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responsabilità verso i terzi per le obbligazioni assunte nell’interesse
della famiglia, nonché sulla responsabilità patrimoniale dei coniugi
per le obbligazioni estranee ai bisogni della famiglia. Le
considerazioni intorno a tali temi sono importanti perché esse
conservano la loro validità anche nel caso di insolvenza dell’impresa
appartenente ad uno o ad entrambi i coniugi.
Per quanto concerne l’incidenza della normativa fallimentare su
quella familiare bisogna ricordare che quest’ultimo settore del diritto
privato ha subito profonde modificazioni in correlazione
all’evoluzione della società. Infatti, grazie alla spinta di nuove correnti
di pensiero e di nuove tendenze giurisprudenziali, il legislatore ha
introdotto riforme a dir poco radicali, eliminando istituti arcaici e
facendo affiorare principi molto più democratici. La normativa
conseguenziale a questa nuova visione dei rapporti familiari finisce
per collidere con il diritto delle procedure concorsuali, le quali molte
volte vanno ad incidere sugli interessi patrimoniali della famiglia e
sulle situazioni soggettive dei componenti della famiglia. Come
esempio si possono citare: l’aspetto dell’estensione del fallimento ai
familiari; l’assegno spettante al coniuge separato o divorziato; la
disciplina sulla impresa familiare e sulle aziende coniugali;
7
l’applicazione delle norme riguardanti l’inefficacia degli atti compiuti
in pregiudizio ai creditori e così via.
Da queste premesse generali risulterà inevitabile e necessario un
excursus sull’attuale regime patrimoniale delle famiglia ed esaminare
istituti quali: fondo patrimoniale, comunione legale, comunione
convenzionale, separazione dei beni, impresa familiare e coniugale e
verificare la loro sorte nel fallimento ritornando così a quello che è lo
scopo principale di questo lavoro.
2. Responsabilità patrimoniale dei coniugi. Obbligazioni contratte
causa familiae.
Con il matrimonio i coniugi vedono instaurarsi tra loro rapporti
giuridici di natura personale e patrimoniale. Rispetto ai rapporti di
natura economica, la dottrina opera una distinzione di fondo: da una
parte vi è il dovere di contribuzione dei coniugi ai bisogni della
famiglia, dovere che è definito primario 1 e al quale i coniugi sono
1
Il termine è mutuato dal diritto francese in cui si parla di régime primarie imperatif, espressione
con la quale si individua l’insieme di norme obbligatoriamente applicabili ai rapporti patrimoniali
fra coniugi, a prescindere dal regime c.d. secondario fra di essi vigente. Per la letteratura straniera
in merito cfr. A. JANNARELLI, Il regime patrimoniale primario della famiglia, Napoli, 1981.
Invece respinge il concetto di regime primario, V. DE PAOLA, Il nuovo regime patrimoniale della
famiglia, Milano , 1978, poiché l’autore nega l’esistenza nell’ordinamento giuridico italiano, a
differenza di quanto avverrebbe in Francia, di un vero e proprio statut fondamental de base ed
8
tenuti nei rapporti reciproci. In ordine ad esso, i coniugi non hanno
alcun potere dispositivo. Dall’altra vi è il regime patrimoniale della
famiglia medesima in riferimento al quale opera il potere dispositivo
dei coniugi e solo nel caso in cui non si avvalgano di tale facoltà esso
è stabilito dalla legge ed è quello della comunione legale dei beni. 2
Il dovere primario di contribuzione dei coniugi è complesso e si
articola nell’obbligo di ciascun coniuge nei confronti dell’altro di
contribuire, in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di
lavoro professionale e casalingo, ai bisogni della famiglia (art.143
3°comma cod. civ.); inoltre esso pone l’obbligo in capo a ciascuno dei
coniugi di concorrere economicamente a mantenere, istruire ed
educare la prole (art. 147 cod. civ.)3. Queste obbligazioni, sebbene
abbiano un contenuto economico, si riferiscono ai rapporti personali
tra i coniugi in quanto esse sono funzionali alla attuazione
dell’obbligo di assistenza materiale reciproca e del dovere di
mantenimento della prole. Proprio perché si riferiscono ai rapporti
anche di “un potere di agire dei singoli coniugi nell’interesse della famiglia, con effetto
impegnativo anche per la sfera patrimoniale dell’altro”. Sull’importanza del regime primario v. R.
