5
strumenti sono lontani dalla comprensione diretta del cittadino, sia per la loro complessità tecnica, sia
per la difficile correlazione con i livelli reali di qualità della vita3.
In Italia, il D.Lgs. n° 1444/1968 ha disposto, com'è noto, che gli strumenti urbanistici generali ed
attuativi definissero i cosiddetti standard urbanistici, ossia delimitassero le aree destinate o destinabili
ad attrezzature e servizi urbani, nella misura minima richiesta dal D.Lgs. o dalle successive Leggi
Regionali di recepimento. Purtroppo il D.Lgs. si limita a pretendere il solo soddisfacimento
quantitativo della dotazione, condizione che oggi la maturata coscienza ecologica ed ambientale della
comunità giudica del tutto insufficiente. “Si può dedurre che il D.Lgs. del 1968 ha fatto fare alla
pianificazione urbanistica un salto di qualità ma non è riuscito a migliorare la qualità di vita nelle città;
tant'è che, pur se la maggior parte dei PRG vigenti osserva ormai scrupolosamente gli standard, la
dotazione di servizi nelle nostre città permane insoddisfacente per qualità e quantità. […] Occorre
quindi superare gli angusti spazi operativi dello standard quantitativo tradizionale e considerare altri
possibili aspetti (funzionali, estetici, ambientali ed ecologici) sinora trascurati. […] Ormai, ben più
dell'aspetto quantitativo, conta l'aspetto qualitativo delle scelte pianologiche, e con scelte adeguate lo
standard urbanistico può diventare l'elemento fondante dell'organismo urbano, il fattore
caratterizzante del progetto di PRG”4.
Nel passato gli obiettivi delle Amministrazioni Locali si sono limitati al controllo delle quantità
volumetriche e dell’applicazione quantitativa degli standard, senza alcuna attenzione ai problemi di
contesto, di conservazione delle identità locali, e alle implicazioni che il progetto di piano poteva avere
sul paesaggio urbano e ai suoi effetti sull’ambiente.
Ci si trova quindi di fronte ad un rinnovato “bisogno di qualità” della configurazione spaziale dei luoghi
in cui si svolgono le attività e la vita dell’uomo; una qualità che possa essere verificata attraverso
meccanismi di valutazione capaci di garantire il controllo degli esiti finali in tutti quei processi
decisionali che inducono modificazioni dello spazio territoriale e urbano.
Allo stato attuale infatti non si prendono sufficientemente in considerazione gli esiti formali delle
azioni e degli interventi sul territorio: le decisioni vengono prese sulla base di valutazioni preventive
(di impatto, di fattibilità, di convenienza) che però non tengono efficacemente in conto gli esiti
spaziali degli interventi valutati.
Lo scopo dei nuovi paradigmi disciplinari è l’introduzione nei processi decisionali di nuovi approcci e
nuovi comportamenti che riconoscano l’importanza di specifici momenti di valutazione e controllo sugli
esiti finali degli interventi in termini di forma dell’insediamento.
3
Mascarucci R. (2005), “Complessità e qualità del progetto urbano” Maltemi Editore, Roma, p. 11
4
Colombo G. (2002) “Qualità urbana, principio fondamentale per vivere meglio” ne Il Giornale
dell’Ingegnere n. 14/2002
6
La qualità dell’ambiente urbano discende in primo luogo da uno sviluppo progettuale che sia coerente
con le esigenze di carattere socio-funzionale, poste alla base dell’ideazione e del monitoraggio del
processo pianificatorio 5 .
La formazione di un qualsiasi strumento di pianificazione richiede, in primo luogo, una conoscenza
approfondita dei parametri che caratterizzano l'area; e’ evidente che ogni situazione territoriale
richiede un'analisi diversa, in quanto caratterizzata da situazioni particolari e puntuali e pertanto da
indicatori diversi: questa semplice considerazione porta a dire che non è possibile definire l'indicatore
o gli indicatori universali, ma che sia altresì indispensabile procedere all'esame dell'insieme degli
indicatori riferito alla situazione ambientale e territoriale oggetto di piano, per essere in grado di
fornire elementi certi ed essenziali di confronto e di incrocio dei dati, tali da consentire le scelte di
piano e gli indirizzi normativi per la formazione dello strumento di pianificazione.
Gli indicatori ambientali risultano, quindi, gli strumenti indispensabili per realizzare un codice,
tecnicamente definito ed univoco, per la lettura e l'interpretazione delle diverse componenti del
sistema territoriale ed ambientale oggetto di studio.
L’applicazione delle norme tecniche ISO 9000, in merito ai sistemi di gestione della qualità, ha
assunto un rilevante peso nella gestione di imprese ed aziende operanti nei settori industriale e
manifatturiero e, in forma estensiva, si vanno sperimentando applicazioni alla gestione dei beni
culturali e, più in generale, alla qualità del progetto ambientale.
