5
del Novecento è in piena fase di sviluppo economico, pur tuttavia, negli stessi
anni, la città è in presenza di un flusso in uscita consistente, mentre la
popolazione continua ad aumentare. Come può spiegarsi un fenomeno migratorio
così intenso e persistente in un’area - se pur ridotta - in cui lo sviluppo
economico rappresenta identiche caratteristiche di Messina? Certamente ciò non
può spiegarsi con la generica teoria del latifondo che genera povertà endemica e
la povertà a sua volta genera emigrazione. Certamente no, quindi, e, a mio
avviso, le ragioni vanno ricercate altrove. Una rivisitazione del fenomeno
migratorio, in tutte le sue sfaccettature (analisi della popolazione attraverso i
censimenti, incrocio dei dati sull’emigrazione con la popolazione presente per
comune, banche dati; analisi delle professioni e delle destinazioni, distribuzione
per sesso e stato civile, istruzione, fasce d’età, ecc.) soprattutto dalle aree più
ricche, ci permetterebbe di comprendere una realtà ben diversa da quella descritta
fino a qualche decennio fa dalla storiografia tradizionale sull’emigrazione.
Una parte significativa della documentazione e delle fonti alla base di
questa ricerca è costituita dai dati sull’emigrazione italiana tra gli anni 1880-1915
che si trovano depositati presso la biblioteca dell’Istituto centrale di statistica di
Roma (ISTAT). Questi dati, editi in pubblicazioni ufficiali, sono suddivisi per
comune e per anno. Notizie utili al fine di ricostruire la situazione economica
della “piana” di Milazzo e del suo Comprensorio, oltre che in un ampio supporto
bibliografico, le ho reperite sia presso l’Archivio Notarile di Messina (ANM), sia
6
presso l’Archivio Centrale dello Stato (ACS). Inoltre, sempre in riferimento
all’economia milazzese, mi sono servito della documentazione in possesso
dell’Archivio Storico di Messina (ASM) e dell’Archivio Storico Comunale di S.
Lucia del Mela (Messina).
I dati quantitativi e qualitativi relativi a 1200 partenze da Milazzo per gli
Stati Uniti nel periodo 1880-1915 sono stati reperiti nel sito internet di Ellis
Island (www.ellisisland.org). I dati del sito provengono dalle liste dei passeggeri
emigranti, compilate dal comandante della nave al momento dell’imbarco e
trasmesse agli ufficiali americani. Le liste d’imbarco rappresentano una notevole
fonte di studio, ancora poco sfruttata, al fine dell’analisi delle “dinamiche
migratorie”; esse contengono una notevole mole d’informazioni, non altrimenti
reperibili (cognome, nome, età, sesso, professione, stato civile, istruzione, ultima
residenza, porto d’imbarco, denaro posseduto, luogo di destinazione, ecc.).
7
1.
L’ECONOMIA DEL COMPRENSORIO MILAZZESE
1.1 Agricoltura e industrie
La “piana di Milazzo”, che costituisce l’oggetto di questa indagine,
presenta nel periodo a cavallo del XX secolo i tratti di un’area territoriale
fortemente caratterizzata da un’insieme di fattori economico-sociali e
infrastrutturali che ne fanno un caso-studio significativo, sia sotto il profilo delle
interdipendenze tra vocazioni locali ed evoluzione del sistema economico
internazionale, che del mercato delle merci
1
. Collocata sulla costa nord-
occidentale e tirrenica della provincia di Messina, essa ha una estensione di 105
kmq e copre una lunghezza di circa 30 km, dispiegandosi lungo la costa tra i
comuni di Villafranca, il più vicino a Messina, e quello di Oliveri, ai piedi del
promontorio dell’antica Tindari, che chiude a ovest il comprensorio; la sua
larghezza, dal mare verso le prime pendici dei monti Peloritani, varia dai 2 km
presso il comune di Spadafora San Martino agli 8 km di Milazzo e Santa Lucia
del Mela
2
.
