Introduzione e oggetto dell’indagine
L‟oggetto principale di questo lavoro è costituito dall‟analisi e
dall‟approfondimento di alcuni aspetti della politica estera italiana connessi alle
relazioni tra l‟Italia e l‟Unione Sovietica negli anni che vanno dal 1947 al 1953.
La ricostruzione del complesso quadro storico del periodo successivo il secondo
conflitto mondiale e dello svolgimento della politica estera italiana e sovietica nel
mutevole panorama internazionale di quegli anni hanno portato al risultato di una
trattazione che ha dato priorità agli aspetti politico-diplomatici in numerose delle
questioni affrontate.
Tuttavia, pur presentando i vari avvenimenti in base a criteri che ne
valorizzano il momento politico-diplomatico in senso stretto, si sono tenuti
presenti i legami degli stessi con la situazione interna italiana le cui ripercussioni
sono fondamentali per comprendere gli sviluppi nell‟ambito delle relazioni italo-
sovietiche.
Queste ultime risentono altresì in modo davvero decisivo delle vicende
politiche interne italiane nel periodo qui esaminato, quello dall‟ottobre 1947
all‟aprile 1948. In quei mesi gli effetti della costituzione del Cominform sulla
politica del PCI, gli interrogativi sugli obiettivi delle agitazioni guidate dal PCI, e
poi la lotta elettorale, condizionavano profondamente la politica estera italiana nei
confronti dell‟URSS, mentre al Cremlino si guardava con estrema attenzione agli
sviluppi interni italiani.
Dall‟altra parte, uno dei principali problemi della ricerca è stato quello di
distinguere quali fossero i fattori di volta in volta determinanti nell'atteggiamento
dell'URSS verso l'Italia. Appare fin troppo ovvio che la politica italiana del
Cremlino nel periodo 1947 - 1951 vada osservata all'interno della più ampia
politica estera dei governanti di Mosca, per i quali gli affari concernenti l'Italia non
rappresentavano in definitiva degli interessi prioritari, buoni talvolta al più per
essere barattati come monete di scambio nelle trattative internazionali. È questa
una constatazione ricorrente nella ricerca, e usata per spiegare non pochi passaggi
della politica sovietica verso l'Italia, altrimenti incomprensibili.
1
La storia del ventesimo secolo vista attraverso il prisma del mondo bipolare
poteva essere studiata attraverso la documentazione degli archivi occidentali,
senza riscontri con quella della parte opposta. Come ha notato Norman Davies, la
seconda guerra mondiale ha creato un ordine internazionale che è durato fino al
crollo dell‟Unione Sovietica, la quale «per cinquant‟anni ha imposto una politica
di selettività storica quasi totale, mentre gli altri vincitori si compiacevano
1
nell‟illusione della loro imparzialità». La documentazione degli archivi scardina
la struttura principale di questa selettività e non soltanto, essa permette di
convalidare o smentire ipotesi già avanzate dalla storiografia e rende possibile la
ricostruzione di un quadro globale del nostro recente passato.
Il lavoro di apertura degli archivi è cominciato soltanto dopo il crollo
dell‟Unione Sovietica. Negli ultimi anni sono stati cambiati sia i vertici del
Comitato degli archivi della federazione russa sia i direttori di alcuni archivi
principali. Il Paese ha finalmente adottato una legislazione sugli archivi simile a
quelle che vigono nei paesi democratici. Una legge ha stabilito che il documento
diventa consultabile dopo trent‟anni; un‟altra ha fornito una definizione del
segreto di stato e indicato la procedura sia per il divieto di consultazione dei
documenti che potrebbero danneggiare gli interessi statali sia per la revisione di
questa decisione. Nel 1994 il Presidente russo ha firmato un importante decreto
che ha accelerato l‟apertura alla consultazione di un enorme numero di documenti
per i quali è terminato il periodo di segretezza e ha raccomandato il quasi
automatico trasferimento dei documenti degli archivi dei ministeri, trascorso il
periodo di trent‟anni, agli archivi statali, così molti documenti segreti del Politburo
e del Dipartimento internazionale del Comitato centrale del PCUS sui contatti tra
l‟URSS e i partiti comunisti stranieri sono diventati accessibili. Questa
legislazione avanzata si scontra, però, continuamente con la resistenza della
burocrazia e di forze politiche che cercano di estendere il più possibile
l‟applicazione dei criteri restrittivi della sicurezza nazionale e del segreto di stato.
