I
INTRODUZIONE
Lo scopo che ci si prefigge con questa tesi è quello di affrontare e di analizzare, alla luce
del dilagante multiculturalismo, la nuova fattispecie penale denominata “reato
culturalmente orientato” altrimenti detta “reato culturale”.
Tale argomento riveste un certo interesse sia dal punto di vista socio-culturale sia
di quello giuridico. Riguardo al primo aspetto vengono in considerazione, in primo luogo, i
criteri di individuazione delle minoranze culturali: quali sono gli elementi che
caratterizzano un determinato gruppo culturale? La risposta non è così semplice come
sembrerebbe in un primo momento, giacché la cultura non è un qualcosa di statico o
d’impermeabile, quanto piuttosto fenomeno in continuo divenire (panta rei come direbbe
Eraclito). Questa perenne evoluzione si verifica sia a causa delle modificazioni che
avvengono all’interno dello stesso gruppo culturale, sia per le contaminazioni derivanti dal
contatto con gruppi esterni. Conseguentemente un gruppo culturale X dei nostri giorni non
avrà sicuramente le stesse caratteristiche del gruppo culturale X di venti anni fa.
Sempre dal punto di vista socio-culturale, in secondo luogo, vengono in rilievo le questioni
legate al riconoscimento delle suddette minoranze dei diritti e dei loro relativi limiti.
Per l’individuazione e l’individuazione del “gruppo etnico” si farà riferimento ai “Mandla
criteria” elaborati dalla House of Lords Britannica: affinché un gruppo possa definirsi
etnico dovrà essere caratterizzato da una serie di elementi (quali una lingua, una storia
comune, ecc..) comuni a tutti gli appartenenti del gruppo. Una volta definito cosa s’intende
per gruppo si dovrà distinguere tra gruppi maggioritari e minoritari e delle possibili
rivendicazioni che gli uni possono avanzare nei confronti degli altri. Secondo Kymlicka si
tratta delle cosiddette “rivendicazione di restrizioni interne” e “rivendicazione di tutele
esterne”; vale a dire di quei diritti che il gruppo culturale minoritario rivendica sia per la
gestione dei rapporti interni allo stesso gruppo (rivendicazioni interne), sia per la gestione
dei rapporti con le istituzioni esterne appartenenti al gruppo maggioritario (rivendicazioni
esterne).
Tra i due gruppi si stanno verificando (ultimamente) sempre più spesso dei conflitti
normativi-culturali, cioè dei contrasti tra norme di condotta appartenenti al gruppo
minoritario e norme penali previste dall’ordinamento del gruppo maggioritario.
Questi conflitti, che sono alla base del cosiddetto “reato culturale”, suscitano
interesse all’interno del sistema giuridico, poiché intaccano il “rapporto di circolarità” da
sempre esistente tra culture/valori e fattispecie/sanzioni.
II
In ogni Stato di qualsiasi epoca, i comportamenti sanzionati penalmente erano quelli che
ledevano i beni giuridici tutelati dall’ordinamento, differendo dai valori di cui era
portatrice la maggior parte dei cittadini. Tale circolo è stato però spezzato dal dilagante
multiculturalismo dei nostri tempi: sono state abbattute barriere linguistiche, doganali e
culturali, trasformando così la terra in un vero e proprio villaggio globale dov’è sempre più
difficile stabilire dei confini non solo territoriali ma anche culturali.
La presenza su di uno stesso territorio di culture diverse suscita dei dubbi nei casi in cui ci
si trova a dover giudicare un cittadino straniero per la condotta illegale da lui tenuta: il
problema sta nel fatto che la condotta dell’agente è conforme al suo codice etico-culturale
ma allo stesso tempo il suo comportamento è sanzionabile a livello penale. In quale modo
dunque si dovrà giudicare il soggetto? Si dovrà tener conto del suo background culturale?
Se si, il suo bagaglio di valori può in qualche modo influire sull’esito del processo?
Queste sono solo alcune delle domande che sorgono nell’affrontare un “reato
culturale”, ma al momento non è ancora possibile dare una soluzione univoca.
