12
Nel terzo caso, infine, prevale un atteggiamento di cautela e attenzione alle
interazioni fra uomo e ambiente, poiché l’instabilità strutturale dei sistemi naturali e
sociali non permette di fondare le decisioni sulla conoscenza certa degli eventi futuri.
1.1.1 La fase della riparazione/protezione
In questa prima fase la coscienza ambientale non era particolarmente diffusa,
poiché i problemi della ricostruzione postbellica e della ripresa economica sottraevano
risorse economiche, tecnologiche e scientifiche all’ampliamento delle conoscenze sui
processi ecologici e alla messa a punto di sistemi produttivi più compatibili con
l’ambiente.
Fino agli anni ’70, dunque, le preoccupazioni ambientali restarono focalizzate su
fenomeni di inquinamento puntuali, direttamente osservabili e imputabili a cause ben
identificate, quali: gli effetti dell’inquinamento sulla salute pubblica, il rischio di
estinzione di alcune specie e i danni dell’urbanizzazione sulla qualità estetica di alcuni
ambienti naturali. Parallelamente, sul piano della ricerca e delle politiche, gli obiettivi
erano limitati al trattamento degli scarichi, alla dispersione/allontanamento degli
inquinanti, alla protezione di ambiti spaziali circoscritti o di specie in via di estinzione.
La lotta contro i rifiuti indesiderati è considerata necessaria, ma non sono messi in
discussione né il ritmo di industrializzazione e urbanizzazione né gli stili di vita e i
comportamenti sociali che sono all’origine della produzione dei rifiuti stessi; e così tale
lotta si traduce spesso nell’allontanamento dei rifiuti dalle aree ritenute più sensibili,
anche se la dispersione si è verificato essere uno strumento estremamente costoso, sia in
termini ambientali sia economici.
In termini economici, il danno ambientale è assegnato alla categoria delle
esternalità negative del processo produttivo, ed i costi delle politiche ambientali sono
attribuiti all’intera comunità: in un certo senso, dunque, il danno ambientale sembra
essere un prezzo collettivo da pagare per lo sviluppo economico, accettando comunque
un compromesso fra ecologia e crescita economica.
13
1.1.2 La fase della previsione/prevenzione
Negli anni ’70, la percezione della questione ambientale è andata
progressivamente migliorando, sia in termini di conoscenze scientifiche che di
sensibilizzazione pubblica: fondamentale è il contributo di alcuni avvenimenti di
risonanza internazionale, quali la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente
(Stoccolma, 1970) e la pubblicazione del rapporto del MIT al Club di Roma (Meadows,
1972).
Dinanzi all’aggravarsi dei problemi connessi all’urbanizzazione e alla crescita
demografica, il depauperamento delle risorse è giudicato più grave dell’inquinamento.
L’attenzione delle politiche ambientali si sposta dunque dalla protezione dei soli oggetti
naturali rari o in via di estinzione al mantenimento dell’intero capitale naturale,
riconoscendo dunque un valore economico all’ambiente. Tale atteggiamento si pone
come obiettivo quello di indurre la riduzione del danno o il minor consumo di risorse in
modo indiretto, riportando i costi ambientali all’interno del meccanismo dei prezzi.
Dalla logica del compromesso ambiente/sviluppo si passa a quella
dell’”ecosviluppo”, ossia alla logica dell’utilizzazione intelligente, efficace e razionale
delle risorse umane e naturali.
Le risposte sul piano tecnologico ed organizzativo sono in genere procedure e
dispositivi che consentono il recupero e il riciclaggio dei rifiuti, la riduzione dei
consumi e della produzione di rifiuti, nonché l’aumento della produttività, ma tale
strategia di efficienza incontra un notevole ostacolo nei costi e nei tempi di sviluppo e
adozione delle nuove tecnologie.
14
1.1.3 La fase della gestione
Dalla metà degli anni ’80 si è cominciato a riconoscere il carattere onnipresente
e relativamente insolubile dell’inquinamento ambientale. L’attenzione è decisamente
spostata dai danni certi e visibili ai rischi probabili, incerti e spesso controversi,
riconoscendo, di fatto, l’impossibilità di circoscrivere nel tempo e nello spazio tanto le
cause quanto gli effetti. Si sfumano di conseguenza le categorie classiche di
“responsabile del danno” e di “danneggiato”, e si delinea il principio della
responsabilità delle generazioni attuali verso quelle future.