Necessiterà ancora tempo e lavoro per portare la maggioranza degli archivi al
livello degli standard internazionali.
1
Davies N., The Misunderstood Victory in Europe, in “The New York Review of Books”, 25 maggio 1995, p. 11.
2
La documentazione di fonte russa utilizzata in questo lavoro proviene
prevalentemente da tre archivi: 1) il cosiddetto Archivio del Presidente della
federazione russa Arkhiv Prezidenta Rossiiskoi Federatsii (APRF), organizzato
durante l‟amministrazione di Gorbaciev, conserva gli archivi di Stalin, degli altri
segretari generali e di vari alti dirigenti del PCUS. Nel dicembre 1991, l‟Archivio
del Presidente della Federazione Russa è stato inaugurato con lo scopo di
catalogare i documenti del Presidente del RF e la sua Amministrazione. Esso
rimane praticamente al di fuori delle norme stabilite per gli altri archivi; anche se
la possibilità di accedere ai suoi ricchissimi fondi è ancora ridotta, la
pubblicazione di importanti documenti è cominciata e procede con un ritmo
crescente. Dal luglio 1990, l'archivio era parte dell'archivio del Reparto Generale
del Partito Comunista dell‟Unione Sovietica (CPSU) Comitato Centrale – CC -
(Sektor VI) e conteneva i documenti degli organi del CP più alti, del Politburo e
del Presidium del Comitato Centrale, congressi, plenum, e conferenze del CC
CPSU, appuntati dal 1919 al 1990. Nell'estate del 1998, l'archivio è stato
riorganizzato come divisione dell'Amministrazione di Informazioni e le
Documentazione di Responsabilità del Presidente (Otdel po obespecheniiu
deiatel'nosti arkhiva Prezidenta l'informatsionnogo i Upravleniia obespecheniia di
dokumentatsionnogo Prezidenta RF). AP RF include quattro categorie di
documenti. Il primo consiste di documenti segreti relativi al processo delle
funzioni di B. N. Yeltsin come Presidente del RSFSR e del RF, e nell'operazione
di suddivisioni strutturali dell'Amministrazione Presidenziale. Il secondo
complesso storico dell'archivio raccoglie i documenti creati nel processo di
funzioni ufficiali di Michael S. Gorbachev come Presidente dell'URSS e di
suddivisioni strutturali della sua amministrazione. Il terzo complesso dei materiali
archiviati raccoglie i documenti degli organi più alti del Partito Comunista
Sovietico ed il CPSU (VKP[b]-KPSS) dal 1919 al 1991 (inclusi i congressi dal
1952-1986 e plenum di Comitato Centrali da 1944 a 1990), e del Politburo CC dal
1919 al 1990, il Segretariato, il CC Presidium e di organi di CP subordinati Questa
categoria è stata oggetto di studio in questo lavoro nella parte riguardante i
rapporti tra il CPSU e il PCI. La quarta categoria consiste delle carte personali di
approssimativamente quaranta leader comunisti.
3
2) Si sono potuti consultare alcuni documenti provenienti dall‟Archivio del
Presidente ancora non consultati, non pubblicati o in via di pubblicazione, di
importanza fondamentale per questo tema. Altri documenti utilizzati si trovano
nell‟ex Archivio centrale del PCUS, chiamato oggi “Centro russo per la
preservazione e lo studio dei documenti di storia contemporanea» (d‟ora in poi
RZHIDNI), che sta diventando un modello di organizzazione della ricerca
scientifica. Un settore di questo archivio contiene i fondi del Comintern fondo 17,
opis (collocazione) 128 e 137 Comitato Centrale del Partito Comunista Sovietico e
del Dipartimento dell‟informazione internazionale, che succede al Comintern, in
cui si trovano molti documenti riguardanti il PCI fondo 575 (1947-1951).