1
Atti della Giunta per l’Inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola, vol. XIII, tomo I.
Relazione del Commissario Abele Damiani, fasc. III, cap. I, Roma 1885, p. 2. Da qui in avanti: Atti
Inchiesta Damiani.
2
Sulla natura morfologica e geografica del comprensorio milazzese e della piana si vedano: M. Basile, I
catasti d’Italia, e l’economia agricola in Sicilia, Messina 1880, p. 13; Atti Inchiesta Damiani, vol. XIII,
tomo I, fasc. III, cap. III, p. 27; S. Salomone, Le province siciliane studiate sotto tutti gli aspetti, vol. III:
Provincia di Messina, Acireale 1888, pp. 11-15; S. Recupero, La città di Milazzo, Roma 1961, pp. 254; S.
Scrofani, Sicilia, utilizzazione del suolo, nella storia nei redditi e nelle prospettive, Palermo 1962, p. 44 e
p. 374.
8
Se dal punto amministrativo, dunque, l’area del comprensorio milazzese e
della “piana” comprendeva soltanto un’altra decina di piccoli comuni, dal punto
di vista dell’omogeneità territoriale, colturale e della gravitazione commerciale,
Milazzo e il suo porto finivano con assolvere funzioni e servizi vitali per un’area
molto più estesa e importante che coinvolgeva l’intera zona compresa tra
Barcellona (il comune più grande della provincia di Messina, nel 1881, con oltre
21.000 abitanti) e Castroreale
3
.
I dati che emergono da queste prime considerazioni – e che qui vanno
immediatamente sottolineati- stanno, in sintesi, nella caratterizzazione di pianura
costiera del territorio esaminato, con le innumerevoli implicazioni colturali e
produttive che discendono e che vedremo più avanti, e nella presenza a Milazzo
di una infrastruttura come il porto – ma anche di collegamenti viari verso
l’hinterland - in grado di esercitare un indiscusso primato commerciale su di un
territorio molto più vasto e amministrativamente più forte, ma per giacitura dei
terreni, per colture e produzioni del tutto omogeneo a quello milazzese
4
.
3
Su gli incrementi di popolazione residente nella provincia di Messina nei vari censimenti si rimanda ai
dai ufficiali: ISTAT, Popolazione residente dei comuni, censimenti dal 1861 al 1991, Roma 1994; Cfr., S.
Lupo, Il giardino degli aranci: il mondo degli agrumi nella storia del Mezzogiorno, Venezia 1990, p. 97.
4
Sullo sviluppo dell’infrastruttura del porto di Milazzo e i collegamenti viari si vedano: Atti Inchiesta
Damiani, Vol. XIII, tomo I, fasc. III, p. 376, p. 382, e pp. 388-389; Archivio Centrale dello Stato di Roma
(da ora ACS), Archivi parlamentari, b. 4, f. 4, s. f. 7: Inchiesta sulle condizioni dei contadini nelle
provincie meridionali e nella Sicilia, Resoconti stenografici degli interrogatori fatti in Milazzo (6 gennaio
1908); Comitato Pro-porto di Milazzo, Relazione sui bisogni del Porto di Milazzo. Dicembre 1918,
Messina 1918; A. Fornaro, Milazzo: studio di geografia umana, in Quaderni di geografia umana della
Sicilia e Calabria, Faenza 1956; A. Pecora, I porti della Sicilia, in R. Almagià – E. Migliorini, Le regioni
d’Italia, Napoli, 1961; G. Campione, Il porto di Milazzo, Messina 1971; E. Gamberini, Monografia
marittima della Sicilia nord-orientale, Messina s. d.; V. Ruggero, I porti petroliferi della Sicilia e le loro
aree di sviluppo industriale, in “Annali del Mezzogiorno”, vol. XII, 1972; S. Vinciguerra, Finanziamento
e costruzione di strade in un’agricoltura “ricca” di primo Ottocento. La Sicilia sud-orientale, in “Storia
Economica”, a. III, n. 1, 2000, (cit. in nota), p. 141.
