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-Motivi della riforma-
Con la legge delega in questione sono state elencate non
soltanto le materie sulle quali sono destinati ad incidere i nuovi
interventi normativi, ma altresì i criteri ai quali deve ispirarsi il Governo
nell’emanazione del nuovo testo sulla disciplina della circolazione
stradale.
Inoltre è stata sollecitata una nuova disciplina per la
repressione delle infrazioni.
Alla crescita del parco automobilistico e motociclistico
nazionale
1
ha fatto riscontro, verso la fine degli anni 70, la crescita
enorme e spesso incontrollata degli utenti stranieri che annualmente
entravano in Italia per motivi di lavoro o di turismo.
E’ pur vero che la situazione in questione non ha avuto
come effetto un corrispondente aumento di incidenti stradali
2
.
In effetti l’incremento dei sinistri non ha subito lo stesso
andamento dell’aumento della circolazione, sia nei valori assoluti sia in
rapporto ai veicoli circolanti.
Altrettanto vero è, però, che il fenomeno è da ascrivere
a fattori diversi, tra questi non ultima è la ridotta velocità di
spostamento imposta dalla congestione costante delle strade,
soprattutto dei centri urbani; mentre certamente fra gli ultimi è da
collocare l’efficacia intimidatoria svolta dagli strumenti di controllo
sociale quali le sanzioni penali in vigore nel previdente codice, si pensi
che secondo dati di statistica criminale di fine anni 80 solo il 2,5% delle
infrazioni del codice della strada veniva rilevato dagli organi a ciò
preposti.
1
Nel 1971 gli autoveicoli circolanti erano 11.307.000, mentre nel 1991 sono risultati 28.500.000.
2
Dati comunicati dall’ufficio stampa dell’A.C.I. Nel 1970: incidenti 302.422, morti 9.963, feriti
220.865; nel 1991: incidenti 288.340, morti 6.780, feriti 222.739.
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Una prima ragione, quindi, va individuata nella ricerca di
un sistema sanzionatorio più confacente alla situazione reale, ormai
troppo lontana dai modelli sociali che nel 1959 avevano ispirato la
riforma della normativa sulla circolazione stradale: se è vero che la
sanzione penale rappresenta la massima sanzione che lo stato possa
infliggere al consociato disubbidiente è altresì vero che questa sanzione,
proprio per il suo carattere affittivo, necessita di tutta una serie di
accorgimenti procedurali, volti a garantire i diritti del consociato, che
mal si associano ad una cosi rilevante mole di infrazioni come è quella
normalmente rilevata in materia di circolazione stradale.
Da queste premesse la necessaria conclusione
nell’individuazione di sanzioni amministrative, pecuniarie e accessorie,
in luogo di quelle penali, per la maggior parte delle infrazioni al codice
della strada.
Una seconda ragione di riforma, questa di ordine
squisitamente politico-economico, è nata dall’esigenza, non più
ignorabile, di dare attuazione in Italia non solo alla convenzione di
Ginevra del 1949, alla quale in parte si era uniformato il codice della
strada del 1959, ma alle ben più numerose ed ampie successive
convenzioni, nonché ai regolamenti e alle direttive CEE, alle risoluzioni,
alle raccomandazioni e ai pareri. Tutto ciò onde ottenere una disciplina
unitaria in subiecta materia.
La terza e certo non ultima ragione che ha condotto
all’emanazione del nuovo codice della strada, va, senza alcun dubbio,
ravvisata nell’ormai tradizionale incongruenza e nel cronico disordine
della produzione normativa italiana.
L’articolo 1 della legge delega 13 Giugno 1991, n°190
dispone espressamente che la riforma dovrà ”rivedere e riordinare,
apportandovi le modifiche opportune o necessarie in conformità dei
principi e criteri direttivi di cui all’articolo 2, la legislazione vigente
concernente la disciplina della motorizzazione e della circolazione
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stradale, comprese le disposizioni dei testi unici approvati
rispettivamente, con r.d. 8 Dicembre 1933, n° 1740 e con D.P.R. 15
Giugno 1959, n° 393 e successive modificazioni e integrazioni,
riunendola in un testo unico denominato codice della strada”.
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-Struttura del nuovo codice della strada-
Il nuovo codice della strada si presenta, sotto l’aspetto
sistematico, suddiviso in 240 articoli (a fronte dei 147 del codice
uscente) raggruppati in sette titoli così divisi:
ξ TITOLO PRIMO Disposizioni generali ( aa. 1- 12)
ξ TITOLO SECONDO Della costruzione e tutela delle strade ( aa. 13-
45)
ξ TITOLO TERZO Dei veicoli (aa. 46- 114)
ξ TITOLO QUARTO Guida dei veicoli e conduzione degli animali
(aa. 115- 139)
ξ TITOLO QUINTO Norme di comportamento (aa. 140- 193)
ξ TITOLO SESTO Degli illeciti previsti dal presente codice e delle
relative sanzioni (aa. 194- 224)
ξ TITOLO SETTIMO Disposizioni finali e transitorie(aa. 225- 240)
Questa suddivisione in gran parte ripercorre, anche nel
contenuto, la linea già seguita dal legislatore in occasione
dell’emanazione del 2° codice stradale.