3) Di più, la parte maggiore della documentazione utilizzata proviene
dall‟Archivio del Ministero degli Esteri MID ovvero Archivio di Politica Estera
della Federazione Russa (AVPRF fondo 098), il fondo che concerne l‟Italia, dove
si trova la corrispondenza tra l‟ambasciata sovietica a Roma e il Ministero degli
Esteri di Mosca, i documenti del Ministero degli Esteri riguardanti i rapporti
politici ed economici con l‟Italia, e i resoconti dei colloqui tra gli ambasciatori
Pietro Quaroni e Manlio Brosio e i dirigenti del Ministero degli Esteri. Nel 1992,
l'Archivio di Politica Estera dell'URSS (AVP SSSR) è stato cambiato col nome di
AVP RF, e dal 1993 opera come divisione dell‟IDD MID (Istoriko
Dokumental'nyi Del Ministerstva Inostrannykh Del Rossiskij Federacij (IDD
MID-RF). L'archivio contiene la documentazione del Ministero (1946-
Commissariato del Popolo) degli Affari Esteri dal periodo fin da 1917. Molte
categorie della documentazione, come codici criptati e i rapporti annuali
(godichnye otchety) delle ambasciate, rimangano riservati. Molti memoranda di
riunioni (zapisi besed) dal 1947 sono stati riclassificati, ma quelli a cominciare dal
1947 non sono aperti alla ricerca.
4) Il GARF Gosudartvenij Archiv Rossijskoj Federacij Moskva (Archivi
Centrali di Stato FR). Qui sono registrati come documenti del Segretariato NKVD-
MVD SSSR (1944-1953). All‟interno del GARF esiste una sezione economica
RGAE (Rossiiskii gosudarstvennyi arkhiv ekonomiki) dove sono conservati i
documenti concernenti le negoziazioni commerciali. Precedentemente noto come
TsGANKh SSSR, l'archivio è il centro principale relativo alle questioni
4
economiche e fiscali, incluse quelle delle agenzie centrali di amministrazione
economica dell'URSS dal 1917 al 1991. L'archivio raccoglie un grande complesso
di documenti personali, inclusi quelli di funzionari principali in tutti i rami
dell'economia sovietica.
Appare interessante il fatto che gran parte dei documenti concernenti i
rapporti economici con i paesi occidentali attraverso i funzionari di stato e gli
uomini d‟affari vanno sotto il nome di Rapporti Culturali (Kulturni Sviazhi) e sono
reperibili nel noto fondo VOKS che conserva la documentazione sugli scambi
culturali tra i paesi. Qui si possono trovare molti documenti interessanti che
riguardano non solo le questioni relative all‟arte, la letteratura e il cinema, sono
riportati anche molte questioni politiche, le conversazioni tra i dirigenti dei partiti
comunisti e le legazioni territoriali e in generale si mostrano lo stato dei rapporti
tra Comitati Centrale e PCI nelle loro diverse articolazioni gerarchiche.
Per quanto riguarda i documenti statunitensi (National Archives NAW) sono
stati presi in considerazione i documenti conservati al Department of State, Record
Group 59, Central Decimal Files (1945-1949): 71165-711.6515A; 865.00-
865.00B; Record Group 59, “Records of the Office Western Europe Affairs
related to with Italy (1943-1951)”: Lot Files N. 54D328; Record Group 59, “Sub
Files related to Italy Affairs” E.1285; Record Group 84, “Rome Embassy” e il
materiale pubblicato nei NSC. I documenti analizzati mostrano la fitta
corrispondenza tra Washington e la dirigenza democristiana, lo stato di
preoccupazione del governo statunitense nei riguardi delle elezioni del 1948, lo
stato d‟evoluzione del Piano Marshall, e, infine, nei documenti pubblicati sono
presenti le analisi politiche dei diplomatici statunitensi riguardo la politica
sovietica sia rispetto all‟Italia che in generale alla situazione internazionale.
In ultima analisi, si sono presi in considerazione i Documenti Diplomatici
italiani (DDI), serie decima vol. V, VI, VII e serie undicesima vol. I e i documenti
non pubblicati dell‟Archivio Storico-diplomatico Ministero Affari Esteri AMAE,
Serie Affari Politici 1946-1951 e Ambasciata dell‟Unione Sovietica, busta: URSS,
Rapporti con l‟Italia.
