Introduzione
II
Introduzione
Il presente lavoro ha come obiettivo l'analisi dei rapporti intergruppi tra studenti
arabo-palestinesi ed israeliti, così come appaiono all'interno di un colloquio
svoltosi ad Haifa nel 2008. La cornice in cui si è tenuto è stata quella di un
corso di formazione alla cooperazione internazionale, proposto da
un'associazione milanese a studenti di psicologia iscritti alla laurea magistrale,
antropologi e counselors. Gli studenti italiani che hanno partecipato vengono
tutti dalla città di Padova. L'incontro è avvenuto in un locale della German
Colony Area e vi hanno partecipato studenti arabo-palestinesi, israeliti ed
italiani. Chi scrive non ha partecipato personalmente al colloquio ma attraverso
la testimonianza di alcuni dei presenti e alla videoregistrazione completa
dell'incontro, ha potuto rendersi partecipe dei vissuti emotivi e dei racconti che
hanno caratterizzato la discussione. L'obiettivo del colloquio era quello di
promuovere un contatto tra studenti arabo-palestinesi ed israeliti, poiché
potessero discutere sulla loro vita universitaria e le problematiche ad essa
connesse.
L'analisi non ha alcuna pretesa di essere rappresentativa di quelli che sono, in
generale, i rapporti tra giovani arabo-palestinesi ed israeliti ma si limita ad
analizzarli nella specificità di questo singolo incontro. Si vuole evidenziare quali
siano le modalità di interazione tra i due gruppi etnici e come queste si
esplicitino all'interno di un contesto sociale molto particolare, caratterizzato da
una situazione di conflitto interetnico.
Il lavoro si divide in tre parti: un primo capitolo passa in rassegna le principali
teorie sui rapporti intergruppi: le caratteristiche dei gruppi minoritari non
privilegiati secondo Lewin (1935) e i loro rapporti con i gruppi privilegiati, la
Teoria dell'Identità Sociale (Tajfel & Turner, 1979; Tajfel, 1981), l'ipotesi del
contatto di Allport (1954). Questo allo scopo di fornire un quadro di riferimento
teorico alla nostra analisi. L'ipotesi di Allport verrà ulteriormente approfondita
analizzando il ruolo dell'importanza percepita nel contatto tra gruppi (Van Dick,
Wagner, Pettigrew et al., 2004), ruolo che può essere fondamentale per
l'effettiva riduzione del pregiudizio verso i membri dell'outgroup.
Introduzione
III
Il secondo capitolo delinea la storia dello stato di Israele, soffermandosi in
particolar modo sul momento della sua creazione e sugli eventi più recenti, dei
quali si discute anche durante il colloquio (ad esempio la seconda guerra del
Libano).
Si è ritenuto opportuno dedicare una parte del lavoro a ricostruire questi
avvenimenti poiché ritenuti fondamentali per comprendere il modo in cui si sono
sviluppati i rapporti tra arabo-palestinesi ed israeliti. Infatti, in accordo con le
teorie psicosociali, le origini e gli sviluppi dei problemi sociopsicologici non si
possono valutare al di fuori dei contesti sociali nei quali si sono sviluppati
(Tajfel, 1981; Lewin, 1935). Inoltre “le condizioni sociali in cui si trovano a vivere
i gruppi di persone, determinano in gran parte le loro credenze e la misura in cui
queste sono condivise” (Tajfel, 1981, trad. it. 1995, pag. 81).
Il terzo capitolo infine è dedicato all'analisi vera a propria del colloquio di
gruppo. Si è scelto di effettuare un'analisi del contenuto di tipo fenomenologico,
ritenuta più adatta per indagare le visioni e i vissuti espressi dai partecipanti. A
partire dalla trascrizione integrale dei dialoghi, si è diviso il testo in categorie a
seconda della tematica trattata. All'interno di ciascuna categoria si è
approfondito il tema di riferimento, considerando le somiglianze o le diversità
con cui ne hanno parlato i giovani arabo-palestinesi o israeliti.
