2
durante tutto il periodo fascista1.
Secondo parte della dottrina, però, l‟aver concentrato l‟attenzione
soltanto sulla stampa, escludendo gli altri mezzi di diffusione del pensiero,
non avrebbe prodotto altro che un aggiornamento in senso garantistico dello
Statuto Albertino2.
Quest'atteggiamento “retrospettivo” adottato dall‟Assemblea
Costituente può, forse, spiegarsi con una disattenzione della stessa circa il
potere che i nuovi mezzi della comunicazione, di lì a poco, avrebbero
esplicato sulla formazione culturale della collettività. Non si può escludere,
però, che tale potere venne invece pienamente compreso e riconosciuto,
finendo per porlo al servizio della politica piuttosto che utilizzarlo come
strumento di garanzia del sistema democratico: di qui la scelta di non
ostacolare la soluzione elaborata nel periodo fascista in base alla quale lo
Stato era l‟unico proprietario di un sistema di trasmissioni radiofoniche,
l‟EIAR, direttamente controllato dal governo e che deteneva l‟esclusiva per
questo tipo di comunicazione3.
In definitiva, la scelta del Costituente fu quella di trovare soluzione
a delle problematiche passate, piuttosto che quella di affrontare i problemi
nella loro dimensione complessiva, quale veniva appunto delineandosi
nell‟immediato dopoguerra con l‟affacciarsi, nella società della
comunicazione, di nuovi mezzi di diffusione del pensiero4.
E‟ possibile convenire, quindi, con coloro che hanno qualificato tale
situazione come vera e propria “miopia istituzionale”5.
1
Cfr P. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, Milano, 1975, p.4; A. PACE e M.
MANETTI, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, in G. BRANCA (a cura di)
Commentario della Costituzione, Bologna, 2006 p. 29 ss.
2
Cfr A. BARBERA, Art. 2 in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna,
1975, p.60.
3
Cfr S. SICA e V. ZENO ZENCOVICH, Manuale di diritto dell‟informazione e della
comunicazione, Padova, 2007, p.69.
4
Lo sviluppo di tali mezzi, d‟altronde, non si presentava insufficiente per focalizzare una
particolare attenzione sui problemi della comunicazione di massa. E‟ noto, del resto, il ruolo
giocato dalla radio e dal cinema nella propaganda fascista cosicché, quando fu approvata la
Costituzione, la radiodiffusione aveva già soppiantato la stampa quotidiana per importanza ed
estensione.
5
Cfr U. RESCIGNO, Corso di diritto pubblico, Zanichelli, 2007. V. sulla stessa posizione anche
A. BARBERA in Commentario, cit., p.53, il quale ritiene che “l‟impressione che si trae dalla
lettura degli atti dell‟Assemblea costituente è di una certa arretratezza rispetto ai problemi reali che
3
L‟incompleta elaborazione della norma trova una conferma non
soltanto per questa omissione ma anche nella minor ricchezza di
formulazione in ordine a vari profili della libertà di informazione, che si
possono trovare esplicitamente menzionati in alcuni testi costituzionali o in
accordi internazionali più o meno contemporanei.
E‟ sufficiente volgere lo sguardo alla Dichiarazione Universale dei
diritti dell‟uomo, approvata dall‟Assemblea generale dell‟ONU il 10
dicembre 1948, per trovare, all‟interno dell‟art. 19, una formulazione della
“libertà di opinione e di espressione” nella quale sono identificabili i tre
momenti della libertà di informarsi, di essere informati e di informare6 e
intorno ai quali si è svolta la successiva elaborazione legislativa, dottrinale
e giurisprudenziale della libertà di informazione.
Alla Dichiarazione ONU fa eco la Costituzione tedesca, approvata il
23 maggio 1949, all‟interno della quale l‟art. 5 si presenta con una
formulazione decisamente più articolata rispetto a quella contenuta
all‟interno dell‟art. 21 della Costituzione italiana. Ciò che viene garantito è,
infatti, “il diritto di informarsi senza ostacoli da fonti accessibili a tutti”.
