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1. INTRODUZIONE
Questa tesi di laurea nasce alla fine di un percorso di specializzazione sulla valorizzazione dei
beni ambientali, naturali e museali, quindi si prefissa di formare una figura specializzata che
sappia interagire scientificamente tra le varie discipline.
Lo scopo dell’antropologo-naturalista, in questo senso, è quello di studiare le popolazioni del
passato in un contesto più ampio e generale, servendosi certamente dei materiali scheletrici da
dove si ricavano tutte le informazioni antropologiche, ma inquadrando il tutto in un contesto
naturalistico, ambientale e archeologico.
I reperti scheletrici umani forniscono indizi utili per ricostruire le caratteristiche biologiche, le
modalità di vita, le variazioni ecologiche, i rapporti con l’ambiente e gli aspetti genetici dei
soggetti e delle popolazioni in esame.
Di conseguenza i contributi forniti dalle varie discipline (geografia, geologia, geomorfologia,
botanica, zoologia, storia, archeologia, per citarne alcune) devono essere strettamente correlati e
complementari per giungere a risultati esaurienti.
Solo così si potrà avere un quadro preciso del contesto dal punto di vista culturale e biologico.
In questi ultimi anni, è cresciuto l'interesse da parte di antropologi fisici ed archeologi alla
ricostruzione delle attività e del comportamento delle popolazioni umane antiche a partire dai
resti scheletrici.
La letteratura sull’argomento documenta come lo scheletro sia una struttura dinamica e flessibile
che si adatta e risponde alle più svariate sollecitazioni dell'ambiente esterno.
Il nuovo approccio allo studio dello scheletro, inteso come “archivio biologico”, ha fornito un
contributo essenziale all'interpretazione dei resti antropologici.
Il mio studio si basa sui resti scheletrici umani rinvenuti nella dolina di Su Sercone (Orgoloso),
custoditi presso il “Museo Sardo di Antropologia ed Etnografia” del Dipartimento di Biologia
Sperimentale dell’Università di Cagliari.
I resti risalgono al 40 d.C., epoca contraddistinta dalla dominazione romana in Sardegna.
Lo studio su questi reperti tende a integrare le conoscenze in merito agli aspetti antropometrici,
paleopatologici e demografici delle antiche popolazioni di quella parte di Sardegna che non si
sottomise ai Romani.
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2.GENERALITA’ DELLO STUDIO OSTEO-ANTROPOLOGICO
2.1. IL RINVENIMENTO DEI RESTI SCHELETRICI
La ricostruzione delle civiltà passate e quindi degli insediamenti umani, si avvale di un sistema
di fonti molto vario. Lo studio archeologico correlato allo studio antropologico fornisce gli
elementi essenziali ed insostituibili per questa ricostruzione, basata sui materiali, fittili e
organici, rinvenuti in uno scavo.
Dai reperti scheletrici associati ai reperti culturali possiamo ricavare una quantità rilevante di
informazioni.
L’ostacolo più frequente che un antropologo incontra nell’analisi e nell’elaborazione dei dati
riguarda:
1. Il Campionamento: i campioni scheletrici devono essere rappresentativi, sia in termini
numerici, sia in termini di casualità. Questo è dovuto al fatto che i resti scheletrici umani
disponibili per un qualunque periodo della preistoria o anche di età storica sono sempre
estremamente scarsi, specie se messi in rapporto all’ammontare complessivo della
popolazione dell’epoca. Le ragioni di tale scarsità sono da ricondurre a motivi vari, dal
deterioramento naturale alla mancata raccolta e conservazione, alla dispersione del
materiale, alla perdita dei dati di identificazione.
2. Lo stato di conservazione dei reperti: è frequente che i resti scheletrici siano incompleti
o mal conservati e le cause si possono ricondurre a fattori naturali o a fattori antropici.
I fattori naturali riguardano eventi che intervengono durante il periodo precedente
l’interramento, come l’eventuale smembramento del cadavere, o nel periodo successivo
come i cambiamenti nella struttura chimica che avvengono durante la permanenza nel
suolo.