I programmi di ricerca inerenti alla questione ambientale sembrano orientati
verso un miglioramento delle capacità di controllo e misurazione dei fenomeni, ma ciò
nonostante il mondo scientifico è chiamato a formulare previsioni e a suggerire
soluzioni rispetto a problemi situati ai limiti delle conoscenze attuali e comunque
caratterizzati da incertezza. Di fronte a quest’ultima, due atteggiamenti complementari
vanno emergendo nel campo delle politiche ambientali:
- la cautela nell’azione
- la continuità nelle scelte strategiche.
Un atteggiamento di cautela risulta indispensabile qualora si debba decidere
riguardo a fenomeni di cui non è possibile prevedere l’evoluzione. La continuità
temporale nelle scelte è invece una delle condizioni essenziali per garantire l’efficacia
delle politiche.
15
1.1.4 Conclusione
Esiste oggi un ampio consenso sulle linee-guida da assumere in una politica del
territorio che voglia muoversi nell’ottica del così detto “sviluppo sostenibile”.
Un primo punto riguarda la necessità di definire strategie di vasta scala e a lungo
termine, al fine di fornire un riferimento continuo e flessibile.
Un secondo principio impone di adottare un approccio intersettoriale nella
pianificazione e nella gestione del territorio: la definizione di soluzioni ottimali
all’interno dei singoli settori non garantisce, infatti, la sostenibilità all’interno del
sistema territoriale.
Terzo principio è di incentivare la cooperazione e il coordinamento all’interno
del settore pubblico come pure tra amministrazioni pubbliche e private, per definire
soluzioni che tengano conto dei conflitti d’interesse esistenti.
Il quarto punto consiste nello stabilire e far rispettare degli standard ambientali
minimi, al fine di proteggere le diverse componenti ambientali dall’azione dei singoli o
dei gruppi.
Il quinto principio incita infine a limitare l’uso di risorse non rinnovabili e ad
incrementare piuttosto quello di risorse rinnovabili.
Il mutamento dei modi di produzione, dei comportamenti sociali e individuali,
delle scale di valori e di priorità, insiti nella lista dei principi qui enunciati, non può
essere repentino e richiede anzi tempi lunghi come qualsiasi mutamento tecnologico,
sociale ed etico. Ciò nonostante è indispensabile fin d’ora per lo meno una
consapevolezza della dimensione dei fenomeni in gioco.
16
CAPITOLO 1
UNO SGUARDO D’INSIEME
1.1 PREMESSA
La filosofia della politica ambientale dei giorni nostri si basa sulla presa di
coscienza che la salvaguardia dell’ambiente dev’essere considerata un elemento di
gestione d’importanza pari alla redditività: nei piani d’intervento è cioè presente un
quadro di valutazione economica che evidenzi sul piano economico ciò che è necessario
sul piano ambientale. Nonostante quanto è stato raggiunto in decenni di politica
ambientale, il compito risulta ancora molto arduo, soprattutto perché non è del tutto
maturata la consapevolezza che la tutela dell’ambiente è essenziale per garantire una
solida e duratura base economica.
Per dar forza a quest’affermazione si riportano di seguito alcuni dati relativi ad
un’indagine dell’ISTAT relativa alla ricerca scientifica svolta nel settore della Pubblica
Amministrazione e presso le imprese pubbliche e private.
Tab. 1.1 Spese dell’Amministrazione Pubblica in ricerca scientifica per obiettivi di
interesse ambientale (milioni di lire). Anno 1996.
1996
SPESE CORRENTI SPESE IN CONTO
CAPITALE
OBIETTIVI
Totale
di cui: per
retribuz.