Attenzione merita poi il disposto recato dall‟art. 10 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell‟uomo e delle libertà
fondamentali, approvata nel 1950 dagli Stati membri del Consiglio
d‟Europa e ratificata dall‟Italia nel 1955, che appresta tutela alla libertà di
opinione e a quella di ricevere e comunicare informazioni e idee senza
limiti di frontiera e senza ostacoli da parte della pubblica autorità, ferma
restando la possibilità di sottoporre tali libertà a misure necessarie, “in una
società democratica”, a proteggere determinati valori e diritti espressamente
indicati. Il riconoscimento di una cosi ampia libertà “non impedisce
comunque agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese
di radiodiffusione, di cinema o di televisione”.
andavano emergendo, tanto da far ritenere che gli occhi dei costituenti fossero rivolti più al passato
che all‟avvenire”.
6
Art. 19 “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non
essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e
idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
4
Ulteriore raffronto può essere, in ultimo, effettuato con il Patto
internazionale sui diritti civili e politici di New York del 16 dicembre 1966,
il cui art. 19, ampliando quanto riportato nell‟art. 19 della Dichiarazione
ONU del 1948, riafferma la “libertà di ricercare, ricevere e diffondere
informazioni ed idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere”. La
notazione sull‟impossibilità di distinguere tra i vari generi di informazioni e
di idee sembra superare la distinzione tra informazioni e opinioni, invocata
da parte della dottrina per giustificare garanzie differenziate per la libertà di
informazione7. La formulazione della disposizione mette in risalto, inoltre,
una maggiore attenzione allo sviluppo delle tecnologie, che si concretizza
nella possibilità di utilizzo di “qualsiasi mezzo di propria scelta”.
Nonostante l‟art. 21 appaia, pertanto, come una disposizione dal
contenuto non perfettamente esaustivo, a maggior ragione nell‟ottica del
quadro internazionale appena esaminato, non è comunque da ignorarsi
l‟enorme portata che a tale norma può essere direttamente o, ancor più,
indirettamente riconosciuta8. Il silenzio dell‟art. 21 in relazione a diverse
problematiche, prima fra tutte quella relativa all‟utilizzo dei mezzi di
comunicazione di massa, non esclude infatti la piena adesione al principio
liberale9, identificabile nella garanzia della libertà di espressione come
diritto inviolabile e insopprimibile dell‟uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.)10.
Sono, d‟altronde, numerose le sentenze con le quali la Corte
Costituzionale ha sottolineato che il riconoscimento del diritto di libera
manifestazione del pensiero caratterizza la forma di Stato vigente in Italia,
costituendo esso “la pietra angolare dell‟ordinamento democratico”11.
7
Cfr. P. BARILE e S. GRASSI , Informazione (libertà di), in Novissimo Digesto Italiano, p. 201.
8
Cfr. C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, Milano,
1958, p. 7.
9
Cfr. M. MANETTI, La libertà di manifestazione del pensiero, in R. NANIA e P. RIDOLA (a
cura di), I diritti costituzionali, Torino 2001 p.560.
10
Nella Sent. 126/1985 la Corte Costituzionale afferma che “non vi è dubbio che la forma
collettiva di manifestazione del pensiero sia garantita dall'art. 21 Cost. Ciò in quanto la forma
collettiva (e così quella individuale in rappresentanza collettiva che in essa è compresa) è
necessaria al fine di dare corpo e voce ai movimenti di opinione concernenti interessi
superindividuali”.
11
Sent. 84/1969. Tra le altre pronunce, sentt. 25/1965 11/1968 98/1968 168/1971.
5
Sempre negli stessi termini si esprime la Corte laddove sottolinea
che la libertà di manifestazione del pensiero è “una di quelle che meglio
caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com'è del modo di
essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale,
politico, sociale”12.
La particolare formulazione dell‟art. 21, che da una parte dedica alla
diffusione del pensiero non altro che un fuggevole richiamo, e dall‟altra
rivolge ai mezzi diversi dalla stampa soltanto un sintetico accenno, dimostra
a chiare lettere come la problematica propria dell‟informazione sia rimasta
confinata sullo sfondo13. Le evoluzioni tecnologiche, invece, con
l‟affermazione dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, e in più
l‟evoluzione dei sistemi politici e della società stessa, hanno senza dubbio
evidenziato la limitatezza della libertà garantita dall‟art. 21 se intesa in
senso strettamente letterale.