I vari ordinamenti di fronte ai reati culturalmente orientati hanno tenuto un comportamento
differente e, in alcuni casi, ambiguo. Ad esempio, all’interno degli Stati Uniti d’America,
luogo d’origine del reato culturale, le Corti hanno affrontato la questione nei modi più
variegati: in alcuni casi i fattori culturali sono stati considerati come circostanza attenuante
e/o come mitigazione della sentenza (in tutto e/o in parte), mentre in altri casi gli elementi
culturali non sono stati valutati affatto. Lo stesso potrebbe dirsi per la Gran Bretagna o per
l’Italia: in entrambi i paesi le soluzioni sono state tra le più disparate come si vedrà
dall’esamina dei casi giurisprudenziali riportati.
Il problema di se e come giudicare chi commette un reato culturale, come ho già
detto, è ancora ben lontano da una soluzione. Allo stato delle cose manca: innanzitutto una
definizione legale di reato culturale, al momento si utilizzano delle definizioni fornite dalla
dottrina; ed in secondo luogo una disciplina penale sia a livello di ipotesi specifica di reato
sia a livello di leggi ad hoc o di leggi speciali.
La questione è ancora tutta da discutere.
1
CAPITOLO 1: IL REATO
1.1 LA TEORIA GENERALE DEL REATO E IL DIFFICILE RAPPORTO COI
REATI CULTURALI
Il diritto penale è caratterizzato da due fondamentali caratteristiche: localismo e non
neutralità culturale.
Col termine “localismo” ci si riferisce al fatto che il diritto penale presenta «la
caratteristica di essere una sorta di ‘prodotto tipico locale’, destinato, peraltro, ad una
consumazione solo in loco»
1
; come sosteneva Montesquieu «le leggi politiche e civili,
di ogni nazione (…) devono essere talmente adatte al popolo per il quale sono state
istituite, che è incertissimo se quelle di una nazione possano convenire a un’altra»
2
.
La non neutralità culturale, invece, rimanda al fatto che, più di altri settori
dell’ordinamento giuridico, il diritto penale ha «la caratteristica di essere un diritto
‘impregnato’ di cultura, un diritto, cioè, che risente particolarmente della cultura dello
Stato, del popolo, degli uomini che tale diritto hanno elaborato»
3
.
Se si volesse rappresentare graficamente il rapporto tra cultura e diritto penale, si
potrebbe raffigurare come due cerchi intersecati stanti a rappresentare l’esistenza di un
rapporto di reciproca implicazione tra norme penali e kulturnormen
4
. Questa
intersecazione è riscontrabile da tre punti di vista: prevenzione generale positiva;
prevenzione speciale; e possibilità di conoscenza della norma penale violata.
La prevenzione generale, stante la sua funzione di orientamento pedagogico-
culturale degli autori del reato, potrebbe essere vista come un mezzo per favorire la
cultura, i modi di pensare della maggioranza riscontrabili nei valori protetti
1
BASILE F., Immigrazione e reati ‘culturalmente motivati’, il diritto penale nelle società multiculturali
europee, Cuem, Milano, 2008, pag. 55.
2
MONTESQUIEU, De l’esprit des lois, 1748, Première partie (livres 1 à VIII) livre III citato in BASILE F.,
Immigrazione e reati ‘culturalmente motivati’, il diritto penale nelle società multiculturali europee, cit.,
pag. 62.
3
BASILE F., Immigrazione e reati ‘culturalmente motivati’, il diritto penale nelle società multiculturali
europee, cit., pag. 55.
4
Tale termine coniato da Max Ernst Mayer indica «l’insieme di quei comandi e divieti religiosi, morali,
convenzionali, in quanto esigenze imposte dai rapporti sociali e dalla vita professionale: la kulturnormen
è, infatti, la forma cui la cultura, o la società quale creatrice della cultura, impone le sue pretese
all’interno della comunità». MAYER M.E., Rechtsnormen und kulturnormen, Verlag Schletter, Breslau,
1903, citato in BASILE F., Immigrazione e reati ‘culturalmente motivati’, il diritto penale nelle società
multiculturali europee, cit., pp. 85-86.
