INTRODUZIONE
VI
cosiddetta thin capitalization
2
portava alla struttura della
nostra impresa .
Inoltre era evidente che, in un’economia mondiale che si
muoveva verso la piena liberalizzazione, si sarebbe
verificata, soprattutto in Europa, un’accesa concorrenza tra
i vari sistemi fiscali per attirare i capitali finanziari
stranieri e quelli delle multinazionali. E ciò, senza
opportuni correttivi, avrebbe potuto portare alla fuga delle
attività produttive dal territorio nazionale e al collasso
l’economia del nostro Paese.
La DIT italiana è stata ideata per conciliare tutte queste
esigenze: esigenze di equità, di progressività, di incentivo
all’accumulazione di capitale e rafforzamento dell’intero
sistema produttivo.
La DIT italiana è un adattamento del sistema di dual
income taxation attuato nei Paesi scandinavi.
L’idea che ne sta alla base è che parte dei profitti
dell’impresa serve per remunerare il capitale di rischio
apportato dagli azionisti: ad essa va riconosciuto un
beneficio pari al tasso prevalente sul mercato finanziario,
più una maggiorazione a titolo di premio di rischio.
I rimanenti profitti vengono invece considerati una rendita
e sono tassati con un’aliquota che è quella massima
2
Fenomeno indotto da un sistema fiscale che agevola troppo il capitale di debito
rispetto a quello di rischio e che porta l’impresa a sottocapitalizzarsi.
INTRODUZIONE
VII
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche nei Paesi
nordici, ma che è pari all’aliquota ordinaria Irpeg, in
Italia.
In sostanza quella parte di profitto dell’impresa che è pari
a quello che si sarebbe ottenuto investendo il proprio
risparmio in un qualsiasi titolo obbligazionario viene
tassato con un’aliquota bassa e simile a quella che si paga
sui redditi da capitale.
Il resto dei profitti è tassato con l’aliquota ordinaria
dell’imposta sul reddito.
La DIT italiana, si vedrà in seguito, si caratterizza per il
forte abbattimento della tassazione sul reddito d’impresa.
E lo fa in modo permanente. Con ciò operando molto
diversamente sia dalla precedente detassazione degli utili
reinvestiti del d.l. 357/94, c.d. “legge Tremonti”, sia dalla
successiva legge “Tremonti bis” introdotta con la legge
n. 383/2001.
La legge Tremonti è, infatti, una forma di incentivo
temporaneo, molto gradito alle imprese, ma poco efficace
sul piano economico (perché anticipa le decisioni di
investimento) e, contrariamente alla DIT, molto costoso
per il bilancio pubblico (da qui il limitato ambito
temporale di applicazione). Inoltre consente la deducibilità
degli investimenti indipendentemente dalle modalità di
finanziamento, accentuando in questo modo il sussidio
INTRODUZIONE
VIII
concesso dal sistema tributario al finanziamento con
debito.
E’ questo il punto di contrasto più rilevante tra le due
metodologie agevolative, un contrasto quasi politico-
ideologico.
Infatti, il nuovo Esecutivo, uscito vincente dalle elezioni
del 2001, critica fortemente la logica discriminante, che
sta alla base della DIT, di privilegiare la capitalizzazione
aziendale finanziata con capitale proprio rispetto alla
capitalizzazione tout court, compresa quella finanziata con
debito. La DIT viene considerata, dalla nuova maggioranza
parlamentare, uno schema troppo sofisticato, un vantaggio
circoscritto a poche imprese privilegiate capaci di gestire
il flusso e l’entità del capitale di rischio. Ancora, la DIT
viene considerata avulsa dal sistema reale
dell’imprenditoria italiana, che ha imprese di piccole
dimensioni e per le quali sarebbe di più immediata utilità
l’utilizzo della leva fiscale per il finanziamento
incondizionato dell’acquisizione di beni strumentali nuovi.