Totale
TOTALE
Tutela e prevenzione dell’ambiente
Ricerche a carattere generale
Inquinamento idrico
Inquinamento atmosferico
Inquinamento del suolo e del sottosuolo
Rumori e vibrazioni
Inquinamento radioattivo
Inquinamento da rifiuti solidi
Altre ricerche sull’inquinamento dell’ambiente
93.838
12.752
83.666
7.599
10.736
13.840
25.618
58.390
56.886
7.808
49.586
4.662
6.432
8.488
14.981
38.466
19.244
1.207
9.433
1.390
1.150
1.179
2.071
5.001
113.082
13.959
93.099
8.989
11.886
15.019
27.689
63.391
TOTALE 306.439 187.309 40.675 347.114
Produzione, distribuzione e uso razionale
dell’energia
Ricerche a carattere generale
Combustibili fossili e derivati
Fissione nucleare
Fusione nucleare
Fonti di energia rinnovabili
Uso razionale dell’energia
Altre ricerche
13.469
840
92.869
70.431
76.545
57.270
3.905
9.130
548
53.011
40.534
44.997
33.646
2.609
2.364
210
8.429
20.377
30.996
4.170
562
15.833
1.050
101.298
90.808
107.541
61.440
4.467
TOTALE 315.329 184.475 67.108 382.437
Fonte: ISTAT – Statistiche della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica.
17
Tab. 1.2 Spese dell’Amministrazione Pubblica in ricerca scientifica per obiettivi di
interesse ambientale (milioni di lire). Anno 1997.
1997
SPESE CORRENTI SPESE IN CONTO
CAPITALE
OBIETTIVI
Totale
di cui: per
retribuz.
Totale
TOTALE
Tutela e prevenzione dell’ambiente
Ricerche a carattere generale
Inquinamento idrico
Inquinamento atmosferico
Inquinamento del suolo e del sottosuolo
Rumori e vibrazioni
Inquinamento radioattivo
Inquinamento da rifiuti solidi
Altre ricerche sull’inquinamento dell’ambiente
65.593
25.809
61.890
13.025
15.267
20.200
16.790
49.424
37.619
13.193
36.272
5.025
6.607
10.321
6.801
31.312
10.740
2.261
8.755
1.096
1.254
1.857
1.835
5.849
76.333
28.070
70.645
14.121
16.521
22.057
18.625
55.273
TOTALE 267.998 147.150 33.647 301.645
Produzione, distribuzione e uso razionale
dell’energia
Ricerche a carattere generale
Combustibili fossili e derivati
Fissione nucleare
Fusione nucleare
Fonti di energia rinnovabili
Uso razionale dell’energia
Altre ricerche
13.575
820
64.230
85.917
68.168
59.520
3.289
9.144
517
30.612
42.376
46.446
35.482
2.169
1.909
150
10.499
19.225
11.911
7.267
507
15.484
970
74.729
105.142
80.079
66.787
3.796
TOTALE 295.519 166.746 51.468 346.987
Fonte: ISTAT – Statistiche della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica.
Come si può notare, le risorse (spese e personale) impiegate nell’attività di
ricerca scientifica sono andate diminuendo anziché essere incrementate, e ciò testimonia
quanto ancora sia difficile capire che attività che non garantiscono un immediato ritorno
economico, come la tutela dell’ambiente, possono essere alla base dell’attività
economica stessa.
Tra i vari problemi di protezione ambientale, quelli connessi con lo smaltimento
dei rifiuti solidi urbani è uno tra i più rilevanti.
18
1.2 I RIFIUTI: L’ALTRA FACCIA DEL PROGRESSO
L’aumento dei rifiuti, così come una miriade di altri fenomeni, sono il rovescio
di quella medaglia chiamata progresso, che si traduce concretamente in energia elettrica,
in riscaldamento domestico, in prodotti preconfezionati…
Questo ed altro è il progresso ma, superato un certo limite, difetti inizialmente
sottovalutati e marginali iniziano ad assumere dimensioni sempre più preoccupanti: le
risorse cominciano rapidamente a scarseggiare e quasi tutte si esauriranno nell’arco di
pochi decenni (fluoro, zinco, mercurio, petrolio, uranio, zolfo, metano, piombo,
tungsteno, stagno) o secoli (rame, nichel, cobalto, manganese, fosfati, ferro, cromo,
alluminio, potassio, vanadio). Da sempre, infatti, l’uomo ha impiegato energie
rinnovabili: nel passato il legno, l’energia dell’acqua e del vento sono stati i principali
fornitori di energia, insieme con gli animali e lo sforzo muscolare dell’uomo. Con la
rivoluzione industriale, invece, tutte queste forme di energia sono risultate
quantitativamente insufficienti ed economicamente non convenienti.