2
dall’ordinamento giuridico: questa è una prima dimostrazione dell’incidenza della
cultura sul diritto penale.
Esempi pratici di questa reciproca incidenza possono riscontrarsi nei settori occupati:
dalle norme penali che impiegano elementi normativi extragiuridici culturali (ad
esempio “comune senso del pudore”, “onore e pudore”, “atti sessuali”, “morale
famigliare”, “particolare valore morale o sociale”, “fatto ingiusto”); da quelle norme
penali 'imbevute' di cultura (ad esempio i delitti di duello, di adulterio o di matrimonio
riparatore).
Per quanto riguarda la prevenzione speciale, considerando in particolare la
modalità rieducativa o risocializzativa, è asseribile che «“rieducazione” significa,
principalmente, “sensibilizzazione ai valori consacrati dall’ordinamento”, ovvero
conferimento all’individuo della “capacità di adeguarsi al minimo etico giuridico-
sociale, così da rendere favorevole la prognosi di un suo reinserimento nella società” e
presuppone una disponibilità psicologica di base del condannato a ‘lasciarsi
rieducare’»
5
. Pertanto affinché la prevenzione speciale abbia successo è necessaria una
maggiore attenzione da parte del diritto penale nei confronti delle norme culturali, il che
farà aumentare la possibilità di riuscire a rieducare il condannato.
In merito al terzo punto di contatto tra diritto penale e cultura, la dottrina ha
osservato che la riconoscibilità dei precetti penali è subordinata alla corrispondenza
tra i beni tutelati dall’ordinamento e il sistema sociale dei valori all’interno del quale
emergono tali dettami: «una tendenziale coincidenza
6
tra norme penali e norme culturali
costituisce, pertanto, una condizione in presenza della quale è più agevole, per il
consociato, conoscere i contenuti delle norme penali»
7
.
Un quarto punto di vista altamente controverso potrebbe essere costituito dalla
“colpevolezza morale” «quale libera e responsabile risoluzione volontaria contro un
dovere morale riconosciuto»
8
.
Una volta precisato che la teoria della pena si riferisce ad un contesto del tutto
omogeneo e territorialmente limitato all’ambito nazionale, è abbastanza evidente che il
localismo e la non neutralità del diritto penale «creano, quindi, fatalmente, condizioni
5
FIANDACA G.-MUSCO E., Diritto penale,parte generale, Zanichelli, Bologna, 2006, pag. 693 citato in
BASILE F., Immigrazione e reati ‘culturalmente motivati’, il diritto penale nelle società multiculturali
europee, cit., pp. 114-115.
6
La ricerca di tale sintonia tra norme va ricercata nel diritto penale nel complesso piuttosto che nelle
singole fattispecie.
7
BASILE F., Immigrazione e reati ‘culturalmente motivati’, il diritto penale nelle società multiculturali
europee, cit., pag. 118.
8
BASILE F., Immigrazione e reati ‘culturalmente motivati’, il diritto penale nelle società multiculturali
europee, cit., pag. 110.
3
‘favorevoli’ alla commissione, da parte degli immigrati, di reati ‘culturalmente
motivati’»
9
.
In presenza di casi di conflitto normativo, l’applicazione ferrea dei dettami
dell’ordinamento penale potrebbe rischiare l’ingiustizia della soluzione giudiziaria nelle
ipotesi in cui soggetti appartenenti ad un gruppo culturale minoritario commettessero un
reato sanzionalmente previsto dall’ordinamento del paese ospitante, comportamento
che, viceversa, è accettato o addirittura prescritto nel loro paese d’origine. In altre
parole, quello che viene definito un “reato culturalmente orientato”.
Alla presenza di questo reato culturale l’applicazione intransigente delle norme
del nostro ordinamento rischia quindi di trasformarsi in un trattamento diseguale nei
confronti di tali soggetti poiché da un lato si permette alla popolazione locale di
professare i propri usi e costumi, viceversa dall’altro lato viene chiesto alle persone
immigrate di abbandonare le loro tradizioni d’origine per sottomettersi ai costumi del
paese ospitante.