In quest’ottica l’obiettivo della tesi è la definizione di protocolli e linee guida per il progetto urbanistico
che consentano di derivare da una conoscenza approfondita del contesto elementi utili per la
progettazione di protocolli di verifica della qualità nel progetto urbano, attraverso la definizione di
indici di qualità e la verifica di standards qualitativi specifici, mediante l’uso di check list di indagine
orientate ad una lettura attenta delle emergenze del territorio.
L’applicazione sperimentale del protocollo di verifica è stata testata su due ambiti differenti del
contesto cagliaritano, centro storico e periferia, al fine di fornire un contributo concreto in termini di
tecniche di aiuto alla decisione.
Tramite l’utilizzo e la sperimentazione di supporti e procedure informatiche per la comunicazione
online, orientate alla gestione della conoscenza e alla condivisione di informazioni, sono state
applicate metodologie di analisi e di gestione dei dati che, coinvolgendo l’ Amministrazioni Locale, i
cittadini e le imprese, possano consentire di supportare azioni di recupero e riqualificazione conformi
a prescrizioni e procedure di qualità.
5
Mascarucci R. (2005), “Complessità e qualità del progetto urbano” Maltemi Editore, Roma, p. 11-17
7
CAPITOLO 1. LO STATO DELL’ARTE: ANALISI DI TEORIE E METODI DISCIPLINARI
Il dibattito della pianificazione urbana e territoriale ha generato un’incredibile varietà di descrizioni,
normative ed empiriche, dei metodi e delle pratiche relative ai diversi tipi di pianificazione:
comprensiva, procedurale, partecipativa, pianificazione generale, indicativa, sociale, strategica o
transattiva. Le riflessioni teoriche sulla natura e sul ruolo della pianificazione ne hanno aumentato
l’articolazione, suggerendo che essa, oltre all’organizzazione spaziale ed alla trasformazione di
un’area, debba guidare le scelte razionali, debba utilizzare azioni comunicative, debba sviluppare una
propria retorica, debba indirizzare la trasformazione sociale e, infine, debba attivare azioni.
Una definizione di pianificazione urbana non può modellarsi esclusivamente sul caso della creazione
ex novo di una città, ma deve essere in grado di considerare anche le operazioni relative alla
trasformazione delle città esistenti.6
E’ oggi possibile notare come le ricerche rivolgano l’attenzione ai programmi per il controllo dei
processi di trasformazione e di riuso dello spazio urbano piuttosto che ai piani per la costruzione dello
spazio insediativo (Healey, 1998)7.
Secondo Carl Landauer (1944) “ la pianificazione può essere definita come guida delle attività
economiche da parte di un’Amministrazione locale attraverso uno schema che descriva, in termini sia
quantitativi che qualitativi, i processi produttivi che dovrebbero essere avviati durante uno specifico
periodo futuro. Per raggiungere il più importante scopo della pianificazione, quei processi dovrebbero
essere selezionati e rappresentati in modo da assicurare il pieno utilizzo delle risorse disponibili e per
evitare bisogni conflittuali, rendendo possibile uno stabile tasso di sviluppo ”8.
Pianificare significa quindi, essenzialmente, coordinare azioni attraverso uno sforzo “consapevole”. E
poiché questo coordinamento consapevole deve essere fatto da un organismo della comunità, la
pianificazione deve necessariamente assumere una prevalente dimensione collettiva come
“regolazione delle attività dei singoli da parte della comunità” (Landauer, 1944).
L’evoluzione della pianificazione territoriale deve adattarsi ai mutamenti della città e del territorio, che
a loro volta sono modificati dalla pianificazione. I pianificatori non possono e non devono limitarsi ad
operare, ma devono fare previsioni, ricercare ed interpretare fenomeni in atto, devono essere attori
delle trasformazioni. Contemporaneamente, non sono soltanto i pianificatori ad avere influenza sulle
città: promotori, operatori economici, politici ed altri attori modellano continuamente lo sviluppo sui
loro interessi.
6
Carta M. (2003) “Teorie della pianificazione. Questioni, paradigmi e progetto”, Plumbeo Editore, Palermo,
p. 12-13
7
Healey P. (1998) “Building institutional capacity through collaborative approaches to urban planning ” in
Environment and Planning A, n° 30
8
Landauer C. (1944) “Theory of National Economic Planning”, University of California Press, Berkeley
8
La pianificazione territoriale in sintesi, ha il dovere di incrementare la sua capacità di leggere i
mutamenti della società e di individuare i suoi nuovi bisogni determinati dal mutamento della
struttura sociale, dalla trasformazione dei nuclei familiari, dalla modifica del tenore e degli stili di vita,
dall’insorgenza di nuove povertà. Affinché questo possa realizzarsi occorre:9
a) che le Amministrazioni locali si carichino del ruolo di interpreti delle domande e gestori dello
sviluppo e, contemporaneamente, che i cittadini partecipino in maniera responsabile al processo
decisionale;
b) che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione forniscano oltre agli strumenti di
controllo per l’analisi, di supporto alle previsioni e alle decisioni, anche strumenti per l’accesso
all’informazione territoriale della comunità locale, la quale deve poter avere risposte alle sempre
più frequenti domande, al fine di equilibrare il gap informazionale tra i decisori e gli attori sociali;
c) che le città si ristrutturino in maniera tale da garantire opportunità e qualità di vita a tutti i
soggetti che ne compongono il tessuto sociale.
