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Introduzione
“Vi sono due tipi di aziende: quelle che cambiano e quelle che scompaiono”
-Philip Kotler-
L’ambiente di riferimento, il rallentamento globale dell’economia, consente di
apprezzare ancor di più la necessaria esigenza di implementare modelli innovativi
a sostegno delle scelte gestorie. Tale aforisma permette di sintetizzare il cambio
culturale, su cui le imprese dovranno costruire il proprio avvenire riducendo e alle
volte contrastando attraverso la razionalità economica l’incertezza del futuro,
terreno fecondo per la nascita di disfunzioni e patologie aziendali. L’adozione di
buone e corrette pratiche amministrative, la capacità mediante strumenti aziendali
di immaginare gli sviluppi futuri, risulta in questo momento storico, soprattutto
nelle piccole e medie imprese, condizione necessaria per la sopravvivenza
aziendale. Il presente elaborato rintraccia nella componente personale
dell’impresa, il motivo principale del declino. Invero il successo di un’attività
economica è frutto di scelte, di decisioni, le quali se prese in assenza di
tempestività e razionalità economica, potrebbero, come sovente accade, condurre
l’impresa al dissesto. Da qui la necessità, che l’organizzazione aziendale rispecchi
canoni di efficienza e serietà, promuovendo una nuova fase storica, già avviata dal
legislatore per mezzo della recente riforma in tema di crisi d'impresa. La
prescrizione di un “adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile”,
consente di apprezzare appieno l’esigenza di contrastare fenomeni gestori incauti
ed imprudenti, attraverso regole di conduzione chiare e precise, in grado di
garantire la presenza di strumenti gestionali in linea con l’attuale approccio del
forward looking. In tal senso, si è ritenuto opportuno affrontare l’utilità del piano
industriale non solo limitatamente alla sua funzione originante, ovvero
determinare il prevedibile andamento della gestione, ma piuttosto alla sua
imprescindibile adozione in una fase delicata della vita aziendale come
un’operazione di risanamento. È ragionevole affermare come la prima funzione
del piano si innesti totalmente nel rispetto di quell’assetto organizzativo,
amministrativo e contabile strumentale a rendere maggiormente agevole la
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rilevazione tempestiva della crisi d’impresa. Si tratta nel complesso di poter
predeterminare la sussistenza degli equilibri gestionali, focalizzando la propria
attenzione sulla capacità dell’impresa di generare idonei flussi finanziari a
sostegno del proprio debito, indispensabili oramai come strumento di valutazione
da parte dei molteplici soggetti finanziatori. Come già ricordato, maggiore
attenzione sarà incentrata sul piano di risanamento, quale strumento
programmatico in grado di formalizzare e rendere maggiormente credibili le
ipotesi strategiche ideate dal management. Da qui la necessità che tale prospetto
venga condiviso con i maggiori soggetti portatori d’interesse, aumentando quel
rapporto fiduciario essenziale per traghettare l’impresa in lidi più tranquilli.
Il seguente lavoro è articolato come segue. Il primo capitolo congiunge l’aspetto
dottrinale della crisi con il necessario ed imminente cambio culturale nella
gestione d’impresa. La prevenzione piuttosto che la “cura” dell’impresa ormai
inefficiente esplode nell’utilizzo imprescindibile di strumenti in grado di
proiettarla in un futuro più o meno prossimo. È evidenziata inoltre la difficoltà
oggettiva da parte del management, in questo contesto storico, di determinare lo
stadio della crisi, ovvero se si tratti di una crisi ancora reversibile oppure di
un’insolvenza conclamata. A tal proposito la nozione di crisi, promossa
nell’ultima riforma, ovvero nel nuovo Codice della crisi d’impresa e
dell’insolvenza, sembra aver portato con sé molteplici difficoltà interpretative,
rendendo complessa in primo luogo la diagnosi della stessa e in secondo luogo la
scelta dello strumento più idoneo a risolverla. In conclusione, nel primo capitolo
verranno affrontate eventuali fonti di responsabilità da parte dell’organo
amministrativo, ovvero la possibilità che quest’ultimo abbia assunto ex ante un
comportamento negligente nel non aver dotato l’impresa di strumenti in grado di
captare segnali premonitori ed ex post nell’aver promosso misure tardive, o nel
peggiore dei casi non coerenti con la situazione in atto.