L’esigenza di tenuta complessiva del sistema penale non può imporre
un’integrazione forzata giacché ciò sarebbe in contrasto coi principi liberali propri dei
nostri ordinamenti tra cui spicca il principio di uguaglianza. In base a tale principio gli
individui vanno tutti trattati con ugual rispetto; di conseguenza debbono essere
considerate anche le differenze identitarie che diversificano un soggetto da un altro: ciò
porta all’insorgere di problemi circa la configurazione delle politiche di riconoscimento
e integrazione.
Inoltre nei casi in cui fossero sottoposti a sanzione penale comportamenti non lesivi di
beni e interessi irrinunciabili, ma semplicemente espressivi di costumi differenti dalla
tradizione della maggioranza, la pena finirebbe proprio per sottendere l’indebita
conversione culturale a cui si accennava poc’anzi; ciò sarebbe «congruente solo con la
funzione di prevenzione generale “integratrice” della pena, diretta ad ottenere la fiducia
della maggioranza dei cittadini, attraverso scelte tese al mantenimento dei valori e degli
orientamenti sociali consolidati ed alla conseguente stigmatizzazione dei valori e degli
ordinamenti ad essi alternativi»
10
. Ma la funzione del diritto penale non è quella di
indirizzare gli orientamenti culturali delle persone, ma bensì quella di perseguire una
prevenzione (generale e speciale) di comportamenti lesivi dei beni giuridici tutelati
dall’ordinamento.
9
BASILE F., Immigrazione e reati ‘culturalmente motivati’, il diritto penale nelle società multiculturali
europee, cit., pag. 153
10
PASTORE B., LANZA L., Multiculturalismo e giurisdizione penale, Giappichelli, Torino, 2008, pag. 29.
4
Per tali ragioni è auspicabile una modernizzazione del sistema penale-
sanzionatorio «volto a trattare con eguale considerazione e rispetto le differenze
identitarie»
11
affinché non si sacrifichi indebitamente l’autore del reato.
Questo è il fulcro della questione sorta col proliferarsi dei reati culturali.
1.2 DIFESA CONTRO IL DELITTO: LA PREVENZIONE
La questione della difesa contro il crimine è comune a tutti gli Stati di tutte le epoche.
Nonostante le diversificazioni della politica criminale il problema del crimine non è
ancora stato risolto; dall’analisi del fenomeno è possibile, addirittura, rinvenire delle
costanti criminalistiche, punti fermi ed immutabili della problematica “crimine”.
Ferrando Mantovani ha evidenziato 10 costanti: 1) la criminalità è un aspetto
ineludibile in quanto diretta «espressione dell’imperfezione dell’uomo e della società ed
affonda le radici ultime in pulsioni profonde, in forze vitali innate dell’individuo
umano, le quali possono essere non soppresse ma soltanto contenute e orientate verso
finalità non distruttive o socialmente utili»
12
. 2) Il rapporto tra sistemi di controllo
sociale e criminalità è direttamente proporzionale, quanto più valido è il sistema di
controllo sociale, tanto minore sarà il numero dei crimini. 3) «Il problema della politica
criminale è quello non dell’eliminazione, ma di un costante impegno di contenimento
della criminalità entro limiti ragionevoli di sopportabilità sociale»
13
; in tal senso stanno
prendendo sempre più piede programmi di prevenzione del crimine dal momento che 4)
la prevenzione è da preferire alla pena che è l’estrema ratio della politica penale. 5) «La
pena è uno strumento irrinunciabile di controllo sociale, finché non sarà dimostrata
come erronea la verità, e sempre riconfermata, che accanto ad una minoranza di soggetti
che non delinquono anche senza la pena e di soggetti che delinquono nonostante la
pena, esiste la maggioranza di soggetti che non delinque a causa della pena»
14
. 6) Esiste
un rapporto inversamente proporzionale tra il sistema extrapenale e il sistema penale di
controllo sociale: minori sono i meccanismi di controllo extrapenali, maggior
affidamento bisognerà fare sull’inasprimento del sistema penale. 7) Quando si attuano
delle riforme non si possono rinnegare i tradizionali strumenti generalpreventivi
11
PASTORE B., LANZA L., Multiculturalismo e giurisdizione penale, cit., pag. 29.