Inoltre il continuo aumento della produzione e, conseguentemente, del consumo
di energia hanno provocato un enorme aumento delle emissioni di carbonio
nell’atmosfera. Se a questo si aggiungono altri fenomeni planetari, quali la
deforestazione, la desertificazione, l’aumento demografico e l’urbanesimo crescente, si
può capire l’urgenza di passare dalla logica del massimo (aumentare al massimo i
bisogni, produrre in funzione del massimo guadagno) alla logica del minimo
(soddisfare i bisogni col minimo dispendio possibile).
Soltanto ora, dunque, ci si rende conto dello sbaglio commesso dall’uomo nel
considerare l’ambiente come un insieme di fonti inesauribili sfruttato fino agli eccessi e,
sebbene non si sia ancora in presenza di una situazione irreversibile, modelli di crescita
poco oculati potrebbero portare a situazioni di difficile gestione.
19
1.3 LO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI SOLIDI NEGLI ULTIMI
VENT’ANNI IN ITALIA
1.3.1 Lo stato confusionale
Nel 1976 una fuga di diossina dallo stabilimento ICMESA di Meda, in provincia
di Milano provocò un grave inquinamento della vicina cittadina di Seveso. In seguito
all’episodio, i cui effetti si rivelarono fortunatamente inferiori a quel che si era temuto,
fu avviato un grosso dibattito a livello di Comunità europea, che portò molti anni dopo
al varo di un’apposita legislazione di garanzia, atta a stabilire sia forme di controllo
esterne, sia una maggiore capacità di autocontrollo da parte dei soggetti industriali.
Prima di quest’episodio la situazione presentava:
- un consistente numero di impianti di incenerimento di grandi, medie e piccole
dimensioni, per la maggior parte senza recupero di calore;
- alcuni ripetuti tentativi di trasformazione in compost, quasi tutti conclusisi con un
fallimento;
- la prevalente parte dello smaltimento operato in discariche non controllate.
Tutte queste forme di smaltimento e trattamento erano operate con modalità tali
da provocare danni o pericoli di danni ambientali, allora non sempre percepiti o
percepiti con criteri oggi largamente ritenuti non più ammissibili.
Quando nel 1977, un anno dopo l’incidente di Seveso, giunse anche in Italia la
notizia che ricercatori olandesi, incaricati dal governo olandese di ricercare possibili
fonti di produzione delle diossine, ne avevano rilevato la presenza anche nelle emissioni
di fumi e gas da forni di incenerimento di rifiuti solidi urbani, la reazione dell’opinione
scientifica pubblica ed italiana, già scossa dai fatti di Seveso, fu immediata e categorica:
l’incenerimento fu considerato pratica non più accettabile.
Tutti i piani ed i progetti di nuovi impianti del genere furono bloccati, i contratti
già in essere furono disdetti, molti forni furono chiusi: l’incenerimento fu considerato,
in definitiva, non più ammissibile.
Più o meno nello stesso periodo anche gli impianti di riciclaggio che erano stati
realizzati e gestiti per la città di Roma dall’iniziativa privata, e che tanto interesse
avevano destato in tutto il mondo, si dimostrarono non adeguati a fornire una risposta
alle esigenze di smaltimento, soprattutto per le difficoltà che il mercato poneva al
20
recepimento dei vari materiali prodotti riciclati, anche per gli standard qualitativi non
rispondenti a quanto era richiesto per un’utilizzazione senza danno degli stessi.
Gli impianti di compost fallivano uno dopo l’altro, per analoghi motivi connessi
ad una scadente qualità del prodotto e, di conseguenza, ad un rifiuto da parte del
mercato (cioè dell’agricoltura).
Restavano le discariche e poiché restavano, anzi aumentavano anche i rifiuti,
esse rappresentarono la sola possibilità di smaltimento alla quale ricorrere
necessariamente, mentre l’onda anti-inceneritori trovava vigoroso sostegno dai
movimenti di opinione, giustamente intransigenti rispetto alle soluzioni tecnologiche
fino ad allora applicate, ben poco rispettose dell’ambiente. Non valsero a risolvere il
problema le proposte di improbabili soluzioni basate solo sul riciclo integrale dei rifiuti,
o meglio, sulla non produzione degli stessi. Il risultato non poteva che essere quello che
fu: i rifiuti continuavano a prodursi (anzi aumentavano al crescere del PIL), il recupero
non veniva attuato, il riciclaggio si dimostrava ai fatti quantitativamente irrilevante, gli
inceneritori non bruciavano più, i rifiuti finivano indistintamente nelle discariche per la
maggior parte non controllate. La situazione di necessità creava così le premesse per il
business dell’ecomafia e la criminalità organizzata, in alcune regioni, s’infiltrava nelle
attività economiche connesse in vario modo con la gestione dei rifiuti.