La schietta ed esplicita insofferenza del nuovo Ministro
dell’Economia e delle Finanze verso il sistema duale ha
inciso inevitabilmente sulla DIT.
La stessa, infatti, pur trattandosi di un’agevolazione di
tipo strutturale e definitivo, quindi non temporanea come
la “Tremonti bis”, è stata oggetto di uno sostanziale
azzeramento fino a tutto il 2002.
INTRODUZIONE
IX
E ciò benché i due meccanismi agevolativi siano tra loro
compatibili: tanto è vero che vengono fatti salvi, in una
certa misura, i diritti acquisiti anteriormente al
provvedimento, ma soprattutto è possibile il cumulo delle
due agevolazioni, sebbene a determinate condizioni.
Nonostante, tuttavia, l’insofferenza dei proponenti della
“Tremonti bis”, la dual income tax rimane ancora in
vigore, pronta ad essere riutilizzabile, rebus sic stantibus,
a partire dal 2003.
D'altronde, è difficile negare come la DIT si sia dimostrata
in questi anni uno strumento con forti potenzialità
d’abbattimento permanente della pressione fiscale, e
dunque molto appetibile per l’impresa.
In questo contesto, se le imprese hanno una forte spinta
economica, consistente nell’abbattimento dell’aliquota
Irpeg, per porre in essere i requisiti di applicazione della
dual income tax, possono avere altrettantanto interesse a
“strumentalizzare” la disciplina DIT per poter
massimizzare il beneficio anche quando non sarebbe
dovuto.
Di questo delicato pericolo ne è stato consapevole il
legislatore che ha dedicato ben tre articoli, sui sette
previsti dal decreto legislativo n.466/97, alla costruzione
di un sistema di norme antielusive capace di evitare, per
quanto possibile, le ipotesi di utilizzo improprio
dell’agevolazione.
INTRODUZIONE
X
Ed è questo delicato microsistema di salvaguardia della
“genuinità” della DIT che sarà oggetto di questo lavoro.
Nei primi due capitoli, necessariamente propedeutici, si
analizzerà l’evoluzione del sistema duale dal punto di vista
teorico e della sua applicazione in Italia, ponendolo a
confronto anche con l’agevolazione “Tremonti bis”.
Il terzo, il quarto e il quinto capitolo saranno, quindi,
dedicati alla disciplina antielusiva.
Si analizzerà il rapporto del microsistema antielusivo con
il resto della disciplina DIT; ci si soffermerà sui problemi
che sono sorti nella pratica applicazione della disciplina e
la loro risoluzione nella dottrina e nella prassi degli organi
ministeriali.
Infine, l’ultimo capitolo, sarà dedicato al rapporto tra il
microsistema antielusivo della DIT e la disciplina
antielusiva generale del sistema tributario italiano.
In altri termini, si cercherà di vedere se, il decreto
legislativo n. 466/97, sia strutturato in maniera tale da non
consentire l’eventuale strumentalizzazione elusiva della
DIT, oltre che a renderne più agevole l’applicazione
concreta e al contempo più chiara la ratio agevolativa.
Oppure se l’interprete sarà costretto, ancora una volta, ad
ammettere che il legislatore si è fatto semplicemente
prendere la mano, come sostiene parte della dottrina, da
eccessive quanto inutilmente sofisticate fobie elusive.
I – LA DUAL INCOME TAX COME MODO DIVERSO DI TASSARE IL REDDITO D’IMPRESA
1
Capitolo primo
LA DUAL INCOME TAX COME MODO DIVERSO DI
TASSARE IL REDDITO D’IMPRESA
1. Presupposti e finalità dell’intervento legislativo: i difetti del sistema italiano di
tassazione delle imprese e la necessità di una riforma. – 2. La versione italiana
della DIT e la sua specificità. – 3. Una nuova agevolazione per le imprese: la
legge Tremonti bis. – 4. Le prospettive della tassazione duale in Italia. Il futuro
della dual income tax dal 2003 in poi.