Sulla base di questo assunto possiamo affermare che l‟attenzione
della dottrina, accompagnata e sostenuta dalle numerose pronunce della
Corte costituzionale, appare rivolta, oltre che ai problemi relativi alla libertà
di manifestazione del pensiero, a quelle che sono le vicende relative alla
libertà di informazione. Accanto alla concezione classica della libertà di
manifestazione del pensiero, si è venuta, infatti, sviluppando una lettura più
articolata e approfondita della norma costituzionale che ha enucleato nuovi
e più significativi contenuti. Tale ampliamento di prospettiva è
riconducibile a diversi fattori: da una parte il regime democratico implica
che il popolo decida “ex informata coscientia”, con piena cognizione dei
fatti e delle loro implicazioni14; dall‟altra trova conferma la verità che sul
pubblico di massa “è assai più facile influire citando fatti opportunamente
scelti e presentati, che non elaborando ragionamenti”15. Giurisprudenza e
dottrina, in definitiva, si sono impegnate in un‟opera di ridefinizione del
12
Sent. 9/1965.
13
Cfr. L. PALADIN, Problemi e vicende della libertà di informazione nell‟ordinamento giuridico
italiano, in L. PALADIN (a cura di), La libertà di informazione, Torino, 1979, p. 6.
14
Sentt. 49/1971 e 105/1972.
15
Cfr. M. MAZZIOTTI, Appunti sulla libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento
italiano, in Scritti su le fonti normative e altri temi di vario diritto in onore di Vezio Crisafulli,
Padova, 1985, p. 521.
6
contenuto dell‟art. 21. Si sono individuati in questa disposizione
costituzionale altri profili che hanno finito con l‟integrare la prima e più
elementare lettura della norma: dalla libertà di manifestazione del pensiero,
espressamente tutelata, si è giunti, in definitiva, a configurare la c.d. libertà
di informazione.
Tale libertà è stata definita in tutti i suoi risvolti attivi e passivi, sia
quindi come libertà di informare, profilo inerente gli operatori di
comunicazione, sia come libertà di essere informati, profilo afferente la
condizione del pubblico cui l‟attività informativa è rivolta.
L‟oggetto della libertà di informare, intesa nel suo profilo attivo, è
interamente compreso e garantito nell‟art. 21: il primo comma, infatti,
nell‟affermare che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, offre una
tutela a tutti coloro che, in forma singola o associata, occasionale o
professionale, intendono manifestare la propria opinione anche attraverso il
mezzo radiotelevisivo16.
E‟ noto il dibattito se, nell‟accordare tale garanzia, la Costituzione
accetti una concezione “individualistica” o “funzionale” della libertà in
esame.
La prima teoria trova il suo fondamento nel contenuto
“personalistico” che potrebbe attribuirsi alla Carta costituzionale, laddove
questa colloca al centro della sua attenzione “l‟uomo sia come singolo, sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, al fine di
riconoscere e garantire i diritti inviolabili dello stesso, e si preoccupa della
promozione “del pieno sviluppo della persona umana”, senza alcuna
menzione all‟interesse dell‟ordinamento o della collettività, quale elemento
idoneo a condizionarli17. Il diritto di manifestazione del pensiero viene ad
essere garantito al singolo indipendentemente dai vantaggi o dagli svantaggi
che possano derivarne allo Stato, essendo questo diritto attribuito all‟uomo
come tale, a suo vantaggio e per l‟appagamento dei suoi bisogni o desideri
16
Cfr. R. ZACCARIA, Informazione e radiotelevisione, in G. SANTANIELLO (a cura di),
Trattato di Diritto amministrativo, vol. II, Padova, 1996, p. 17.
17
Cfr. P. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, in Enc. del diritto, p. 428.
7
individuali18. L‟aspetto individualistico della libertà di pensiero sarebbe,
quindi, garantito affinché “l‟uomo possa unirsi all‟altro uomo nel pensiero e
col pensiero ed eventualmente insieme operare”19.
Una siffatta interpretazione porrebbe, però, in secondo piano lo
stretto legame intercorrente tra l‟articolo in questione e la proclamazione
della democraticità dello Stato. Da qui la necessità di leggere l‟art. 21 sotto
un‟altra ottica che vede la libertà di manifestazione del pensiero, e nel
quadro di essa quella di informare, come momento di partecipazione del
singolo alla vita della comunità, come possibilità di contribuzione alla
formazione della politica nazionale e di conseguenza come affermazione
dello stato democratico, grazie anche alla mole di conoscenze che tale
libertà è in grado di diffondere tra i cittadini. L‟adesione a questo diverso
tipo di concezione, c.d. “funzionale”, non esclude comunque che, basandosi
la democrazia sulla uguale dignità e uguale partecipazione di tutti gli
individui e avendo come intento lo sviluppo delle personalità di ciascuno e
la crescita della società in funzione di tale obiettivo, in un sistema politico
come quello concepito nella nostra Costituzione, quella libertà debba avere
in ogni caso la tutela più piena20. E questa tutela viene ad essere accordata
dalla Costituzione alla libertà di informazione, almeno nel suo profilo
attivo, dovendo questa configurarsi come un diritto soggettivo che trova
sicuro fondamento nell‟art. 2121.