Successivamente si sono analizzati alcuni simboli-chiave, in questo caso
parole, ritenuti particolarmente significativi all'interno del contesto considerato. A
partire dalle riprese video dell'incontro si è inoltre svolta una breve analisi del
comportamento non verbale dei partecipanti. Questo per meglio sottolineare
momenti di imbarazzo o il persistere di una separatezza etnica.
Da ultimo si è effettuata una riflessione generale sui rapporti intergruppi tra
studenti arabo-palestinesi ed israeliti, così come emersi durante le due ore di
colloquio.
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CAPITOLO 1: Rapporti intergruppi e identità sociale
In questo capitolo verrà presentata una panoramica delle principali teorie sui
rapporti intergruppi, con particolare attenzione alla struttura e alle caratteristiche
dei cosiddetti “gruppi minoritari”, ovvero quelli contraddistinti da un basso grado
di potere. Questo allo scopo di inserire l’analisi all’interno di un quadro teorico di
riferimento.
1.1 I gruppi minoritari nella teoria di Kurt Lewin
Tutte le azioni che compiamo hanno una storia e un fondamento specifici dai
quali sono determinate. Giudizio, percezione e comprensione non sono possibili
senza il background ad essi connesso, alla cui natura si collega strettamente e
Figura 1
Tratta da Lewin K., (1935), Problemi psicologici di un gruppo minoritario
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direttamente il significato di ciascun evento (Lewin, 1935, trad. it. 2005).
Il “terreno” nel quale la persona si trova è quello in cui ogni azione affonda le
proprie radici. La stabilità e la fermezza delle decisioni dipendono il larga parte
dalla solidità di questo terreno, di conseguenza quando esso comincia a farsi
instabile ne scaturisce un profondo coinvolgimento dell'individuo. Secondo
Lewin (1935) una delle sue componenti principali è il gruppo sociale a cui il
soggetto appartiene; caratteristica fondamentale dell'appartenenza è il fatto che
una stesso individuo sia generalmente membro di più gruppi (fig. 1).
Ad esempio una persona (p) appartiene economicamente alla classe media-
superiore (Cms); nello stesso tempo è membro di una piccola famiglia (F) che a
sua volta fa parte di un gruppo familiare più esteso (Fe) , concentrato in alcune
cittadine dell'est. Tale gruppo familiare più ampio potrebbe essere la terza
generazione americana di schiatta irlandese (I3G); l'uomo potrebbe essere
repubblicano (Rep) e membro della divisione degli Alci di Nord-Est (A).
La figura 1, servendosi di schemi topologici, rappresenta la situazione sociale: i
gruppi a cui la persona appartiene vengono rappresentati come una «regione»
di cui essa fa parte; essi possono essere uno un sottogruppo dell'altro oppure
sovrapporsi parzialmente.
I vari gruppi a cui un individuo appartiene non sono tutti egualmente importanti
in uno stesso momento; di volta in volta un gruppo prende il sopravvento
sull'altro. Infatti il soggetto può comportarsi talvolta come membro della propria
famiglia, talvolta in base al proprio gruppo politico, religioso o lavorativo. In
circostanze normali si è generalmente consapevoli del gruppo a cui si
appartiene e del terreno sul cui poggiano le proprie azioni. Altre volte questa
appartenenza può risultare dubbia o poco chiara: questo di solito produce
nell'individuo un comportamento insicuro. Esistono persone la cui intera
esistenza è caratterizzata da questo tipo di incertezza; generalmente sono
coloro che stanno attraversando la linea marginale tra due gruppi varcando, ad
esempio, il confine che divide le classi sociali. Tale incertezza è, inoltre, un
tratto peculiare dei membri di gruppi appartenenti a minoranze religiose o
nazionali quando cercano di inserirsi nel gruppo dominante. La realizzazione di
questa aspirazione viene chiamata “tendenza all’assimilazione”. In Italia, un
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esempio può essere rappresentato da un cittadino extracomunitario che riesce
con successo ad avviare una propria attività lavorativa nel nostro Paese,
trovandosi così parte di una classe sociale più elevata.
