7
riconoscimento storico dell’OLP come legittimo rappresentante del popolo
Palestinese da parte di Israele.
Come dimostrano i recenti sviluppi della crisi israelo-palestinese, le cose
sono andate diversamente, e l’Intifada, iniziata il 28 settembre del 2000,
rappresenta il momento di rottura del processo di pace intrapreso dagli
Accordi di Oslo. Per comprendere cosa ha portato al “fallimento” degli
Accordi di Oslo e agli ultimi sviluppi della questione palestinese, alla luce
del diritto internazionale, è necessario ricordare che la recente crisi,
l’Intifada di Al-Aqsa, non è un quid a sé stante, ma parte di un “ Unico
Assoluto”, la crisi israelo-palestinese, il che rende utile inquadrarla
storicamente, esponendone le sue radici storiche.
Gli ultimi risvolti della crisi israelo-palestinese sono il risultato, prima, delle
problematiche giuridiche del passato mai interamente risolte, sorte sin dal
mandato britannico in Palestina, delle quali eredita i presupposti giuridici
comuni, come la natura giuridica della crisi, la sua possibile inquadrabilità
come conflitto internazionale alla luce dell’articolo 1 (4) del Protocollo
Addizionale alla Quarta Convenzione di Ginevra del 1977 e della
Dichiarazione delle Relazioni Amichevoli delle Nazioni Unite del 1970, lo
status giuridico, ossia, la questione della soggettività e della titolarità della
sovranità della Palestina, il diritto all’autodeterminazione dei popoli e
applicabilità al popolo palestinese.
8
Gli Accordi di Oslo sono, poi, l’antecedente e la premessa logica-giuridica
della recente crisi che è culminata nella seconda Intifada, essendo questi dei
veri e propri trattati di diritto internazionale, vincolanti le parti
all’adempimento degli obblighi prescritti, le cui violazioni hanno contribuito
all’insorgere dell’Intifada, avendo deluso le aspettative e le speranze sia
della parte palestinese sia della parte israeliana.
Altro fattore scatenante la “nuova” crisi, la quale, a sua volta, ne diviene
causa essa stessa, consiste nelle violazioni di diritto internazionale
commesse da ambo le parti, soprattutto dei diritti umani e di diritto
internazionale umanitario, quali l’uso del terrorismo, le limitazioni collettive
di movimento, le punizioni collettive, i crimini contro le abitazioni e
l’agricoltura, l’uso della tortura, le esecuzioni extragiudiziarie, la detenzione
amministrativa, riferendosi, particolarmente, alla Quarta Convenzione di
Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra del 12
agosto 1949, ai Patti Internazionali delle Nazioni Unite del 1966, alla
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.
Oggi, la crisi israelo-palestinese potrebbe subire ulteriori sviluppi, oltre
quelli derivati dall’impatto degli attentati negli USA dell’11 settembre 2001,
a causa dell’attuale crisi irachena, la quale può dare vita a tensioni
insostenibili in tutta l'area mediorientale e a pericoli di destabilizzazione per
i governi arabi moderati che devono contenere al proprio interno le spinte
fondamentaliste ed antioccidentali.
9
Cap. I
Parte prima
Le origini storiche della recente crisi israelo-palestinese: dalla
nascita del Sionismo alla Seconda Intifada.
Risulta molto importante parlare dello scenario storico in cui si vennero a
creare le condizioni che avrebbero condotto alla recente crisi, l’Intifada di
Al-Aqsa, che ha riportato alla ribalta la questione israelo-palesatinese, crisi
mai del tutto risolta, solo raramente e per breve tempo in stato di
quiescenza, come un virus nel corpo umano, impossibile da “eliminare” in
via definitiva, ma solo momentaneamente, che si ripresenta sempre più forte
non appena le condizioni del medesimo corpo danno i primi segni di
cedimento, di debolezza….
Bisogna inquadrare la crisi nell’ambiente storico di formazione perché in tal
modo appare più facile comprendere le motivazioni che hanno portato gli
Israeliani, da una parte, i Palestinesi, dall’altra, ad assumere certi
atteggiamenti e comportamenti e ad agire di conseguenza.
10
Il conflitto in Medio Oriente non è cominciato con la proclamazione dello
Stato di Israele, ma risale agli ultimi decenni dell’Ottocento, alla nascita del
movimento sionista
2
.
Il conflitto israelo-palestinese nacque dall’incomprensione, riassunta dalle
parole di Weizman
3
, “di costruire una Palestina così ebraica, come
l’Inghilterra è inglese”, ritenendo erratamente che la Palestina fosse “una
terra senza gente, per una gente senza terra”.
