4
protezione di interessi collettivi o diffusi equiparati
dall’ordinamento giuridico all’interesse pubblico e minacciati dai poteri
forti del sistema. Si pensi agli interessi degli utenti di servizi pubblici nei
confronti delle imprese erogatrici o agli interessi dei consumatori e dei
produttori nei confronti delle grandi concentrazioni monopolistiche.
In secondo luogo, l’alta qualificazione tecnica e l’indipendenza
delle autorità, che si è tradotta in una spiccata “autonomia” dal governo e
dai soggetti imprenditoriali dei settori interessati.
In terzo luogo, infine, la commistione di poteri e di funzioni
(amministrative, normative e di decisione) assolutamente nuova ed
eccezionale rispetto al passato.
Successivamente all’istituzione della Interstate Commerce
Commission,viene creata, nel 1914, la Federal Trade Commission in
materia di antitrust, ovvero di regolamentazione della concorrenza e del
mercato. Al primo periodo di funzionamento a pieno regime delle
agenzie indipendenti, tuttavia, segue, negli anni ’20, una fase di
indebolimento dovuta al dominio incontrastato degli imprenditori privati
che, limitando fortemente la disciplina pubblica dell’economia, da una
parte, non consente alle agenzie di nuova istituzione
3
di assumere un
ruolo determinante e, dall’altra, deroga ai numerosi poteri conferiti dalla
legge alle agenzie preesistenti.
Negli anni ’30, però, in seguito alla crisi economica del 1929, si
ribaltano nuovamente gli equilibri tra il settore pubblico e quello privato:
ciò comporta una diversa regolamentazione pubblica del mercato,
sebbene secondo regole e parametri che vengono ulteriormente
3
Ad esempio la Federal Radio Commission, creata nel 1927 per la vigilanza delle
emittenti radiofoniche.
5
specificati nel 1946 con l’approvazione dell’Administrative Procedure
Act. Tale legge introduce delle garanzie procedimentali a favore delle
imprese e, in genere, dei destinatari dell’attività e dei poteri delle
agenzie
4
; contemporaneamente, anche i giudici mostrano nelle loro
decisioni, orientamenti favorevoli alle imprese “regolate”. Tutto questo
ha l’effetto di mitigare l’impatto delle attività delle agenzie sulle imprese
stesse.
Negli anni ’60, infine, si assiste al definitivo superamento della
contrapposizione tra gli interessi pubblici, la cui tutela è affidata alle
independent agencies, e gli interessi privati di settore: l’indipendenza
delle agenzie continua, infatti, ad essere considerata determinante per la
disciplina di certi ambiti, le procedure vengono sottoposte a nuove regole
e ulteriori independent agencies vengono istituite.
A partire dagli anni ’70, numerose autorità indipendenti vengono
istituite, finalmente, anche nei sistemi amministrativi di diversi paesi
europei
5
.
Si assiste innanzitutto in Francia alla nascita di istituzioni molto
simili a quelle del modello statunitense per funzioni, caratteri, finalità; il
panorama si presenta vasto e multiforme: dalla Commissione delle
operazioni di borsa al Consiglio della concorrenza con funzioni
antitrust, dalla Commissione di accesso ai documenti amministrativi, al
Consiglio superiore per i mezzi di comunicazione audiovisiva.
4
Tra i correttivi introdotti dall’Atto del ’46 vi è la previsione di un contraddittorio
orale per talune decisioni quasi giudiziali e la possibilità per gli interessati di
presentare le proprie deduzioni scritte prima dell’adozione di norme regolamentari.
5
Cfr. D'Alberti M., Autorità indipendenti (dir. amm.), 1995, voce, in Enciclopedia
Giuridica Italiana Treccani, volume IV, Roma, 1988; De Benedetto M., L'autorità
garante della concorrenza e del mercato, ed. Il Mulino, pp. 15 ss.
6
Si tratta di autorità la cui indipendenza è garantita dalle procedure
di nomina dei propri vertici attraverso l’ingerenza di organi quali il
Parlamento e che non sono sottoposte, in ogni caso, ad alcuna forma di
subordinazione gerarchica o di sottoposizione amministrativa. Anche in
questo caso assistiamo, inoltre, alla commistione di poteri di proposta, di
raccomandazione, di decisione amministrativa e paragiurisdizionale
propria già del modello americano.