1. – PRESUPPOSTI E FINALITA’ DELL’INTERVENTO
LEGISLATIVO: I DIFETTI DEL SISTEMA ITALIANO
DI TASSAZIONE DELLE IMPRESE E LA NECESSITA’
DI UNA RIFORMA.
Il sistema impositivo vigente sulle imprese in Italia si è basato, fino
alla riforma Visco, sull’accostamento di due imposte sul reddito, Irpeg
o Irpef ed Ilor, e di due imposte patrimoniali, l’imposizione sul
patrimonio netto
1
e l’ICI (che grava anche sui beni strumentali
all’attività d’impresa).
1
L’imposta straordinaria sul patrimonio netto delle imprese fu istituita con il decreto-legge 30
settembre 1992, n. 394, poi convertito dalla legge 26 novembre 1992, n. 461, in clima di crisi
finanziaria, con l’unico e dichiarato obiettivo di reperire gettito (ricordiamo che la “manovra
finanziaria” di quell’anno toccò i novanta mila miliardi di lire). Avrebbe dovuto essere
“straordinaria” e, dunque, temporanea, tuttavia fu prorogata nel tempo fino alla introduzione
dell’IRAP.
I – LA DUAL INCOME TAX COME MODO DIVERSO DI TASSARE IL REDDITO D’IMPRESA.
2
Questa struttura impositiva ha comportato, negli anni, ingiustificabili
deviazioni dall’equità, interferenze con i comportamenti delle imprese
e dunque costi e perdite di benessere economico, complicazioni nella
normativa tributaria.
Infatti, questo sistema di tassazione sulle imprese non consentiva più,
in alcun modo, né di sostenere lo sviluppo del Paese né di rafforzare le
imprese italiane in un contesto di crescente competitività
internazionale.
2
La struttura finanziaria delle imprese era troppo penalizzata da un
forte squilibrio nelle fonti di finanziamento, a favore essenzialmente
del capitale di debito rispetto all’autofinanziamento, e da una
pressione tributaria eccessivamente elevata.
3
2
Su questi punti si vedano: GALLO, La tassazione dei redditi d’impresa: i difetti e le proposte di
modifica, Rass.trib., 1997, pagg. 121 ss.; REVIGLIO, Tassazione del lavoro e delle imprese e
competizione: uno sguardo d’insieme, Riv.dir.fin.sc.fin.,1999, pagg. 161 ss.; GIANNINI –
GUERRA, Dove eravamo e dove siamo: il sistema tributario dal 1990 al 2000, in BERNARDI (a
cura di), La finanza pubblica italiana. Rapporto 2000, Bologna, 2000; IACCARINO, Le strategie
finanziarie delle imprese e la nuova fiscalità, Riv.dir.fin.Sc.fin., 2001; FROVA – NOVA –
ORDANINI – ZANETTI, Fiscalità e strategie d’impresa. L’impatto del nuovo regime fiscale sulle
scelte di organizzazione produttiva e sulle politiche finanziarie, Milano, 1999.
3
Più precisamente l’aliquota complessiva sui profitti delle imprese è aumentata, tra il 1980 e il
1996 (dati pubblicati sul sito del Ministero dell’Economia), dal 36,25% al 53,2% (calcolata come
somma dell’Irpeg, 37%, e dell’Ilor, 16,2%). Con aliquote che variano dal 34,2% al 64,2% se
distribuiti (in questo caso si tiene conto dell’Ilor e dell’Irpeg pagate in capo alla società e del
credito d’imposta pari ai 9/16 dei dividendi e della tassazione in capo al socio persona fisica con le
aliquote marginali più bassa, 10%, e più alta, 51%). Se l’azionista avesse invece optato per la
cedolare secca del 12,5%, l’aliquota massima sui dividendi sarebbe stata del 59%. Su questi
specifici aspetti si veda, più ampiamente, FOSSATI – GIANNINI (a cura di), I nuovi sistemi
tributari, Milano, 1996, pag. 145; ed anche VISCO, Il Fisco giusto, cit., pag. 82. Per una
ricostruzione storica dei percorsi economici e politici che hanno determinato l’odierna struttura
I – LA DUAL INCOME TAX COME MODO DIVERSO DI TASSARE IL REDDITO D’IMPRESA
3
Sotto il primo profilo, il sistema si è mostrato, e si dimostra ancora
oggi, non neutrale per decisioni finanziarie e d’investimento delle
imprese.