È utile soffermarsi in particolare a valutare l‟importanza dei fondi conservati
5
nell‟Archivio del ministero degli Esteri russo che costituiscono la parte centrale
della documentazione utilizzata in questo lavoro. Nel sistema burocratico
staliniano, l‟apparato degli affari esteri era centralizzato e controllato. Come
ricorda Vjaceslav Molotov, braccio destro di Stalin e ministro degli Esteri: “la
situazione era così complessa che gli ambasciatori non potevano prendere alcuna
iniziativa. Era spiacevole per gli ambasciatori, ma l‟iniziativa politico-diplomatica
spettava direttamente a Stalin. Gli Ambasciatori erano gli esecutori delle
direttive”. Pertanto, compito dei diplomatici sovietici era raccogliere per i massimi
dirigenti le informazioni più svariate sulla situazione internazionale e sulla politica
estera del Paese in questione.
Tuttavia, non si può dedurre che la funzione puramente esecutiva degli
ambasciatori sovietici rendesse poco importante il loro ruolo o che il valore delle
fonti diplomatiche sia limitato.
Era proprio la meticolosità con cui gli ambasciatori erano costretti scrivere i
loro rapporti che appare l‟importante pregio di questo tipo di documentazione, ne
garantisce anche l‟autenticità. L‟ambasciatore non aveva la libertà di omettere
quello che non riteneva importante, doveva invece riportare tutto ciò che gli
veniva riferito nel modo più esatto possibile. D‟altra parte, l‟ambasciatore era il
centro di raccolta delle informazioni provenienti da una rete di contatti molto vasta
che comprendeva, oltre alla normale attività diplomatica fatta di incontri con i
rappresentanti del governo, dei partiti, degli esponenti dell‟industria e del mondo
del giornalismo, anche una serie di rapporti riservati. Questi includevano, nel caso
dell‟Italia, in primo luogo i dirigenti del partito comunista, ma anche i diplomatici
dei paesi dell‟Europa orientale e una rete di informatori, che operavano sotto
l‟egida del KGB e dei servizi segreti militari. L‟ambasciatore aveva così il ruolo di
controllore dell‟informazione raccolta in loco, anche se una parte del materiale dei
servizi segreti passava attraverso canali diretti con Mosca. L‟ambasciatore doveva
anche inviare a Mosca periodiche relazioni (le cosiddette «lettere politiche») in cui
presentava, sulla base di tutte le informazioni ricevute, un quadro della situazione
politica ed economica delle cose in quel momento. Inoltre esiste un‟ampia
documentazione dei rapporti tra Mosca e l‟ambasciata, fatta di telegrammi cifrati
quasi giornalieri, che in gran parte non è però ancora disponibile agli studiosi.
6
Secondo i dirigenti del PCI, i diplomatici sovietici e in primo luogo Mikhail
Kostylev, che fu ambasciatore per tutto il decennio tra il 1944 e il 1954,
costituivano il principale tramite, oltre rari incontri diretti con la leadership
sovietica, cui si rivolgevano per chiedere direttive e per porre i problemi sia di
politica interna che estera. Per il periodo 1944-1947, e successivamente sino al
1953, la mole delle relazioni dell‟ambasciata sovietica in Italia era notevole. Il suo
nucleo è rappresentato, oltre che dalle «lettere politiche», dai cosiddetti «diari»
dell‟ambasciatore Kostylev e dai «diari» dei vari segretari e addetti all‟ambasciata,
nei quali essi registravano minuziosamente tutti i loro incontri con uomini politici,
uomini d‟affari, diplomatici, rappresentanti del governo e dei partiti politici
italiani. La stragrande maggioranza delle conversazioni fu condotta con vari
membri della Direzione del PCI: così i diari di Kostylev e degli altri diplomatici
sovietici del periodo conservano i resoconti di centinaia di colloqui in primo luogo
con Togliatti, ma anche con Longo, Reale, Secchia, Pajetta, Scoccimarro,
Negarville, Sereni, D‟Onofrio, Li Causi, Robotti, Vidali, Amendola e altri