In sostanza, la redazione del piano di risanamento, come verrà affrontato nel
secondo capitolo, risulta imprescindibile nell’adozione dei differenti istituti già
previsti nel nostro ordinamento. In tal senso, i piani seppur accumunati da
razionalità economica ed esigenza di ristabilire gli equilibri gestionali perduti,
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necessiteranno di adattamenti ed integrazioni a seconda dello strumento utilizzato.
In questo senso l’approccio seguito nel secondo capitolo mira a delineare i diversi
istituti, non tanto sotto il profilo delle loro peculiarità giuridiche quanto sotto il
profilo delle loro finalità e obiettivi, raggiungibili per mezzo dei piani di
risanamento.
Tuttavia, occorre sottolineare come l’utilizzo di tali piani sia riservato a fattispecie
dotate di un certo grado di “recuperabilità”, emarginando totalmente il loro
utilizzo in crisi d’impresa conclamate e definitive, in cui lo sviluppo naturale
coincida con lo smembramento del patrimonio.
Nel terzo capitolo del presente lavoro, si forniranno le modalità di redazione di
tali piani nel rispetto dei principi di: coerenza, tempestività, attendibilità,
sistematicità e sostenibilità finanziaria, rappresentativi di quel valore aggiunto di
cui ogni piano dovrebbe dotarsi. Dopo aver delineato l’importanza della figura
dell’Advisor in grado di gestire sotto ogni punto di vista l’operazione di
risanamento, la trattazione si focalizzerà sulla struttura qualitativa e quantitativa
del piano, procedendo all’analisi puntuale dei principali contenuti. Si è voluto in
questo modo, delineare l’iter procedurale di costruzione del piano, spiegandone le
metodologie alla base nonché le attività prioritarie da compiere.
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1. La crisi d’impresa
1.1 Premessa
La crisi d’impresa molto spesso rappresenta una situazione latente e non
improvvisa la quale se non attentamente percepita, rischia di tramutarsi in una
situazione catastrofica, nella quale le probabilità di risoluzione si attestano a
livelli infimi. Crisi infatti è un termine generico e vago, che denota sinteticamente
assenza di economicità e che dovrebbe declinarsi in relazione anche alla gravità
della disfunzione
1
.
È vitale quindi che la gestione dell’impresa, sia improntata ad un comportamento
razionale e corretto, nell’ottica di garantire la perdurabilità e il raggiungimento
dell’equilibrio gestionale
2
. In questo senso risulta fondamentale la presenza di
constante monitoraggio e controllo, al fine di implementare un processo virtuoso
tale da captare per tempo segnali premonitori che altrimenti si manifesterebbero
violentemente. La crisi d’impresa non può essere considerato un fenomeno a
doppio binario che esiste o non esiste, ma rappresenta un processo composto da
più stadi, con differenti modalità di manifestazione. Invero, la crisi, avendo
carattere dinamico, si sviluppa mediante il succedersi di fasi caratterizzate da un
livello di gravità crescente
3
. Questo processo mette ancor più in evidenza come la
tempestività di intervento rappresenti l’aspetto nodale affinché si possa accertare
lo stato di salute dell’impresa e attuare processi di risanamento. In questo contesto
il legislatore nell’ultima riforma della legge fallimentare
4
, ha introdotto alcune
misure, cosiddetti principi di allerta, strumentali ad un’emersione tempestiva della
crisi d’impresa. Asse portante del nuovo codice della crisi d’impresa e
dell’insolvenza è la tempestività nella percezione dei sintomi della crisi e la
conseguente reazione mediante attivazione di procedure di allerta, da parte degli
1
MIGLIACCIO G., squilibri e crisi nelle determinazioni quantitative d’azienda, FrancoAngeli,
collana DASES,2012
2
Intenso come il raggiungimento congiunto dell’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario,
BAVA F., La revisione del bilancio, Giuffrè Editore 2016
3
CESTARI G., La diagnosi precoce della crisi aziendale, collana di studi economico-aziendali «E.