Il business potenziale annuo collegato al traffico illegale dei rifiuti ed alle
discariche abusive è stato valutato pari a 6mila miliardi (sulla base dei dati raccolti dal
Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri con la Guardia di Finanza, il Corpo
Forestale dello Stato e la Polizia di Stato).
Nonostante, nel frattempo, si fosse andata sviluppando una normativa tecnica
abbastanza severa per quanto concerne la realizzazione delle discariche controllate, in
molte aree regionali la normativa rimase inapplicata, provocando danni ambientali
anche maggiori di quelli che si sarebbe inteso evitare cancellando l’incenerimento dal
novero dei sistemi di smaltimento ammissibili.
Le reazioni negli altri paesi europei non furono così drastiche come quella
italiana: riconosciuto che i forni di incenerimento di allora non garantivano emissioni
entro limiti di sicurezza si studiarono e si svilupparono nuove tecnologie che, sia pure
progressivamente, portarono a quei miglioramenti che hanno consentito di poter fare
affidamento su impianti con tutte le volute garanzie di rispetto ambientale.
Da questo sviluppo l’Italia è rimasta esclusa e, oggi che si vorrebbe ricorrere a
queste nuove tecnologie, l’industria italiana, priva di qualsiasi esperienza in merito, è
21
praticamente assente dal mercato ove spadroneggiano solo nomi, marche, ditte e know
how stranieri.
1.3.2 Il decreto Ronchi
Il 1997 è stato un anno di innovazioni nella legislazione sui rifiuti: in questo
anno, infatti, con l’approvazione del decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997,
modificato col decreto legislativo n. 389 dell’8 novembre 1997, la normativa italiana in
materia di rifiuti ha compiuto un indicativo passo in avanti verso l’adozione di una
politica più adeguata ad una società industriale avanzata, e verso l’armonizzazione con
il resto dell’UE, dando attuazione alle direttive comunitarie sui rifiuti (91/156/CEE), sui
rifiuti pericolosi (91/689/CEE) e sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio (94/62/CEE).
Obiettivo centrale della legge è la definizione di una strategia per la
modernizzazione della gestione dei rifiuti sia sotto il profilo dell’igiene urbana che di
quello del conseguimento degli obiettivi ambientali definiti dalla CEE. Cambia di
conseguenza la filosofia tradizionale, che ha visto per anni il dominio dell’usa e getta
come indicatore di sviluppo della società senza per altro garantire la capacità di
soddisfare al meglio le esigenze tradizionali di allontanamento dei rifiuti dalle città,
come testimoniano le situazioni di crisi più o meno endemiche che affliggono specie il
mezzogiorno.
Cambia anche il modo di considerare il rifiuto che da cosa ingombrante e
pericolosa, di cui bisogna disfarsi prima possibile, diventa fonte di “ricchezza”,
favorendo il passaggio dalla discarica allo sviluppo ed all’applicazione di tecnologie di
riduzione, recupero e riutilizzo di materiali e di energia, finalizzati al raggiungimento
degli obiettivi comunitari ed al livellamento degli standard europei.
Il cambiamento più importante che contraddistingue il nuovo decreto riguarda il
passaggio da una politica di gestione dei rifiuti finalizzata alo smaltimento ad una nuova
politica centrata sulla valorizzazione economica dei rifiuti come materia prima e come
fonte di energia. Per giungere a tanto sarà gioco forza spingere sul recupero, riutilizzo e
riciclo dei rifiuti, riservando ad un ruolo sempre più marginale la scelta di puro e
semplice smaltimento. In questi termini va letto il termine del 1° gennaio scorso a
partire dal quale potranno andare in discarica solo i rifiuti inerti e quelli che residuano
dalle operazioni di riciclaggio, recupero e smaltimento.