dirigenti comunisti. Questi dettagliati resoconti (per riferire un colloquio con
Togliatti Kostylev doveva spesso usare fino a 10-15 pagine dattiloscritte), stesi
immediatamente o al massimo il giorno dopo l‟incontro, e le «lettere politiche»
erano regolarmente inviati a Mosca a tre indirizzi: al capo del Primo dipartimento
europeo, al viceministro degli Esteri, responsabile per l‟Italia (in questa funzione
si alternarono Dekanozov, Malik, Zorin e soprattutto Vyshinsky) e al Ministro
degli Esteri Molotov. Conseguentemente si hanno tre copie delle stesse relazioni,
spesso con i commenti degli alti funzionari del ministero, dei membri della
segreteria di Molotov, e dello stesso Vyshinsky. Una volta a Mosca, tutto il
materiale di diversa provenienza veniva raccolto e vagliato, fornendo la base per le
discussioni e le valutazioni interne sulle possibili linee politiche che i funzionari
del ministero presentavano ai più alti dirigenti sovietici, ai quali spettava la
decisione finale; inoltre i responsabili del ministero, o qualche volta Vyshinsky,
mandavano all‟ambasciata di Roma i loro commenti critici sul contenuto dei
colloqui e le istruzioni per i futuri incontri tra i rappresentanti sovietici e i politici
italiani. L‟insieme di questi materiali rappresenta una fonte inestimabile per lo
studio della situazione interna del PCI, per l‟analisi della politica sovietica verso
7
l‟Italia e anche per lo studio dei rapporti tra il PCUS e i partiti comunisti
occidentali.
Quale garanzia abbiamo che l‟informazione fornita all‟ambasciatore
sovietico dai dirigenti comunisti fosse veritiera, corrispondesse ai fatti e al reale
punto di vista della dirigenza del PCI? In ogni informazione che passa dal basso
all‟alto, dalla periferia al centro, c‟è sempre la tendenza a instillare nei superiori
l‟idea della propria importanza e insostituibilità, a esagerare i successi e a
minimizzare i fallimenti. Si può presumere che i dirigenti italiani passassero ai
rappresentanti sovietici soltanto «ciò che si riteneva utile o opportuno»
comunicare?Tale ipotesi, che tende a sminuire l‟importanza di questa
documentazione, si basa sulla sopravvalutazione dell‟indipendenza del PCI
dall‟Unione Sovietica nel periodo staliniano e nello stesso tempo sulla
sottovalutazione della capacità del sistema staliniano di organizzare una efficiente
rete di controlli e di verifiche per ridurre al minimo la possibilità di distorsione
2
dell‟informazione.
É evidente che a volte poteva esserci un interesse da parte di qualche
dirigente del PCI a nascondere un‟informazione scomoda o ad abbellire i fatti, in
particolare quelli riguardanti il proprio operato. Casi del genere vi furono
certamente ma la frequenza quasi giornaliera degli incontri tra i diplomatici
sovietici e i dirigenti comunisti, e lo stesso numero degli interlocutori, presentava
ai sovietici ampie possibilità di controllo incrociato e rendeva molto difficile
nascondere informazioni non gradite. Inoltre, l‟ambasciata sovietica a Roma e il
ministero degli Esteri a Mosca rappresentavano i centri verso i quali affluiva
l‟informazione raccolta dalle ambasciate dei paesi dell‟Europa orientale, in
particolare da quelle jugoslava e polacca che avevano ampi contatti in Italia.
Infine, per riferire sulla situazione interna del PCI i sovietici avevano reti
d‟informazione parallele la cui esistenza non era un segreto per lo stesso Togliatti
e per gli altri dirigenti che erano vissuti nell‟URSS. Questa informazione riservata
non è ancora accessibile al ministero degli Esteri, e tanto meno negli archivi del
KGB e dei servizi segreti militari, ma se ne trovano tracce anche nella
2
R. Gualtieri, Togliatti e la politica estera italiana. Dalla Resistenza al trattato di Pace 1943-1947, Roma, Editori Riuniti,
1995, p. 237.
8
documentazione consultabile.