Basti pensare al vantaggio fiscale garantito all’indebitamento che
deriva da aspetti patologici della normativa: la piena deducibilità del
costo del debito (interessi passivi) dal reddito imponibile delle
imprese, a cui non corrisponde una analoga deducibilità del costo del
finanziamento con capitale proprio; la presenza, dal 1992 fino
all’introduzione dell’Irap, di un’imposta patrimoniale commisurata al
patrimonio netto che penalizzava le aziende dotate di un patrimonio di
ampie dimensioni, e cioè proprio chi avrebbe dovuto invece essere
agevolato nell’ottica di una politica di rafforzamento del sistema
produttivo.
4
Inoltre, sotto il secondo aspetto, il sistema non è neutrale perché la
forte aliquota Irpeg incentiva le imprese ad eludere le imposte
concentrando gli utili in Paesi dove le aliquote sono più basse e i costi
in Italia, dove le aliquote sono più elevate.
finanziaria delle imprese si veda BARCA (a cura di), Storia del capitalismo italiano dal
dopoguerra ad oggi, Roma, 1997.
4
Sul punto cfr. GALLO, La tassazione dei redditi d’impresa, cit., pag. 122.
I – LA DUAL INCOME TAX COME MODO DIVERSO DI TASSARE IL REDDITO D’IMPRESA.
4
D’altro canto l’aliquota complessiva sul reddito delle società di
capitali in Italia è stata di circa 10-20 punti percentuali più elevata di
quella mediamente applicata nei paesi dell’Unione europea, che
oscilla, in genere, tra il 30 ed il 40 per cento.
5
In conclusione, il sistema fiscale delle imprese andava urgentemente
riformato: occorreva superarne la complessità, eliminando la miriade
di imposte che colpivano la realtà produttiva, e superare il
disincentivo alla capitalizzazione attraverso l’eliminazione del
rilevante vantaggio comparato che veniva concesso all’indebitamento
rispetto al finanziamento con capitale proprio.
6
In questo contesto è stata introdotta la disciplina della DIT, disciplina
che ha consentito insieme la riduzione della tassazione sui redditi
l’impresa e il rafforzamento e la stabilità finanziaria del sistema
produttivo attraverso l’incentivo dell’investimento di capitale proprio.
7
5
Per un’analisi comparata della pressione fiscale sulle imprese nell’Europa comunitaria si veda
BONTEMPI, FERRARI, GIANNINI, GOLINELLI, in Il dibattito sulla riforma dell’imposizione
del reddito delle società e le novità della legge n.622/96: analisi preliminare su un campione di
imprese”, Bologna, 1997, pagg. 13 ss.
6
Per un’analisi delle proposte di modifica che furono elaborate in quegli anni si veda GALLO, La
tassazione dei redditi d’impresa, cit., pagg. 121 ss.; sul punto anche GIANNINI, L’imposizione del
reddito d’impresa: un’ipotesi di riforma per la capitalizzazione delle imprese, in FOSSATI –
GIANNINI (a cura di), I nuovi sistemi tributari, Milano, 1996.
7
Si veda sul punto GUERRA, La riforma tributaria: attuazione e prospettive, in BERNARDI (a
cura di), La finanza pubblica italiana. Rapporto 1998, Bologna, 1998, pag. 159.