22
Un altro cambiamento di notevole portata, introdotto dalla nuova disciplina,
riguarda la classificazione dei rifiuti che, pur confermando la distinzione, quanto a
provenienza, tra rifiuti urbani e speciali, introduce la nuova categoria di rifiuti pericolosi
al posto di quella più ristretta di rifiuti tossici e nocivi.
Infine, tra le competenze che la nuova legge attribuisce agli enti locali,
emergono con particolare rilievo quelle riservate alle regioni: esse sono chiamate a
determinare le modalità di realizzazione dei piani di smaltimento favorendo la raccolta
differenziata e le soluzioni di smaltimento che consentono il riutilizzo, il riciclaggio e
l’incenerimento con recupero di energia, assegnando incrementi di recupero e termini
temporali ben definiti.
Sulla portata delle norme contenute nel decreto è certo inutile ritornare, dopo la
gran mole di discussioni e contributi che si sono susseguiti in passato. Va comunque
sottolineato come, al di là di qualche inevitabile critica, ad esso siano stati riconosciuti
molti aspetti positivi, quali: il proponimento di obbiettivi ragionevoli e sufficientemente
flessibili, un sistema di regolazione che supera molti degli impacci burocratici del
passato e un decisivo spostamento dalla logica command and control (in cui le azioni di
politica ambientale sono decise e gestite direttamente dall’amministrazione pubblica)
alla logica dell’incentivazione e degli strumenti volontari.
E così, anche in Italia la tematica dei rifiuti si trasferisce definitivamente dal
dominio dell’igiene urbana e dell’ordine pubblico al dominio delle politiche ambientali:
i rifiuti sono cioè vissuti come un problema strutturale legato all’uso del territorio e
delle risorse naturali.
23
1.4 L’EVOLUZIONE DELLA STRATEGIA EUROPEA SUI RIFIUTI:
DALLO SMALTIMENTO ALLA GESTIONE INTEGRATA DEI
RIFIUTI
Dall’avvento della Rivoluzione Industriale, le società contemporanee furono
chiamate a misurarsi col problema dei rifiuti. Esso, tuttavia, ha assunto nel tempo
connotazioni diverse, che hanno inciso profondamente sulle strategie seguite per
affrontarlo.
Inizialmente si presentò come un problema di sanità pubblica: mentre le
comunità rurali non vi si erano mai imbattute, poiché i pochi residui generati – quasi
esclusivamente organici – erano riutilizzati come concimante, la città industriale ruppe
per la prima volta questo equilibrio e si trovò costretta a provvedere affinché gli scarti
fossero allontanati. L’istituzione dei primi servizi di nettezza urbana si fondò su ragioni
igienico-sanitarie e di decoro urbano, ma del destino dei rifiuti poco ci si preoccupava in
questa fase: in molti casi, essi venivano smaltiti alle porte della città; in altri casi le
attività estrattive fornivano la disponibilità di spazi dismessi presso i quali collocarli.
D’altra parte questo tipo di soluzioni risultava compatibile con quantitativi in gioco
limitati, caratterizzati da una pericolosità ridotta o comunque non avvertita.
Dagli anni ’60, sorse un problema nuovo: la difficoltà di reperire siti per lo
smaltimento. A causa dell’aumento della quantità dei rifiuti e del loro potenziale
inquinante, le conseguenze devastanti per l’ambiente di uno smaltimento artigianale e
selvaggio cominciarono a risultare evidenti.
Negli anni ’70, il problema dei rifiuti cambiò nuovamente volto: mentre a livello
internazionale la parola d’ordine del riciclaggio cominciava ad affermarsi, a livello
“micro” le pratiche di smaltimento tradizionali si rivelano portatrici di gravi impatti sul
territorio. A livello europeo, questa nuova consapevolezza si tradusse nella direttiva
91/156, che stabilì i nuovi principi su cui doveva ispirarsi la gestione dei rifiuti:
• il principio di prossimità (i rifiuti devono essere smaltiti il più possibile vicino ai
luoghi in cui sono stati generati);
• il principio di autosufficienza (la Comunità nel suo insieme, ed i singoli Stati
membri al proprio interno, devono tendere all’autosufficienza nello smaltimento dei
rifiuti);
• il principio inquinatore-pagatore (il costo dello smaltimento dev’essere sostenuto
da colui che genera i rifiuti);
24
• il principio delle “4R” (occorre seguire un preciso ordinamento di priorità, che vede
al primo posto la riduzione dei volumi di rifiuto e della loro pericolosità; il riuso; il
recupero diretto di sottoprodotti; la riduzione dell’impatto inquinante delle
tecnologie di smaltimento finale).