L‟importanza del materiale conservato a Mosca risiede nel fatto che esso ci
dà la possibilità di entrare nella cerchia ristretta della élite comunista
internazionale, legata dalle stesse convinzioni ideologiche, da obiettivi comuni,
dalla devozione e lealtà al sistema sovietico e a Stalin in persona. Sarebbe assurdo
considerare i dirigenti comunisti semplici «agenti del Cremlino», come fu molte
volte affermato durante la guerra fredda: i sovietici nella documentazione interna
si riferivano ai dirigenti del PCI con termini come «compagni italiani» o
3
semplicemente la «nostra gente». I colloqui si svolgevano in un clima di mutua
fiducia e amicizia con largo uso di una lingua informale.
In generale, per quanto riguarda i rapporti tra i due paesi nel periodo preso in
analisi, l'Italia ebbe un peso marginale nella politica estera sovietica, e anzi venne
considerata dall'Unione Sovietica come una «pedina» o una «moneta di scambio»
per usare espressioni dello stesso Quaroni, per raggiungere i propri obiettivi nei
paesi dell'Europa orientale e nei Balcani, dalla questione dei confini con la
Jugoslavia al riconoscimento di governi «amici» in Romania e Bulgaria, fino al
duro negoziato per il trattato di pace. La politica sovietica partiva dall'esigenza di
assicurarsi un lungo periodo di pace, e di collaborazione con le altre potenze, per
poter avviare la ricostruzione del paese e poter consolidare il controllo dei paesi in
via di sovietizzazione. Era importante quindi non violare il principio delle sfere
d'influenza deciso durante la guerra. In questo periodo l'URSS, per massimizzare
lo sforzo bellico favoriva governi di coalizione nei vari paesi europei, con la
partecipazione dei partiti comunisti e degli altri partiti che si fossero potuti
coagulare in fronti nazionali.
L'analisi della politica estera staliniana verso l'Italia, quindi, non può essere
vista distaccata dalla situazione internazionale e allo stesso tempo può essere
meglio chiarita attraverso uno studio comparato della politica estera sovietica
verso i paesi dell'Europa orientale e soprattutto verso la Francia, la nazione con un
quadro politico più simile a quello italiano. È fondamentale in questo lavoro
considerare che i rapporti dell'URSS si sviluppavano su due piani: quello dei
rapporti diplomatici ufficiali tra i governi; e quello dei rapporti tra il partito-stato
3
Si veda, Istoriceskiy archiv, 5, 1994, p. 13.
9
sovietico e i rispettivi partiti comunisti.
Tra questi due livelli nei rapporti italo-sovietici vi era sempre una complessa
dialettica di sovrapposizione e interdipendenza, contrasto e reciproco
condizionamento, che si rifletteva sia nella situazione interna italiana che nelle
relazioni tra Italia e Unione Sovietica. La storiografia ha potuto finora fornire
alcuni studi approfonditi sui rapporti a livello governativo, mentre quello
intrapartitico tra il PCUS e il PCI, che spesso influenzava lo sviluppo delle
relazioni tra i due paesi, è stato del tutto trascurato, se non ignorato. L'apertura
degli archivi sovietici permette oggi di cominciare a esplorare questo settore poco
conosciuto dei rapporti tra l'Unione Sovietica e le forze politiche italiane e di
presentare un quadro molto più complesso non solo dei rapporti italo-sovietici, ma
anche dei prodromi della guerra fredda in Italia.
Due episodi cruciali della primavera del 1944 - il riconoscimento del
governo Badoglio da parte sovietica annunciato il 14 marzo e il rovesciamento
dell'atteggiamento delle forze antifasciste italiane verso la monarchia e il governo
badogliano con il passaggio dall'opposizione alla collaborazione - dimostrano in
modo evidente l'interdipendenza tra il livello interstatale e quello interpartitico nei
rapporti italo-sovietici. Le circostanze del riconoscimento sovietico del governo
Badoglio sono state già da tempo ampiamente chiarite sia per il ruolo avuto dalla
diplomazia italiana che per le reazioni dei governi angloamericani, mentre manca
ancora una ricostruzione della parte sovietica. Il secondo episodio, la «svolta di
Salerno», così detta per sottolineare il rovesciamento della linea politica seguita
dalle forze antifasciste fino a quel momento, dovuto all'intervento di Togliatti
dopo il suo ritorno da Mosca, ha generato un'ampia produzione storiografica, in
cui si distinguono due principali approcci interpretativi.