Inteso in tal senso il profilo attivo della libertà di informazione, si
desume, quindi, che la garanzia costituzionale copre non solo l‟espressione
del pensiero ma anche la notizia e, in generale, le informazioni. La
distinzione tra informazioni e opinioni potrebbe permettere di isolare
concettualmente la libertà d‟informazione dalla libertà di opinione, ma è
ormai dato acquisito che è impossibile formulare opinioni che non siano
fondate su notizie e dati di pura e semplice conoscenza, né fornire
informazioni che non vengano influenzate dall‟opinione di chi le
18
Cfr. C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero, cit., p. 8.
19
Cfr. C. ESPOSITO, La libertà, op.ult.cit, p. 9.
20
Cfr. A.M. SANDULLI , La libertà di informazione, in Dir. Radiodiff., 1977, p. 479.
21
Cfr. P. COSTANZO, Informazione nel diritto costituzionale, in Dig. Disc. Pubbl., 1993, p.
333.
8
trasmette22.
Nonostante alcuni autori abbiano affermato, invece, che una diversità
tra fatti oggetto di pura e semplice notizia e opinioni esiste ed in numerosi
casi è abbastanza netta, contestando così la mancanza di una linea di
demarcazione tra il momento informativo vero e proprio e la
manifestazione di una propria opinione23, la stessa giurisprudenza
costituzionale ha ritenuto improprio addentrarsi in complicate distinzioni
concettuali tra opinioni, notizie e informazioni, per farne poi discendere un
diverso grado di tutela costituzionale24.
Libertà di informazione (nel suo lato attivo) e libertà di espressione,
dunque, coincidono. Si può, semmai, ritenere, che la specificità della libertà
d‟informazione non sia da ritrovare in quella distinzione quanto
nell‟accento che, nella libertà di informare, viene posto sull‟attività di
comunicazione e diffusione di messaggi e dati conoscitivi, non
necessariamente riconducibili al soggetto attivo dell‟informazione e
destinati a giungere a conoscenza di numerosi destinatari25.
Il riconoscimento della libertà di informare come diritto soggettivo
non implica che questa non sia soggetta a dei limiti. Su questi si è più volte
soffermata la Corte costituzionale, la quale ha rilevato che, oltre a quello
del buon costume, esplicitamente enunciato nell‟art. 21, e da intendersi in
22
Cfr. P. BARILE e S. GRASSI , Informazione (libertà di), cit., p. 204.
23
Cfr. V. CRISAFULLI, Problematica della “libertà d‟informazione”, in il Politico, 1964, p.288
ss il quale sostiene che la libertà di informazione, come avente ad oggetto notizie, quindi come
manifestazione differenziata della più generale libertà di espressione (o di informazione in senso
largo) meriti un posto a sé ed un rilievo particolare ma al contempo riconosce che “l‟esperienza è
una continua smentita a tale criterio”, auspicando l‟intervento dello Stato nel settore della stampa
affinché le notizie possano essere separate dai commenti e dalle opinioni.
24
In tal senso nella sentenza 105/1972, si afferma che il diritto di manifestazione del pensiero
comprende “la libertà di dare e divulgare notizie, opinioni e commenti”. Ancora più ampia è la
presa di posizione nella sentenza 826/1988 dove la Corte specifica di intendere “l‟informazione in
senso lato ed omnicomprensivo, così da includervi qualsiasi messaggio televisivo, vuoi
informativo, vuoi culturale, vuoi comunque suscettibile di incidere sulla pubblica opinione”. La
Corte ha finito cosi per privilegiare una lettura estensiva del concetto di informazione, da
intendersi quindi non già come attività limitata alla diffusione delle sole notizie, ma piuttosto come
sinonimo di messaggio televisivo.