1.1. IL RUOLO DELLA QUALITÀ “AMBIENTALE” NELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA
Per molti anni il declino della città è stato imputato all’inadeguatezza della pianificazione e in
particolare alla rigidità di strumenti e procedure. Lo spopolamento dei centri storici, il degrado delle
periferie, i problemi di mobilità e la perdita di interesse dei luoghi della socialità sono stati negli ultimi
anni al centro del dibattito urbanistico. Nonostante questo si è continuato ad operare come nel
passato sottovalutando gli effetti delle trasformazioni sulla città. La soluzione del problema della
qualità della vita nelle città e della dotazione di servizi pubblici e di uso collettivo è stata sempre
affidata, in passato, al piano attraverso la definizione e la localizzazione degli standards10.
Il filo conduttore che ha guidato le “operazioni urbanistiche” in Europa in questi anni è invece la
ricerca della qualità urbana (Abis, 2003).
I temi e gli sviluppi della qualità urbana, al centro dei dibattiti sulle nuove tendenze e sui nuovi
significati della pianificazione, sono molto vari e richiedono oggi un approccio multidisciplinare che
comprende saperi diversi, come la sociologia, l’urbanistica, la psicologia, l’architettura e l’antropologia.
Ciò che emerge chiaramente nel dibattito in corso da molto tempo su questi temi non è altro che
l’opportunità di una visione congiunta sui temi della città da parte di tutte quelle discipline che, a
diverso titolo e in vario modo, si occupano di temi territoriali, architettonici, urbani, paesistici, sociali
ed estetici affrontando in modo specifico la dimensione urbana dello spazio.
9
Carta M. (2003) “Teorie della pianificazione. Questioni, paradigmi e progetto”, Plumbeo Editore, Palermo,
p. 279
10
Abis E. (a cura di, 2003) “Piani e politiche per la città. Metodi e pratiche” , Franco Angeli, Milano
9
La ricerca della qualità urbana costituisce senza dubbio un tema rilevante nell’ambito del dibattito
disciplinare che informa ed investe non solo la progettazione del paesaggio ma anche e soprattutto la
progettazione architettonica ed urbana e più in generale la pianificazione urbanistica e territoriale.
È un tema che si estende oltre la progettualità stessa coinvolgendo nella sua ricerca e nella sua
definizione anche la sociologia e l’estetica dello spazio, da intendersi come “spazio fisico fruibile o
solamente percepito o percepibile da chi lo abita e lo attraversa”11(Ferrari, 2005).
La qualità di un sistema territoriale non può essere descritta come un “unicum” acquisito e
consolidato una volta per tutte, ma deve essere visto come un insieme di funzioni e azioni attrattive
che va costruito e mantenuto nel tempo, anche in considerazione del fatto che la percezione della
qualità è “a carattere provvisorio” e quindi in continua evoluzione12 (Roscelli, 2004).
L’oggetto dell’ indagine non è rappresentato, come istintivamente si è portati a credere,
esclusivamente dalla metropoli ma anche e soprattutto da ogni realtà locale che debba essere
monitorata e per la quale si debbano programmare azioni migliorative relativamente a molteplici
aspetti quali la percezione della sicurezza, la sostenibilità ambientale, l’accessibilità e l’uso di servizi.
Gestire e migliorare la qualità dello spazio urbano significa rendere le città più sicure e più gradevoli
con un risultato di innalzamento della qualità della vita, e soprattutto della vita futura.
La città ha bisogno di qualità perché essa forma, attraverso la sua autorappresentazione, le
generazioni future.13
Un elevato livello di qualità urbana ha come conseguenza immediata quella di favorire un
attaccamento fra l’individuo e il luogo in cui abita. L’identificazione con un luogo dà origine a quella
che gli esperti chiamano place identity e cioè all’identità personale dell’individuo in relazione
all’ambiente fisico in cui vive e si forma14 (Proshansky, 1983).
In questa ottica, gli spazi pubblici nelle città possono, in base alle loro caratteristiche fisiche e
funzionali, essere attraenti e accessibili, con il risultato di indirizzare le persone e le attività ad aprirsi
e spostarsi verso l'ambiente pubblico. Diversamente, se le strutture fisiche e le caratteristiche
funzionali degli spazi comuni non attraggono utenti e attività, come risultato avremo spazi pubblici
poco frequentati, insicuri che respingono gli utenti.