Anche in Gran Bretagna, nello stesso periodo, si registra
un’espansione di autorità amministrative autonome rispetto al governo e
con caratteristiche analoghe a quelle sinora analizzate. E, tuttavia, si
tratta di un fenomeno non completamente nuovo, ma che segna,
piuttosto, l’istituzionalizzazione di una tradizione di autorità indipendenti
o semi-indipendenti già esistenti nel territorio britannico in cui, però, era
preponderante l’esercizio di funzioni ordinarie di giustizia, a differenza
delle autorità di più recente istituzione titolari, invece, anche di potestà
amministrative e normative.
Istituzioni indipendenti conformi al modello americano e, quindi,
francese ed inglese hanno avuto corso, infine, anche in Germania,
Spagna e Italia.
Nell’ordinamento italiano, in particolare, vengono introdotte,
negli ultimi venti anni, varie autorità: nel 1974 nasce la Consob, la
Commissione nazionale per la società e la borsa il cui ruolo di protezione
degli interessi dei soggetti più deboli del settore si ritrova nella tutela
degli investitori nei confronti delle società emittenti quotate in borsa e
delle società di intermediazione mobiliare.
7
L’indipendenza della Consob dal Governo è assicurata dalla
procedura di nomina dei commissari con delibera del Consiglio dei
Ministri, ma su parere vincolante delle commissioni parlamentari
competenti.
Anche la Consob, infine, dispone, come tutte le autorità di stampo
americano e, ora, europeo, della tipica triplicità di poteri amministrativi,
regolamentari, quasi giudiziali
6
.
Il panorama delle autorità indipendenti italiane è, comunque,
molto vasto; è possibile citare alcune delle più importanti: il Garante per
la radiodiffusione e l’editoria
7
, la Commissione di garanzia per
l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali
8
,
l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato
9
, il Garante della
privacy
10
, il Garante delle telecomunicazioni
11
.
In ognuna di esse ricorrono le caratteristiche sinora descritte,
sebbene in parte differenti dal modello americano e plasmate sulla base
del settore e delle esigenze cui l’attività di ogni autorità si riferisce. È
diverso, prima di tutto, il contesto dei soggetti regolati dalle autorità;
mentre, negli Stati Uniti, i referenti dell’attività di regolazione sono,
infatti, in massima parte, imprese private, in Europa, tale attività si
indirizza anche verso una buona porzione del settore pubblico,
imprenditoriale e burocratico.
6
Cfr. D'Alberti M., op. cit.
7
Istituito con legge 6 agosto 1990, n. 223.
8
Istituita con legge 12 giugno 1990, n. 146.
9
Istituita con legge 10 ottobre 1990, n. 287.
10
Istituito con legge 31 dicembre 1996, n. 675.
11
Istituito con legge 31luglio 1997, n. 249.
8
In secondo luogo, nel sistema amministrativo europeo, è
differente anche l’inserimento dei modelli organizzativi delle
independent agencies poiché, diversamente dal sistema americano in cui
costituiscono la regola, in esso sono, invece, un’eccezione.
In terzo luogo, i poteri conferiti dalla legge alle autorità
statunitensi sono in molti casi più ampi e penetranti di quelli riconosciuti
alle corrispondenti autorità indipendenti dei sistemi europei. In questi
ultimi sono meno estesi, in particolare, i poteri decisori che, da sempre,
costituiscono, invece, negli Stati Uniti la caratteristica fondamentale.
9
2. La legge 10 Ottobre 1990, n° 287 istituisce l’Autorità Garante
della concorrenza e del mercato: i lavori preparatori e la ratio
della disciplina finale
L’Autorità Garante della concorrenza e del mercato è, in Italia,
una conquista di recente memoria, frutto della prima, vera, normativa
antitrust del nostro paese: la legge 287 del 1990.
Con un ritardo di ben un secolo rispetto alla creazione del regime
di tutela della concorrenza negli Stati Uniti attraverso l’emanazione dello
Sherman Act (1890), anche l’Italia approda, 50 anni dopo il resto
dell’Europa, ad una regolamentazione della materia
12
.