9
Da questo ultimo versante, insomma, il valore aggiunto infrastrutturale -
con tutte le implicite ricadute sulla varietà di mestieri, vocazioni e ceti e sulla
mobilità sociale a Milazzo - facevano aggio sulle sue condizioni di inferiorità
demografica e amministrativa rispetto alla Barcellona, esclusivamente agricola e
proprietaria
5
.
Inserita nella provincia di Messina, che tra le siciliane risultava alla fine
del secolo quella con minori contraddizioni fondiarie (latifondo-polverizzazione)
e colturali (cerealicoltura estensiva-pascolo), la “piana” di Milazzo esaltava, con
la nettissima prevalenza dell’agricoltura intensiva e dell’albero e con la
straordinaria varietà colturale presente tra la costa (la vite e gli orti), i colli
lievemente ondulati (l’olivo) e le fertili valli (frutteto), tutte le potenzialità
scaturenti da un più equilibrato rapporto tra possesso fondiario (media proprietà),
produzione e redditi, tipologie di conduzione (diretta) e contrattuali (metateria),
insediamento della popolazione (sparsa) sul territorio
6
.
5
Nella suddivisione amministrativa dell’epoca, la provincia di Messina risultava divisa in quattro
circondari: Messina, Castroreale, Patti e Ristretta. A questo proposito si veda: Atti Inchiesta Damiani,
Vol. XIII, tomo II, fasc. IV, cap. I, Roma 1885, p. 147; Inchiesta Parlamentare sulle condizioni dei
contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia, Vol. VI: Sicilia, Relazione del delegato tecnico
Giovanni Lorenzoni, tomo I, Roma 1910, p. 850. Da ora in poi Inchiesta Parlamentare.
6
Ibid., p. 347 e p. 353; A. Fornaro, Milazzo,cit., pp. 35-37.
10
Amministrativamente compresa nel circondario di Messina, la “piana”
milazzese nell’ultimo ventennio dell’Ottocento contribuiva ad alzare
abbondantemente le percentuali, già cospicue, delle colture intensive praticate
nell’area di appartenenza
7
.
Tabella I - I DESTINAZIONE COLTURALE DEI TERRENI
DELLA ZONA PIANA MILAZZESE NEGLI ANNI OTTANTA (In ha).
Comuni Cereali Oliveto Vigneto Frutteto Orto Agrumeto Colture
diverse
Bosco Incolto
Milazzo --- 730 1.610 --- 28 60 20 --- 109
San Filippo
del Mela
--- 272 200 --- --- 54 --- --- ---
San Pier
Niceto
325 500 500 500 --- 200 75 --- ---
Saponara
Villafranca
25 70 50 40 --- 30 --- --- ---
Spadafora
San Martino
349 217 79 --- --- --- --- --- ---
Condrò --- 239 60 --- --- 59 120 --- ---
Falcone 100 200 60 --- --- 50 --- --- ---
Furnari 200 394 200 --- --- --- 20 --- ---
Merì 64 70 140 --- 10 --- --- --- ---
Mazzarrà
Sant’Andrea
--- --- 100 --- 50 --- --- --- 2
Barcellona
Pozzo di
Gotto
400 693 1.400 --- --- 1.000 --- --- ---
Santa Lucia
del Mela
1.000 550 600 92 24 50 24 --- ---
Valdina 30 100 50 10 --- 10 --- --- ---
Venetico 70 120 90 20 --- --- --- --- ---
TOTALE 2.563 4.155 5.138 662 62 1.613 259 --- 111
Per zona piana milazzese s’intende l’insieme dell’agricoltura compresa nei Comuni, anche ricadenti in
circondari diversi, ma che per omogeneità colturale, vicinanza fisica, collegamenti viari e, soprattutto, per
gravitazione mercantile (il porto) gravita sulla città di Milazzo.
Fonte: S. Salomone, Le provincie siciliane studiate sotto tutti gli aspetti, vol. III: Provincia di Messina,
Acireale 1888. Ns. elaborazione.