CARAVAGLIOS, Rapporti patrimoniali tra i coniugi e presunzione muciana, Napoli, 1991, pag. 143
e segg. L’autore esalta la funzione svolta dagli artt. 143 e 144 cod. civ. poiché li ritiene i referenti
normativi del regime primario della famiglia, regime che è a monte di qualsiasi altro regime
particolare o secondario e parla di esso come “la vera e sostanziale rivoluzione della novella del
1975”.
2
Regola espressamente sancita dall’art. 159 cod. civ., inserito nella sezione I del capo IV del titolo
VI, e, riguardante le disposizioni generali sul regime patrimoniale della famiglia.
3
Anche in tal caso sempre in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di
lavoro professionale e casalingo secondo quanto previsto dall’art. 148 1°comma cod. civ. Inoltre la
9
personali tra i coniugi, tali istituti si distinguono nettamente da quelli
che regolano i rapporti patrimoniali, in quanto questi ultimi possono
acquistare rilevanza anche nei rapporti con i terzi.
Se ci si pone il problema della responsabilità nei confronti dei
terzi, in riferimento al dovere primario di contribuzione, la dottrina
risulta essere divisa tra una parte che ritiene che da tale dovere
discenderebbe una responsabilità solidale dei coniugi per le
obbligazioni assunte da ciascuno di essi, anche separatamente,
nell’interesse della famiglia4 e l’altra parte che vi intravede quanto
meno una mera responsabilità patrimoniale di ciascuno dei coniugi nei
confronti dei terzi, sempre per lo stesso tipo di obbligazioni.
In quanto si ricolleghino al dovere primario di contribuzione,
che esiste per il fatto stesso del vincolo di coniugio, l’obbligo solidale
o la responsabilità in questione prescinderebbero dal particolare
regime patrimoniale della famiglia scelto dai coniugi e dunque sia
rubrica dell’art. 147 cod. civ. parla di dovere anche se, esso, è tale nei confronti dei figli, mentre
nei rapporti tra i coniugi si configura come un’obbligazione reciproca.
4
A sostegno di tale convincimento, spesso, si adduce l’art. 144 2° comma cod. civ. che attribuisce
a ciascun coniuge, anche separatamente, il potere di attuare l'indirizzo della vita familiare
concordato. Si veda R. PERCHINUNNO, Dovere di contribuzione e responsabilità per i debiti
familiari, nota a Cass. 18 giugno 1990, in Rass. dir. civ. 1992, 634, in cui l’autore sottolinea la
scarsa attenzione dedicata alla portata di tale norma e chiarisce che “non si può negare che abbia
riflessi sterni alla famiglia, allorché si conferisce ai coniugi di dare esecuzione agli accordi già
perfetti tra essi coniugi e dunque di compiere singolarmente atti con efficacia riflessa anche nei
confronti dell’altro coniuge”. Concordano G. GABRIELLI, I rapporti patrimoniali tra coniugi,
Trieste, 1981, 18, condivide la tesi della solidarietà F. SANTORO PASSARELLI, Poteri e
responsabilità patrimoniali dei coniugi per i bisogni della famiglia, in Diritto di famiglia,
Raccolta di scritti in onore di Rosario Nicolò, Milano, 1982, 422, il quale propone un
allineamento dell’art. 144 comma 2° agli orientamenti seguiti da altri ordinamenti, molto vicini al
nostro, come quelli accolti nell’art.220 cod. civ. francese e nel § 1357 BGB.
10
dall’applicazione dell’art. 186 lett. c) cod. civ.5 che dall’art. 190 cod.
civ.6 che riguardano il regime della comunione legale e che
istituiscono una responsabilità parziaria e sussidiaria a carico dei beni
individuali dei coniugi.
La giurisprudenza7 ha, comunque, escluso l’estensione di una
responsabilità solidale in ossequio al principio generale stabilito
dall’art. 1372 cod. civ. comma 2, per il quale il contratto non produce
effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge.