Per molto tempo, infatti, si è ritenuto che l’unico modo per
coniugare il principio di libertà di iniziativa economica privata e la tutela
del pubblico interesse fosse quello di affermare, da un lato, la libertà di
concorrenza e, dall’altro, la facoltà dello Stato di intervenire, ogni volta
che fosse necessario, per limitare o escludere quella stessa libertà. Ed,
infatti, il quadro normativo italiano presenta una connotazione
prevalentemente negativa, tesa a configurare ipotesi di concorrenza
sleale e a vietarla e limitarla, anche nei casi in cui sia lecita, per ragione
di pubblico interesse. Gli artt. 2595-2601 del codice civile oggi vigente
contengono, infatti, l’enunciazione dei limiti legali e contrattuali della
concorrenza, l’indicazione degli obblighi spettanti a chi si trovi in una
situazione di monopolio di un settore di mercato, l’individuazione,
infine, degli atti di concorrenza sleale e delle sanzioni che ne
conseguono.
12
Cfr. Mangini V., La vicenda dell'antitrust: dallo Sherman Act alla legge italiana n.
287/90, in "Rivista di dir. industriale", 1995, pp. 175 ss.
10
La Costituzione stessa, all’art. 41, dopo aver sancito la libertà di
iniziativa economica privata, ne limita la portata a beneficio dell’utilità
sociale e dell’interesse pubblico
13
.
È proprio questa funzione, centrale ed attiva, svolta
dall’intervento pubblico nelle dinamiche di mercato ad avere rallentato,
dunque, il procedimento di formazione di una normativa di settore.
Solo di recente, in un contesto economico, culturale e
internazionale
14
profondamente mutato, la riproposizione della questione
ha trovato finalmente terreno fertile per l’emanazione di un regime
specifico, la l. 287/90: “il perseguimento dell’efficienza produttiva e
allocativa rappresenta la motivazione economica per l’introduzione di
una legislazione a tutela della concorrenza”
15
.
Con la nuova normativa antitrust, infatti, il legislatore, non solo
interviene per la prima volta a tutelare con norme di diritto pubblico la
libera competizione dei soggetti economici nel mercato, ma realizza,
congiuntamente, la protezione degli interessi individuali allo
svolgimento non falsato della concorrenza (così come dispone l’art. 41
Cost.) e la protezione degli interessi collettivi degli utenti e dei
consumatori al rispetto delle regole del libero mercato, garantendo così
l’efficienza del sistema economico nel suo complesso.
13
Cfr. Borgogni S., Normativa antitrust e regolazione del mercato, in "Diritto
Pubblico dell'Economia" a cura di Giusti M., ed. Cedam, 1994; Malinconico C., La
disciplina della concorrenza e del mercato, in "Persona e Mercato" a cura di Vettori
G., ed. Cedam, 1996.
14
Si considerino, in particolare, gli artt. 81-82 (ex 85-86) del Trattato istitutivo della
CE (25 Marzo 1957, così come modificato dal titolo II del Trattato di Maastricht 7
Febbraio 1992) recanti le c.d. “regole di concorrenza” che introducono a livello
comunitario norme relative al mercato comune e al libero gioco della concorrenza
medesima.
15
Cfr. Autorità garante della concorrenza e del mercato, Relazione annuale al
Presidente del Consiglio dei Ministri, 30.04.1991, p. 1.
11
È proprio rispetto allo scopo finale della disciplina che, oggi, in
Italia, si incentiva una tutela della concorrenza “flessibile”, ossia tesa non
a proibire, in astratto, qualsiasi restrizione del mercato, ma a valutare
concretamente le caratteristiche di ciascuna operazione
16
.
Un primo approccio al problema relativo alla mancanza di una
disciplina di settore, si ebbe tra il 1977 e il 1983 con la proposta di due
ipotesi di normativa
17
a tutela della concorrenza, aventi come dato
comune l’attribuzione della funzione di vigilanza sul settore ad
istituzioni costituite ad hoc ma non ancora contrassegnate da un
particolare grado di indipendenza.