7
Sull’importanza della coltura della vite a Milazzo si veda il coevo lavoro di: D. S. Bonasera,
L’agricoltura in Sicilia e della situazione economico-politica dell’isola, Milano-Palermo 1900, pp. 33-35.
11
Nell’intero circondario di Messina, infatti, su una superficie coltivata di
28.863 ettari, viti, olivi, agrumi, orti, gelseti e frutteti occupavano il 79.9 per
cento; alla stessa data, a Milazzo, la percentuale saliva all’85.6 per cento
8
.
Contribuivano alla nettissima prevalenza dell’agricoltura dell’albero i tratti
costieri di piano, con le estese colture della vite, degli agrumi e degli orti
(Saponara, Villafranca, Falcone, Oliveri, San Pier Niceto), dell’olivo e del
frutteto sui colli, lievemente ondulati della valle del Mela (Santa Lucia, San
Filippo) e di Monforte San Giorgio e Rometta che più in alto (502 metri slm.),
accanto all’olivo, inseriva il grano e il mais, ma anche la vite, gli agrumi e gli
alberi da frutta
9
.
La straordinaria varietà colturale che, come vedremo più avanti, costituirà
un valore aggiunto importante nell’alterne vicende epidemiche delle piante e
delle congiunture della domanda internazionale, non deve tuttavia nascondere la
netta preponderanza del vigneto. Se esso nell’intero circondario di Messina
occupava negli anni Ottanta, prima ancora dell’invasione fillosserica, il 35.2
percento dell’intera superficie coltivata, a Milazzo negli stessi anni raggiungeva
addirittura il 56.8 per cento
10
.
8
Atti Inchiesta Damiani, Vol. XIII, tomo II, fasc. IV, Roma 1885, p. XLIX; S. Salomone, Le provincie
siciliane, cit., pp. 338-398; F. Pollastri, Sicilia, notizie e commenti ecologici di agricoltura siciliana, tav.
X, vol. III, Palermo 1949, pp. 172-173; A. Fornaro Milazzo, cit., pp. 32-33. Cfr., G. Barbera Cardillo,
Messina dall'Unità all’alba del Novecento, economia e società, Genève 1981, p. 67.
9
Cfr., G. Barbera Cardillo, Messina dall’Unità, cit., p. 10. Sulla coltura degli agrumi in Sicilia e nel
milazzese si veda l’importante lavoro di: S. Lupo, Il giardino, cit., pp. 78-79.
10
Atti Inchiesta Damiani, vol. XIII, tomo II, fasc. IV, Roma 1885, p. 175-177.
12
Al “successo” della vite in quella zona avevano contribuito molteplici
fattori, non ultimi la qualità del vino, la disposizione e la natura dei terreni, così
come la forte accelerazione espansiva degli anni Sessanta-Ottanta, incentivata
dalla fillossera in Francia; e tuttavia va sottolineato che all’espansione del settore
vitivinicolo non poca influenza aveva esercitato la presenza di due fattori
strutturali di particolare rilievo, che peraltro non saranno dispersi nelle fasi
successive della crisi e della riconversione degli impianti,anzi la loro presenza
costituirà una delle ragioni che consentiranno il pieno e assoluto reintegro, con
significative novità, del vigneto nel quindicennio successivo. Mi riferisco alla
forte incidenza della popolazione sparsa nella “piana” (altro caso molto raro da
riscontrare in Sicilia e alla presenza di un regime fondiario (piccola e media
proprietà) coerente e funzionale all’azienda vitivinicola.
Riguardo al primo fattore (popolazione sparsa) va sottolineato che,
all’interno di un trend demografico postunitario positivo, con picchi intercensuari
particolarmente vistosi negli ultimi trent’anni dell’Ottocento, Milazzo presentava
un insediamento di popolazione molto inusuale rispetto al prevalente sistema
accentrato regionale. Infatti, nel territorio comunale erano disseminati numerosi
borghi rurali (San Giovanni, Croce del Promontorio, Barone, Santa Maria delle
Grazie, San Marco, Santa Marina, Corriolo) ed altri più minuscoli nuclei, dove
insistevano famiglie coloniche e bracciantili, la cui presenza e consistenza (in
13
aumento) erano strettamente collegate alla tipologia colturale prevalente e alle
cure costanti, distribuite nel corso dell’intero anno, richieste dalle piante
11
.
