chiara
accusa contro le previsioni positivistiche di cieca fiducia nel progresso
tecnologico e nelle soluzioni eventuali e future che si era andata
diffondendo negli anni del boom industriale seguito al secondo
dopoguerra.
I limiti fisici allo sfruttamento dovrebbero, quindi, essere
riferiti, in primo luogo, alle risorse, rinnovabili e non. Uno dei primi
problemi è, quindi, quello di definire quali siano più o meno
esattamente le risorse rinnovabili e quale loro sfruttamento possa
essere definito sostenibile.
12
Secondo Herman Daly
4
, della Banca Mondiale, si possono
utilizzare tre semplici regole per determinare la sostenibilità
dell'utilizzo di una risorsa naturale, per evitare che l'umanità e le
generazioni future siano veramente ridotte a quello stato stazionario di
mera sussistenza previsto dagli economisti neomaltusiani, tra cui
possiamo inserire anche lo stesso Daly. I criteri, in sintesi, sono i
seguenti:
- Per una risorsa rinnovabile (suolo, acqua, aria, foreste, ecc.)
il tasso sostenibile di impiego non può essere maggiore del
tasso di rigenerazione della risorsa stessa;
- Per una risorsa non rinnovabile (combustibili fossili,
giacimenti minerari, ecc.) il tasso sostenibile di impiego non
può essere maggiore di quello al quale è possibile
rimpiazzarla con una risorsa rinnovabile, impiegata in
mondo sostenibile;
- Per un agente inquinante, il tasso sostenibile di emissione
non può essere maggiore di quello al quale l'agente stesso
può essere riciclato, assorbito o reso inoffensivo
dall'ambiente.
4
H. DALY, Toward some optional principles of suitainable development, in Ecological
Economics, n. 2, 1990.
13
Questi criteri, come evidenzia l'edizione aggiornata al 1992 de
“I limiti dello sviluppo” di Meadows, significativamente intitolata
“Oltre i limiti dello sviluppo”, non sono forse stati presi
sufficientemente sul serio, negli ultimi venticinque anni, e hanno
portato ad uno sfruttamento spesso "non sostenibile" delle risorse,
rinnovabili e non.
Secondo l'efficace metafora sportiva usata da Meadows, siamo
quindi, a poco a poco, giunti "ai tempi supplementari", il che significa
che è necessario agire il più presto possibile per evitare che le
generazioni future siano ridotte ad uno stato di mera sussistenza che,
sempre secondo il punto di vista dei neomaltusiani, non sarebbe
inevitabile, ma causato dalla persistente miopia del nostro
comportamento.
La nuova tecnologia prodotta dovrebbe, pertanto, essere
finalizzata non solo alla crescita economica e, quindi, probabilmente
dell'inquinamento, ma anche alla sostenibilità e allo sviluppo, con un
occhio sempre rivolto ad un futuro che dovrà essere reso attuale e già
presente, onde evitare di assumere comportamenti troppo rischiosi e
contrari alla razionalità.
Tale cambiamento di rotta verso uno sviluppo veramente
sostenibile sarebbe, dunque, per gli studiosi del Club di Roma, l'unica
14
via in grado di portare alla modifica di quello scenario che possiamo
definire catastrofico, delineato dal calcolatore del MIT (Massachusset
Institute of Technologies) e relativo ad uno sviluppo che continui a
perseguire i criteri attualmente in vigore.
3. Verso uno sviluppo sostenibile
I problemi ambientali collegati con lo sviluppo sostenibile,
secondo Mastrodonato
5
, vanno risolti in misura preminente a livello
internazionale e la funzione dei singoli Governi non può che essere
complementare e interdipendente soprattutto alla luce della
“globalizzazione” dell’economia.
Le radici economiche dell’attuale processo di globalizzazione
risalgono agli accordi monetari di Bretton Woods del 1944
6
.
Attualmente le frontiere contano sempre meno e si va verso un
mercato globale per cui l’integrazione tra economia e ambiente deve
avvenire a livello globale, e affinché ciò avvenga, occorrono serie
risposte istituzionali.
5
MASTRODONATO A., Sviluppo sostenibile e capitale umano, Relazione al Convegno su
“L’economia italiana tra centralità europea e marginalità Mediterranea”, XXI Convegno annuale
della rivista L’Industria, Bari, 26-27 Settembre 1997.
6
GERELLI E., Governare l’ambiente nel villaggio globale, in “Equilibri”, Rivista per lo sviluppo
sostenibile, Il Mulino ed., Bologna, Anno I, n.1, Aprile, 1997.
15
Sino ad oggi sono oltre duecento i trattati firmati relativamente
all’ambiente e i primi accordi furono fissati intorno alla seconda metà
del secolo scorso.
La prima importante conferenza che ha trattato temi relativi allo
sviluppo sostenibile è la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente
svoltasi a Stoccolma nel 1972. In seno a questa Conferenza nacque
l’UNEP (United Nations Environment Programme) con lo scopo di
coordinare e promuovere le iniziative ONU relativamente alle
questioni ambientali. La Conferenza esaltò l’idea di Human
Environment ossia un concetto di ambiente che incluse non solo la
natura, ma anche l’uomo ed i rapporti sociali come parte integrante
della natura stessa.
In base a ciò s’incoraggiarono i Governi ad adottare politiche
ambientali compatibili tra i Paesi industrializzati e quelli in via di
sviluppo
7
.
Nel 1983 si è svolta la Conferenza di Ginevra in cui si ottenne il
risultato principale del lancio di un programma specifico sul clima
(World Commission on Environment and Development).
7
MASTRODONATO A., Sviluppo sostenibile e capitale umano, op. cit.