In una delle più emblematiche sentenze della giurisprudenza di
Cassazione sull’argomento8, la Corte ha risposto con estrema
chiarezza al quesito sull’esistenza o meno della regola per cui il
coniuge del contraente sarebbe solidalmente responsabile della
obbligazione assunta nell’interesse della famiglia per il solo fatto di
essere coniuge e, dunque, sarebbe tenuto all’adempimento integrale
5
Nell’art.186 lett. c) cod. civ. si sancisce una responsabilità limitata ai beni della comunione per
gli obblighi assunti per il mantenimento della famiglia e per l’istruzione e l’educazione dei figli e
per ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente, nell’interesse della famiglia.
6
Nell’art. 190 cod. civ. si stabilisce una responsabilità di carattere sussidiario sui beni personali
dei coniugi, e nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione risultano
insufficienti a soddisfare i debiti che gravano su di essa.
7
Sul tema, varie sono state le pronunce della giurisprudenza: per il regime anteriore alla riforma v.
Cass. 7 ottobre 1975 n°3177, in Foro it. 1975, I, 2447. Dopo la riforma v. Cass. 18 giugno 1990 n°
6118, Giust. Civ.,1990, I, 2282 e ivi, 2891, con nota di M. COSTANZA, Separazione dei beni e
solidarietà debitoria; Foro it. 1991, I, 831, con nota di N. SCANNICHIO, Individualismo e
solidarietà nelle obbligazioni del “menage”; Dir. Fall. 1992, II, 207, con nota di RAGUSA
MAGGIORE , Acquisto di beni mobili nell’interesse della famiglia ed esclusione della solidarietà nel
debito; Rass. dir. civ., 1992, 630, R. PERCHINUNNO, Dovere, cit. Cass. 28 aprile 1992 n° 5063,
come già Cass. n° 3177 del 1975, cit., fa salvo il caso che la responsabilità solidale possa derivare
dall’apparenza giuridica “per la cui configurabilità non costituiscono, però, elementi sufficienti e
decisivi la sussistenza del rapporto coniugale la natura del bene”.
8
Ci si riferisce alla già citata sentenza Cass. 18 giugno 1990, n°6118.
11
dell’obbligazione, di tale adempimento rispondendo con tutto il suo
patrimonio a norma dell’art. 2740 cod. civ. Tutto questo, ovviamente a
prescindere dal regime patrimoniale del singolo matrimonio ed al di là
dell’eventuale coinvolgimento dei beni della comunione e della
responsabilità sussidiaria ex art. 190 cod. civ.
La risposta è stata negativa e ciò sulla base di dati normativi
testuali e sistematici. Infatti, la mancanza nel nostro ordinamento di
una regola come quella contenuta nell’art. 220 del codice civile
francese che espressamente introduce la solidarietà passiva del
coniuge non stipulante per le obbligazioni assunte dall’altro coniuge
per soddisfare i bisogni della famiglia, fa ritenere che tale pretesa
solidarietà non esista. La questione era conosciuta e dibattuta negli
anni in cui veniva elaborata la riforma e quindi non si può ipotizzare
una distrazione del legislatore quanto, piuttosto, una sua precisa
volontà di non introdurre una deroga così vistosa al principio posto
dall’art. 1372 comma 2° cod. civ. La Corte non si è fatta persuadere
neanche da quella parte della dottrina9 che ha cercato di dedurre la
9
Si veda sul punto R. PERCHINUNNO, Dovere, cit. 632, dove l’autore si schiera a favore della
solidarietà fondandola anche sulla rilevanza che assumono nei rapporti con i terzi la spendita
dell’interesse familiare e l’affidamento che di conseguenza si produce nel creditore sulle persone
che compongono il gruppo familiare. In mancanza di tale solidarietà, infatti, può accadere che si
consegni l’attività nell’interesse della famiglia solo al coniuge meno abbiente nella convinzione
che il consenso del terzo possa essere determinato dall’affidamento che egli ripone sul patrimonio
del coniuge più dotato economicamente, ancorché costui non partecipi al compimento dell’atto
produttivo del debito. In tal modo, però, si contravviene alle elementari regole di correttezza e di
buona fede. Della stessa opinione è anche M. COSTANZA, Separazione dei beni, cit., 2893.