Il rapporto percentuale tra popolazione agglomerata e popolazione sparsa
era rispettivamente del 57.3 percento contro il 42.7 percento. Il trend
demografico successivo di crescita (sino al 1911), abbastanza consistente anche
se non uniforme nel tempo, confermerà questa tipologia d’insediamento della
popolazione sul territorio milazzese, che sarà tuttavia rimodulata dall’incalzare
delle fasi di crisi e di reimpianto della vite, da significative riconversioni nella
destinazione colturale dei terreni (l’agrumeto), da consistenti avvicendamenti di
popolazione, indotti dalle partenze per l’estero e dalle migrazioni interne
all’intera area
12
.
La configurazione degli insediamenti sopra descritta è sicuramente
estensibile all’intero comprensorio della “piana”, che presenta nella zona costiera
dell’epoca una successione di piccoli comuni e frazioni da essi dipendenti, posti
amministrativamente in maniera totalmente disarticolata da richiedere
riaggiustamenti più coerenti rispetto al loro andamento demografico e
11
Sui borghi rurali disseminati lungo la piana di Milazzo si rimanda ai censimenti della popolazione nel
Regno. MAIC, Censimento generale al 31 dicembre 1871 della popolazione del Regno d’Italia, Firenze
1873, p. 201.
12
Per un approfondimento sulle dinamiche demografiche e sul tema dell’emigrazione siciliana
transoceanica si veda: F. Maggiore Perni, La popolazione di Sicilia e di Palermo nel secolo XIX, Palermo
1897; M. De Vergottini, Sviluppo demografico e migrazioni interne in Italia, in “Bollettino dell’Istituto
Statistico-Economico”, nn. 11-12, 1928, pp. 267-280; S. Somogyi, La dinamica demografica delle
provincie siciliane 1861-1971, Palermo 1974; F. Brancato, La svolta demografica e l’emigrazione, in G.
Cingari (a cura di), Storia della Sicilia, vol. IX, Palermo 1977, pp. 149-178. Cfr., A. Checco,
L’emigrazione siciliana, i luoghi e le comunità di partenza (1881-1913): una proposta di ricerca, in
“Giornale di storia contemporanea”, anno III, n. 2, 2000, pp. 109-147.
14
all’effettiva gravitazione economica e lavorativa. E’ il caso della frazione
di San Pietro, appartenente fino al 1879 al comune di Spadafora poi passata a
quello di Milazzo, cui ormai la legavano, anche per la sua progressiva
espansione, la vicinanza e importanti vincoli produttivi.
Tabella II - POPOLAZIONE PRESENTE NEL 1871 A MILAZZO
PER COMUNI E FRAZIONI.
Agglomerata Sparsa nei borghi rurali Totale
V. A. % V. A.. % V. A.
7.427 57.3 5.242 42.7 12.669
Fonte: Censimento generale del Regno al 31 dicembre 1871, Roma 1874-76, p. 201. Ns. elaborazione.
Riguardo al regime fondiario dominante in zona, quello del piccolo (ma
non polverizzato) e medio possesso, va sottolineato che la popolazione diffusa, il
non eccessivo frazionamento della proprietà e la sua conformità alle esigenze
della vitivinicoltura, assicurarono il successo e la tenuta nel tempo del settore. Ad
esso contribuirono, peraltro, altri fattori coerenti a quegli assetti strutturali
fondamentali, come la prevalente conduzione diretta e “ad economia” dei
proprietari.
