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già previste dai trattati originari. Altri sostenevano invece la necessità di
salvaguardare il potere decisionale degli Stati membri nei settori della
politica estera nonché degli affari interni e della giustizia. Il risultato finale
fu quest’anomala struttura che attribuisce alle diverse istituzioni ruoli
diversi secondo il pilastro in cui operano.
La principale differenza tra i tre pilastri è data dal fatto che per le politiche
avviate nell’ambito del primo pilastro si applica il cd. METODO
COMUNITARIO, che marginalizza il ruolo dei governi nazionali a favore
delle istituzioni comunitarie. I governi degli Stati membri possono
intervenire soltanto nelle forme e secondo le procedure previste dai trattati,
bilanciando il loro ruolo con quello delle altre istituzioni; ciò vuol dire, ad
esempio, che nessun atto può essere adottato nell’ambito del primo pilastro
dal Consiglio dell’Unione, istituzione che più direttamente rappresenta gli
interessi degli Stati membri, senza la preventiva iniziativa legislativa della
Commissione europea; com’è noto i trattati istitutivi riservano l’iniziativa
legislativa alla sola Commissione che esercita in tal modo una sorta di
controllo a priori sull’attività legislativa comunitaria.
La collaborazione negli altri due pilastri è invece di carattere tipicamente
intergovernativo, attribuendo tutto il potere decisionale agli Stati membri.
Gli strumenti tipici della cooperazione nell’ambito del secondo e terzo
pilastro sono i principi e gli orientamenti generali, le strategie comuni, le
posizioni comuni, la cooperazione sistematica, le Decisioni-Quadro e le
decisioni, tutti scarsamente vincolanti per gli Stati membri e in ogni modo
quasi sempre adottabili soltanto all’unanimità. L’unico atto veramente
vincolante, previsto soltanto nell’ambito del terzo pilastro, è la convenzione
internazionale che però impegna lo Stato soltanto nel momento in cui ha
ricevuto la ratifica; non a caso quasi tutte le convenzioni elaborate sulla
base della cooperazione in materia di giustizia ed affari interni non sono
ancora entrate in vigore.
Per quanto riguarda il terzo pilastro è da sottolineare che il Trattato di
Maastricht ha anche previsto la possibilità di trasferire alcune politiche
avviate in questo settore nell’ambito del primo pilastro, avvalendosi della
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cd. passerella comunitaria e procedendo ad una “comunitarizzazione” della
relativa disciplina.Tale facoltà è stata già sfruttata in occasione della firma
del Trattato di Amsterdam che ha provveduto alla comunitarizzazione delle
disposizioni in materia di asilo, visti, immigrazione e cooperazione
doganale.
1.2 Il Trattato di Amsterdam
A conclusione del Consiglio europeo di Amsterdam del 18 giugno 1997 è
stato raggiunto un accordo su un nuovo trattato per l’Europa. Il Trattato di
Amsterdam è entrato in vigore il 1° maggio del 1999, introducendo
sostanziali modifiche ed integrazioni ai trattati delle Comunità europee ed
al TUE in vista del prossimo allargamento della CE verso i paesi
dell’Europa orientale.
Le più importanti novità del Trattato di Amsterdam sono sicuramente
quelle che hanno radicalmente trasformato la cooperazione in materia di
giustizia ed affari interni. Coerentemente con un’indicazione già contenuta
nel Trattato di Maastricht, quasi tutti i settori che rientravano nell’ambito
del terzo pilastro sono ora trasferiti nel primo pilastro, comunitarizzando
tutte quelle materie che in precedenza erano trattate esclusivamente in
ambito intergovernativo.
In seguito al processo di comunitarizzazione, nell’ambito del terzo pilastro
restano soltanto le disposizioni concernenti:
- La cooperazione tra le forze di polizia, le autorità doganali e le altre
autorità competenti degli Stati membri.
- La cooperazione giudiziaria in materia penale, in particolare per
quanto riguarda l’esecuzione e la prevenzione dei conflitti di
giurisdizione.
- La progressiva adozione di misure per la fissazione di norme minime
relative agli elementi costitutivi dei reati e delle sanzioni, per quanto
riguarda la criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico illecito
di stupefacenti.
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La radicale modifica delle disposizioni del titolo VI del trattato sull’Unione
Europea si riflette anche sulla nuova denominazione introdotta dal Trattato
di Amsterdam: non più CGAI, ma cooperazione di polizia e giudiziaria in
materia penale.
1.3 Gli sviluppi dopo Amsterdam..
Il Consiglio europeo riunito a Tampere nell’ottobre 1999 ha adottato un
ambizioso programma in materia di Libertà, Giustizia e Sicurezza: i capi
di Stato e di governo hanno voluto imprimere un impulso politico forte a
tale settore prioritario.
Il tema CGAI occupa un posto di rilievo nella dichiarazione di Laeken del
dicembre 2001: il cittadino ha più volte lasciato intendere che auspica un
ruolo più importante dell’Unione in materia di giustizia e di sicurezza, di
lotta alla criminalità transfontaliera, di controllo dei flussi migratori, di
accoglienza dei richiedenti asilo e dei profughi provenienti da regioni di
conflitto periferiche.