Giannessi», GiuffrèEditore
4
Legge 155/17, ovvero il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza
5
organi di controllo della società.
5
Il legislatore quindi ha sostenuto favorire la
cultura del risanamento piuttosto che la cultura dell’eliminazione dell’impresa
inefficiente, attraverso un ripensamento di fondo dello stesso concetto di
fallimento.
L’impresa in crisi quindi comporta da un lato l’impossibilità di raggiungere
l’obiettivo istituzionale, creazione di ricchezza e dall’altro conduce ad una
traslazione del rischio d’impresa, dall’imprenditore a tutti i soggetti che a vario
titolo partecipano all’attività economica. La definizione di, crisi, quindi risulta
indispensabile per identificare il momento a partire dal quale implementare le
procedure negoziali, previste dal legislatore. La dottrina evidenzia
6
tre differenti
approcci da seguire per giungere alla definizione di crisi:
• Approccio esterno: basato sull’evidenza oggettiva dello stato di crisi
7
, che
esplica i suoi effetti nei confronti dei terzi creditori. Se da un lato
quest’approccio ha il vantaggio di definire lo stato di crisi su dati e
manifestazioni oggettive, dall’altro conduce a prendere coscienza della
situazione in maniera tardiva, rischiando di essere sottoposti ad azioni
cautelari prima ancora di definire una strategia di risanamento.
• Approccio interno consuntivo: si basa sulla capacità dello stesso
imprenditore dotato di idonei, efficaci e tempestivi strumenti di controllo a
captare i segnali di uno stato di crisi in corso. Condizione necessaria, è la
disponibilità di un impianto contabile conforme e veritiero, prodromico
alla successiva analisi di bilancio. Il principale limite riscontrato da
Quagli, in riferimento a quest’approccio, è costituito dall’adozione di
criteri soggettivi di valutazione, imprescindibili per la redazione del
bilancio.
• Approccio interno previsionale: presuppone la presenza di piani
previsionali, atti ad orientare le scelte strategiche dell’imprenditore. La
presenza di un’attività di pianificazione e successivamente un sistema di
5
BONELLI A. Crisi d’impresa: il ruolo degli organi di controllo nelle segnalazioni interne ed
esterne, IPSOA,
6
QUAGLI A., Il concetto di crisi d’impresa come incontro tra la prospettiva aziendale e quella
giuridica, Rivista Crisi d’impresa e fallimento, 2016
7
Ritardo nei pagamenti, omesso versamento delle ritenute previdenziali. Potrebbe, vista la
presenza di fatti esteriori, trattarsi già di uno stato di insolvenza.
6
controllo, garantirebbe per tempo la conoscenza di eventuali scostamenti e
la possibilità di intervenire per scongiurare situazioni di crisi.
Quest’ultimo approccio è stato ripreso anche dal CNDCEC, suggerendo
l’adozione di un’impostazione, “che imponga, in ogni caso, una visione dinamica
basata sulle prospettive e sulla programmazione aziendale”
8
. Da qui, anche
l’intervento del legislatore nell’ultima riforma segue quest’impostazione rendendo
imprescindibile l’adozione di un piano industriale, nell’ottica anticipatoria della
crisi d’impresa.
