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CAPITOLO I
L’ORGANIZZAZIONE DELL’UFFICIO DEL PUBBLICO MINISTERO
1.1 L’autonomia interna ed esterna del pubblico ministero
L’espressione “pubblico ministero” designa un complesso di uffici pubblici che
rappresentano nel procedimento penale l’interesse generale dello Stato alla
repressione dei reati. Il pubblico ministero non è un organo unitario, bensì è
frazionato in tanti uffici ciascuno dei quali svolge le sue funzioni, di regola, soltanto
davanti all’organo giudiziario presso cui è costituito (art. 51, comma 3 c.p.p.).
Attualmente le funzioni svolte dal pubblico ministero sono indicate
nell’ordinamento giudiziario. In particolare, il pubblico ministero:
• “veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della
giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli
incapaci” (art. 73 ord. giud.).
• “promuove la repressione dei reati” (art. 73 ord. giud.) svolgendo le indagini
necessarie per valutare se chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione.
• “esercita l’azione penale” nel caso in cui non debba chiedere l’archiviazione,
quando cioè dalle indagini emergono elementi idonei a sostenere l’accusa in
giudizio (art. 50, comma 1 c.p.p.).
• “fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice, nei casi
stabiliti dalla legge” (art. 73 ord. giud).
Analizzando in dettaglio la disciplina, lo statuto del pubblico ministero ha subito,
negli ultimi sessant’anni, una radicale trasformazione. Originariamente, la materia
era disciplinata dal r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, e s i c a r a t t e r i z z a v a p e r u n a
dipendenza gerarchica dell’ufficio e dalla subordinazione dei magistrati requirenti
al Ministro della Giustizia. Secondo l’art. 69 “il pubblico ministero esercita, sotto
la direzione del Ministro, le funzioni che la legge gli attribuisce”.
La subordinazione dei magistrati requirenti prevedeva, sul lato esterno, la
dipendenza degli uffici di procura direttamente dal Ministro della Giustizia, e sul
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lato interno, l’attribuzione diretta ed esclusiva al Procuratore capo di tutte le
funzioni spettanti all’ufficio che potevano essere esercitate direttamente o tramite i
“dipendenti magistrati” secondo la formula originaria dell’art. 70 ord. giud.
La dipendenza gerarchica dall’esecutivo viene interrotta con l’entrata in vigore del
r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, adottato dal Ministro della Giustizia Togliatti, il cui
art. 39 abroga la precedente formulazione dell’art. 69 ord. giud. e la sostituisce con
la formula secondo la quale “il pubblico ministero esercita, sotto la vigilanza del
Ministro della Giustizia, le funzioni che la legge gli attribuisce”. Il testo modificato
dell’art. 69, costituisce la norma chiave sulla quale si è successivamente edificato
il regime di autonomia esterna del magistrato requirente, in quanto fa venir meno
la dipendenza gerarchica degli uffici di procura rispetto al Ministro e determina
l’equiparazione tra il giudice ed il pubblico ministero sul piano dell’indipendenza
dagli altri poteri statuali.
Nel dibattito che si è svolto durante i lavori dell’Assemblea Costituente è prevalsa
la posizione in favore dell’indipendenza dell’organo requirente, tesi espressa
dall’on. Calamandrei, sul presupposto che l’indipendenza esterna del pubblico
ministero sia un corollario ineludibile del principio di obbligatorietà dell’azione
penale.
Dalla lettura combinata con altre norme costituzionali emerge come la Costituzione
abbia inteso accumunare il pubblico ministero alle garanzie di indipendenza esterna
ed allo status previsto per la magistratura giudicante.
La Corte Costituzionale è intervenuta numerose volte per affermare il principio di
autonomia esterna del pubblico ministero alla luce degli artt. 107 e 112 Cost.,
precisando il significato e l’ambito di garanzia che la Costituzione assicura alla
magistratura requirente ed affermando che, questa, in base all’art. 107 “è fornita di
istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere, con garanzia
costituzionale” e che “l’obbligatorietà dell’azione penale costituisce la garanzia
essenziale dell’indipendenza del pubblico ministero”.