Uno dei nodi irrisolti con l’approvazione del Trattato di Amsterdam era il
nuovo assetto istituzionale da dare all’Unione Europea in previsione del
futuro allargamento che potrebbe portare ad una Europa con 27 (o 28) Stati
membri. (oggi 25)
Il problema era di dotare le istituzioni comunitarie di procedure più
semplici ed efficaci, abbandonando la complessa e spesso macchinosa
procedura decisionale attualmente adottata.
Proprio per dare una risposta a questi problemi il 14 febbraio 2000 è stata
indetta una nuova conferenza intergovernativa, incaricata di elaborare una
bozza di trattato contenente le necessarie modifiche istituzionali in vista
dell’allargamento dell’Unione.
La prima riunione dei rappresentanti degli Stati membri si è tenuta il
successivo 15 febbraio.
Un primo resoconto dei lavori è stato presentato al Consiglio Europeo di
Santa Maria da Feira del 19-20 giugno 2000. In quell’occasione veniva
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richiesto al Consiglio Europeo di integrare il mandato aggiungendo tra gli
argomenti da discutere anche la riforma delle cooperazioni rafforzate; i
capi di Stato e di governo provvedevano a dare seguito alle richieste della
conferenza intergovernativa.
Il progetto finale è stato approvato il 6 dicembre, alla vigilia del Consiglio
Europeo di Nizza che avrebbe dovuto adottare il testo finale.
Dopo aver risolto alcuni problemi interpretativi, il testo, nella sua versione
definitiva, è stato presentato nel mese di gennaio 2001 ed è stato sottoposto
alla firma dei rappresentanti degli Stati membri il 26 febbraio 2001.
L’entrata in vigore del testo consolidato del TUE (Nizza) è stato sancito
dalla pubblicazione della GU n. C 325/21 del 24/12/2002. Il nuovo testo ha
modificato anche il titolo VI, sulla cooperazione di Polizia e Giudiziaria in
materia penale, in particolare agli artt. 29, 31 n.2, 40, articoli accomunati
dalla entrata in vigore dell’Unità Europea di cooperazione giudiziaria
(Eurojust), a norma degli art. 31e 32.
1.4 Il futuro dell’Europa e la Costituzione europea
Il trattato di Nizza ha gettato le basi per la convocazione di una nuova
conferenza intergovernativa che proceda ad una profonda revisione dei
trattati.
A tal fine la Dichiarazione n.23 allegata al trattato invitava tutte le parti
interessate (rappresentanti dei Parlamenti nazionali ambienti politici,
economici e accademici, esponenti della società civile ecc.) ad aprire, già
nel 2001, un ampio dibattito sul futuro dell’Unione anche in vista del suo
prossimo allargamento ai paesi candidati all’adesione.
E’ stato cosi deciso, nel corso del Consiglio europeo di Laeken tenutosi il
14-15 dicembre 2001 di istituire un organismo ad hoc – la Convenzione –
incaricata di preparare la bozza del testo che dovrà rappresentare la futura
Costituzione europea.
La Convenzione – metodo di revisione già sperimentato per la redazione
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza, 7 dicembre
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2000) – ha tenuto la sua prima riunione a Bruxelles il 28 febbraio 2002 e si
è conclusa nel luglio 2003, con la consegna, da parte del presidente della
Convenzione, della “Bozza di Trattato” che verrà, probabilmente firmato a
Roma alla fine del 2003. Essa si compone di 105 membri cosi suddivisi: 15
sono nominati dai vari governi nazionali (uno per ciascuno Stato membro),
30 sono membri del vari Parlamenti nazionali (2 per ogni Stato membro),
16 sono membri del Parlamento europeo e 2 sono rappresentanti della
Commissione europea. A questi vanno aggiunti i rappresentanti dei 13 Stati
candidati all’adesione all’Unione (senza diritto di voto), 13 osservatori, 3
rappresentanti del Comitato economico e sociale, 6 rappresentanti delle
Regioni europee e il Mediatore europeo. A questi vanno aggiunti il
Presidente (l’ex Presidente francese Valéry Giscard d’Estaing) e due vice-
presidenti (il belga Jean Luc Dehaene e l’italiano Giuliano Amato) che
insieme ad altri nove membri andranno a costituire il Presidium , in pratica
il comitato direttivo dell’organismo.
Secondo quanto disposto nella dichiarazione di Laeken la “Convenzione
avrà il compito di esaminare le questioni essenziali che il futuro sviluppo
dell’Unione comporta e di ricercare le diverse soluzioni possibili”.
In concreto i temi discussi e affrontati in seno alla Convenzione sono i
seguenti:
- La ripartizione delle competenze tra l’Unione e i singoli Stati
membri:
- La semplificazione dei trattati, con la possibilità di proporre un testo
unico che accorpi tutte le disposizioni attualmente vigenti (vale a
dire una Costituzione europea)
- La decisone in merito all’inclusione o meno della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea nel corpo dei trattati;
- La definizione del ruolo dei Parlamenti nazionali nella futura
architettura istituzionale europea.
Alla Convenzione non spetta il vero e proprio potere decisionale sul futuro
dell’Unione Europea; essa deve solo redigere un documento finale che
potrà comprendere opzioni diverse, precisando il sostegno sul quale