A questo iniziale intervento seguì il progetto di creazione di una
vera e propria Autorità indipendente (c.d. Alta Autorità), autonoma
rispetto al Governo e caratterizzata da una elevata qualificazione tecnica,
redatto dalla X Commissione permanente del Senato nel 1988.
Nello stesso anno ad arricchire e completare il dibattito politico vi
fu, infine, la presentazione di altri due disegni di legge, di matrice
parlamentare, uno, e di matrice governativa, l’altro
18
; le differenze
principali tra essi attenevano, in particolar modo, alla qualificazione
istituzionale e alla collocazione nel sistema delle autorità garanti che
entrambi i progetti ponevano a presidio della normativa.
L’elemento essenziale di discriminazione tra i due tipi di autorità
amministrative era costituito, infatti, dalla diversa indipendenza
riconosciuta ad ognuna di esse dai rispettivi disegni di legge (maggiore
16
Cfr. Borgogni S., op. cit., p. 335.
17
Si tratta della proposta redatta dalla Confindustria per la definizione di uno statuto
di impresa e della relazione e disegno di legge presentati dalla Commissione Ferri
presso la Camera dei Deputati.
18
I disegni di legge in questione furono, rispettivamente, il n. 1012 presentato dal sen.
Rossi e il n. 1240 presentato dal ministro Battaglia.
12
in quello governativo, decisamente ridotta in quella parlamentare)
e dai differenti poteri spettanti a tali soggetti (di indagine e autoritativi
nel progetto governativo, meramente consultivi nel progetto
parlamentare)
19
. L’indubbio fermento suscitato dal vivace dibattito di
quegli anni, unitamente al progredire degli impegni assunti con
l’ingresso e la partecipazione alla Comunità europea, oltre che la
necessità di realizzare un sistema integrato di tutela, coordinando norme
e istituzioni a livello nazionale con quelle a livello comunitario, hanno
portato all’emanazione della legge 287/90 che oggi rappresenta la
disciplina principale in materia di concorrenza.
2.1. L’ambito di applicazione e l’analisi delle fattispecie sostanziali
individuate dal legislatore del ’90
L’intervento del legislatore attraverso l’emanazione della l.
287/90 si realizza nell’ambito di applicazione delineato dai limiti posti
dalla normativa comunitaria
20
e, in particolare, dal trattato istitutivo della
CE sul quale, come sappiamo, si modella la normativa italiana.
Le fattispecie oggetto di disciplina sono, principalmente, tre: la
creazione di intese lesive dell’andamento del mercato, l’abuso di
posizione dominante, le operazioni di concentrazione tra imprese. Con
riferimento ad esse la normativa comunitaria subentra a quella nazionale
in alcuni casi:
19
Cfr. De Benedetto M., op. cit., pp. 59 ss.
20
E’ così esplicitamente codificato dal 1° comma dell’art. 1 della l. 287/90: “le
disposizioni della presente legge…si applicano alle intese, agli abusi di posizione
dominante e alle concentrazioni di imprese che non ricadono nell’ambito di
applicazione degli articoli 65 e/o 66 del Trattato istitutivo della Comunità europea del
carbone e dell’acciaio, degli articoli 85 e/o 86 del Trattato istitutivo della Comunità
europea…”.
13
1) per quanto riguarda le intese, quando esse pregiudicano il
commercio tra gli Stati membri (nel qual caso si ritiene che debbano
rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 85 del Trattato CE);
2) per ciò che concerne l’abuso di posizione dominante, quando
tale abuso pregiudichi il mercato comune europeo (nel qual caso si
ritiene opportuno applicare l’art. 86 del suddetto Trattato);
3) per quanto attiene, infine, alle operazioni di concentrazione,
quando esse assumano una portata “comunitaria” tale da influenzare i
rapporti tra gli Stati membri
21
.
Le fattispecie normative nazionali presentano, inoltre, una
spiccata identità rispetto a quelle comunitarie, accentuata anche dal
criterio ermeneutico dettato dal quarto comma dell’art. 1 della legge n.
287, in base al quale le norme sostanziali di essa devono essere
interpretate “in base ai principi dell’ordinamento delle comunità europee
in materia di disciplina della concorrenza”.