1.1 Dalla nascita del sionismo alla Seconda Guerra Mondiale
La crisi israelo-palestinese trae le sue lontane origini storiche alla fine
dell'800, anche se è nei primi due decenni del secolo scorso, il XX, che
vengono a crearsi ed a rafforzarsi i fattori scatenanti, tra i “giochi” abili di
alcune potenze europee che, forse, vedevano, nelle rive del Mediterraneo
orientale, l’ultima possibilità di realizzazione delle proprie aspirazioni
colonialiste.
Quando, a Parigi, nel 1895, si svolse la degradazione pubblica di un
ufficiale di artiglieria accusato di alto tradimento e condannato sulla base di
prove false, il capitano Alfred Dreyfus, ebreo, tra gli spettatori c’era un
2
Si veda a tale proposito “Vittime, storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001” di Benny
Morris, Rizzoli, 2002, nel quale l’autore fa un’approfondita analisi ideologica, religiosa,
culturale, oltre a quella storica, della questione israelo-palestinese.
3
Fu membro ed uomo guida della Commissione sionista, mandata nel 1918 in Palestina per
visionarne la situazione.
11
giornalista viennese, Theodor Herzl
4
, rimasto così colpito dall’evento, che,
di ritorno a Vienna, scrisse un saggio dal titolo “Lo Stato ebraico”, nel quale
affermava che la creazione di uno Stato ebraico era l'unico modo per
mettere il popolo ebreo al riparo dalle persecuzioni cui erano stati sottoposti
nel corso di diciannove secoli. Nasceva in quel momento la dottrina del
sionismo politico, i cui padri fondatori furono Mose Hess, Leo Pinsker e
soprattutto, lo stesso, Theodor Herzl, i quali rispondevano agli attacchi
antisemiti contro l'ebreo con l'aspirazione al ritorno nella patria ancestrale:
la Palestina. Non c’era ebreo che non pensasse a Gerusalemme, terra
promessa loro da Dio, come propria legittima patria, ma nessuno pensava
realisticamente a Gerusalemme, tanto che all'inizio qualcuno propose di
fondare lo Stato ebraico in Argentina o, addirittura, in Uganda. La grande
maggioranza degli ebrei rimaneva fedele agli ideali dell'emancipazione e
accusava i sionisti di fare il gioco dell'anti- semitismo, con il loro progetto
di secessione dall'Occidente. Si dovettero attendere le persecuzioni
hitleriane perché il sionismo fosse abbracciato dagli ebrei .
Nel 1897, al primo Congresso mondiale sionista, riunito nel casinò di
Basilea, veniva costituito un fondo e creata una banca per finanziare
l'acquisto di terre in Palestina. Ai primi del '900 gli ebrei, in Palestina, erano
pochi, non più di cinquanta-sessantamila, concentrati soprattutto a
Gerusalemme e nelle immediate vicinanze. Nel 1914 la banca fondata a
4
Theodor Herzl (1860-1904) è considerato il padre fondatore del sionismo politico, il cui
scritto “lo Stato degli ebrei. Saggio per una soluzione moderna del problema ebraico” ne
rappresenta il cardine.
12
Basilea dal congresso sionista aveva già svolto un discreto lavoro: gli ebrei
in Palestina erano diventati 85 mila su 730 mila abitanti: compravano terre,
insediavano colonie agricole e suscitavano le preoccupazioni degli arabi più
attenti. Su quel fazzoletto di terra, entrarono, così in contatto due mondi e
due culture diversissime: da una parte gli arabi palestinesi, dall'altra gli
ebrei. Allo scoppio della prima guerra l’impero Ottomano, sotto il cui
dominio si trovava la Palestina, si alleò con la Germania e l'Austria . Il 2
novembre 1917 il ministro degli Esteri britannico, Arthur James Balfour,
scrisse una lettera al presidente onorario della Federazione sionista, Lord
Lionel Rothschild
5
, nella quale affermava: “Il governo di Sua Maestà vede
con favore la fondazione in Palestina di un focolare nazionale
6
per il popolo
ebraico e farà del suo meglio per facilitare il raggiungimento di questo
obiettivo”.