12
MANTOVANI F., Principi di diritto penale, Cedam, Padova, 2002, pag. 342.
13
Ibidem.
14
Ivi, pag. 343.
5
(detenzione, sanzioni penale) senza aver ideato delle soluzioni alternative e di
immediata attuazione. 8) Esiste un delicato equilibrio tra difesa sociale e garantismo: un
costante interesse verso il bilanciamento dei due fattori va sempre considerato. 9) Un
ulteriore rapporto di proporzione inversa sussiste tra andamento della criminalità e
garantismo: all’aumentare «della domanda di difesa sociale fa riscontro un’immancabile
attenuazione delle garanzie»
15
. 10) L’indebolimento della difesa contro il crimine porta
all’aumento di fenomeni di autogiustizia ed autodifesa.
Prendendo atto di queste costanti, si può passare all’esame delle vie
(sostanzialmente tre
16
) della lotta contro il crimine.
In primis si può considerare la prevenzione generale, che storicamente costituisce la
principale funzione di intimidazione penale. Occorre qui distinguere tra prevenzione
generale negativa e positiva.
Il primo tipo denominato anche prevenzione generale penale o “deterrenza” «consiste
in una “sofferenza” (cioè in una privazione o limitazione di diritti individuali), che viene
minacciata dal legislatore nei confronti della generalità dei consociati come
conseguenza necessaria dell’illecito a carico di chi lo abbia realizzato in concreto, così
da dissuadere i consociati dalla commissione degli illeciti»
17
. In tal modo
l’intimidazione fornita della pena «agisce come contromotivo al motivo criminoso per il
triplice effetto: a) per il suo carattere affittivo e socialmente squalificante, operando
sull’istinto, sulla proto-emozione della «paura», che è il contrario dell’aggressività; b) di
moralizzazione-educazione, in quanto […] contribuisce a formare e fortificare il codice
morale dei consociati; […] c) di orientamento sociale attraverso la creazione,
l’apprendimento di abitudini all’agire socialmente adeguato, i cui effetti si risentono
anche al di fuori delle zone investite dalla minaccia»
18
.
Lo schema funzionale della prevenzione generale mediante intimidazione è molto
semplice: prima vi è la minaccia rivolta alla generalità dei consociati (avvisaglia
anteriore alla commissione dell’illecito), poi, vi è l’irrogazione della pena. La linearità
di questo schema non è però immune da obiezioni di natura sia empirica sia teorico-
ideologica. Ad esempio vi è chi sostiene la scarsa efficacia dissuasiva della pena: la
minaccia della sanzione è «pressoché marginale rispetto a fattori motivazionali diversi
15
MANTOVANI F., Principi di diritto penale, cit., pag. 344.
16
Prevenzione generale, prevenzione speciale, idea retributiva.
17
PALAZZO F., Corso di diritto penale. Parte generale, Giappichelli, Torino, 2006, pag. 8.
18
MANTOVANI F., op. cit., pag. 345.
6
capaci di orientare il comportamento individuale nel senso sia dell’osservanza che della
violazione delle norme giuridiche»
19
.
A dispetto di queste critiche, il vero problema della prevenzione generale negativa è
costituito dal rischio di una sua degenerazione, di un eccesso repressivo; vale a dire che
è «altamente probabile la tendenza politico criminale ad “ottimizzare” [l’efficacia
dissuasiva] mediante un progressivo innalzamento dell’afflittività punitiva»
20
.
Esiste, inoltre, una prevenzione generale positiva (o sociale). In questo caso la
funzione alla base della prevenzione è quella «di eliminare o attenuare le verosimili
cause sociali della criminalità mediante attività di carattere legislativo, amministrativo e
più genericamente sociale e culturale, rendendo i cittadini partecipi convinti dei valori
su cui si fonda una determinata comunità e la sua legge penale»
21
. In altre parole si è
mirato a mettere in luce dinamiche educative rispetto al tradizionale effetto
intimidatorio.