12
solidarietà da altre norme o dalla ratio che sta a fondamento della
nuova disciplina dei rapporti, patrimoniali e non, tra i coniugi. La
dottrina favorevole alla solidarietà passiva del coniuge non stipulante
ritiene che il potere di ciascun coniuge di coinvolgere anche il
patrimonio dell’altro nell’adempimento di un’obbligazione contratta
per i bisogni della famiglia è correlato al dovere di ciascuno di
provvedere a quei bisogni in proporzione alle proprie disponibilità
finanziarie. Tale dottrina ritiene dunque che l’art. 143 cod. civ. abbia
un rilievo esterno e che da esso discenderebbe una sorta di potere di
sostituzione rappresentativa ex lege di ciascuno dei coniugi rispetto
all’altro ed, inoltre, che l’esclusione di tale solidarietà metterebbe in
crisi il sistema della reciproca obbligazione di contributo10 esistente a
carico di ciascun coniuge.
Si è ribattuto che gli accordi fra i coniugi relativi alla modalità
con cui adempiere l’obbligazione rimangono interni alla coppia e,
quindi, irrilevanti rispetto al terzo stipulante con uno solo dei coniugi
10
Vedasi ancora R. PERCHINUNNO, Dovere di contribuzione, cit., 636. Qui l’A. sottolinea come la
responsabilità anche dell’altro coniuge possa costituire addirittura un correttivo e una garanzia
contro l’inosservanza degli impegni assunti con gli accordi interni. Quindi, la solidarietà passiva
anziché disgregare, corregge e rende concretamente operante la regola di cui agli artt. 143 e 144
cod. civ. ed essa giova all’interesse della famiglia anche se attraverso l’attribuzione di una
posizione di privilegio a favore del creditore. L’A. lamenta il fatto che manca il giusto rilievo
all’interesse familiare. Non v’è dubbio, infatti, che riconoscendo un tale privilegio al creditore, si
corre il ris chio di far pagare due volte allo stesso coniuge il medesimo debito ma va anche detto
che se l’obbligazione non dovesse essere adempiuta non si realizzerebbe, il più delle volte,
l’interesse familiare per il quale il debito è stato contratto. Sulla nozione di interesse familiare si
veda anche P. M. VECCHI, Obbligazioni nell’interesse della famiglia e responsabilità solidale dei
13
e che non corrisponde a verità il fatto che la mancanza della
solidarietà passiva squilibrerebbe l’obbligo della reciproca
contribuzione. Infatti ognuno dei due coniugi contribuisce o pagando
o assumendo obbligazioni in proprio o dando denaro all’altro perché
paghi od assuma obbligazioni; se così facendo si squilibra il rapporto
fra il quantum dei contributi dovuti, sarà solo una questione interna
alla coppia rimediare a tale squilibrio. Se, invece, si riconoscesse al
creditore il diritto di pretendere l’adempimento della obbligazione
anche nei confronti del coniuge non stipulante si finirebbe per
snaturare una regola, che è espressamente stabilita dagli artt. 143 e
144 cod. civ., per cui sono i coniugi e solo loro, fino a quando dura la
convivenza, a stabilire quali e quanti contributi sono a carico di
ciascuno. Quindi, secondo la Corte, sarebbe proprio l’eventuale
esistenza della solidarietà passiva a scardinare il rapporto
proporzionale di contribuzione che i coniugi fissano tra loro11,
rimettendo, oltretutto, tale possibilità al terzo creditore. Questo stato di
cose non può giovare all’interesse della famiglia e soprattutto di una
famiglia di “uguali” che è il modello voluto dalla riforma; gioverebbe
coniugi, in Riv. Dir. civ., 1991,II, 631 e segg. Della stessa opinione è A. FALZEA, Il dovere di
contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. Dir. civ., 1977, I, 609 e segg.