Una gruppo paradigmatico da questo punto di vista, secondo Lewin (1935), è
quello ebraico, in particolare per quanto riguarda la grande incertezza che,
quasi sempre, gli ebrei nutrono circa i loro rapporti con il proprio gruppo.
Dubitano di appartenervi, né sanno valutare gli aspetti e la misura di tale
appartenenza. Questo può spiegarsi, in parte, considerando la molteplicità dei
gruppi a cui un individuo, di regola, appartiene; un ebreo in molte circostanze si
trova ad operare all'interno di situazioni in cui il gruppo che domina le sue azioni
non è quello ebraico.
La diaspora è una caratteristica specifica degli ebrei, costoro si sono infatti
trovati a costituire in tutte le nazioni un gruppo di minoranza, cioè a
rappresentare una parte limitata di una maggioranza più estesa. Durante il
corso degli anni però, la forza e il tipo di frontiere che circondano questo gruppo
si sono profondamente modificate.
Ai tempi dei ghetto, i confini tra il gruppo ebraico e gli altri gruppi erano
nettamente delimitati; il fatto che essi dovessero vivere in specifiche zone
all’interno della città rendeva questi confini evidenti e incontestabili. Oltre alle
limitazioni di tipo fisico erano presenti profonde limitazioni di carattere sociale
rispettate da entrambe le parti, sia dagli ebrei che dai non ebrei.
L’appartenenza al gruppo era chiaramente definita; un distintivo giallo imposto
dall’esterno e particolari forme di comportamento sviluppatesi al suo interno (dal
modo di vestire al linguaggio), rendevano l’ebreo immediatamente riconoscibile.
Gruppi isolati e compressi tendono a sviluppare una forte tensione; se la
pressione dall’esterno è troppo elevata si avrà di conseguenza un arresto del
loro sviluppo. È per questo che gruppi di questo tipo sono solitamente molto
conservatori.
In alcuni ebrei possiamo osservare un comportamento che scaturisce da una
consapevolezza eccessiva della propria appartenenza al gruppo ebraico,
mentre altri, in situazioni in cui verrebbe spontaneo rispondere in quanto ebrei,
reprimono e cercano di nascondere questa loro appartenenza. Il fatto che più
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gruppi sociali si sovrappongano porta gli ebrei a domandarsi se sia realmente
necessario preservare l’appartenenza al proprio gruppo, soprattutto se si
vogliono evitare le conseguenze spiacevoli legate ad esso.
Durante il periodo dell'emancipazione, la condizione del gruppo ebraico andò
progressivamente modificandosi. I primi a riconoscere loro l’indipendenza
furono i francesi nel 1791; con la stesura della nuova Costituzione venne
approvata una Dichiarazione che propose una completa equiparazione della
fede ebraica alle altre professioni religiose e il diritto cittadinanza per gli ebrei.
Nel 1807 le autorità ebraiche convocarono un sinedrio nel quale di fatto
dichiararono la mancanza di ostacoli affinché gli ebrei diventassero sudditi di
Napoleone. Tra il 1830 e il 1846 l'emancipazione degli ebrei francesi poté dirsi
completata.
Nei paesi di lingua tedesca il primo segno in favore della minoranza fu l'Editto di
Tolleranza promulgato dall'imperatore asburgico Giuseppe II nel 1782. Questo
aveva lo scopo di regolamentare la presenza ebraica nella società. Dopo i moti
rivoluzionari del 1848 in Piemonte, a cui gli ebrei diedero un contributo
significativo, lo Statuto Albertino concesse loro la cittadinanza. Con l'unità
d'Italia nel 1861, questo acquisì valore su tutto il territorio del regno.
Analogamente l'emancipazione venne estesa a tutta la Germania nel 1871
all'atto della proclamazione del Reich.