Impropriamente definito di “metateria”, in realtà il rapporto tra
proprietario e contadino nel vigneto rientrava più propriamente nella categoria
dell’ “appalto di lavoro salariato”, descritto nelle varie inchieste pubbliche e
private dell’epoca. Il Basile nella sua opera sui catasti d’Italia così la descriveva
in una efficace sintesi: “ >… ≅ il contadino è un semplice guardiano e lavoratore a
15
giornata, ma gode di moltissime agevolezze, casa, legna, guadagni sui vitelli,
terra per l’orto, metà dei cereali e dei legumi che semina sopra le terre alberate
che coltiva il padrone, appalto dei lavori manuali dei vigneti…
13
”.
Il carattere “misto” di contadino-bracciante, presente nel settore della vite,
risulta ancora più analitico nella descrizione inserita nella famosa inchiesta del
Franchetti-Sonnino:
[Nelle vigne] vi si tiene un cosiddetto metatiere, cui si dà la sola casa e 12 tari (£. 5,10) all’anno,
per migliaio di viti, e a cui si paga la giornata ogni volta che s’impiega, dandogli in tutto e
durante tutto l’anno, circa una lira, che è pure il prezzo della piazza per i giornalieri estranei.
Contro quelle lire 5,10 a migliaio di viti, il colono deve fare alla vite tutti i lavori minori, come
potatura, ecc., non compresi quelli della prima zappatura, dell’aratura, della seconda zappatura e
della vendemmia. Tra i filari delle viti il metatiere suol coltivare fave o piselli, o qualche
legume, e paga in corrispettivo al padrone 1 tumulo (17 litri) del prodotto, per ogni migliaio di
viti tra cui ha seminato. […] Quando non vi è lavoro nelle vigne, il solo guadagno dei contadini
è l’allevamento dei vitelli: il padrone compra l’animale e lo consegna a lavorare a metà
guadagno e perdita al contadino, il quale provvede tutto il foraggio; il concime resta al padrone.
Questi patti di allevamento non si fanno soltanto coi metatieri delle vigne, ma anche con quelli
degli oliveti e con estranei
14
.
13
Di importante rilievo è il fondamentale lavoro di Michele Basile, per la mole di informazione che lo
studioso ci fornisce sui contratti agricoli presenti all’epoca nel circondario di Messina e in particolare nel
milazzese: M. Basile, L’agricoltura nella provincia, cit., p. 112.
14
L’Inchiesta Franchetti-Sonnino fu la prima indagine parlamentare fatta sulla Sicilia, essa risultò un utile
strumento di conoscenza delle varie forme contrattuali presenti in Sicilia: L. Franchetti - S. Sonnino, La
Sicilia nel 1876, vol. II, Firenze 1925, pp. 83-84.
16
La tipologia contrattuale appena descritta evidenzia con nettezza i caratteri
principali di una agricoltura intensiva a forma capitalistica in cui prevalevano il
lavoro salariato e la conduzione diretta, resi possibili dalla presenza costante del
proprietario-imprenditore nell’azienda. L’appoderamento della terra, la
predominanza di aziende medie nel vigneto (mediamente sino a otto ettari) e le
cure richieste dalle piante nel corso dell’intero anno, mobilitavano forza-lavoro
che peraltro andava ben oltre la contenuta schiera dei cosiddetti “metatieri”; ma il
dato qualitativo, ancora più importante, stava nel superamento di forme
precapitalistiche e di residui feudali (presenti ancora nell’agricoltura delle aree
interne a grano associate al pascolo), in cui prevalevano assenteismo padronale,
pagamento in natura delle prestazioni lavorative (piccolo affitto a “terratico” e a
mezzadria), autoconsumo, indebitamento endemico della famiglia contadina.
I salari in denaro e le conseguenti monetarizzazione degli scambi e
mercantilizzazione dei prodotti nel vigneto introducevano, pur in presenza di
salari contenuti, elementi di dinamismo sociale. Essi risultavano certamente
attenuati, anche nel vigneto, nei casi di colonia “a terzeria” (Barcellona a coltura
promiscua), con divisione del prodotto (2/3 al proprietario e 1/3 al colono), che
riproducevano, anche nelle congiunture favorevoli di alti prezzi del vino (sino al
1887), il consueto negativo meccanismo dei “soccorsi” e delle anticipazioni
17
padronali in corso d’anno, dell’indebitamento e quindi della inevitabile
sottrazione dell’intera quota spettante al colono, al momento della vendemmia.