Con riguardo alla c.d. indipendenza interna delle funzioni requirenti, è
l’ordinamento giudiziario che determina l’ambito di effettiva autonomia di ciascun
magistrato del pubblico ministero rispetto al potere di condizionamento attribuito
al Procuratore capo, in un’ottica nella quale, l’esercizio della funzione da parte del
7
magistrato requirente, a differenza di quanto avviene per la funzione giudicante,
subisce una significativa interferenza sul piano organizzativo degli uffici. La
principale differenza rispetto alla funzione giudicante sta nel fatto che, ai sensi
dell’art. 107, comma 4 Cost., “il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite
nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”: si tratta di una
peculiarità attinente l’organizzazione gerarchica, che, viceversa, è assente
all’interno degli uffici del giudice.
1
A tutela dello status di pubblico ministero sono previste numerose garanzie a livello
costituzionale, in particolare: egli, in quanto magistrato, è inamovibile nel grado e
nella sede (art. 107 Cost.); è nominato a seguito di pubblico concorso (art. 106,
comma 1, Cost.); i provvedimenti disciplinari e le promozioni che lo riguardano
sono deliberati dal Consiglio Superiore della Magistratura (art. 105 Cost).
2
1.2 Attribuzioni del Procuratore della Repubblica: la titolarità dell’azione
penale
L’attuale regime ordinamentale del pubblico ministero è definito dalla disciplina
introdotta con il d.lgs. 106/2006, sul quale si innestano le modifiche introdotte con
la l. 269/2006 proposte dal ministro Mastella. Il decreto legislativo si inserisce nel
più ampio quadro delle riforme dell’ordinamento giudiziario perseguite attraverso
la legge delega 25 luglio 2005, n. 150 (legge Castelli), approvata dopo un lungo
percorso parlamentare che ha coperto l’arco dell’intera legislatura 2001-2006.
1
Corte Cost., 16 marzo 1976, n. 52 : “le garanzie di indipendenza del pubblico ministero sancite, a
livello costituzionale, dall’art. 107, vengono rimesse, per la determinazione del loro contenuto, alla
legge ordinaria sull’ordinamento giudiziario. Le cui disposizioni non possono essere ritenute
illegittime se per alcuni momenti processuali, in cui è più pronunciato il carattere impersonale della
funzione, atteggiano a criteri gerarchici l’attività dell’organo. Infatti, a differenza delle garanzie di
indipendenza previste dall’art. 101 Cost. a presidio del singolo giudice, quelle che riguardano il
pubblico ministero si riferiscono all’ufficio unitamente inteso e non ai singoli componenti di esso”.
2
Degno di considerazione è quanto affermato dalla sentenza della Corte Cost. 3 febbraio 2000, n.
37: “la Costituzione, pur considerando la magistratura come un unico ordine, soggetto ai poteri
dell’unico Consiglio Superiore (art. 104), non contiene alcun principio che imponga o al contrario
precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti
rispettivamente alle funzioni giudicanti o a quelle requirenti, o che impedisca di limitare o di
condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua
carriera, dalle une alle altre funzioni”.
8
Il d.lgs. 106/2006 reca le disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del
pubblico ministero e il 1° ed il 2° comma dell’art. 1, costituiscono il fulcro culturale
dell’intervento riformatore voluto dal legislatore.
Secondo il primo comma il Procuratore è titolare esclusivo dell’azione penale e la
esercita nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge.
3
Il secondo comma, invece, statuisce che il Procuratore assicura il corretto, puntuale
ed uniforme esercizio dell’azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto
processo da parte del suo ufficio.
In queste due proposizioni si afferma il principio di gerarchia interna, quale regola
fondamentale sulla quale si innestano tutti i precetti secondari relativi all’esercizio
dell’azione penale, all’organizzazione dell’ufficio, ai rapporti tra i magistrati che lo
compongono e si enuncia la finalità alla quale il principio di gerarchia interna deve
essere sotteso: l’esercizio dell’azione penale in modo puntuale, uniforme e
rispettoso delle leggi, ed in particolare delle norme sul giusto processo.
La scelta di una strutturazione gerarchica del potere interno appare essere
giustificata dalla necessità di garantire una maggiore uniformità e legalità
nell’esercizio dell’azione che, si è ritenuto non fosse adeguatamente perseguibile
attraverso il precedente sistema organizzativo, basato sulla distribuzione del potere
e su una maggiore autonomia ed indipendenza interna dei magistrati dell’ufficio
rispetto al capo. Questo sistema appare ispirato al convincimento che solo evitando
la libertà incondizionata di ogni magistrato di muoversi come meglio crede, e solo
riconoscendo la necessità di un’organizzazione gerarchica degli uffici del pubblico
ministero, è possibile garantire il buon andamento della macchina giudiziaria e
l’effettività dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale
4
.