25
Cfr. A.M. SANDULLI, La libertà di informazione, in Problemi giuridici dell‟informazione,
Milano, 1977, p.2 il quale, aderendo all‟impostazione secondo la quale l‟informazione non
costituisce altro che una parte dell‟oggetto della libertà di espressione, afferma che la stessa indica
un‟attività comunicativa, un messaggio il quale non presuppone necessariamente un‟attività
psichica creativa del medesimo soggetto ed è ordinato a portare ciò che viene comunicato a
conoscenza di altri.
9
senso restrittivo, con riferimento, quindi, al concetto di comune senso del
pudore26, esistono altri limiti identificabili in tutti quei valori i quali “siano
da considerare di tale importanza nella scala dei valori consacrati nella
Costituzione, che rispetto ad essi la stessa libertà in esame debba cedere”27.
26
La nozione di buon costume è stata oggetto di un‟accesa disputa tra coloro che propendevano
verso un‟interpretazione civilistica, che identificava lo stesso con la concezione di morale pubblica
e di “honeste vivere”, e coloro che si facevano, invece, portatori di un‟interpretazione più
restrittiva riconducibile alle norme penali. L‟orientamento prevalente si è ormai attestato
sull‟accoglimento del concetto penalistico di buon costume, fondato sul significato di comune
senso del pudore e di pubblica decenza e relativo essenzialmente alla sfera della morale sessuale
(così P. BARILE, Libertà di manifestazione del pensiero, cit., p. 459 ; C. ESPOSITO, La libertà
di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, cit., p. 40; M. MAZZIOTTI, Appunti
sulla libertà di manifestazione del pensiero nell‟ordinamento italiano, in Scritti su le fonti
normative e altri temi di vario diritto in onore di Vezio Crisafulli, cit.,p. 535). Esso si attua in un
complesso di regole che l‟opinione pubblica riconosce valide, in un determinato momento storico,
a proteggere la convivenza contro l‟oscenità e contro le offese alla pubblica decenza. Questa
interpretazione risulta essere la più conforme a quella data durante i lavori preparatori dell‟attuale
Costituzione, durante i quali l‟orientamento prevalente era quello di coloro che ritenevano che il
concetto di buon costume dovesse avere un‟estensione più ampia di quella rapportabile al comune
senso del pudore e che, dunque in esso dovessero essere compresi tutti quei valori morali
essenziali che permeano la coscienza etica di un popolo in un determinato momento storico. In
quest‟ottica si muoveva la prima bozza presentata dal Comitato dei Settantacinque, che utilizzava
il concetto di “pubblica moralità” in luogo di quello di buon costume. Tale bozza, tra le più aspre
critiche, non fu votata (e venne sostituita dall‟attuale testo dell‟art. 21) sulla base di diffuse
preoccupazioni che il riferimento alla morale pubblica avrebbe potuto giustificare, sul piano
positivo, un incremento del numero delle norme in materia di reati di opinione. Anche la
giurisprudenza costituzionale ha accolto questa interpretazione della nozione di buon costume.
Nella sent. 9/1965, nella quale l‟art 553 c.p. veniva considerato conforme alla Costituzione in
quanto norma diretta a tutelare il buon costume, i giudici costituzionali hanno evidenziato che
questo non può essere fatto coincidere con la morale o la coscienza etica, ma “risulta da un
insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita sociale di relazione,
la inosservanza dei quali comporta in particolare la violazione del pudore sessuale, sia fuori, sia
soprattutto nell‟ambito della famiglia, della dignità personale che con esso si congiunge e del
sentimento morale dei giovani, aprendo la via al mal costume, con la possibilità di comportare
anche la perversione dei costumi, il prevalere cioè di comportamenti contrari ed opposti” (vedi F.
SORRENTINO, L‟art 553 nell‟interpretazione adeguatrice della Corte, in Giur. Cost., 1965, p. 77
e M. MAZZIOTTI, Incitamento a pratiche contro la procreazione e Costituzione, in Giur. Cost.,
1965, p. 67. Si noti che nella successiva sent. 49/1971 la Corte cambia strada, dichiarando
incostituzionale l‟art. 553 il quale viene considerato ora come norma non finalizzata alla tutela del
buon costume e priva di qualsiasi fondamento storico tale da giustificarne la tutela stessa). Da
ultimo significativa è la sent. 293/2000 nella quale la Corte ritiene legittimo l‟art. 5 della l.