Una variante di questa teoria, denominata prevenzione-integrazione, «attribuisce alla
pena una funzione di integrazione sociale»
22
. Prendendo atto che nel sistema sociale
esistono dei comportamenti inosservati, si ricorre alla pena «come mezzo per
riequilibrare e ristabilire quella fiducia istituzionale indispensabile all’integrazione e
stabilità sociale»
23
.
La seconda strada per combattere il crimine è fornita dalla prevenzione
speciale: «complesso di misure neutralizzatici, terapeutiche, rieducativo-
risocializzatrici, volte ad impedire che il singolo individuo cada o ricada nel delitto»
24
.
Tale prevenzione è direttamente legata alla prima costante menzionata da Mantovani:
«la criminalità è la «costante» più costante della storia umana»
25
.
La pena ha la funzione di svolgere, pertanto, un compito intimidatorio volto alla
dissuasione del singolo dal commettere nuovi reati e, contemporaneamente, compiti
rieducativi e correttivi sui condannati. Questo effetto positivo può essere conseguito,
quindi, in tre modi diversi attraverso: l’intimidazione e l’efficacia dissuasiva della
condanna; la rieducazione ed il recupero sociale del reo; l’incarceramento del reo
impedendogli così di commettere altri reati.
19
PALAZZO F., op. cit., pag. 8.
20
Ivi, pag. 9.
21
MANTOVANI F., op. cit., pag. 344.
22
PALAZZO F., op. cit., pag. 10.
23
Ibidem.
24
MANTOVANI F., op. cit., pag. 349.
25
Ivi, pag. 341.
7
Si può operare una distinzione anche all’interno della prevenzione speciale
individuando: a) una prevenzione post delictum, mirante ad evitare che un soggetto che
ha già commesso un crimine, possa ricadere nel delitto; b) una prevenzione ante
delictum, che aspira ad evitare che il soggetto cada nel delitto; infine, c) una
«prevenzione speciale sociale, consistente in quel insieme di attività di controllo,
assistenza, solidarietà sociale, volte a favorire il reinserimento sociale del soggetto
rimesso in libertà»
26
.
La terza via per combattere il crimine è indicata dall’idea retributiva. L’assunto
di questa teoria (c.d. assoluta) è che il bene va ricompensato con il bene, il male con il
male; in questa ottica «la pena è il malum passionis quod infligitur ob malum actionis,
cioè il corrispettivo del male commesso, e viene applicata quia peccatum est, cioè a
cagione del reato commesso»
27
. Intendere la pena come prestazione corrispettiva o
remunerazione del reato, serve a riaffermare l’ordine giuridico violato ponendo l’idea
retributiva «all’interno della filosofia della pena come realizzazione di una profonda
esigenza personalistica, cioè di salvaguardia della persona umana del
colpevole/condannato di fronte al rischio di una sua strumentalizzazione per la
realizzazione del “bene comune” insito nella prevenzione generale»
28
.
Data la stretta e inscindibile connessione con la pena, tratterò dell’idea retributiva nel
paragrafo seguente riguardante la nozione e il fondamento della pena.
1.3 NOZIONE E FONDAMENTO DELLA PENA
Nel diritto penale, la sanzione (genericamente considerata quale conseguenza giuridica
della violazione di un precetto) prende il nome di pena.
La sanzione è dapprima configurata, vale a dire legislativamente ricollegata
all’infrazione di un precetto, poi irrogata dal giudice contro i responsabili, ed infine
eseguita.
Caratteristica essenziale è l'afflittività: consiste, infatti, nella «limitazione dei diritti del
soggetto quale conseguenza della violazione di un obbligo ed è comminata per impedire
tale violazione e ha carattere eterogeneo rispetto al contenuto dell’obbligo stesso»
29
.
26
MANTOVANI F., op. cit., pag., pag. 350.
27
MANTOVANI F., op. cit., pag. 353.
28
PALAZZO F., op. cit., pag. 24-25.
29
MANTOVANI F., op. cit., pag. 352.