Quanto alle finalità che il Procuratore è tenuto a perseguire e garantire, nel concreto
esercizio dell’azione penale, si ritiene che il riferimento alla correttezza, alla
puntualità ed al rispetto delle norme sul giusto processo sia un generale richiamo ai
3
Nell’originaria formulazione del d.lgs. era previsto che il Procuratore capo, titolare esclusivo
dell’azione penale, la esercitasse, sotto la propria responsabilità, nei modi e nei termini fissati dalla
legge. L’inciso contenente il richiamo alla responsabilità personale è caduto a seguito dell’intervento
operato con la l. 269/2006.
4
G. SCARSELLI, La riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, in AA.VV., La legge di
riforma dell’ordinamento giudiziario, Foro.it, 2006, p.30.
9
canoni di stretta legalità ed imparzialità valutativa che delimitano la legittimità
dell’operato giudiziario di ogni magistrato, sia questi requirente o giudicante
5
.
Differente, invece, potrebbe essere il rilievo attribuibile al criterio dell’uniformità
nell’esercizio dell’azione penale, in quanto da più parti
6
è stato sollevato il dubbio
che questo possa essere interpretato non solo nel senso più ovvio e condivisibile ,
di ribadire il radicale divieto di disparità di trattamento in presenza di omogenee
situazioni di fatto e di diritto, quanto invece quale limite e preclusione di ogni
modulazione organizzativa delle risorse dell’ufficio finalizzata ad intensificare
l’azione investigativa e giudiziaria in ragione della maggior gravità o maggior
incidenza di alcune tipologie di condotta criminosa r i s p e t t o a d a l t r e , i n u n
determinato ambito temporale e territoriale.
Si teme che il criterio dell’uniformità dell’azione p o s s a d e l e g i t t i m a r e q u e l l e
iniziative virtuose che, nell’impossibilità oggettiva di trattare tutti i procedimenti
con eguali risorse, individuano criteri di priorità nella trattazione degli affari,
differenziando e graduando l’attività di contrasto nella fase delle indagini e
nell’assunzione delle iniziative inerenti l’esercizio dell’azione penale, in ragione
di diversi e articolati parametri, volte a contrastare con maggior efficacia alcune
condotte criminali particolarmente gravi.
In realtà queste preoccupazioni sono state fugate da due recenti delibere del
Consiglio Superiore della Magistratura, adottate in e p o c a i m m e d i a t a m e n t e
successiva al d.lgs. 106/2006, che ribadiscono la legittimità dei criteri di priorità
adottati dai dirigenti degli uffici.
Con la prima delibera, del 9 novembre 2006
7
, il Consiglio Superiore, afferma che i
dirigenti degli uffici possono e devono adottare iniziative e provvedimenti idonei a
razionalizzare la trattazione degli affari e l’impiego delle risorse disponibili,
attraverso scelte organizzative adottate nel rispetto del principio di obbligatorietà
dell’azione penale e di soggezione di ogni magistrato esclusivamente alla legge,
5
G. MELILLO, L’organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, in AA.VV., Il Nuovo
Ordinamento Giudiziario, a cura di D. CARCANO, Milano, Giuffrè, 2006, p.239.
6
In tal senso: G. MELILLO, op. cit., p.239 ss.; G. SANTALUCIA, Il pubblico ministero, in
Questione giustizia, 2006, n.1, p.108.
7
CSM, risoluzione del 9 novembre 2006, relativa a nt. del 12 settembre 2006, del Ministro della
giustizia riguardante la possibilità di differenziare, rispetto agli altri, la tempistica dei processi penali
destinati ad esaurirsi senza la concreta inflizione di una pena ricorrendo il beneficio dell’indulto.
10
che rispondano ai principi di buon andamento e di imparzialità
nell’amministrazione della giustizia.
Con la seconda delibera, del 15 maggio 2007
8
, il Consiglio prende in esame
circolari e direttive emanate da alcuni dirigenti degli uffici di Procura, mediante le
quali vengono stabiliti criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti penali in
conseguenza della l. 241 del 31 luglio 2006, relativa alla concessione dell’indulto.