I più frequenti tra questi sono la pressione e il chimismo del terreno, il percolamento
delle acque e l’azione degli agenti atmosferici. Altri agenti biologici sono l’azione delle
radici, quella degli animali fossori e la profanazione intenzionale delle sepolture.
Tra i fattori critici che influiscono sulla conservazione delle ossa vi sono:
- Il grado di mineralizzazione, che varia da individuo a individuo e nello stesso
individuo in base all’età;
- Il grado di impermeabilità, dove le ossa con una corticale più spessa sono più
resistenti all’azione delle acque circolanti nel terreno;
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- La forma e le dimensioni, apofisi, creste ossee, processi spinosi, vanno facilmente
incontro a rotture.
A seconda della loro antichità e del tipo di suolo in cui sono sepolte, le ossa possono andare
incontro a fenomeni di particolare rilevanza:
- Fossilizzazione: è un processo di mineralizzazione dovuto all’interazione dell’osso
con il carbonato di calcio presente nelle acque percolanti che va a sovrapporsi e
sostituire i minerali propri della struttura scheletrica.
- Dacalcificazione: è il processo opposto alla fossilizzazione in quanto si verifica una
perdita di calcio dalla matrice ossea, con conseguente perdita di peso e
polverizzazione del reperto.
- Fatturazione e deformazioni post-deposizionali: si riscontrano a causa del carico del
terreno soprastante le ossa e frequentemente in substrati argillosi in seguito alla loro
dilatazione per assorbimento di acqua.
I fattori del terreno che influenzano il degrado di un reperto osseo sono l’acidità e l’alcalinità, il
movimento delle acque, la presenza di batteri e le variazioni stagionali cui esso va incontro.
Nei terreni areati, come sabbia e ghiaia, l’azione batterica altera molto rapidamente le sostanze
organiche, mentre nei terreni acquosi, difficilmente popolati da microrganismi, la degradazione è
più lenta, ma in fase di asciugamento si possono originare delle crepe e delle deformazioni sulla
superficie ossea. I terreni argillosi in genere preservano i reperti scheletrici perché impermeabili
all’acqua, ma possono anche essere molto corrosivi se acidi; i terreni basici sono solitamente più
adatti alla conservazione.
I fattori antropici comprendono sia gli eventuali danni provocati durante lo scavo, sia quelli
procurati da un uso scorretto dei metodi di conservazione e di trattamento dei materiali.
3. La variabilità biologica: dimorfismo sessuale, differenza nella mole corporea che può
dipendere dal sesso, dallo stato nutrizionale come dall’appartenenza dei soggetti a
popolazioni diverse.
4. La mancanza di standardizzazione dei metodi: le tecniche utilizzate per il rilevamento
dei dati sono ancora molto numerose e poco standardizzate.
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2.2. I PROCEDIMENTI DI RESTAURO IN LABORATORIO
E’ importante ai fini dello studio eseguire tutta una serie di metodiche meticolose in laboratorio.
Una volta prelevato il campione dal sito in cui è strato reperito è opportuno sottoporlo a una serie
di operazioni:
1. La pulitura: consiste nella rimozione della terra da ogni singolo osso, facendo attenzione
a non alterare la condizione dell’osso. Se il materiale è resistente ed in buone condizioni,
comunemente la pulitura viene effettuata mediante lavaggio con acqua fredda e spazzole
soffici (Brothwell, 1981). Se il materiale è fragile e disgregabile, questo non dovrebbe
mai essere lavato, bensì soltanto spazzolato delicatamente con pennelli di durezza
adeguata allo stato di conservazione. Altri strumenti per la pulitura meccanica possono
essere aghi metallici, spatole e bisturi, trapani da dentista a bassa velocità. L’importanza
di evitare danni alla superficie corticale dell’osso è dovuta ad impedire errori di diagnosi
e di misurazione. L’asciugatura può avvenire all’aria e all’ombra, lontano da fonti di
calore intenso e richiede un certo tempo in quanto deve essere graduale per eliminare
qualsiasi traccia di umidità.