La storiografia comunista ha fin dall'inizio sostenuto che la decisione di
collaborare con la monarchia e con Badoglio fu presa da Togliatti in piena
autonomia da Mosca. Per accreditare tale tesi, lo stesso Togliatti sostenne al suo
arrivo in Italia di essere partito da Mosca a metà febbraio, e di non aver saputo
quindi nulla al momento della sua partenza della decisione dell'Unione Sovietica
di riconoscere il governo Badoglio. Sulla «svolta di Salerno» si è fondata
l'interpretazione che il PCI ha dato della propria storia come di una graduale ma
10
inesorabile liberazione dall'influenza sovietica, individuando quindi nella svolta il
primo passo significativo in questa direzione.
Come verrà posto in evidenza questi erano invece questioni legate
direttamente agli interessi della politica estera sovietica, sia obiettivi che metodi
erano stabiliti dalla leadership staliniana, mentre ai dirigenti italiani era lasciato
pochissimo spazio di manovra. Ma anche in quest‟area Togliatti e altri dirigenti
comunisti non devono essere visti come meri esecutori di ordini e di direttive di
Stalin. Infatti, la leadership staliniana non aveva sempre una linea politica chiara e
sicura. Nei casi in cui Stalin doveva scegliere tra diverse alternative, come ad
esempio sul problema del piano Marshall o su quello di Trieste, i suggerimenti e la
pressione del PCI, in particolare di Togliatti, potevano avere un certo effetto. Il
secondo fattore è legato allo stile decisionale caratteristico di Stalin. Per
assicurarsi un pieno controllo il leader sovietico si servì sempre delle rivalità e
delle divergenze di opinione sia tra i membri dei proprio Politburo sia nella
dirigenza dei partiti comunisti occidentali. Stalin prevedeva sempre la possibilità
di un brusco cambiamento di rotta e per un certo periodo tollerava lo scontro di
opinioni senza prendere un‟aperta posizione. Tutto questo apriva al PCI margini di
iniziativa, ma soltanto fino al momento di una chiara decisione da parte del leader
sovietico. Questo lavoro si concentra prevalentemente sui problemi che riguardano
questa terza area, importanti per chiarire sia il funzionamento dello stalinismo a
livello internazionale che le sue conseguenze per la vita nazionale italiana. La
storia dei rapporti tra il gruppo dirigente staliniano e quello del partito comunista
italiano rimane un campo privilegiato per lo studio dello stalinismo come sistema
caratterizzato da rapporti di dominio del centro sulla periferia, ma anche talora da
un feedback della periferia verso il centro.
Per analizzare, quindi, le relazioni tra Italia e Unione Sovietica nel periodo
successivo alla guerra si ritiene che non occorra soffermarsi sulla differente
posizione determinatasi dall‟esito del conflitto. É il caso degli avvenimenti italiani
dell‟ottobre 1947-aprile 1948 che da Mosca furono seguito con notevole
attenzione e alla vigilia del voto del 18 aprile provocarono un certo avvicinamento
tra i due Paesi.
11
Secondo un tipico tratto di suscettibilità della politica estera sovietica, che
trova spiegazione, oltre che in esigenze propagandistiche di tutela del proprio buon
nome, anche nella considerazione nutrita dai governanti russi del nuovo ruolo
mondiale dell'URSS dopo la guerra, a Mosca si era inoltre non poco sensibili a
quanto di anti-sovietico era fermato nella opinione pubblica italiana. Gli attacchi
di certa stampa italiana alla politica di Mosca, ad esempio, nella questione di
Trieste, non rimanevano senza eco presso i dirigenti sovietici. Questi ultimi, poco
disposti a credere alle prerogative della libertà di stampa, vuoi per loro abito
mentale, vuoi perché taluni atteggiamenti al riguardo del governo italiano
parevano loro poco limpidi, attribuivano al governo di Roma la completa
responsabilità di qualsiasi articolo e pubblicazione comparisse in Italia contro
l'URSS, contro l'esperienza sovietica o i costumi del popolo sovietico con
conseguenze, sul piano dei rapporti diplomatici, non certo positive.