In Inghilterra invece vi fu un decadimento molto graduale delle restrizioni: nel
1858 venne consentito l'ingresso degli ebrei in parlamento e solo nel 1871
quello alle università. Per la caduta definitiva di ogni forma di discriminazione si
dovette attendere il 1890 (Stefani, 2006).
Le modalità con cui avvenne il processo di emancipazione degli ebrei fecero
sorgere numerosi problemi; le difficoltà si concentrarono su come attuare un
diverso inserimento nella società e manifestare una rinnovata solidarietà
intraebraica (Stefani, 2006).
In Germania, negli anni che precedettero la prima guerra mondiale, gli ebrei
non rappresentavano più un’unità compatta; non erano obbligati a vivere in
distretti speciali e anche se di solito si concentravano in una parte della città,
erano presenti più o meno in tutto il paese. Anche dal punto di vista
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professionale il gruppo ebraico era presente in tutti i tipi di attività lavorative;
solo a causa del permanere di alcune tradizioni familiari vi era una
concentrazione in alcune particolari professioni. La minor connessione tra le
varie componenti del gruppo e la sua più ampia distribuzione all’interno del
sistema sociale comportavano una modificazione della frontiera interposta tra
gli ebrei e gli altri gruppi. Questa era diventata più permeabile e meno rigida, e
Figura tratta da Lewin K., (1935), Problemi psicologici di un gruppo minoritario
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sebbene esistesse ancora relativamente ad alcuni individui, era sormontabile
(fig. 1.2b). L’indebolimento delle limitazioni di un gruppo comporta sempre un
maggiore contatto tra questo e gli altri gruppi, contatto che conduce ad un
rapporto più stretto e ad una conseguente diminuzione delle differenze tra le
loro caratteristiche. La pressione esercitata sugli ebrei era diventata molto più
debole e di conseguenza lo sviluppo culturale di questo popolo si fece più
aperto e vi fu un recedere del conservatorismo.
L’estendersi dello spazio di movimento libero ha contribuito a diminuire la
tensione a cui il gruppo era sottoposto, ma nonostante ciò non ha prodotto una
reale distensione nella vita dell’ebreo, anzi ha portato per certi aspetti un
aumento della tensione. Secondo Lewin (1935), per spiegare questo fenomeno
è necessario considerare l’ebreo in quanto individuo e non come appartenente
ad un gruppo, chiedendosi quali forze abbiano agito su di lui e in che modo il
cambiamento di posizione del proprio gruppo l’abbia influenzato. Rispetto a
quanto avveniva nel periodo del ghetto, la posizione dell’individuo ebreo si era
modificata a causa di una maggiore dispersione del proprio gruppo, portandolo
a separarsi funzionalmente da esso. Se la pressione era prima applicata
sull’intero gruppo, in quel momento egli veniva personalmente esposto ad essa.
Nonostante dunque la pressione fosse diminuita nella sua totalità, era
relativamente aumentata rispetto all’individuo.
Due tipi di forze agiscono generalmente su un soggetto: quelle che riflettono i
suoi desideri e le sue speranze, e quelle socialmente indotte provenienti
dall'esterno. Durante gli anni della segregazione le seconde erano maggiori e
producevano una forza più intensa, inoltre erano praticamente assenti forze
corrispondenti ai desideri dell'individuo verso gruppi non ebraici. Passare la
frontiera che li divideva dagli altri era praticamente impossibile. Invece, nel
periodo precedente alla seconda guerra mondiale, intraprendere questo tipo di
percorso era diventato più facile, poiché spesso sembrava non esserci più
alcuna distanza tra i gruppi. Un individuo che si trova nella situazione di
passaggio tra un gruppo e l'altro, situazione in cui l'obiettivo è stato quasi
raggiunto, sperimenta uno stato conflittuale molto acuto dovuto alle forze che lo
spingono verso tale fine. Questo stato produce nuovamente tensione e di