1.2 Il piano industriale come strumento di prevenzione della crisi
L’ambiente turbolento in cui si trova ad operare l’impresa, determina difficoltà di
previsione e di conseguenza la possibilità che eventi inattesi o quantomeno non
considerati nella loro portata, possano generare un gap tra quanto atteso e quanto
realizzato. Da qui la necessità di ogni impresa di definire i propri obiettivi
strategici, in relazione alla mission, individuando le finalità che intende perseguire
e le strategie da attuare per il loro raggiungimento
9
. Il piano industriale se da un
lato risulta imprescindibile per consentire all’organo amministrativo di svolgere il
ruolo di indirizzo e controllo, dall’altro risulta funzionale a raggiungere obiettivi
di economicità
10
. È bene quindi analizzare l’importanza del piano industriale oltre
che ex post alla crisi d’impresa, e quindi quale strumento risolutore, come
strumento ex ante nel gestire e prevenire situazioni di crisi. Invero è proprio la
presenza o meno di una situazione di criticità a codificare la natura del piano, in
termini di piano industriale, ovvero di risanamento. Ciò che viene richiesto in
questo momento storico, anche da parte del legislatore, è il mutamento della
cultura d’impresa soprattutto con rifermento alle PMI. L’implementazione del
piano industriale si innesta nell’istituzione di quell’assetto organizzativo,
amministrativo e contabile previsto dal legislatore all’art 375 del codice della crisi
8
CNDCEC, Informativa e valutazione nella crisi d’impresa, 2015
9
A tal proposito si veda: CODA V., L’orientamento strategico dell’impresa, Utet, 1998
10
ONIDA P., Economia d’azienda, Trattato italiano di economia, Volume IX, Utet, 1968
L’economicità come: “L’attitudine della gestione a remunerare, con i ricavi, alle condizioni
richieste dal mercato tutti i fattori produttivi onde l’azienda abbisogna perché possa avere vita
continua e conveniente sviluppo”
7
impresa e dell’insolvenza, con conseguente modifica dell’art 2086 c.c.
11
,
considerando residuali oramai le valutazioni delle performance aziendali in stile
consultivo. La presenza dei piani quindi rappresenta un metodo, attraverso cui si
limita l’aleatorietà del futuro garantendo la perdurabilità, ma allo stesso tempo
l’attitudine a rilevare segnali disfunzionali sintomatici di una crisi d’impresa. Tale
documento dovrebbe “rappresentare una fase di un processo, tutto interno
all’azienda, in cui si fissano gli obiettivi e le strategie di medio/lungo periodo, si
verifica in corso d’opera il grado di raggiungimento e le eventuali varianze
rispetto agli obiettivi prefissati, se ne interpretano le motivazioni per correggere
il tiro”
12
.
Lo stesso legislatore inoltre ha previsto all’art 14 comma 1 CCII “il dovere
dell’organo di controllo di valutare costantemente il prevedibile andamento della
gestione”. Senza ombra di dubbio questi interventi presuppongo la necessità che
l’organo amministrativo si doti di un piano previsionale, atto a garantire questo
tipo di valutazioni future.
La pianificazione aziendale rappresenta quindi quel valore aggiunto, della quale
l’impresa non può che prescindere. Tale fattore si innesta all’interno della stessa
definizione di crisi prodotta dal nuovo codice. La valutazione dell’imprese sempre
più diffusa, per mezzo di metodi basati su flussi economici o di cassa induce a
definire il concetto di crisi, quale “inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a
far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”
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. È proprio il termine
“pianificate”, a qualificare l’intera norma.
“La rara presenza di una programmata attività di analisi dei rischi aziendali
rappresenta un diffusissimo elemento di criticità nelle imprese di contenute
dimensioni. La rimozione di questa carenza è necessaria oltre che per garantire il
11
Obbligo a cui soggiace l’imprenditore che operi sia in forma societaria che collettiva, novando
in questo senso l’art 2081 c.c. riferibile alle sole società di capitali
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CNDCEC, Linee guida alla redazione del Business Plan (a cura del Gruppo di Lavoro Area
Finanza Aziendale), Roma, 2011
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Art 2, punto 1, lettera a, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Rivista Controllo di
gestione, 2019. In questo senso assume sempre più importanza la redazione del rendiconto
finanziario, soprattutto in chiave prospettica al fine di evidenziare le disponibilità liquide prodotte
e assorbite, nonché la capacità dell’impresa di autofinanziarsi