La stessa dichiarazione rese manifesta agli occhi degli arabi la collusione tra
l’imperialismo ed il sionismo. Essa contraddiceva, infatti, la promessa
7
di un
regno arabo fatta dall’alto commissario britannico Mac Mahon allo sceriffo
della Mecca appena due anni prima, nel 1915. Nessuno prestò attenzione e
fede a una successiva dichiarazione anglo-francese del 1918 nella quale si
prometteva agli arabi “una completa ed effettiva emancipazione e
5
Una sorta di mediatore tra l’Organizzazione sionista ed il Governo britannico.
6
National home, nel testo inglese.
7
Attraverso tale “promessa” gli Inglesi appoggiarono l’idea di uno stato arabo in cambio
della ribellione allo stato turco.
13
l’insediamento di un governo nato per volontà e libera scelta delle
popolazioni indigene”. Era chiaro che i desideri della popolazione indigena
palestinese contavano poco. Un rapporto ufficiale delle Nazioni Unite
scriveva a questo proposito: “La terra dei palestinesi era stata promessa ad
un altro popolo da un governo straniero che in quel momento non aveva
diritti sovrani sulla Palestina”. In tal modo si avvenne all’incrementazione
dell’immigrazione ebrea spinta ulteriormente a partire dal 1922 quando gli
inglesi ebbero dalla Società delle Nazioni il mandato sulla Palestina. Nel
1925 gli ebrei immigrati erano già 122 mila ed agli occhi degli arabi la
propria situazione peggiorava. Il Gran Muftì
8
di Gerusalemme incitava a un
specie di guerra santa fino a quando, nel 1929, a Hebron, la comunità
ebraica venne sterminata e la sinagoga distrutta. Era una delle comunità
ebree più antiche e pacifiche della Palestina. Tra il 1924 e il 1931,
l'immigrazione ebraica conobbe un calo: su cento immigrati, 29 se ne
andavano dopo pochi mesi e nel 1927 il saldo fu negativo: tremila arrivati e
cinquemila partiti. A tale situazione si contrappose una nuova crescita in
conseguenza della persecuzione antisemita scatenata da Hitler, fino a
raggiungere il suo massimo nel 1939: allo scoppio della guerra, in Palestina
c'erano 429.605 ebrei, su una popolazione ufficiale di un milione e mezzo
di abitanti. Tutto ciò provocò l’aspra reazione degli arabi palestinesi,
8
Era Hajj Amin al-Husayni (1893-1974) designato come tale nel 1921 dalle autorità
mandatarie e nel 1922 presidente del Supremo consiglio musulmano, diventando, così, il
rappresentante ufficiale della popolazione araba.
14
trasformando quelli che fino a quel momento erano stati tumulti, sia pure
sanguinosi, in vera e propria guerriglia che gli inglesi contrastavano
infelicemente. Fu in quel periodo, nel 1937
9
, che nacque per la prima volta
l'idea di dividere la Palestina in due Stati, uno arabo e uno ebreo. Fu proprio
la popolazione ebraica a respingere la proposta. Con l’avvicinarsi della
seconda guerra mondiale, gli inglesi, dettarono le loro condizioni:
l'indipendenza sarebbe stata accordata entro dieci anni; in Palestina
potevano immigrare altri 75 mila ebrei, dopo di che successive
immigrazioni sarebbero state decise dalla maggioranza araba, e sarebbe
stata limitata in alcune zone l'acquisizione di terre, vietata in altre. Nei
disegni ultimi degli inglesi c'era uno Stato bi-nazionale in cui gli ebrei
sarebbero stati un terzo degli arabi.
Violente furono, allora, le proteste del movimento sionista
10
, che vedeva
limitata la possibilità di immigrazione, proprio mentre Hitler cominciava a
martirizzare un intero popolo, riempiendo i campi di sterminio. Dal canto
loro gli arabi mantenevano una posizione di attesa: erano certamente di
sentimenti antibritannici, ma puntavano ad uno Stato formato da un terzo
contro due terzi ed intuivano una valida soluzione a un problema che
diventava sempre più complesso. Gli Inglesi avevano sottovalutato, però, la
determinazione ebraica. Da qui, gli ebrei che, teoricamente, dovevano stare
9
Fu la commissione britannica presieduta da lord Peel a proporre la spartizione della
Palestina.
10
In risposta alle limitazioni del “libro bianco” l’Agenzia Ebraica organizzò
l’immigrazione clandestina in Palestina.
15
con gli inglesi contro Hitler, in realtà stettero contro ambedue. Contro gli
inglesi in Palestina furono proprio gli ebrei a scatenare il terrorismo. Nacque
l'Irgum zwai leumi (Qrganizzazione militare nazionale) tra i cui dirigenti
c'era Menahem Begin, destinato a diventare primo ministro, e che si distinse
subito per compiere attentati perfetti e micidiali.