47/1948 il quale dispone che si applichi l'art. 528 del codice penale ai fatti riguardanti gli "stampati
i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti
realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento
della morale”. Nella motivazione si legge che la norma “non intende andare al di là del tenore
letterale della formula, vale a dire…ciò che è comune anche alla pluralità delle concezioni etiche
che convivono nella società contemporanea” identificabile quindi “nel rispetto della persona
umana, valore che anima l'art. 2 della Costituzione”.
27
Cfr. A.M. SANDULLI, La libertà di informazione, cit., p. 485. L‟attenzione ad altri beni di
rilievo costituzionale risponde all‟assunto secondo il quale “le norme della Costituzione non vanno
considerate isolatamente, bensì coordinate fra loro” (sent. 121/1957) L‟ammissibilità di limiti
diversi da quelli fondati sulla stessa Costituzione e affidati alla discrezionalità del legislatore
finirebbe, infatti, per vanificare la garanzia dell‟art 21 (v. in tal senso L. PALADIN, Libertà di
10
Essa deve essere, quindi, rispettosa dei valori inerenti alla persona, e
dunque della dignità e onorabilità della sfera intima di ciascuno, come pure
dei valori inerenti all‟esigenza di tutelare i minori, maggiormente esposti
dalla loro vulnerabilità psichica, nonché dei valori inerenti alle strutture
istituzionali dei pubblici poteri e al loro funzionamento. Da ciò discende, ad
esempio, la legittimità di quelle norme che sono poste a salvaguardia dei
segreti aventi carattere strumentale e sussidiario rispetto all‟esercizio di
funzioni pubbliche (segreto di Stato, segreto giudiziario, segreto
d‟ufficio)28.
L‟art. 21 non si limita, però, a tutelare solo la libertà “attiva” di
manifestazione del pensiero (libertà di dare e divulgare notizie, opinioni,
commenti), ma tutela anche il profilo “passivo” di questa libertà, e cioè
quello che è stato definito l‟interesse o, più specificamente, il diritto
soggettivo del singolo, cittadino o non, ad essere informato.
Il profilo passivo della libertà di manifestazione del pensiero è stato
identificato dalla dottrina e dalla giurisprudenza con formule alle quali non
sempre è possibile attribuire un significato univoco. Si parla infatti di
libertà di essere informati, di libertà-diritto di essere informati e si è arrivati
a parlare, infine, di un vero proprio diritto all‟informazione. Si aggiunge,
poi, che il diritto all‟informazione possa essere configurato anche come
pensiero e libertà di informazione: le problematiche attuali, in Quad. Cost., 1987, p.7). Il
concorrere di diversi beni di rango costituzionale implica, di conseguenza, l‟esercizio di un
giudizio di bilanciamento al fine di evitare arbitrarie opposizioni alla libera manifestazione delle
opinioni individuali. Nel compimento di tale giudizio sarà necessario indagare più in profondità la
ratio delle varie disposizioni al fine di desumere idonei criteri di prevalenza tra interessi
costituzionali che si trovano contrapposti. Su questa linea si è anche mossa la Corte laddove, nella
sentenza 20/1974, ha sottolineato la necessità di effettuare un‟indagine rivolta “all‟individuazione
del bene protetto e all‟accertamento se esso sia o meno considerato dalla Costituzione in grado tale
da giustificare una disciplina che in qualche misura possa apparire limitativa della fondamentale
libertà in argomento”. Tali attività saranno riservate al legislatore, e successivamente all‟interprete
chiamato ad applicare la norma. L‟esclusione di qualsiasi giudizio ex ante e, quindi, l‟attenzione su
quanto ogni volta disposto dal legislatore ordinario, eviterà il pregiudiziale sacrificio di un bene
nei confronti di un altro, consentendo invece “la coesistenza di essi in un ben ordinato sistema di
convivenza sociale” (sent. 25/1965).
28
Esistono, però, anche segreti privati in ordine ai quali è da ritenere non illegittimo che la legge li
consideri meritevoli di protezione, dato il ruolo funzionale che la segretezza gioca rispetto ai
compiti socialmente importati, nella vigente costituzione socio-economica, delle attività cui
accedono (segreto bancario, segreto industriale, segreto professionale): di qui la legittimità della
configurazione come illecito della divulgazione anche di tali segreti, non soltanto ad opera di chi
ne sia il naturale detentore, ma anche (come prevede l‟art. 621 c.p.) dei terzi, quando ne siano
venuti a conoscenza in modo abusivo.