2. Ricomposizione di singole ossa: quando le ossa sono molto fratturate, la ricerca dei
frammenti contigui da ricongiungere può essere un’operazione lunga ed impegnativa. Per
la ricostruzione è opportuna una buona conoscenza dell’anatomia scheletrica e di collanti
vinilici. Per le ossa lunghe è opportuno dotarsi di una sabbiera da utilizzare come
sostegno. Altri supporti utili nel restauro sono fili metallici, argilla e stecche di legno,
queste ultime infilate nel canale midollare delle ossa lunghe spezzate, per aumentarne la
stabilità.
3. Ricostruzione degli individui: Spesso i reperti scheletrici provengono da sepolture
multiple, da fosse comuni, e sono quindi rappresentati da concentrazioni di ossa
mescolate, appartenenti ad un certo numero di individui diversi.
4. Siglatura, catalogazione e conservazione: appena le ossa sono pulite, asciutte ed
eventualmente restaurate, devono essere siglate con inchiostro indelebile su piccole aree
non interessante da caratteristiche anatomiche o patologiche. E’ consigliabile spennellare
uno strato di vernice trasparente su una piccola zona dell’osso, attendere che questa sia
ben essicata e siglare con un pennarello fine e fissare la sigla con un altro strato di
vernice. La sigla comprende il sito di provenienza ed il numero assegnato al singolo osso,
se questo non è attribuibile ad un individuo.
Nell’immagazzinare le ossa dopo il restauro, la collocazione spaziale rispetterò il numero
d’ordine progressivo dato a ciascun elemento osseo e trascritto su un apposito catalogo.
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E’ necessaria inoltre un’accurata e dettagliata schedatura, possibilmente computerizzata,
facilmente accessibile e chiaramente collegabile al materiale attraverso una perfetta
corrispondenza di sigle e di elementi di identificazione.
2.3. CALCOLO DEL NUMERO MINIMO DI INDIVIDUI (NMI)*
Poiché spesso le sepolture non contengono scheletri completi, ma resti frammentari di più
individui, l’unica stima sulla numerosità è fornita dal calcolo del numero minimo di individui
(NMI). Il NMI rappresenta il numero di individui che sono sicuramente presenti nella sepoltura.
Per effettuare il calcolo del NMI è necessario innanzitutto raggruppare le ossa per tipologia,
distinguerle per lateralità, definirne il sesso e la fascia di età. Si procede quindi seguendo un
criterio di “massima parsimonia”, nel tentativo di eliminare ogni possibilità di conteggio duplice
di uno stesso individuo.
Secondo questa impostazione metodologica, si procede nel seguente modo:
- si cerca di ricongiungere gli eventuali frammenti di uno stesso osso;
- si riuniscono a coppie gli elementi destri e sinistri che appaiono simmetrici;
- si conta il numero di coppie di elementi, si somma ad esso il numero di elementi
destri spaiati e il numero di elementi sinistri spaiati: si ottiene così il NMI per il tipo
di osso in esame;
- si sceglie il maggiore NMI tra quelli determinati a partire da diversi tipi di ossa;
- si somma ad esso il numero di eventuali elementi, tra le ossa di altri tipi,
incompatibili, per caratteristiche di sesso ed età, con gli individui presenti nel gruppo
selezionato.
Il valore così ottenuto rappresenta il NMI dell'insieme.
* http://www.anthroponet.it/schede_nmi.htm
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2.4. MISURE E INDICI PER LA RICOSTRUZIONE DELLA STATURA
La misura della statura è uno dei parametri più utilizzati per definire le dimensioni corporee delle
popolazioni umane attuali e del passato.
La misura della statura, apparentemente semplice e di uso immediato, presenta tuttavia non
poche difficoltà sia dal punto di vista pratico che da quello concettuale.
Qualora si disponga di tutte le parti dello scheletro necessarie (cranio – vertebre – sacro – bacino
– femore – tibia - astragalo e calcagno) e si può procedere alla misura diretta della statura dello
scheletro rilevando le misure standard di rilevamento.