In tal modo la normativa italiana si uniforma completamente a
quella comunitaria, sia dal punto di vista astratto della formulazione delle
fattispecie sostanziali, sia dal punto di vista della loro interpretazione ed
applicazione al caso concreto, diversa solo, quindi, per l’estensione
geografica (nazionale o comunitaria) degli effetti
22
.
E finalità di coordinamento persegue, ancora, il c.d. principio
della “barriera unica” adottato esplicitamente dall’Italia: esso esclude che
le stesse fattispecie sottoposte all’ordinamento della CEE e della CECA
siano disciplinate, una seconda volta, a livello nazionale. E’ previsto,
21
Cfr, Borgogni S., op. cit., pp. 336-337.
22
Cfr. Clarich M. e Marrone I., Concorrenza: Autorità garante della concorrenza e
del mercato, 1995, voce, in Enciclopedia Giuridica Italiana Treccani, volume VII,
Roma, 1988.
14
anzi, che l’Autorità antitrust italiana informi la Commissione europea
qualora si imbatta in fattispecie rilevanti ai sensi del trattato e che venga,
addirittura, sospesa l’istruttoria nazionale quando “risulti già iniziata una
procedura presso la Commissione…salvo che per gli eventuali aspetti di
esclusiva rilevanza nazionale” (art.1, 2°comma, l. 287)
23
.
Una questione generale che potrebbe avere ripercussioni
sull’applicabilità dell’intera disciplina antitrust è, poi, quella relativa alla
nozione di impresa. La l. 287/90, infatti, fa riferimento a tale concetto
ogni volta che parla di intese, di abusi di posizione dominante, di
operazioni che comportano concentrazioni.
Nell’ordinamento giuridico italiano la definizione di impresa si
ricava implicitamente dall’art. 2082 del codice civile che delinea, in
realtà, la figura dell’imprenditore. Tuttavia, ai fini dell’applicazione della
disciplina antitrust, appare troppo riduttivo il riferimento all’art. 2082
c.c., poiché si ritiene, in primo luogo, che limitare a tale norma l’ambito
di applicazione della legge, significherebbe consentire una facile
elusione della disciplina da parte di tutti quei soggetti giuridici che non
rientrano esattamente nei parametri forniti dal codice; e, in secondo
luogo, si ritiene che si verificherebbe un inaccettabile contrasto con la
prescrizione dell’art. 1, 4°co. della l. 287, il quale impone
un’interpretazione delle norme della suddetta legge alla luce dei principi
e della prassi comunitari che, in tal caso, si riferiscono ad una più ampia
nozione di impresa.
I principali organi della CE, quali la Commissione e la Corte di
Giustizia, infatti, hanno elaborato un concetto di impresa ben più vasto di
quello contemplato dall’ordinamento italiano e fondato esclusivamente
sul carattere economico dell’attività (e non anche “professionale” né
23
Cfr. Spolidoro, La disciplina antitrust in Italia, in Riv. Soc. 1990, vol. II, p. 1293.
15
finalizzato allo scambio o alla produzione di beni o servizi) e
sull’esistenza di una reale concorrenza
24
.
L’ambito di applicazione della l. n. 287 risulta ulteriormente
ampliato, poi, dalla previsione dell’art. 8 che estende la portata della
disciplina anche alle “imprese pubbliche o a prevalente partecipazione
statale”, escludendo soltanto quelle che, “per disposizioni di legge,
esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero
operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto ciò che è
strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro
affidati”
25
.
Bisogna riconoscere che l’art. 8 opera un’importante estensione
della disciplina antitrust, vista, soprattutto, la massiccia diffusione
dell’impresa pubblica nel nostro Paese e, parimenti, la tendenza da parte
della stessa all’inosservanza delle regole di condotta finalizzate al
rispetto della libera concorrenza
26
.
Le fattispecie sostanziali disciplinate dalla l. 287/90 sono
essenzialmente tre: le intese, l’abuso di posizione dominante, le
concentrazioni.
L’art. 2 disciplina, innanzitutto, le “intese restrittive della libertà
di concorrenza”; esso specifica che “sono considerati intese gli accordi
e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni…di
consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari”.
24
Cfr. Clarich M. e Marrone I., op. cit., pp. 2-3.
25
Cfr. art. 8, 2° co. l. 287/90.