Nacque il Lehi (Combattenti per la libertà d'Israele) più noto come banda
Stern; nacque la Haganah, organizzazione paramilitare. Una delle prime
azioni, nel 1940, fu di un feroce cinismo: la nave Patria, carica di immigrati
ebrei clandestini, fu sabotata agli ormeggi da altri ebrei per alimentare il
fuoco antiarabo e antibritannico. Ci furono 252 morti, come 254 furono i
cadaveri contati tra le macerie di Deir Yassin, villaggio arabo raso al suolo
dai guerriglieri ebrei, che nel 1942 uccisero al Cairo il ministro inglese per il
Medio Oriente e che nel 1944 fecero saltare un'ala dell'albergo Re David, a
Gerusalemme: sotto le macerie rimasero 86 dipendenti arabi, ebrei e
britannici, oltre a cinque passanti. Gli ebrei volevano lo Stato ebraico esteso
su tutta la Palestina, volevano il loro esercito e una immigrazione illimitata.
Lo disse, David Ben Gurion, presidente del comitato esecutivo dell'agenzia
ebraica, alla riunione dell'Organizzazione sionistica americana, tenutasi in
un albergo di Baltimora. Il 14 febbraio 1947 Ernest Bevin, ministro laburista
degli Esteri, annunciò che la Gran Bretagna avrebbe abbandonato la
Palestina e rimesso il problema alle Nazioni unite, a causa della situazione
ormai incontrollabile, che aveva causato troppe perdite tra le file
16
britanniche. Furono pochi spiriti, lucidi e nobili, ad avere il coraggio di dire
apertamente cosa sarebbe successo.
Cominciò il filosofo ebreo Martin Buber, rimproverando alla sua parte di
non aver fatto niente per cercare un accoro in Palestina. Continuò Judah
Magnes, presidente dell’Università ebraica di Gerusalemme: «Uno Stato
ebraico significa, per definizione, che gli ebrei governano altra gente
abitante in questo Stato». E citava un alto pensatore ebreo, Jabotinsky: «Si è
mai visto un popolo offrire il proprio territorio di propria volontà? Così
anche gli arabi palestinesi non rinunzieranno alla loro sovranità senza
violenza».
Le Nazioni Unite convocarono l'Assemblea generale per il 29 novembre
1947. All'ordine del giorno: la divisione della Palestina in due Stati, uno
arabo e uno ebreo, geograficamente incastrati uno nell’altro, con
Gerusalemme (abitata da centomila ebrei e centocinquemila arabi) zona
internazionale sotto il controllo e l'amministrazione dell'ONU. I delegati
erano 56, 33 la maggioranza superiore ai due terzi prevista dal regolamento.
Incertissimo l'esito del voto. Yitzhak Sadeh, fondatore dell'Haganah,
avvertiva i suoi collaboratori: “Se l'esito del voto sarà positivo, gli arabi ci
faranno la guerra e perderemo cinquemila uomini. Se sarà negativo, faremo
noi la guerra agli arabi”. Risultato finale: I due nuovi Stati sarebbero nati il
14 maggio 1948; il giorno successivo gli inglesi se ne sarebbero andati dalla
Palestina.
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1.2 La nascita dello Stato di Israele e la prima guerra arabo-israeliana
Per gli inglesi, i mesi tra novembre e maggio furono un tormento, si
preparavano a lasciare la Palestina. I massacri
11
furono all’ordine del giorno:
il più famoso quello del piccolo villaggio di Deir Yasisn dove gli uomini di
Menhahen Begin assassinarono, il 9 aprile 1948, 250 abitanti. Il 14 maggio
1948, a Tel Aviv, David Ben Gurion
12
proclamò l'indipendenza dello Stato
di Israele
13
. In quel momento sul territorio assegnato agli ebrei erano
presenti 650 mila ebrei e 726 mila arabi palestinesi. Il 15 maggio gli Inglesi
se ne andarono, lasciando in mano agli arabi parte dell'equipaggiamento. Il
pomeriggio dello stesso giorno gli eserciti di Egitto e Siria, con l’appoggio
di contingenti libanesi e iracheni attaccarono Israele da sei diverse direzioni.