11
Ancora R. PERCHINUNNO, Dovere di contribuzione, cit., 638, sostiene che la misura della
contribuzione a carico di ciascuno dei coniugi non è affidata alla discrezionale valutazione di
costoro. Infatti essi possono concordare le modalità della contribuzione ma non il quantum, che
resta esclusivamente consegnato al criterio proporzionale di valutazione delle sostanze e delle
14
al creditore che si vedrebbe assicurato un privilegio per il solo fatto di
essere il creditore di una persona sposata12. Per fare ciò occorrerebbe
una norma ben precisa che, però, allo stato attuale, manca nel nostro
ordinamento e non può certo desumersi da principi che regolano diritti
e doveri all’interno della coppia coniugale.
Pertanto, dal dovere primario di contribuzione, non può che
discendere una mera responsabilità patrimoniale del solo coniuge che
ha contratto l’obbligazione. Tale regola non soffre eccezione neppure
quando i coniugi si trovino in regime di comunione legale dei beni. In
tale caso, si parte dal presupposto che i beni in comunione rispondono
delle spese per il mantenimento della famiglia e quindi di ogni
obbligazione contratta, anche separatamente, dai coniugi nell’interesse
della famiglia, così come dispone l’art. 186 cod. civ. Secondo l’art.
190 cod. civ. per questo tipo di obbligazioni i creditori possono agire
in via sussidiaria sui beni personali dei coniugi, nella misura della
capacità di lavoro professionale e casalingo, così come stabilisce la legge. Sull’uguaglianza della
contribuzione si veda anche M. PARADISO , La comunità familiare, Milano, 379.
12
R. PERCHINUNNO, Dovere di contribuzione, cit., 631, sottolinea come nella sentenza della
Cassazione si avverte la sensazione di una forte preoccupazione di non riconoscere “al creditore di
una persona sposata” una posizione di privilegio rispetto ad altri creditori. E. QUADRI , Obblighi
gravanti sui beni della comunione, in La comunione legale a cura di Bianca, Milano,1989, 773,
sostiene che non si può trascurare la posizione dei terzi, sui cui interessi, come creditori, viene, in
definitiva, ad incidere ogni scelta in materia. Concorde con la giurisprudenza V. CARBONE, Ha
rilevanza esterna l’obbligo di contribuire al soddisfacimento della famiglia?, nota a Cass. 18
giugno 1990, in Corr. Giur., 1990, 1331.
15
metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a
soddisfare i debiti su di essa gravanti13.
Se ci si pone il problema di giustificare la ratio di tale disciplina,
bisogna far riferimento a quanto viene disposto in merito all’oggetto
della comunione. In base all’art. 177 lett. a) cod. civ. vengono a far
parte della comunione tutti gli acquisti compiuti dai coniugi, anche
separatamente e dunque anche quei beni per l’acquisto dei quali uno
solo dei coniugi ha contratto l’obbligazione. Se si considera che i beni
divenuti oggetto della comunione possono, prima o poi, con la
divisione, diventare proprietà individuale di uno dei due coniugi,
sembra logico che a carico dei beni individuali dei coniugi e dunque
anche a carico del coniuge non stipulante, il legislatore abbia previsto
una forma di garanzia parziaria e sussidiaria. Si tratta, infatti, di
obbligazioni assunte per l’acquisto di beni che entrano a far parte della
comunione e che sono potenzialmente destinati a divenire proprietà
13
Nella sentenza della Cassazione si propende per una netta distinzione tra due categorie di
obbligazioni nell’interesse familiare: l’una che trae origine dalla particolare disciplina dettata per
la comunione dei beni e che rimane funzionalmente limitata agli specifici fini di questo regime in
ordine agli stessi beni che ne fanno parte; l’altra ispirata al c.d. regime primario della famiglia, che
riceve una valenza più ampia, riguardando la gestione dei bisogni o interessi della famiglia in
generale. Per la prima di tale categoria, il problema viene affrontato sul piano della responsabilità
patrimoniale e risolto nel senso di una estensione della garanzia anche al patrimonio del coniuge
non stipulante. Per la seconda di tali categorie, il problema è più complesso perché manca una
disciplina specifica come quella prevista dagli artt. 186-190 cod. civ. e quindi il problema non può
che essere risolto avendo esclusivo riguardo al titolo costitutivo dell’obbligazione. In tali
circostanze però l’impegno assunto dai coniugi in regime di comunione legale sarebbe maggiore di
quello richiesto dal regime primario che si occupa dei fini più generali della famiglia e che da
molti è designato come la vera novità della riforma del 1975. Sul punto si veda R. CARAVAGLIOS,
I rapporti patrimoniali tra i coniugi, cit. Per le obbligazioni nell’interesse della famiglia si veda E.