In tale delibera, il Consiglio ribadisce la persistente legittimità dei criteri
organizzativi che, sulla base dell’elevato numero degli affari da trattare e delle
risorse umane e materiali disponibili, esplicitino le scelte di intervento adottate per
pervenire a risultati possibili ed apprezzabili.
Si afferma che tali iniziative organizzative non solo non presentano profili di
contrasto con i principi costituzionali, ma si dimostrano compatibili anche con le
nuove regole ordinamentali definite per l’ufficio di Procura, in quanto assicurano
predeterminazione, trasparenza ed uniformità nell’esercizio dell’azione penale,
secondo la previsione di cui all’art. 1, 2° co., d.lgs. 106/2006
9
.
1.3 Designazione del vicario e attribuzione di deleghe ai Procuratori aggiunti
I commi 3°, 4° e 5° dell’art. 1, d.lgs. 106/2006 disciplinano le attribuzioni del
Procuratore capo con riguardo al vicario ed ai Procuratori aggiunti.
Il 3°comma prevede che il Procuratore capo possa designare un vicario scegliendolo
tra i Procuratori aggiunti; quest’ultimo eserciterà le funzioni direttive in caso di
assenza o di impedimento del Procuratore o nel caso in cui l’incarico del capo
dell’ufficio rimanga vacante.
8
CSM, delibera del 15 maggio 2007, relativa a pratica avente ad oggetto l’esame delle possibili
conseguenze sul piano ordinamentale della circolare del Procuratore della Repubblica di Torino
58/07 SP, e delle altre direttive emanate dai dirigenti degli Uffici di Procura (segnatamente quelli di
Palermo e Busto Arsizio) in tema di trattazione dei procedimenti in conseguenza dell’applicazione
dell’indulto.
9
Concorda con tale orientamento V. BORRACCETTI, Il dirigente dell’ufficio di procura dopo la
riforma dell’ordinamento giudiziario, in Questione giustizia, 2008, n.1, p.16, il quale però evidenzia
che i criteri di priorità non possono che essere definiti attraverso procedure partecipate con il
coinvolgimento di tutti gli uffici che devono intervenire nel procedimento penale e non devono
consistere in una scelta discrezionale dell’ufficio di procura, anche perché sarebbe irrazionale che
una scelta di priorità compiuta per la fase delle indagini fosse sconosciuta o venisse disattesa nelle
fasi successive del giudizio.
11
Il Consiglio però, con delibera del 20 dicembre 2005, relativa alle disposizioni in
materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, ha evidenziato che
la designazione di un vicario è prevista per i soli casi di assenza o impedimento,
non anche per l’ipotesi di vacanza; in quest’ultimo caso ci sarebbe un vizio di
eccesso di delega.
La nomina del vicario si presenta come un’attribuzione di carattere fiduciario e deve
essere assistita da una serie di garanzie procedurali, quali: l’obbligo di motivazione
della scelta, che espliciti le ragioni in base alle quali viene accordata preferenza in
relazione alle doti di esperienza ed attitudine all’esercizio delle funzioni direttive,
nonché l’obbligo di comunicazione della designazione al Consiglio Superiore.
Il 5°comma dell’art. 1 prevede la possibilità che il Procuratore stabilisca, in via
generale o per i singoli atti, i criteri ai quali il vicario dovrà attenersi nell’esercizio
delle funzioni.
Manca invece ogni indicazione relativa a modalità e condizioni di revoca della
designazione del vicario. Un richiamo ai principi generali consente di ritenere che,
la designazione debba essere revocata con un provvedimento motivato, quando vi
sia violazione dei criteri e delle direttive impartite, ovvero quando insorga un
contrasto circa le modalità di esercizio dei poteri vicari.
Il 4°comma dell’art. 1 prevede che il Procuratore possa delegare, ad uno o più
Procuratori aggiunti, ovvero ad uno o più magistrati addetti all’ufficio, la cura di
specifici settori di affari, individuati con riguardo ad aree omogenee di
procedimenti, ovvero ad ambiti di attività dell’ufficio che necessitano di uniforme
indirizzo (cc.dd. deleghe autorizzative). Con tale formula si è inteso fare riferimento
non solo al coordinamento dei pool investigativi specialistici, ma anche a tutti quei
settori di attività che, pur non facendo riferimento a procedimenti penali, debbano
essere gestiti secondo criteri uniformi, quali il casellario giudiziale, l’esecuzione
penale ed i correlativi rapporti con il Tribunale di sorveglianza, il centro
intercettazioni telefoniche con riguardo all’utilizzo uniforme delle risorse tecniche
e finanziarie, gli affari civili, eccetera.