11
libertà di informarsi, ovvero libertà di accedere ad una pluralità di fonti di
informazione. E‟ evidente che queste categorie concettuali, pur utilizzando
un lessico equivalente, appaiono molto diverse l‟una dall‟altra e
racchiudono situazioni giuridiche molto diverse.
E‟ stata la Corte costituzionale, nella sent. 105/1972, a riconoscere,
per prima, ai destinatari della manifestazione del pensiero e in maniera più
specifica delle trasmissioni radiotelevisive, un interesse generale
all‟informazione, indirettamente protetto dall‟art. 21: in tale pronuncia la
Corte ha precisato che questo interesse “in un regime di libera democrazia,
implica pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime,
assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione
delle notizie e delle idee”. Lo stretto legame tra regime democratico e
informazione è stato poi nuovamente sottolineato dalla Corte nella sent.
348/1990 laddove viene ribadito con forza che “l'informazione, nei suoi
risvolti attivi e passivi (libertà di informare e diritto ad essere informati)
esprime, infatti, una condizione preliminare per l'attuazione ad ogni livello,
centrale o locale, della forma propria dello Stato democratico”.
Questa impostazione può considerarsi ormai consolidata nella
giurisprudenza costituzionale, tanto che il giudice delle leggi nella sent.
112/1993 va oltre, non soltanto richiamando accanto al diritto di informare,
“il diritto di essere informati” ma ricollegando direttamente quest‟ultimo “ai
principi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali
esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica
e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla
formazione della volontà generale”.
Nella sentenza 420/1994 la Corte, poi, approfondisce la propria
posizione specificando che “il diritto all'informazione garantito dall'art. 21
Cost. implica indefettibilmente il pluralismo delle fonti” e ribadendo con
forza che è appunto tale diritto a comportare "il vincolo al legislatore di
impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l'accesso nel
sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse”.
La giurisprudenza della Corte si è quindi evoluta da un‟iniziale
12
identificazione in termini di interesse generale all‟informazione,
indirettamente protetto dall‟art. 21, sino a proporre il modello di un diritto
ad un‟informazione pluralistica29.
Accanto al tradizionale diritto di informare si è venuto, quindi,
configurando, un diritto all‟informazione, i cui titolari non sono gli stessi
del primo diritto, e che si rende doveroso rendere oggetto di interpretazione
relativamente alla portata e al valore riconoscibile appunto a tale diritto.
Di fronte a questa impostazione avanzata dalla Corte costituzionale
tendente ad evidenziare in modo molto netto un interesse prima, e un diritto
poi, del singolo ad ottenere l‟informazione, si è posto il problema dello
spessore di questo interesse e del contenuto del medesimo, per arrivare a
determinare, quindi, se la pretesa dei destinatari dell‟informazione potesse
in qualche modo racchiudere un vero e proprio diritto ad un certo tipo di
informazione ed in particolare ad un‟informazione obiettiva, completa ed
imparziale.
Parte della dottrina ritiene, infatti, che l‟art. 21 non copra soltanto
l‟interesse del trasmittente il messaggio informativo, ma anche quello del
beneficiario della trasmissione. Una volta riconosciuto che la disposizione
in oggetto dà piena garanzia alla libertà di informare intesa nel suo profilo
attivo, il dettato costituzionale viene ad essere caratterizzato non
semplicemente in funzione dell‟interesse di chi trasmette il messaggio, ma
altresì in funzione dell‟utilità di un prevedibile destinatario della
comunicazione: in altre parole, risulta escluso che la norma costituzionale
non implichi, oltre all‟interesse di chi trasmette il messaggio, anche
l‟interesse di chi lo riceve30. Si tratta, a questo punto, di considerare se la
garanzia di quest‟ultimo interesse possa essere assicurata attraverso
l‟attribuzione al soggetto di uno specifico diritto soggettivo, con tutte le
29
Cfr L. BIANCHI, Tra interesse e diritto del cittadino utente all‟informazione pluralistica nel
settore radiotelevisivo, in Dir. Radiodiff., 1993, p. 285 ss.; P. COSTANZO, Diritto
all‟informazione e diritto d‟informazione nei più recenti sviluppi della giurisprudenza
costituzionale in materia radiotelevisiva, in P. BARILE e R. ZACCARIA (a cura di), Rapporto
‟93 sui problemi guridici della radiotelevisione in Italia, p. 479 ss.
30
Cfr. N. LIPARI, Libertà di informare o diritto ad essere informati, in Dir. Radiodiff., 1978, p. 1
ss.