11
Ferrari, L. (2005) “L'acqua nel paesaggio urbano: letture esplorazioni ricerche scenari ”, Firenze University
Press
12
Roscelli R. (2004) “Il recupero di centri storici come attrattore di risorse per lo sviluppo socioeconomico” in
Deplano G. (a cura di) “Politiche e strumenti per il recupero urbano” Edicom edizioni, Monfalcone (GO)
p.205-207
13
Franceshini A. (2003) “Percezione e spazio urbano. Teorie e metodi per l’analisi percettiva dello spazio
urbano in una città alpina: con un epilogo in forma di dialogo”, Quaderni del Dipartimento URB materiali e
ricerche 2, Università di Trento, Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale, Trento, p. 16
14
Proshansky H. M.; Fabian A.; Kaminoff R. (1983) “Place identity, Phisical world, Socialization of the self”,
Journal on Environmental Psycology n. 3
10
L’incremento della densità nelle aree centrali ha avuto come esiti la perdita di spazi aperti, di parchi,
di piazze, e la riduzione di quei generatori della comunità urbana che sono le attrezzature collettive,
importanti come luoghi di incontro e di socialità. La pianificazione urbana si trova oggi a riscoprire la
necessità di un intervento non solo di tipo procedurale o normativo, ma anche capace di intervenire a
livello fisico e di agire a livello sociale: ad ogni piccola unità della struttura urbana, quali il singolo
edificio, il vicinato o il quartiere, viene assegnato un ruolo chiave per le relazioni umane e per
consentire la partecipazione dei cittadini alla gestione dei progetti di trasformazione e riconfigurazione
della città.
Alla riqualificazione degli edifici abbandonati e delle aree dimesse viene assegnato un valore rilevante
non solo dal punto di vista economico, ma sempre più spesso un ruolo strategico nel miglioramento
della qualità degli spazi comuni e delle funzioni pubbliche ad essi collegate: “nuove centralità”, “aree
risorsa”, “nodi della rete della comunità”, diventano i nomi che i piani urbanistici assegnano al sistema
degli spazi pubblici di riconnessione della socialità.
Le indicazioni di Camillo Sitte, di Raymond Unwin, di Gordon Cullen, fino a Kevin Lynch, vengono
arricchite da un principio di progettazione urbanistica in cui la qualità sociale, funzionale e formale
dello spazio pubblico condiziona la qualità complessiva della città, attraverso una progettazione
basata sulla percezione, sulla organizzazione degli effetti spaziali e sulle sensazioni di “utilizzare la
città con il corpo”, incrementando le occasioni ed i luoghi di aggregazione sociale.15
La crescente domanda di qualità da parte della comunità impone agli amministratori locali nuove
riflessioni strategiche con riferimento ai problemi dei cambiamenti avvenuti nella domanda e a quelli
di impatto ambientale, ai diversi livelli, facendone gli strumenti ordinatori per una pianificazione più
coerente con gli obiettivi di qualità urbana e ambientale.
Per muoversi verso soluzioni progettuali sostenibili è necessario sviluppare conoscenze sulle relazioni
tra differenti modelli di sviluppo - qualità urbana - qualità ambientale. Tutto ciò può essere reso
possibile solo dall’investimento di risorse pubbliche in ricerche che valutino ex-post i progetti
urbanistici alle varie scale e dimensioni, con un atteggiamento empirico, che tenga però conto della
complessità dei fenomeni in atto sul territorio e della necessità di ricomporli nella loro globalità. I
risultati delle valutazioni non potranno ovviamente rispondere a criteri di ottimizzazione con validità
assoluta, ma andranno ponderati alle specifiche condizioni urbanistiche e fisico-naturali del particolare
contesto locale oggetto di trasformazione.16
Il cuore del piano è oggi, insieme agli elementi di conservazione e tutela, la trasformazione, ossia il
progetto per migliorare le condizioni qualitative dell’ambiente urbano, e per garantire effettive
condizioni di sostenibilità nella città e nel territorio; è necessario considerare la trasformazione al pari
15
Carta M. (2003) “Teorie della pianificazione. Questioni, paradigmi e progetto”, Plumbeo Editore, Palermo,
p. 216
16
Giovannini P. (2001) “Il progetto urbano per lo sviluppo sostenibile”, Atti Convegno Internazionale “Dalla
città diffusa alla città diramata”, Torino
11
della conservazione come condizione indispensabile per la qualità ambientale del progetto urbanistico
e ragionare in termini di bilanci ambientali della trasformazione, misurando gli effetti reali che le
trasformazioni producono sull’ambiente.17
Dall’obiettivo della conservazione delle identità locali, emerge la richiesta di pianificazione entro un
sistema delle qualità, con l’intenzione di rovesciare modi consueti di considerare la città e il territorio,
e di guardarli e organizzarli a partire dal pubblico, dal vuoto, dalle ecologie. Il tentativo è quello di
realizzare un “sistema” costruito dall’insieme delle aree qualificanti in termini ambientali, storici,
sociali, collegandole tra loro attraverso la contiguità fisica, dove possibile, e attraverso una
riorganizzazione del sistema dell’accessibilità18 (Salzano, 1998).
