4
quello di organizzazione. Da un lato esso riprende il significato
del linguaggio comune, come sinonimo di complicatezza (data
nell’organizzazione dall’elevato numero di elementi in gioco:
variabili umane, tecniche, materiali e immateriali) e “ in questo
senso svolge soprattutto la funzione di razionalizzare quello che
potremmo definire il “disagio dell’osservatore”, sia esso il
politico che deve governare, l’imprenditore che deve decidere o
lo scienziato sociale che deve interpretare, spiegare,
prevedere”.
3
Accanto a quest’uso tuttavia ve ne sono altri il cui
obiettivo è quello di creare schemi concettuali adeguati alla
descrizione-spiegazione di alcuni fenomeni sociali, come quelli
organizzativi. I contributi in quest’ambito derivano dalla Teoria
Generale dei Sistemi.
Anche se l’uso del termine e del concetto di sistema è
stato adottato relativamente tardi, se ne trova traccia in tutta la
storia del pensiero sociale nell’idea della società vista come
totalità composta di parti interdipendenti e interagenti. Ma è
solo a partire dagli anni Sessanta del XX secolo, con la
diffusione di nuove discipline come la cibernetica, la teoria della
comunicazione e dell’informazione e la teoria generale dei
sistemi (nate a partire dalla seconda guerra mondiale), che questi
concetti hanno subito una svolta scientifica.
4
Il termine sistema
indica un complesso di elementi causalmente interconnessi e
reciprocamente interdipendenti. Queste parti di cui i sistemi
sono composti sono variabili e man mano che si passa dai
sistemi meccanici a quelli organici e sociali le parti diventano
sempre più complesse e variabili.
I sistemi presentano inoltre dei confini che permettono di
identificare un ambiente interno e uno esterno al sistema stesso.
Dalle relazioni che il sistema intrattiene con l’ambiente esterno
deriva la distinzione tra sistemi chiusi e sistemi aperti , dove coi
3
Sciolla L., Ricolfi L., “Il mito delle complessità. Usi analitici e modi in sociologia”, Teoria dei sistemi e
razionalità sociale. Bologna: Nuova Universale Cappelli, 1986.
4
Picchierri, Angelo. Introduzione alla sociologia dell’ organizzazione. Bari: Edizioni Laterza, 2005, cap 2.
5
primi si intendono dei sistemi in cui c’è assenza di scambi con
l’ambiente circostante e coi secondi, sistemi in cui dagli
interscambi con esso deriva energia, vitalità, capacità di
riproduzione, di sopravvivenza e di cambiamento. Nel sistema
azienda gli scambi con l’ambiente sono sia materiali che
immateriali.
L’applicazione della visione sistemica alla realtà
organizzativa è probabilmente sorta dall’esigenza delle aziende
di rispondere a una sempre crescente complessità del mercato. Il
pensiero sistemico, infatti, ci permette di percepire il nostro
oggetto di indagine come complesso, dinamico e intrattenente
con altri sistemi una fitta rete di relazioni.
5
Von Bertalanffy
definisce i sistemi “ i complessi costituiti di elementi in
interazione”
6
che interagiscono tra loro e con l’ambiente
circostante.
Ma come emerge la complessità? La complessità può
essere intesa in un senso statico che consiste nel ricondurla alla
descrizione interna del sistema, cioè alla numerosità dei suoi
elementi e delle relazioni tra essi; oppure può essere intesa
dinamicamente in riferimento alla descrizione esterna del
sistema, cioè alla imprevedibilità del suo andamento nel tempo.
7
Questo secondo tipo di complessità è quella che oggi si trovano
ad affrontare le aziende globalizzate: le economie sono sempre
più globali, internazionali, e questo comporta una crescente
pressione competitiva per le aziende, che sono ulteriormente
gravate dall’influenza del fattore tempo che agisce su questi
processi. Le decisioni devono essere prese in tempi sempre più
brevi, d’altra parte se non si è abbastanza tempestivi l’azienda è
5
Alberti, Giovanni E., Gandolfi Alberto, Larghi Giuseppe. La pratica del problem solving. Come analizzare e
risolvere i problemi di management. Milano: Franco Angeli, 2007, 21.
6
Von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi. Milano: Isedi, 1977: 67
7
Sciolla L., Ricolfi L., “Il mito delle complessità. Usi analitici e modi in sociologia” in Teoria dei sistemi e
razionalità sociale. Bologna: Nuova Universale Cappelli, 1986.
6
destinata a soccombere: “poche grandi aziende vivono solo la
metà della vita di una persona”.