Era la prima guerra arabo-israeliana. L’Haganah liberò la strada di
Gerusalemme e si impossessò di Tiberiade, Haifa, Safed. Con il passare del
tempo l’esercito israeliano si era organizzato: diventò Forze di difesa di
Israele (Tsahal). Gli eserciti arabi cedettero agli inizi del gennaio 1949. Ci
volle un pesante intervento americano per impedire agli israeliani di varcare
11
Gli attacchi terroristici perpetrati dagli ebrei furono la causa dell’improvviso e forte
rialzo del numero dei profughi palestinesi che in un solo mese passarono da 60000 a
350000.
12
La sua figura si intrecciò con la lotta per la creazione dello Stato di Israele, di cui diventò
il primo capo di governo (1948-1953).
13
Il giorno stesso della sua costituzione Israele venne riconosciuto dagli USA, il 17 maggio
de iure dall’URSS e nel maggio del 1949 dall’ONU.
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le frontiere internazionali e invadere il Sinai egiziano. Il 7 gennaio 1949, in
seguito alle iniziative dell'ONU, i combattimenti cessarono quasi
completamente. Fu questa la storia della costituzione dello Stato di Israele,
ma lo Stato arabo-palestinese non era nato. Quel momento segnò allo stesso
tempo il punto di svolta: si crearono le condizioni necessarie allo svilupparsi
della questione palestinese. A tal proposito le chiarissime parole dello
storico francese Maxime Rodinson riassunsero la sostanza, il fulcro del
problema: «La causa profonda del conflitto è l'insediamento di una nuova
popolazione su un territorio già occupato, insediamento non accettato dalla
popolazione del luogo. Il conflitto ci appare così, essenzialmente, come la
lotta di una popolazione indigena contro l'occupazione straniera del suo
territorio nazionale». Lo stesso storico previde quello che sarebbe accaduto
in futuro, anticipando il pensiero delle Nazioni Unite: «Israele si trova
veramente a confrontarsi con il dilemma che alcuni gli avevano predetto.
Come tenere sotto il proprio dominio le terre arabe conquistate? Una guerra
rivoluzionaria condotta contro Israele da commandos palestinesi, con il
sostegno più o meno dichiarato di certi Stati arabi, è indubbiamente
possibile».
Le Nazioni Unite, impegnate a trovare una qualche soluzione al dramma i
cui contorni erano ormai chiari a tutti, cominciarono col mandare in
Palestina una commissione, guidata dal conte Folke Bernadotte di Svezia, il
quale, dopo aver parlato con le parti in causa, individuò il nucleo della
19
questione: i profughi arabo-palestinesi fuggiti e scacciati dalle loro terre
occupate da Israele e quantificati in circa 730 mila. Il conte raccomandò alle
Nazioni Unite di imporre alcuni ridisegnamenti territoriali ai confini, di
studiare un meccanismo per limitare l'immigrazione ebraica e, soprattutto, di
proclamare il diritto dei profughi al ritorno alle loro case, poiché sarebbe
stata un'offesa ai principi della giustizia elementare se questi non avessero
visto riconosciuto il diritto al ritorno alle loro case, mentre gli immigranti
ebrei giungevano in Palestina facendo temere una sostituzione permanente
dei profughi arabi, radicati nella terra per secoli. Prima ancora che
terminasse la sua missione, il conte Folke Bernadotte di Svezia venne
assassinato dalla banda Stern.
I nuovi confini dello Stato erano quelli raggiunti dai soldati israeliani nel
1949, l'immigrazione non aveva più limiti e nel 1950 venne promulgata una
legge considerata fondamentale, la legge del ritorno, in base alla quale, ogni
ebreo aveva diritto di entrare in Israele come oleh (termine intraducibile che
letteralmente significa colui che sale, cioè che torna).
Ad ogni ebreo veniva concessa automaticamente la cittadinanza israeliana,
senza dovere rinunciare a quella di origine, come automaticamente a
chiunque si trovasse sul territorio dello Stato, come residente, il giorno della
proclamazione dell’indipendenza, il che significava che anche gli arabi,
rimasti nel frattempo solo 160 mila, diventavano cittadini, venendo
dispensati dal servizio di leva, sottoposti a regime militare poiché vivevano
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in zone di frontiera. I palestinesi sparsi nei territori confinanti erano 922
mila, la maggior parte (512 mila) in Giordania, 216 mila nel territorio con
epicentro a Gaza (diventerà la celeberrima striscia di Gaza, allora sotto
controllo egiziano), 102 mila in Libano, 90 mila in Siria. L'ONU affrontò il
problema dei profughi creando un'agenzia, l'UNRWA, che si occupava di
dare agli sfollati cibo, tetto e cure mediche.