Si tratta, in definitiva, di orientare la pianificazione verso obiettivi concretamente raggiungibili,
socialmente avvertibili e capaci di riproporre un recupero delle caratteristiche peculiari della città.
La necessità per la pianificazione di interrogarsi su possibili usi e trasformazioni del territorio, produce
la formulazione di una pianificazione centrata sui problemi e sulla loro individuazione. Le aree
problematiche individuate dal nuovo paradigma possono essere sintetizzate nei seguenti punti:19
• il declino economico di alcune aree urbane e lo sviluppo di politiche e strumenti riguardanti la
rigenerazione economica delle città;
• l’esistenza di divisioni sociali e di ineguaglianze a livello di opportunità;
• la scoperta della dimensione ecologica delle trasformazioni e la pianificazione dello sviluppo
sostenibile;
• il recupero della qualità estetica dell’ambiente urbano e la necessità di riconfigurazione della città;
• l’espansione del ruolo della pianificazione nel controllo delle trasformazioni e l’estensione delle
pratiche partecipative di pianificazione.
Il rischio che si corre è quello di rincorrere risultati nel breve periodo (essenzialmente di tipo
economico-finanziario), e scoprire a posteriori di avere superficialmente consumato risorse in assenza
di un reale investimento strategico capace di agire concretamente e localmente sulla qualità urbana,
sulla qualità sociale e sulla qualità culturale. Questo nonostante la comparsa, il coinvolgimento ed il
potenziamento di “nuovi attori” che spesso hanno inciso all’interno di logiche e obiettivi che se da un
lato hanno innovato procedure e modalità di attuazione, dall’altro invece non hanno inciso in maniera
rilevante nella qualità della progettazione20 (Avarello, 2000).
17
Oliva F. (2004) “La qualità ambientale del progetto urbanistico” – Atti Convegno Nazionale “Pianificare con
l'ambiente - Ambiente, urbanistica, territorio: idee e strumenti delle Agende 21 locali per una pianificazione
sostenibile”, Modena
18
Salzano E. (1998) “Fondamenti di urbanistica”, Laterza, Roma-Bari
19
Carta M. (2003) “Teorie della pianificazione. Questioni, paradigmi e progetto”, Plumbeo Editore, Palermo,
p. 195
20
Avarello P. (a cura di, 2000) “Politiche urbane” Inu Edizioni, Roma
12
1.2. L’EVOLUZIONE DELLA SOSTENIBILITÀ NELLO SCENARIO INTERNAZIONALE
Il significato dello sviluppo sostenibile dovrebbe essere quello di migliorare la qualità della vita o il
benessere in modo durevole nel tempo. Questo significa promuovere la crescita del sistema
economico e utilizzare l’insieme delle risorse di cui si dispone nel modo più efficiente, senza che ciò
possa comportare domani una limitazione delle possibilità di scelta da parte delle generazioni future.
Il punto di partenza è rappresentato dal Rapporto Brundtland che nel 1987 definiva “sviluppo
sostenibile quello sviluppo capace di soddisfare i bisogni dell’attuale generazione senza
compromettere il soddisfacimento dei bisogni delle future generazioni” . Ne deriva che condizione
essenziale per la sostenibilità è la conservazione di risorse che costituiscano il capitale naturale a
disposizione dell’attuale generazione e da cui consegue il livello di benessere.
Nella nozione di sviluppo sostenibile sono incorporate tre dimensioni fondamentali: la dimensione
economica, la dimensione ambientale e la dimensione sociale.
La discussione intorno allo sviluppo sostenibile inizia nel 1972 a Stoccolma con una Conferenza
Internazionale sull’Ambiente Umano. Questo primo Summit si conclude con poco o nulla di fatto; esso
infatti fu lacerato “sia dai problemi politici Est-Ovest sia da quelli esistenziali Nord-Sud. Si dibatteva
ancor se fosse giusto limitare le nascite al sud o i consumi al nord, come se non fosse ovvio che sono
ambedue problemi fondamentali da risolvere per avere un minimo di base per la vita sostenibile su
questo pianeta ” (Tiezzi, 1999).
Sempre in questo anno viene pubblicato dal “Gruppo di Roma”21 un rapporto dal titolo, che allora
poteva sembrare provocatorio, “Limits to Growth”, in cui emergeva il sospetto che la terra si stesse
avvicinando al superamento dei propri limiti di capacità di carico.
Quindici anni dopo, nel 1987, esce il rapporto “Our Common Future”, redatto dalla Commissione
Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo e presieduta dal Primo Ministro norvegese Gro Brundtland.