8
Alcuni fattori importanti di questo cambiamento sono:
ξ tecnologie sempre più sofisticate e differenziate;
ξ centralità della conoscenza e dei processi di conoscenza
(continuità e discontinuità dei processi)
9
;
ξ necessità di compiere investimenti più rilevanti e
rischiosi;
ξ diffusione di prodotti-servizi contrassegnati sempre più
da alte varietà e qualità;
ξ necessità di competere a livello internazionale;
ξ velocità di decisione e di azione, con forte abbreviazione
dei cicli di vita dei prodotti.
10
Flessibilità, innovazione, integrazione, velocità, sono la
chiave dell’eccellenza o, sempre più spesso, della sola
sopravvivenza.
Come devono articolarsi struttura e processi organizzativi
perché le aziende possano adattarsi a un simile ambiente? Che
cosa significa essere flessibili, creativi e innovativi?
La mia risposta deriva dall’applicazione di una visione
olistica, sistemico-cognitiva, all’organizzazione. Prenderò come
riferimento principale la teoria epistemologica di Gregory
Bateson e cercherò di capire in che modo devono articolarsi i
processi in un’azienda di questo tipo, sia al livello macro dal
punto di vista della struttura, della cultura e del sistema di
gestione, sia a livello micro nei termini di processi cognitivi, di
comunicazione, di competenze richieste, mostrando come in una
visione sistemica questi due livelli debbano essere
8
Senge, Peter M.. La quinta disciplina. L’arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo. Milano: Sperling
& Kapfer Editori, 2006.
9
Si veda il paragrafo 3.4.
10
Rebora, Gianfranco. Manuale di organizzazione aziendale. Roma: Carocci, 2001, 113.
7
necessariamente coerenti. Farò poi riferimento alle
organizzazioni che apprendono, attraverso la formula
manageriale delle cinque discipline di Peter Senge e a un
modello di gestione per processi applicato ad un caso
aziendale.
11
Ci si potrebbe chiedere quale vantaggio derivi
dall’applicazione di una teoria epistemologica quale quella di
Bateson alla psicologia delle organizzazioni e in particolare al
tipo di organizzazione descritta. La risposta a questa domanda è
ciò che mi accingo a mostrare: questa esposizione vuole portare
avanti la tesi dell’importanza di una visione sistemica in
un’azienda in cui i processi cognitivi debbano essere rapidi ed
efficienti, caratterizzati da un base sicura
12
, e dunque da
stabilità, ma che contemporaneamente permettano reattività
rispetto ai cambiamenti, proattività, innovazione, creatività. Non
solo dunque nella prospettiva di sopravvivenza rispetto alla
concorrenza (e dunque di apprendimento adattivo), di capacità
di generare codici che permettano di leggere le informazioni che
giungono a chi opera in organizzazione, ma anche di produzione
di conoscenza creativa.
È ciò di cui parla Peter Senge, autore di una formula di
management ormai diventata pietra miliare delle
“organizzazioni che apprendono”, quando espone i concetti di
visione condivisa e di apprendimento di gruppo, che vedremo
descritti più avanti. Senge dimostra come la condivisione del
sogno aziendale porti risultati sbalorditivi alla soddisfazione
11
CEPAS (a cura di). Raggiungere i risultati con la gestione per processi. Migliorare i processi per essere
competitivi. Milano: Franco Angeli, 2006.
12
Trasferiamo questo costrutto di Bowlby dal sistema uomo al sistema azienda: poiché l’ avere una base sicura
non è per nulla relegato alla sola infanzia, inoltre niente vieta di vedere simbolicamente nell’azienda una figura
base- sicura per i suoi dipendenti, nelle situazioni in cui è necessario che i capi lascino sempre più discrezionalità
ai propri collaboratori o in quelle in cui l’azienda diventa sempre meno gerarchizzata. Così anche a livello dei
cambiamenti organizzativi la cultura deve essere salda per poter superare i periodi di turbolenza e poter
affrontare un nuovo adattamento. È l’avere una base sicura che ci permette infatti di esplorare il mondo
combinando la fiducia negli altri con quella in noi stessi.
Bowlby, John. Costruzione e rottura dei legami affettivi. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1979.
8
personale e all’azienda stessa. Allo stesso modo il successo
dell’azienda non può essere visto come successo dei pochi
manager che stanno al vertice dell’organizzazione, ma come
risultato a cui tutti hanno contribuito nell’ottica di un tipo di
apprendimento che il singolo da solo non può conseguire, ma
che è quella proprietà emergente del sistema che scaturisce
dall’interazione di più persone inserite in un contesto adeguato.
In definitiva abbiamo a che fare, in questo tipo di sistemi,
con una complessità che assume il significato di capacità di
modificazione della propria struttura da parte del sistema stesso,
e di allargare il proprio repertorio di risposte: in una parola
capacità di auto- organizzazione.
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13
Sciolla L., Ricolfi L., “Il mito delle complessità. Usi analitici e modi in sociologia”, Teoria dei sistemi e
razionalità sociale. Bologna: Nuova Universale Cappelli, 1986, 237.