La politica italiana del Cremlino però, oltre ad essere necessariamente
inserita nel quadro globale della politica estera sovietica, dove l'Italia occupava
spesso nel 1947-1953 uno spazio relativamente marginale, e oltre ad essere
condizionata dalla mutevole situazione interna italiana, rispondeva anche ad alcuni
criteri di carattere generale che l'URSS riconosceva giusti e validi nei rapporti con
l'Italia.
Come è noto, alla fine della guerra, da Mosca si guardava all‟Italia anzitutto
come Paese sconfitto, che di certo non era più da considerare una potenza di
qualche rilievo, il quale doveva assumere nei confronti dell‟URSS una posizione
duplice. Da un lato non poteva che essere grato per i sacrifici sostenuti dai
sovietici per abbattere il nazifascismo; dall‟altro, doveva accettare la condizione di
Paese colpevole di una pesante aggressione all‟URSS stessa. Gli errori e le
responsabilità del fascismo non potevano essere dimenticati.
In sostanza questo significava che le affermazioni e decisioni dell'URSS e
degli alleati sull'Italia dovevano, da parte di quest'ultima, essere accettate in ogni
caso di buon grado, per quanto fossero categoriche e sgradite, ed inoltre che
nell'atteggiamento sovietico verso l'Italia era presente un principio punitivo. Tutto
ciò era certamente assai plausibile alla luce degli avvenimenti degli esiti bellici.
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Una delle difficoltà maggiori della ricerca è consistita nel risalire, di volta in
volta alle radici reali delle linee di condotta assunte da Mosca nelle questioni
politiche internazionali in cui l'Italia era coinvolta, ad esempio nella lunga vicenda
della stesura del Trattato di pace italiano, oppure, più direttamente, in quelle
assunte nell'ambito delle stesse relazioni bilaterali italo-sovietiche. A tal fine,
essendo accessibili gli archivi sovietici, si sono esaminati i documenti diplomatici
sovietici dell'epoca.
Un altro interrogativo di fondo di questo lavoro riguarda la volontà italiana
di instaurare buone relazioni con l'URSS. Fin dai primi passi della ricerca è parso
evidente come il governo italiano nel 1947-„48, desiderasse una certa amicizia con
i sovietici e come per questo obiettivo avesse lavorato, seppure con intensità e
determinazione diverse secondo gli anni e dei momenti. Nelle pagine a seguire si
possono osservare i mutamenti e le oscillazioni di questa amichevole volontà
italiana nel corso del quinquennio preso in esame, e si possono anche rilevare le
frequenti riserve cui ci si impegnava per un‟amicizia italo-sovietica. Resta però il
fatto che il governo di Roma, verso la fine del 1947 (un tornante decisivo sia per
l'avventura italiana in vigore del trattato di pace, sia per le ripercussioni interne
della formazione del Cominform) tentò costantemente di trovare una via per
migliorare le relazioni con l'URSS, malgrado le forti remore imposte dalle potenze
anglosassoni; lo stesso dicasi quando nel 1948 a Roma si proseguì a cercare
un'intesa con l'URSS almeno sul piano economico, anche dopo l'adesione al piano
Marshall.
Che poi questo desiderio di amicizia con l'URSS si scontrasse contro fattori
di politica internazionale estremamente sfavorevoli talora proibitivi, è indubbio.
Non solo e non tanto le potenze anglosassoni intendevano impedire o scoraggiare
le relazioni italo-sovietiche, ma la realtà stessa degli stretti rapporti tra l'Italia e gli
Stati Uniti, e della nota dipendenza italiana dagli aiuti economici americani,
provocava a Mosca un radicale scetticismo sulla sincerità delle intenzioni
d'amicizia italiane. D'altra parte, per superare le diffidenze sovietiche, il governo
italiano avrebbe dovuto operare delle scelte politiche ed economiche
estremamente gravose. Sul piano internazionale avrebbe dovuto appoggiare le
posizioni sovietiche anche là dove erano per l'Italia fortemente penalizzanti, come
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nel caso della questione Trieste. All'interno invece, avrebbe dovuto affrontare
enormi sacrifici per liberarsi dalla tutela economica americana, in momenti in cui
solo quest'ultima consentiva di non ridurre il Paese alla fame e di nutrire le
speranze di una rapida ricostruzione.
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