Questo documento (noto come “Rapporto Brundtland”) diventa una sorta di manifesto dello sviluppo
21
Il gruppo originario del “Club di Roma” nasce intorno al 1968, quando Aurelio Peccei, manager della Fiat,
organizzò una riunione informale presso l'Accademia Nazionale dei Lincei, a cui presero parte una trentina di
esponenti del mondo della scienza, dell'economia e della sociologia. La riunione prendeva vita dalla
considerazione del suo promotore, condivisa pienamente da tutti i partecipanti, circa la necessità di cambiare
la rotta assunta fino a quel momento dallo sviluppo umano ed economico, ma anche della complessità della
problematica perché di carattere globale e caratterizzata da una serie di questioni strettamente interagenti e
non affrontabili settorialmente o singolarmente da alcuni Stati. La complessità del problema da affrontare
era, peraltro, aggravata dalla necessità di sensibilizzare i cittadini sulle questioni globali di carattere
strategico, al fine di indurli ad abbandonare l'approccio limitato nel tempo e nello spazio dei problemi di
ampio respiro. Dal giorno della sua nascita, il Club di Roma ha organizzato diversi convegni e elaborato
alcuni rapporti su diverse tematiche: il primo rapporto, intitolato “The limits to growth”, pubblicato nel 1972,
fu tradotto in trenta lingue e diffuso in tutto il mondo.
13
sostenibile e apre la strada a tutte le politiche di sostenibilità e delle attività legislative sfociate poi
nella Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro del 199222.
Nel maggio del 1990 veniva pubblicato il primo “Rapporto sullo sviluppo umano”, preparato da
un’équipe di specialisti dell’UNDP (United Nations Development Programme), l’Agenzia delle Nazioni
Unite per lo sviluppo, e da altri studiosi e consulenti esterni sotto la guida di Mahbub ul Haq, ex
Ministro delle Finanze pakistano e ideatore del Rapporto. In quel rapporto si definiva il concetto
stesso di sviluppo umano e si proponeva per la prima volta un indice per la misura dello sviluppo
(appunto, l’Indice di Sviluppo Umano - Isu o Hdi dall’acronimo inglese Human Development Index)
che considerava il reddito ma cercava anche di dar conto di altre dimensioni fondamentali della vita
umana, come la possibilità di vivere una vita quanto più lunga possibile e la possibilità di acquisire un
dato livello di conoscenze.
Da allora si sono susseguiti con scadenza regolare altri dieci Rapporti accolti con crescente attenzione
da parte del mondo politico, delle istituzioni, dei mass media, degli studiosi, delle organizzazioni non
governative e, in generale, di tutti coloro che a vario titolo sono interessati al tema dello sviluppo. Un
particolare aspetto di questi Rapporti è la dinamicità che li contraddistingue. Non sono un insieme
asettico e sterile di cifre che si ripete ogni anno, ma rappresentano un lavoro in progress che
approfondisce concetti e tematiche legate allo sviluppo umano, sperimenta nuove tecniche di
misurazione, introduce nuovi indici23 (Tiezzi, 1999).
Nel 1992, come detto precentemente, si tiene la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo
Sviluppo a Rio de Janeiro e nota come Earth Summit: si trattò di un evento straordinario a cui
parteciparono 178 paesi con più di trentamila invitati, e ha fatto intendere l’importanza che il
problema ambientale stava prendendo anche in seno ai singoli governi nazionali. Anche se fu un
sostanziale fallimento per il carattere puramente teorico degli impegni da adottare, essa produsse
cinque documenti che costituiscono ancora oggi il quadro di riferimento principale per lo sviluppo
sostenibile e livello internazionale: “La Dichiarazione di Rio ”, “L’Agenda 21 ”, “La convenzione sulla
biodiversità ”, “I principi sulla foreste ”, “La convenzione sui cambiamenti climatici ”.
Purtroppo gli ambiziosi ma necessari impegni presi a Rio de Janeiro sono rimasti solo nel limbo delle
buone intenzioni. Infatti, l’ Earth Summit tenutosi a Johannesburg nell’estate 2002 si è chiuso con una
sostanziale sconfitta: la consapevolezza che gran parte degli impegni presi dieci anni prima erano
22
“United Nations Conference on Environment and Development”, UNCED, anche conosciuta come “Earth
Summit”: ha affrontato le tematiche dei problemi ambientali del pianeta e del legame di questi con lo
sviluppo sociale ed economico. Durante la conferenza furono sottoscritti cinque importanti documenti:
Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo; Dichiarazione dei principi sulle foreste; Convenzione quadro sui
cambiamenti climatici, Convenzione sulla diversità biologica; Agenda 21, detta anche Piano d’Azione
ambientale della Comunità internazionale per il XXI secolo.
23
Tiezzi E.; Marchettini N. (1999) “Che cos’è lo sviluppo sostenibile?”, Donzelli editore, Roma
14
rimasti sulla carta e che soprattutto mancava una strategia comune a livello internazionale in rapporto
a questioni cruciali e di elementare sopravvivenza24 (Boato, 2002).