16
individuale di uno o dell’altro senza che rilevi in sede di divisione chi
dei due avesse a suo tempo acquistato il bene.
Va precisato che tale disciplina è comunque in funzione del
regime della comunione e che non interferisce con la regola generale
prevista dall’art. 2740 secondo cui debitore, responsabile con tutti i
suoi beni, è solo colui che, stipulando il contratto, si è assunto
personalmente l’obbligo di adempiere la relativa obbligazione. Infatti,
anche in regime di comunione, il creditore che volesse agire nei
confronti del coniuge non stipulante deve dimostrare non solo che il
convenuto sia coniuge dello stipulante e che l’obbligazione era
nell’interesse della famiglia14 ma anche che i beni della comunione
RUSSO , Bisogni ed interesse della famiglia: il problema delle obbligazioni familiari, in E. RUSSO ,
Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, 252.
14
Secondo qualche autore, come R. PERCHINUNNO, Dovere di contribuzione, cit., pag. 644 e segg.
l’espressione che usa la giurisprudenza in ordine alla necessità di dimostrare che l’obbligazione era
nell’interesse della famiglia, rileva l’intento della stessa di non prendere posizione sul problema,
su cui si è molto dibattuto in dottrina, circa la potenziale o effettiva realizzazione dell’interesse
della famiglia, secondo un giudizio da proporre ex ante o ex post. A tal proposito di esprime anche
M. GIONFRIDA DAINO, La posizione dei creditori nella comunione legale tra i coniugi, Padova,
1986, 39, la quale si schiera a favore di un giudizio ex ante argomentando ciò dal tenore letterale
della legge. Sicuramente la giurisprudenza ritiene impossibile la formulazione di un giudizio ex
ante in quanto è anche sul presupposto logico che il coniuge stipulante non sia portatore, né
gestore, in quel momento di un interesse familiare che la giurisprudenza fonda la tesi
dell’insussistenza della solidarietà passiva. Si potrebbe ritenere che il coniuge stipulante agisca
solo per un interesse proprio ed in tal caso la responsabilità dell’altro coniuge potrebbe essere
coinvolta solo in relazione all’esistenza di un mandato, anche se tacito, a gestire un interesse che,
sebbene di natura familiare, è concettualmente distinto da quello dell’agente. La responsabilità
seguirebbe il titolo nel quale l’interesse è formalmente incorporato ma che può emergere solo
successivamente allorché il corrispettivo dell’obbligazione sia effettivamente destinato alla sua
soddisfazione. Quando ciò accadrà ne trarranno beneficio anche gli altri membri della famiglia e
quindi non è impensabile una loro partecipazione a sostenere l’onere economico assunto anche per
un loro beneficio. Se non fosse così si tornerebbe al regime del mantenimento, regime che la
riforma ha inteso spazzare via. Così R. PERCHINUNNO, Obbligazioni e interesse familiare tra
mantenimento e contribuzione, in Persona e comunità familiare, Napoli, 1985, 377 e segg.
Seguendo tale orientamento, e quindi un accertamento ex post sulla realizzazione dell’interesse
familiare, si arriverebbe a giustificare la solidarietà passiva sulla base di un vantaggio concreto
realizzato anche dal coniuge non stipulante. Conformemente a tale opinione si esprimono A. DI
17
non sono sufficienti e, soprattutto, che l’unico debitore principale non
ha adempiuto l’obbligazione contrattualmente a suo carico.