I – LA DUAL INCOME TAX COME MODO DIVERSO DI TASSARE IL REDDITO D’IMPRESA
5
2 – LA VERSIONE ITALIANA DELLA DIT E LA SUA
SPECIFICITA'.
2.1 – Il modello teorico di dual income tax system.
Il dual income tax system nasce dalla discussione in ambito
internazionale tra gli economisti sui nuovi modelli di tassazione per le
imprese, ed ha trovato la sua prima applicazione nei paesi scandinavi
8
nei primi anni ottanta.
Il sistema teorico di “dual income tax” individua un nuovo metodo di
tassazione, contrapponendosi al sistema tradizionale di tassazione
globale del reddito.
9
L’aspetto innovativo si basa sulla distinzione del
reddito in due categorie assoggettate a diversa imposizione:
1) Earned income, cioè il reddito guadagnato con attività
lavorativa (salari, stipendi, pensioni pubbliche e private,
fringe benefits, benefici della previdenza sociale);
2) Capital income, reddito di capitale in senso ampio
(comprensivo del reddito derivante da profitti aziendali,
dividendi, capital gains, interessi, affitti ed altri valori
locativi).
8
Finlandia, Svezia, Norvegia e Danimarca.
9
Questo nuovo metodo di tassazione viene applicato non soltanto per reddito d’impresa, come
avviene in Italia, ma ad ogni tipo di reddito. E’ interessante notare che il sistema dit nella sua
forma pura non è adottato da alcun paese al mondo.
I – LA DUAL INCOME TAX COME MODO DIVERSO DI TASSARE IL REDDITO D’IMPRESA.
6
Dal punto di vista teorico, il modello prevede che l’earned income
venga tassato con un’aliquota progressiva tipica delle persone fisiche,
mentre il capital income venga tassato con aliquota fissa e
proporzionale, più bassa rispetto a quella riservata ai redditi da lavoro,
e normalmente coincidente con l’aliquota sul reddito delle società di
capitali.
10
Inoltre, l’aliquota proporzionale uniforme su tutti i redditi
di capitale coincide solitamente con l’aliquota base dell’imposta sul
reddito personale.
11
Per evitare la doppia imposizione dei profitti aziendali sia in capo alla
società che in capo al socio percepente, il modello prevede due
alternative: o operare un’unica tassazione in capo alla società, oppure
riconoscere un credito d’imposta al singolo azionista a fronte di
un’imposta sul reddito di capitale calcolata sul dividendo lordo
originario.
10
Sul punto si veda il modello teorico avanzato in BONTEMPI, FERRARI, GIANNINI,
GOLINELLI, Il dibattito sulla riforma dell’imposizione del reddito delle società e le novità della
legge n.622/96, cit., pag. 28.
11
Si attua dunque, attraverso la DIT, una discriminazione, al contrario rispetto alla teoria
finanziaria d’origine classica, fra redditi derivanti dall’impiego di capitale, che vengono
tendenzialmente favoriti, rispetto a quelli da lavoro, che vengono tendenzialmente penalizzati. Il
che potrebbe apparire una scelta assurda ma è invece una risposta di politica fiscale per consentire
l’espansione dell’economia di un Paese verso il mercato mondiale dei capitali sempre più
concorrenziale. Si tratta di una risposta anche difensiva, come insegna l’esperienza dei paesi
scandinavi, attuata cioè da quelle economie che temono una sostanziale fuga di capitali dalle
attività produttive verso le più evanescenti, ma spesso più redditizie almeno nel breve periodo,
attività finanziarie. Su questo punto si veda FOSSATI – GIANNINI, I nuovi sistemi tributari, cit.,
pag. 165.
I – LA DUAL INCOME TAX COME MODO DIVERSO DI TASSARE IL REDDITO D’IMPRESA
7
2.1.1 – Il modello teorico di dual income tax system per le società di
persone.