Invece, il pagamento delle prestazioni lavorative in denaro, nella
conduzione “a economia”, spezzava sudditanza e vincoli sul versante dei rapporti
personali e soprattutto favoriva il risparmio di una quota del salario contadino, da
destinare ai beni di consumo e alle necessità, previste e impreviste, del ménage
familiare (matrimoni, malattia), emancipandolo dai prestiti a usura, molto
frequenti nelle varie forme di compartecipazione contadina al prodotto.
Per valutare appieno, nella fase espansiva del vigneto che precede la
“guerra doganale” con la Francia e l’invasione della fillossera, l’incidenza sociale
che assunsero sia la tipologia contrattuale che salario in danaro nel vigneto
specializzato della “piana”, appare utile fare riferimento alla quantità di risorse
finanziarie mobilitate per far fronte alle prestazioni lavorative. Innanzitutto va
sottolineato che, nella conduzione “a economia”, a ciascuno dei cosiddetti
metatieri venivano affidati mediamente non più di 3-4 ettari di vigneto, in cui
insistevano circa settemila piante per ettaro (raggiungeranno le novemila piante
dopo la fase di ricostituzione, agli inizi del ventesimo secolo, a seguito
dell’invasione fillosserica) che si traducevano in un salario annuo fisso per ogni
ettaro di 36 lire circa che, moltiplicato per il numero di ettari, oscillava tra le 108
18
e le 146 lire all’anno
15
.
A questa corresponsione fissa del metatiere corrispondevano
esclusivamente i lavori minori, ma specializzati, della potatura e della pulitura
dei terreni, mentre rimanevano fuori tutte le operazioni di aratura, zappatura (due
volte all’anno), sovescio, vendemmia e vinificazione, che richiedevano
mediamente 10 giorni lavorativi per ogni mille piante, corrispondenti per ogni
ettaro di vigneto a 70 giorni e a 880 lire di salario. Per l’insieme di queste
condizioni colturali le giornate lavorative del solo metatiere, che peraltro
venivano pagate alla pari dei braccianti occasionali, erano insufficienti a coprire
tutte le prestazioni richieste dal vigneto specializzato, per cui il ricorso a
manodopera esterna al podere era generalizzata e mobilitava ingenti risorse: basti
pensare che nella “piana” le terre destinate alla coltura della vite ammontavano,
nella prima metà degli anni Ottanta, a circa 4000-4500 ettari per rendersi conto
dell’enorme complesso di risorse destinate all’intero comparto vitivinicolo.
Non a caso, all’espansione del vigneto negli anni Settanta-Ottanta
corrispondeva la crescita dei borghi rurali disseminati nella zona e la gravitazione
su di essi di crescenti schiere di “giornalieri” provenienti dai comuni dell’interno,
15
L’invasione fillosserica si manifestò in Sicilia nel 1880, nel comune di Riesi, in provincia di
Caltanissetta, e da li si diffuse rapidamente nella provincia di Messina. Sulle prime fasi dell’infezione
fillosserica e le varie strategie per combattere l’infezione anche nel milazzese si vedano solo alcuni lavori
della già corposa letteratura sull’argomento: A. Puglia
, La phylloxera vestatrix a Messina, in “Giornale del Comizio Agrario di Palermo”, XIII, 1881, p. 64, p.
132 e pp. 182 e ss.; A. Aloi, La fillossera in Sicilia, in “L’agricoltore calabro-siculo”, n. 11-12, 1881, n.
17-18, 1883, n. 3-5, n. 7 e n. 12, 1884; D. S. Bonasera, L’agricoltura in Sicilia, cit., p. 35. Cfr., Inchiesta
Parlamentare, cit., p. 326.