Rinnovato risulta, invece, soprattutto nella struttura
formale, il sistema sanzionatorio, non più legato alla struttura
sanzionatoria penale
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, ma già improntato alla più snella struttura
dell’illecito amministrativo
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con le relative posizioni dei soggetti autori
delle infrazioni ormai quasi tutte oggetto di depenalizzazione e quindi
sanzionate secondo i dettami del diritto amministrativo.
3
Nel D.P.R. 393/59 l’articolo 142 , rubricato “Rapporto al pretore”, disponeva nel caso di
mancata oblazione del contravventore l’invio di un rapporto all’autorità giudiziaria , il pretore, per
l’instaurazione di un procedimento a carico del contravventore.
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Attualmente in base al combinato disposto dell’articolo 206 del D.L.vo 285/92 e dell’articolo 27
della L 689/81 il pagamento delle sanzioni amministrative non contestate, “ (…) l’autorità che ha
emesso l’ordinanza ingiunzione procede alla riscossione delle somme dovute in base alle norme
previste per l’esazione delle imposte dirette (….)
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A conferma di ciò l’articolo 194 “Disposizioni di
carattere generale” si premura di operare un rinvio generale alle
disposizioni contenute nelle sezioni 1° e 2° del capo 1° della legge 24
Novembre 1981, n° 689 “salvo le modifiche e le deroghe previste nelle
norme di questo capo”.
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La depenalizzazione dei reati minori e la successiva
ripenalizzazione
Nei principi di proporzione e sussidiarietà può scorgersi il
filo conduttore degli interventi di depenalizzazione compiuti dal
legislatore italiano a partire dal 1967, attraverso varie leggi che hanno
via via trasferito una gamma sempre più ampia di reati tra gli illeciti
amministrativi.
Nella maggior parte dei casi, si trattava di illeciti
bagatellari, non sufficientemente gravi, dunque, da far apparire
proporzionata la sanzione penale
5
.
Il corpo normativo regolante la circolazione stradale
immediatamente antecedente al codice attualmente in vigore, e cioè il
D.P.R. n° 393/59, comminava in origine esclusivamente sanzioni di
natura penale, ed ogni violazione alle norme in esso contenute
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costituiva contravvenzione, con la sola esclusione dell’omessa assistenza
in caso di sinistro stradale (articolo 133), qualificata come delitto.
Tuttavia, la natura “penalistica” del D.P.R. n° 393/59 ebbe una vita
relativamente breve, in virtù del fatto che la l. n° 317/67 depenalizzò la
quasi totalità delle contravvenzioni punite con la sola pena
dell’ammenda; successivamente con l’emanazione della l. n° 706/75
prima, e della l. n° 689/81 poi, i reati si ridussero nel D.P.R. 393/59 a
soli venticinque.
Con l’entrata in vigore del Nuovo codice della strada, si è
assistito ad un ulteriore sfoltimento della fattispecie di natura penale.
Non può mancare di destare stupore il fatto che nessuna
disposizione, ancorché di carattere generale o quantomeno generico tra
quelle che compongono la legge delega, l.190/91, è dedicata alla
5
MARINUCCI-DOLCINI, “Manuale di diritto penale”,2004, pag. 8
6
A titolo esemplificativo l’articolo 4 del D.P.R. 393/59 puniva , come reato contravvenzionale, la
sosta vietata in centro abitato con l’ammenda da lire 4000 a lire 10000
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trasformazione di reati attinenti alla circolazione stradale in illeciti
amministrativi.
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In vero l’unica previsione attinente alla qualificazione
giuridica degli illeciti dell’allora prevedendo codice è da rinvenire
nell’articolo 2 lett. gg, che vale la pena riportare:
“gg) previsione, nelle ipotesi più gravi di
comportamento, da cui derivi pericolo o pregiudizio per la circolazione
e per la sicurezza individuale e collettiva, di nuovi reati e modifica
delle sanzioni penali vigenti, purché non superino nel massimo per le
pene detentive i mesi dodici e le pene pecuniarie la somma di
duemilioni”.
Cosi stando la norma, non sembra autorizzata alcuna
ipotesi di depenalizzazione.
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Incidentalmente la giurisprudenza di legittimità ha già
avuto modo di rilevare l’illegittimità della depenalizzazione operata dal
D.L.vo n° 285/92: la Corte di Cassazione -sezione II penale- con la
Sentenza n° 2991 del 1996 si era trovata a valutare un caso di insolvenza
fraudolenta nel quale un conducente, fingendosi indigente, aveva
ripetutamente evitato il pagamento del pedaggio autostradale,
condannato in primo e secondo grado l’imputato si era rivolto in
cassazione asserendo che, con l’entrata in vigore del nuovo codice della
strada, la fattispecie era stata depenalizzata.
In risposta la Corte di Cassazione al sesto capoverso
della sentenza, dopo aver commentato la scelta del legislatore delegato
che in occasione della stesura del nuovo codice della strada non ha
ritenuto di togliere rilevanza penale ad alcune fattispecie proseguiva
dicendo “ Peraltro una diversa interpretazione non si sottrarrebbe a
sospetti di illegittimità atteso che con l’articolo 2 comma 1 lett dd),
della legge 13 giugno 1991, n° 190 (delega al Governo per la revisione
delle norme concernenti la circolazione stradale) fu conferita la delega
7
SILVIO SCOTTI in “ La depenalizzazione del nuovo codice della strada” , l’indice penale, 1999
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Cosi SILVIO SCOTTI opera citata.