Un’ulteriore caratteristica distintiva del modello è ravvisabile nel
modo di trattare i profitti delle imprese individuali e delle società di
persone, che devono essere ripartiti in una componente di reddito di
capitale ed in una componente di reddito da lavoro. La componente di
reddito da capitale viene identificata applicando un coefficiente
presuntivo di rendimento al valore di capitale aziendale, lordo o netto
a seconda dei casi. I profitti residuali sono da considerarsi reddito da
lavoro.
12
La ripartizione del reddito nelle due categorie richiamate può essere
più o meno estremizzata: ciò dipende dalle scelte macroeconomiche e
dagli obiettivi del Paese che la attua.
13
12
Per una più ampia trattazione si veda, PEDERZOLI, Dual income taxation: dal modello puro di
tassazione a quello italiano, Dir.Prat.Trib., 2000, pag. 144.
13
Svariati sono i vantaggi che questo sistema può portare. Ad esempio, la DIT ha il vantaggio di
ovviare a fenomeni d’imposizione eccessiva sui redditi da capitale in caso di un’economia con
inflazione. Un altro vantaggio deriva in termini di equità verticale (si soddisfa il principio di equità
verticale quando ad un contribuente con maggiore capacità contributiva viene fatto pagare un equo
ammontare in più di imposte rispetto ad un altro contribuente con minore capacità contributiva).
Ragionando in modo opposto ai modelli classici di tassazione, i sostenitori della DIT ritengono
che il suddetto principio sia maggiormente rispettato applicando un’unica tassazione con la stessa
aliquota marginale relativamente bassa su tutti i redditi da capitale anziché una tassazione
progressiva. Questo argomento si fonda nella constatazione che è molto difficile riuscire ad
imporre un sistema coerente di tassazione dei capital gains senza applicare un’aliquota marginale
d’imposta sul reddito di capitale relativamente bassa, poiché i capital gains sono generalmente
tassati al momento della realizzazione. Se si imponesse una tassazione elevata si rischierebbe un
effetto di immobilizzo. Una tassazione progressiva porterebbe in realtà ad una tassazione eccessiva
causata dal fatto che il contribuente potrebbe essere rientrato in una categoria reddituale più alta
I – LA DUAL INCOME TAX COME MODO DIVERSO DI TASSARE IL REDDITO D’IMPRESA.
8
2.2 – Un modello alternativo. L’ACE.
Tra i modelli di tassazione delle imprese alternativi, il più simile
al meccanismo DIT è l’ allowace for corporate equity (ACE)
proposta dall’ Institute for Fiscal Studies del Regno Unito
all’inizio degli anni novanta.
Secondo questa proposta, invece di eliminare la deducibilità
dall’imponibile del costo di un finanziamento con debito, si
suggerisce di concedere una deducibilità addizionale
dall'imponibile a titolo di costo figurativo del capitale proprio
investito in azienda.
nell’anno di realizzazione. Dunque, applicare un’unica tassazione con la stessa aliquota
proporzionale potrebbe essere l’unico modo di semplificare il sistema nel pieno rispetto del
principio di equità verticale. Ancora, la DIT consentirebbe, applicando una tassazione sul reddito
da capitale proporzionale, non progressiva ed omogenea al suo interno, di evitare casi di
arbitraggio fiscale che sfruttano il fatto che i contribuenti siano soggetti a diverse aliquote
marginali d’imposta. Poiché la maggior parte degli arbitraggi di grandi dimensioni avviene per
opera di categorie di contribuenti con reddito elevato, l’effetto ostacolante, che il sistema DIT
favorisce, ancora una volta si riverbera positivamente sul rispetto del principio di equità verticale.
In termini di efficienza poi, il più significativo e incentivante vantaggio nell’adozione del sistema
DIT è quello di consentire il maggior rispetto del principio di neutralità fiscale sui mezzi di
finanziamento dell’impresa se confrontato ad altri sistemi. Cfr. PEDERZOLI, Dual income
taxation, cit., pag. 140.