Questa disposizione ha sollevato dubbi circa la discrezionalità del Procuratore capo
nella scelta in ordine all’opportunità o meno di conferire le deleghe per il
coordinamento ad uno o più sostituti, preferendoli agli aggiunti in servizio presso
12
l’ufficio. Inoltre, è desumibile dall’intero sistema normativo, l’obbligo di
motivazione e di comunicazione al Consiglio delle deleghe conferite per una
maggiore garanzia in favore dell’esercizio ragionevole dei poteri discrezionali
attribuiti al Procuratore.
Il successivo 5° comma prevede, invece, la possibilità che il Procuratore, in
occasione della delega conferita all’aggiunto, stabilisca, in via generale o per i
singoli atti, i criteri ai quali i delegati si dovranno attenere nell’esercizio delle
relative funzioni.
Dalla lettura dei commi 3° e 4° si desume il potere del Procuratore capo di
coinvolgere altri magistrati nella gestione dell’ufficio, attraverso la “designazione”
tra i procuratori aggiunti, di un vicario destinato a svolgere le funzioni in caso di
assenza o impedimento, o attraverso la “delega” a uno o più dei magistrati addetti
all’ufficio, della cura di specifici settori di affari. Il decreto delegato distingue tra
“designazione” e “delega”, ove si tenga conto della pa r tic olar e posizione de l
“vicario”, che è chiamato a svolgere le sue funzioni in piena autonomia, in una
posizione simile a quella del suo designante (Procuratore capo), al contrario, il
“delegato” non ha analoga autonomia, giacché il delegante, nel conferirgli, in toto
o in parte, l’esercizio dei propri poteri, di questi ne conserva la piena titolarità.
Il 6°comma costituisce l’esplicazione del potere di organizzazione del Procuratore,
sia con riguardo al funzionamento dell’ufficio, sia c o n r i g u a r d o a i c r i t e r i d i
assegnazione degli affari.
Il 7° comma, da ultimo, stabilisce che tutti i provvedimenti devono essere trasmessi
al Consiglio Superiore della Magistratura.
1.4 Il potere di organizzazione dell’ufficio: l’assegnazione dei procedimenti
Il decreto delegato 106/2006 ha inteso organizzare la disciplina attuativa
distinguendo tra le attribuzioni del Procuratore della Repubblica attinenti il profilo
organizzativo dell’ufficio e le attribuzioni concernenti l’esercizio dell’azione
penale e le attività ad esso correlate. In tema di assegnazione dei procedimenti,
l’impianto originario contenuto nel d.lgs. 106/2006 è stato modificato con la l. 269
del 24 ottobre 2006, che ha eliminato ogni riferimento alla responsabilità personale
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del Procuratore in relazione all’esercizio dell’azione penale, ha sostituito la delega
con l’assegnazione al fine di indicare la natura del provvedimento con il quale
vengono distribuiti gli affari ai sostituti, ha modificato la disciplina dettata per la
revoca, eliminando l’obbligo di trasmissione del provvedimento e delle eventuali
osservazioni al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione.
Alla disciplina delle assegnazioni degli affari e dei procedimenti è dedicato l’art.
2, d.lgs. 106/2006, che ha ad oggetto specificamente la titolarità dell’azione penale.
Il 1°comma dispone che il Procuratore rimane titolare esclusivo dell’azione penale,
che la può esercitare personalmente ovvero assegnare il relativo procedimento a
uno dei magistrati dell’ufficio, o a più di essi congiuntamente. L’assegnazione a
uno o più magistrati addetti all’ufficio, integra un potere di “delega” che potrà
riguardare non soltanto la trattazione di uno o più procedimenti, ma anche il
compimento di singoli atti di essi. Mentre la delega di cui all’articolo 1, comma 4°
del decreto, ha per oggetto l’organizzazione, la gestione e l’amministrazione
dell’ufficio, quella di cui trattasi ha ad oggetto l’attività giudiziaria: ergo, le
indagini, l’esercizio dell’azione penale, la trattazione dei procedimenti penali
ovvero il compimento di singoli atti di questi.