Il più delle volte non si dispone dello scheletro completo ma solo delle ossa lunghe degli arti
(perché sono quelle che generalmente meglio si conservano). Con tali ossa, si applica il principio
della determinazione della statura per calcolo che consiste essenzialmente nel confrontare la
lunghezza dei segmenti ossei di alcuni soggetti di riferimento con la loro statura effettiva e di
ricavare dal confronto delle tabelle o delle funzione matematiche basate sul principio della
proporzionalità.
I metodi più frequentemente impiegati sono quattro:
1. Le formule di Oliver;
2. Le tavole di Manouvrier;
3. Le formule di Trotter e Gleser;
4. Il metodo di Pearson.
Con le formule di Oliver, elaborate su un campione europeo, si calcola la statura del vivente in
base alle lunghezze (in cm) di omero, radio, ulna, femore, tibia e fibula.
Nelle tavole di Manouvrier si utilizzano le lunghezze medie dei due lati o il valore dell’unico
lato presente, aggiungendo due millimetri per compensare l’assenza delle cartilagini, presenti in
vita. Si ottiene la statura del cadavere, cui si sottraggono due centimetri per passare al valore del
vivente.
Si utilizzano: la lunghezza massima di omero, radio, ulna e fibula, lunghezza totale della tibia,
lunghezza fisiologica del femore.
Sono molto usate le formule di Trotter e Gleser, calcolate sulle ossa dei caduti americani della
seconda guerra mondiale e della guerra di Corea (maschi) e sui dati di una famosa collezione
americana (collezione Terry, femmine). Nelle formule di Trotter e Gleser si utilizza sempre la
lunghezza massima, ad eccezione della tibia, per cui si usa la totale. Le formule valgono per i
soggetti di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Per età più avanzate si deve usare una correzione,
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sottraendo 0,006 cm moltiplicato per l’età in anni. La statura del cadavere si ottiene aggiungendo
2,5 cm.
2.5. DETERMINAZIONE DEL SESSO
La determinazione del sesso è possibile solo negli individui adulti, poiché le differenze
morfologiche sessuali si manifestano solo dopo la pubertà. Si può comunque operare allo stesso
modo anche sulle ossa infantili (Scheuer e Black, 2000)
Nella determinazione incide lo stato di conservazione, il grado di completezza e l’entità del
dimorfismo sessuale. Il dimorfismo sessuale dell’uomo è tale da consentire il riconoscimento del
sesso dell’individuo. E’ fondamentale premettere che non è possibile in base ad un solo carattere,
stabilire con una buona approssimazione se l’individuo che si studia è maschio o femmina.
Per questo si ricorre al “metodo combinato”, con il quale si analizzano contemporaneamente
molti caratteri.
Con questo metodo si valutano caratteri del cranio e del bacino, attribuendo a ciascuno un
determinato valore che ne stima l’importanza. Si possono distinguere, per ciascun carattere
cinque categorie: ipermaschile (+2), maschile (+1), intermedio (0), femminile (-1) e
iperfemminile (-2). Il sesso ed il grado di sessualizzazione di uno scheletro si ottengono
calcolando il rapporto M = SWx / SW nel quale SW rappresenta la somma dei gradi di
importanza attribuiti a ciascun carattere e SWx la somma di detti gradi moltiplicata per i valori
(da -2 a +2) attribuiti al singolo carattere per un dato scheletro.
Questo metodo è stato ricavato da Acsàdi e Nemèskeri (1970) su una popolazione ungherese,
quindi è molto importante che i pesi dei caratteri vadano rivalutati per popolazioni in corso di
studio.
Basandosi sul cranio l’attendibilità della diagnosi è dell’80-90%, mentre il bacino è il distretto
scheletrico più affidabile e se c’è buona conservazione, l’esattezza della diagnosi può
raggiungere il 95%.
2.6.DETERMINAZIONE DELL’ETA’
La determinazione dell’età di morte rappresenta un problema ancora assai complesso per gli
antropologi, i quali indirizzano la ricerca su nuovi e più precisi metodi più accurati.
Allo stato attuale non è possibile stimare con esattezza l’età di morte, ovvero l’età biologica
dell’individuo al momento della morte, per cui si preferisce adoperare una stima per classi d’età
(molto meno restrittiva nel caso di sub-adulti).