Il riflesso urbano dello sviluppo sostenibile ha avuto un percorso parallelo, relazionato ma
indipendente, rispetto al problema più generale dell’ambiente naturale. Il concetto di sviluppo
sostenibile è così complesso che esistono numerose definizioni di città sostenibile che mettono
l’accento su un aspetto o su un altro di questo approccio ecologico. Fra esse una sembra
particolarmente significativa, ed è contenuta in un rapporto dell’OECD25 del 1996: “Una città ecologica
si distingue per il grado d’integrazione delle preoccupazioni relative all’ambiente, all’interno del
processo decisionale, sia quelle assunte dal settore pubblico che dal settore privato […] E’ questa
capacità di trovare ed applicare soluzioni ai problemi dell’ambiente che fa una città ecologica. Gli
abitanti sono coscienti delle loro responsabilità verso l’ambiente locale e planetario, i problemi
dell’ambiente sono trattati in maniera continuativa e preventiva, le preoccupazioni relative
all’ambiente fanno parte integrante di un’ampia gamma di politiche e di attività settoriali e la massima
attenzione è riservata alla qualità della vita dei suoi cittadini ”.
In questa ottica, lo scopo della pianificazione deve essere quello di integrare obiettivi sociali,
economici ed ambientali per giungere ad uno sviluppo sostenibile26 (Fera, 2002).
Fra i numerosi apporti scientifici va anche ricordato il rapporto “Città europee sostenibili”27 pubblicato
successivamente al “Libro Verde sull’Ambiente Urbano” della Comunità Europea nel 1991 e strutturato
in due parti redatte tra l’ottobre del 1994 e l’ottobre del 1996.
Le origini di questo progetto si ritrovano nelle iniziative della Commissione Europea del 1991 che ha
avviato la prima fase del progetto “Città europee sostenibili ”, che ha come finalità principale quella di
contribuire allo sviluppo delle riflessioni sulla sostenibilità negli insediamenti urbani europei, di
promuovere lo scambio di esperienze, di diffondere delle buone pratiche in materia di sostenibilità a
livello locale e formare raccomandazioni per influenzare la politica a livello dell’Unione Europea e degli
stati membri, a livello regionale e locale, come auspicato nella risoluzione del Consiglio del 1991.
24
Boato S. (2002) “Il parco naturale come modello di sviluppo sostenibile”, Verdi del Trentino, Trento
25
OECD: Organisation for Economic Co-operation and Development
26
Fera G. (2002) “Urbanistica – teorie e storia” - Gangemi Editore, Roma
27
La relazione "Città europee sostenibili" è stata commissionata dalla Commissione europea. Direzione
generale XI, Ambiente, Sicurezza nucleare e Protezione civile , Bruxelles, marzo 1996.
Il progetto "Città sostenibili" è un'iniziativa congiunta della DG XI e del Gruppo di esperti sull'ambiente
urbano, istituito dalla Commissione europea nel 1991, successivamente alla pubblicazione del Libro verde
sull'ambiente urbano. Il Gruppo di esperti è indipendente ed è composto di rappresentanti nazionali e di
esperti indipendenti. Il suo vasto mandato, stabilito nella risoluzione del Consiglio dei ministri sul Libro verde
è quello di esaminare le modalità di inserimento degli obiettivi ambientali nelle future strategie di
pianificazione concernenti le città e l'assetto territoriale, nonché di assistere la Commissione nell'elaborazione
di una dimensione di ambiente urbano nell'ambito della politica comunitaria sull'ambiente.
15
La necessità di questo orientamento “urbano ” inserito all’interno degli studi avviati dopo la
Conferenza di Rio nasce dalla constatazione che l’Europa è la regione più urbanizzata del pianeta e
che circa l’80% della popolazione totale risiede in aree urbane. Non è solo la posizione geografica a
portare gli studiosi a considerare le città europee come un unicum; è infatti possibile individuare dei
cicli comuni nello sviluppo delle aree urbanizzate nel dopoguerra: dall’urbanizzazione alla
suburbanizzazione, seguiti da fasi di deurbanizzazione e più recentemente da fenomeni di
riurbanizzazione.
L’International Council for Local Environmental Initiatives formula nel 1994 un’interessante e
pragmatica definizione di sviluppo sostenibile, particolarmente adatta per essere applicata alle aree
urbane: “Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che offra servizi ambientali, sociali ed
economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l’operabilità dei sistemi
naturale, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi”.
Lo scopo del progetto Città Europee Sostenibili è quello di sviluppare un insieme di principi e di
strumenti socio-economici ed organizzativi per la gestione urbana che possano essere applicati anche
a differenti contesti urbani europei.