Il comma 4° attribuisce al Procuratore della Repubblica il potere di determinare i
criteri per l’organizzazione dell’ufficio e per l’assegnazione dei procedimenti ai
Procuratori aggiunti e ai sostituti Procuratori addetti all’ufficio, con l’obbligo di
precisare per quali tipologie di reato riterrà di adottare meccanismi di natura
automatica.
Dalla lettura sistematica delle norme enucleate emerge il regime normativo che
governa la delicata materia dell’assegnazione dei procedimenti. In base a tale
disciplina, il Procuratore procede all’assegnazione grazie a criteri predeterminati,
da lui stesso fissati nell’ambito dei poteri di organizzazione dell’ufficio che gli sono
attribuiti
10
. Il Consiglio Superiore, con la risoluzione del 12 luglio 2007, ha
affermato che i criteri di assegnazione degli affari, al pari degli altri provvedimenti
organizzativi, devono essere comunicati all’organo di autogoverno a norma dell’art.
10
Per una trattazione diffusa dei criteri organizzativi dell’ufficio rimessi alla competenza del
Procuratore capo, delle procure per la loro adozione e dei poteri di controllo spettanti al CSM si
rimanda a G. GILARDI, Le tabelle, Modelli e tecniche dei processi civili, Torino, Utet giuridica,
2015, pp. 216-221.
14
1, 7°comma, d.lgs. 106/2006. Il Consiglio dovrà valutarli alla luce dei principi di
imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’amministrazione previsti dall’art.
97 Cost. e di quelli di autonomia ed indipendenza che l’art. 101, 2°comma Cost.,
assicura a tutti gli appartenenti all’Ordine Giudiziario
11
.
Oltre all’assegnazione in base ai criteri automatici ed ai criteri specialistici, l’art. 2
sembra ipotizzare un potere di auto-assegnazione e di assegnazione svincolata da
criteri predeterminati. Il Consiglio Superiore ha ritenuto, tuttavia, che tali
assegnazioni debbano avvenire attraverso un provvedimento motivato, da collocare
nel momento in cui il procedimento ha origine, con la precisazione che una volta
esercitata la scelta, il potere deve ritenersi consumato e non può rivivere
12
.
In relazione ai criteri ed alle direttive vincolanti che il Procuratore può impartire nei
confronti del Sostituto in occasione dell’assegnazione, il Consiglio ha svolto
un’operazione interpretativa finalizzata ad evitare c h e q u e s t e d i s p o s i z i o n i
interferiscano in modo sostanziale con l’autonomia professionale del Sostituto.
In particolare, è stato sottolineato che lo statuto costituzionale del magistrato non
tollera direttive che incidano sul merito della discrezionalità tecnica che anima le
sue scelte interpretative e le conseguenti determinazioni giudiziarie. La dottrina
concorda con questa impostazione, evidenziando che a n c h e l a t e r m i n o l o g i a
utilizzata dal legislatore - che utilizza il termine “criteri” e non altre espressioni dal
valore più stringente, quale ad esempio quello di “direttiva”- dà il chiaro senso che
non può trattarsi di ordini, ovvero di disposizioni capaci di creare vincoli di
comportamento immediati e diretti; si tratterebbe, invece, di linee di condotta che
vanno attuate attraverso una specificazione filtrata da valutazioni discrezionali.
13
Un profilo delicato attiene alla revoca dell’assegnazione. Secondo il 2°comma
dell’art. 2, questa può avvenire qualora il magistrato non si attenga ai principi ed ai
criteri definiti dal Procuratore in via generale o all’atto dell’assegnazione, ovvero
quando sorga, tra il magistrato ed il Procuratore, un contrasto circa le modalità di
11
Il riferimento alla risoluzione del CSM del 12 luglio 2007.
12
Sul punto F. MENDITTO, L’organizzazione delle procure nella stagione della controriforma, in
Questione giustizia, 2006, p.903 ss., ritiene che anche nel nuovo quadro normativo i poteri di auto
assegnazione riconosciuti al Procuratore capo non possono essere svincolati da criteri oggettivi
predeterminati e, conseguentemente sottratti alla valutazione consiliare, quanto meno sotto il profilo
delle ricadute organizzative e della loro razionalità.
13
G. SANTALUCIA, Il pubblico ministero, in Questione giustizia, 2006, n.1, p.114.