26
Si noti che gran parte dei casi di abuso di posizione dominante riscontrati finora
dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato riguardano imprese pubbliche
oppure “settori in cui le imprese sono indotte dalla normativa vigente ad assumere
comportamenti discriminatori nei confronti di altre imprese o ad estendere la propria
posizione di monopolio su mercati contigui” (Relazione annuale dell’Autorità Garante
del 1995).
16
Circa la portata e l’interpretazione dell’art. 2 di questa legge è
importante riferirsi alla sentenza della Cassazione del 1° febbraio 1999 n.
827, la quale, emanata in seguito al ricorso per violazione e falsa
applicazione dello stesso art. 2, chiarisce il significato da attribuire al
termine “intese” e l’applicabilità temporale delle disposizioni della legge
antitrust medesima.
Il legislatore, infatti, precisa la Cassazione, allorché dispone la
nullità ad ogni effetto delle intese restrittive della concorrenza (art. 2, 3°
co.), ha voluto riferirsi, non solo alle intese in quanto contratti in senso
tecnico, ovvero negozi giuridici caratterizzati dall’incontro della volontà
di due o più parti, ma ha voluto proibire “il fatto della distorsione della
concorrenza, in quanto conseguenza di un perseguito obiettivo di
coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche: il che può
essere frutto di comportamenti non contrattuali”
27
.
Rileva, in tal modo, qualsiasi comportamento di fatto tenuto con
la consapevole partecipazione di almeno due imprese e perfino ogni
fattispecie in cui “il meccanismo di intesa rappresenti il risultato del
ricorso a schemi giuridici meramente unilaterali”.
Da tale pronuncia della Cassazione, dunque, consegue che il
legislatore non abbia voluto dare rilevanza solo all’eventuale negozio
giuridico dal quale scaturisce tutta la successiva sequenza di
comportamenti, ma abbia voluto colpire la fattispecie nel suo complesso,
anche se successiva al negozio. Ciò significa che, qualora un accordo tra
due o più imprese lesivo della concorrenza, sia stato posto in essere
prima dell’entrata in vigore della legge del ’90, fatto salvo il principio
per il quale “tempus regit actum” (e quindi l’intangibilità di quel fatto
originario e di ogni effetto verificatosi antecedentemente all’entrata in
27
Cfr. Sent. Corte di Cassazione, sez. I, 1° febbraio 1999 n. 827.
17
vigore della nuova disciplina), “rientrano comunque sotto la normativa in
questione tutte le vicende successive del rapporto che realizzano profili
di distorsione della concorrenza”
28
.
Il legislatore, dunque, non vieta le intese in quanto tali, ma si
preoccupa di individuare e, conseguentemente, proibire quelle che,
secondo l’interpretazione estensiva appena sottolineata, impediscano,
restringano o falsino in modo consistente il libero gioco della
concorrenza; tra queste, l’art.2, 2° co. ne individua alcune, tra cui: la
fissazione concordata di prezzi o altre condizioni contrattuali, la
limitazione della produzione, la ripartizione dei mercati, l’applicazione di
condizioni contrattuali discriminatorie, ecc.. L’elencazione, comunque,
non è tassativa
29
.
L’ultimo comma dell’art. 2 prevede, infine, che “le intese vietate
sono nulle ad ogni effetto”.
Tuttavia, in base all’art. 4, le intese vietate ai sensi della
precedente disposizione, qualora diano luogo a miglioramenti dell’offerta
sul mercato e della qualità dei prodotti, ad un sostanziale beneficio per i
consumatori legato all’aumento della produzione e ad un progresso
tecnico o tecnologico, possono essere eccezionalmente autorizzate, per
un periodo limitato di tempo, dall’Autorità garante della concorrenza e
del mercato istituita dall’art. 10 della stessa legge 287.
L’Autorità potrà, ovviamente, revocare, previa diffida, il
provvedimento di autorizzazione emanato, qualora mutino i presupposti
che ne costituiscono il fondamento o qualora il beneficiario ne abusi.
28
Cfr. Sent. Corte di Cassazione, sez. I, 1° febbraio 1999 n. 827.
29
Cfr. Malinconico C., op. cit., p. 69.