Il Libro Verde sull’Ambiente Urbano28 ha invece riconosciuto il ruolo delle città nella risoluzione dei
problemi ambientali. Le città incidono sul sistema globale attraverso l’impegno di energia e di risorse,
i rifiuti e le emissioni inquinanti. All’interno della città stessa si può parlare di ecologia in senso
letterale: gli habitat sono composti da cittadini, piante e animali che vi vivono.
In base a ciò, si può considerare l’ecologia umana delle città come “ il ruolo in cui esse provvedono
alle necessità e alle aspirazioni umane, la quantità e le opzioni di vita che esse rendono possibili, il
rapporto tra pianificazione, progettazione e finitura di servizi e comportamento e benessere umani.
[…] Le città pertanto sono al tempo stesso una minaccia per l’ambiente naturale ed una risorsa
importante di per sé. La sfida della sostenibilità urbana è risolvere sia i problemi sperimentati nelle
città che i problemi causati da esse ” (Città europee sostenibili, 1996).
In base alla risposta che l’urbanistica può fornire per uno sviluppo sostenibile, la pianificazione
sostenibile può essere schematizzata in questi obiettivi (Fera, 2002):
- conservare le risorse ambientali garantendo un uso parsimonioso;
- puntare sull’efficienza ecologica dei bilanci energetici;
28
Nel dicembre 1988 il Parlamento europeo chiese in una risoluzione alla Commissione europea di elaborare
un Libro verde sull’ambiente urbano. Questo Libro verde è stato pubblicato dalla Commissione europea nel
1990. All’inizio del 1991 il Consiglio ha riconosciuto in una risoluzione l’importanza del Libro verde e invitato
la Commissione ad istituire un gruppo di esperti composto da rappresentanti nazionali ed esperti
indipendenti per esaminare gli aspetti seguenti:
– possibilità di incorporare obiettivi ambientali nelle future strategie di pianificazione urbana e utilizzazione
del terreno;
– consulenza alla Commissione circa lo sviluppo della dimensione dell’ambiente urbano nella politica
comunitaria sull’ambiente;
– modalità di un ulteriore contributo comunitario al miglioramento urbano.
16
- migliorare la qualità della vita degli abitanti della città;
- favorire la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali;
- ricercare l’integrazione fra obiettivi di riqualificazione ambientale, sviluppo economico ed equità
sociale.
Questi principi, se sovrapposti alla struttura dell’urbanistica tradizionale, risultano in conflitto per
alcuni ordini di problemi: entrano in crisi la struttura gerarchica dei piani (dall’alto verso il basso), la
pretesa di razionalità progettuale costituita da una conseguenza sillogistica delle analisi e del
progetto, il metodo della zonizzazione, la tendenza a preferire la quantità e la funzionalità alla
qualità29.
Lo sviluppo sostenibile deve intrinsecamente essere uno sviluppo partecipato, perché le scelte non
possono essere affrontate e risolte solo con strumenti tecnici, ma anche con l’ausilio di un processo di
partecipazione. Le scelte di sostenibilità non possono essere dettate dall’alto, non possono venire
imposte, ma devono essere elaborate a livello locale.
1.3. VERSO LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE DEL PROGETTO URBANO
Nei tempi recenti, da più parti e in diversi modi, è stato scritto e riflettuto a proposito della qualità nel
grande contenitore dello sviluppo sostenibile, ed in particolare della sua vocazione di salvaguardia
degli ambienti e delle risorse naturali.
Una delle direzioni verso cui lo sviluppo sostenibile tende a concentrare il suo percorso è
l’innalzamento della qualità della vita senza compromettere le risorse esistenti e, conseguentemente,
la qualità di vita delle generazioni future.
Ai piani oggi viene chiesto di declinare la sostenibilità “ecologica” assicurando la conservazione delle
risorse ambientali riconosciute uniche e non sostituibili e curando che in ogni trasformazione fisica
della città e del territorio il consumo di alcune risorse ambientali sia compensato dall’incremento di
altre30 (Gambino, 1997).
Nelle sue attuali forme ed espressioni, l’ambiente urbano non è sostenibile, ma mediante una
gestione più responsabile del suo patrimonio e delle sue risorse può contribuire alla sostenibilità
complessiva31.
29
Franceshini A. (2003) “Percezione e spazio urbano. Teorie e metodi per l’analisi percettiva dello spazio
urbano in una città alpina: con un epilogo in forma di dialogo”, Quaderni del Dipartimento URB materiali e
ricerche 2, Università di Trento, Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale, Trento, p. 15-25
30
Gambino R. (1997) “Conservare, innovare: paesaggio, ambiente, territorio”, UTET, Torino
31
Milardi M. (2006) “Il concetto di Metabolismo per la gestione dei flussi energetici e materiali dell’ambiente
urbano” in Lucarelli M.T. (a cura di) “L’ambiente dell’organismo città. Strategie e sperimentazioni per una
nuova qualità urbana” , Alinea Editrice, Firenze, p. 24