Col Decreto Ronchi, anche l’Italia è entrata in questa “ultima generazione” di
problemi, che ha comportato una vera e propria transizione tecnologica, carica di effetti
duraturi non solo sull’industria di questo settore, ma sulle stesse abitudini di vita e di
consumo.
Il decreto imposta la disciplina dei rifiuti in un quadro complessivo che vede la
protezione dell’ambiente e la creazione di controlli efficaci affiancarsi alla gestione dei
rifiuti, intesa come regolazione dell’intero ciclo di vita del rifiuto. Per quanto riguarda la
gestione dei rifiuti, che costituisce a tutti gli effetti un’attività di pubblico interesse,
vengono definiti precisi indirizzi, ponendo in particolare l’accento sulla necessità di
ridurli alla fonte, sulla raccolta differenziata, sul riutilizzo e riciclaggio e su altre forme
di recupero, attribuendo mero carattere di residualità allo smaltimento.
Dunque, nel dare una risposta sistematica al problema della “valorizzazione” dei
rifiuti, che tenga conto di tutte le fasi che caratterizzano il ciclo merci/rifiuti,
s’impongono alcune priorità secondo il seguente ordine gerarchico:
1. la prevenzione, intesa come riduzione al minimo della produzione di rifiuti e delle
loro caratteristiche di pericolosità;
2. il recupero, onde ridurre il quantitativo dei rifiuti destinati allo smaltimento e
risparmiare risorse naturali in particolare mediante reimpiego, riciclo, compostaggio
e recupero di energia: il reimpiego ed il riciclo dovrebbero essere considerati in
generale preferibili, poiché hanno un effetto positivo sulla prevenzione, salvo
verifiche di futuri progressi scientifici e tecnologici, di sviluppi delle analisi del
ciclo di vita (LCA) e comunque tenendo sempre presente che la scelta della migliore
opzione va confrontata nel caso specifico ai concreti effetti ambientali ed
economici;
3. lo smaltimento finale dei rifiuti che non possono essere recuperati, con il minor
rischio per l’ambiente e comunque ridotto al minimo;
Per non ingenerare confusione, è bene fin d’ora intendere correttamente i termini
sopra utilizzati, specificando che si possono intendere tre fondamentali tipologie di
riciclaggio:
25
1) il riutilizzo diretto (o riuso), nel caso in cui il bene di consumo, nell’essere
riutilizzato, viene destinato allo stesso tipo di funzione per il quale era stato
concepito. Il riuso può avvenire direttamente da parte dell’utente ovvero da parte di
società che organizzano in proprio la raccolta differenziata dei beni di consumo da
riutilizzare (tipico è l’esempio della raccolta delle bottiglie mediante sistema “a
deposito”, con restituzione della cauzione versata dal consumatore all’atto
dell’acquisto). In entrambi i casi si tratta di una modalità di controllo della
produzione dei rifiuti che si basa sull’annullamento del concetto stesso di rifiuto, dal
momento che si tratta di beni per i quali non è avvenuto alcun deterioramento tale da
farne perdere le caratteristiche e la funzionalità originarie;
2) il riutilizzo indiretto del rifiuto (o riciclaggio), nel caso in cui, grazie ad eventuali
trasformazioni, esso diventi utilizzabile come input in altri processi di produzione o
di consumo, con la sua funzione originaria o per altri fini;
3) il riutilizzo energetico (o recupero), nel caso in cui i rifiuti subiscano una
trasformazione (termica, chimica, fisica o biologica), in modo da produrre materiali
e/o energia di cui sia reso possibile l’utilizzo diretto. In tale particolare modalità di
riutilizzo si può scontare anche una consistente perdita di valore del bene di
consumo di partenza ma, nonostante ciò, il recupero di materia e/o di energia trova
convenienza economica ed ambientale nel fatto che può comportare un ragionevole
sfruttamento delle risorse residue contenute nel bene di consumo prima del suo
eventuale smaltimento finale.