In definitiva si prevede una sorta di garanzia parziaria e
sussidiaria del coniuge non stipulante in funzione del fatto che tale
coniuge è destinato ad acquisire in proprio una parte dei beni della
comunione e quindi anche di quelli per cui si è personalmente
obbligato l’altro coniuge.
A questo punto ci si potrebbe chiedere se il beneficio
d’escussione di cui gode il coniuge non stipulante sia doppio e cioè se
il creditore si possa soddisfare sui suoi beni individuali, sempre per la
metà del credito, solo dopo aver dimostrato l’insufficienza dei beni
della comunione e l’incapienza dei beni personali del coniuge
stipulante. Stando al dato testuale si dovrebbe propendere per una
risposta negativa in quanto l’art. 190 cod. civ. parla di “ciascuno dei
due coniugi” ponendo come solo limite quello della insufficienza dei
beni della comunione. Se poi si fa riferimento alla ratio che sta alla
base di tale norma e cioè la potenziale acquisizione individuale dei
beni della comunione in capo a ciascun coniuge, pretendere la
garanzia sui beni del coniuge dello stipulante solo dopo aver escusso
MAJO, Dovere di contribuzione e regime dei beni nei rapporti patrimoniali tra coniugi, in Riv.
trim., 1981, 366 e segg.; S. PATTI, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, 67, il quale
parla di “un ricorso alla responsabilità intesa come tecnica equilibratrice di situazioni di interessi
che non trovano una diversa collocazione formale”.
18
inutilmente il patrimonio personale del coniuge personalmente
obbligato, andrebbe a costituire una sorta di privilegio o di
arricchimento ingiustificato dato che il coniuge non stipulante
potrebbe potenzialmente acquisire una parte di beni per i quali non ha
sofferto nemmeno un ipotetico sacrificio. Questo stato di cose
determinerebbe una posizione di disuguaglianza fra i coniugi in
contrasto con i principi della riforma del 1975. D’altro canto non è
escluso che il creditore possa soddisfarsi sull’intero patrimonio del
coniuge che ha contratto l’obbligazione e ciò in base ai principi di
diritto comune che non risultano essere stati abrogati dalla disciplina
della comunione legale.
Stando a queste conclusioni può affermarsi che il dettato dell’art.
190 cod. civ. comporta soltanto una limitata responsabilità parziaria e
sussidiaria di beni estranei al patrimonio dell’obbligato in virtù
dell’esistenza di quel particolare regime patrimoniale mentre tale
responsabilità non deriva dal dovere primario di contribuzione che i
coniugi contraggono con il matrimonio. Va anche chiarito che non
può parlarsi di un’obbligazione gravante su un soggetto diverso dal
19
debitore che la aveva assunta perché così si sarebbe dato luogo ad una
sorta di responsabilità senza debito15.
In definitiva ciò che oggi risulta dalla nuova disciplina del diritto
di famiglia è che l’obbligazione assunta dal coniuge, per soddisfare
bisogni familiari, non pone l’altro nella veste di debitore solidale in
quanto non esiste una deroga rispetto al principio generale posto
dall’art. 1372 e cioè che il contratto non produce effetti nei confronti
dei terzi se non nei casi previsti dalla legge. Tale principio opera
indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di
comunione dei beni poiché detta circostanza è rilevante solo sotto il
profilo dell’invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni
della comunione o del coniuge non obbligato, nei casi e nei limiti e nei
casi previsti dagli artt. 189 e 190 del cod. civ
15
Sul come si faccia valere tale responsabilità, se sia o meno necessaria la formazione di un titolo
esecutivo nei confronti del coniuge non stipulante, è materia controversa. Così come lo è, in caso
di risposta negativa al primo quesito, se la causa familiae dell’obbligazione debba almeno risultare
dalla lettera del titolo. F. TOMMASEO, Debiti della comunione legale e indicazione del coniuge nel
titolo esecutivo, nota a Trib. Milano 14 giugno 1991, Famiglia e dir. 1994, 195, si esprime nel
senso che non si richiede che il titolo esecutivo sia formato anche contro l’altro coniuge sottoposto
ad esecuzione forzata ma ribadisce la necessità che la causa familiae risulti letteralmente dal titolo.