1
Capitolo primo
L ’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE
ECONOMICO FINANZIARIA E L ’ESIGENZA DI UN
LINGUAGGIO COMUNE
Sommario: 1. La comunicazione aziendale: cenni 1.1 Il processo
di comunicazione economico-finanziaria nelle PMI 1.1.2. I
soggetti coinvolti 2. La globalizzazione dei mercati finanziari e
l’esigenza di un linguaggio contabile comune 3. Il processo di
armonizzazione contabile: tappe fondamentali.
1. La comunicazione aziendale: cenni
L’impresa, in quanto sistema
1
aperto
2
e qualunque siano le sue
dimensioni, la forma giuridica o l’attività svolta, instaura con
1
“Un sistema è un complesso ordinato di fenomeni e di principi e di
concetti, nel quale le parti sono unite da rapporti di interdipendenza”
ZAPPA G., La nozione di sistema: le sue vaste applicazioni. I diversi sistemi
dei valori nell’economia di ogni azienda, in Il Risparmio, 1959, n. 11. Per
quanto concerne la definizione di azienda come sistema AMADUZZI A.,
L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, 1966, p. 20:
“L’azienda è un sistema di forze economiche che sviluppa, nell’ambiente di
cui è parte complementare, un processo di produzione, o di consumo, o di
produzione e di consumo insieme, a favore del soggetto economico, ed altresì
degli individui che vi cooperano” .
2
Nell’ambito dell’approccio sistematico, l’azienda veniva considerata
inizialmente come sistema chiuso (anche se le veniva riconosciuto un
carattere dinamico ed evolutivo), successivamente, come sistema aperto.
I sistemi chiusi sono quelli studiati come se fossero isolati da tutto ciò che li
circonda: come quelli presi in considerazione analizzando i fenomeni della
fisica e della chimica convenzionale.
Il sistema aperto può, invece, essere paragonato, in una prima
approssimazione, ad un organismo vivente: «esso si mantiene in uno stato
continuo di flusso verso l’interno e verso l’esterno di costruzione mediante i
suoi componenti e di disgregazione delle costruzioni ottenute; senza mai
trovarsi, per la sua esistenza, in uno stato di equilibrio (nel senso di equilibrio
chimico “stazionario”) ben distinto dallo stato di equilibrio». [F.M.
FERRER-PACCES, “I sistemi d’impresa”, in L’impresa Edizioni, Torino
1974 p. 130].
In un primo momento, dunque, l’azienda è vista come un sistema meccanico
volto a perseguire condizioni di equilibrio, esprimibili con un linguaggio
quantitativo ed oggettivo, anche se in termini prospettici evolutivi e, quindi,
dinamici. Successivamente, la considerazione che la ristretta ottica
2
meccanicistica conduceva ad una degradazione dell’impresa (vittima di un
processo involutivo di chiusura nei confronti dell’ambiente, di insensibilità
nei riguardi dei mutamenti delle condizioni di mercato e di incapacità a
promuovere l’innovazione e la mobilità delle risorse umane e materiali),
condusse ad affrontare l’istituto aziendale con una visione organicistica
ovvero ricorrendo ad analogie con gli organismi biologici, che,
evidentemente, come tali si trovano costretti ad affrontare le condizioni
mutevoli presenti nel loro ambiente esterno. [Uno scrittore di ragioneria
teorica , VALERIO M., in “La Ragioneria nei suoi primi principi”, Tip. Ed.
Cattaneo, Bergamo, 1939, sostiene la preferenza per la analogia organicistica,
nel porre la definizione di azienda come «complesso organico». Egli scrive a
pag. 45: che l’azienda si è indicata « con il termine “complesso organico”,
anziché con la voce “sistema”, sia per affermare che le occorrono organi per
esistere, per operare, sia per esprimere meglio l’unità»].
Tuttavia la concezione biologica non ha convinto pienamente i nostri Autori
[lo stesso Zappa, infatti, già alla fine degli anni venti, richiamando la
dinamicità dell’istituto aziendale criticava le “facili ed affrettate analogie
biologiche”; che «trovarono dapprima larga esplicazione negli studi
sociologici: in quel campo esse furono elaborate con ingegnosità sagace. In
seguito esse si diffusero, ma in guisa frammentarie, nel campo nostro valsero
per tempo non breve a mantenere gli studi delle organizzazioni aziendali atte
a risolvere i problemi che riflettono l’ordinamento concreto delle aziende.»
(G. ZAPPA, Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Istituto Editoriale
Scientifico, Milano 1927, p. 29).
Per quanto concerne, poi, la dinamicità dell’istituto aziendale e la sua
necessità di rapportarsi con l’ambiente esterno – ovvero di comunicare con
esso – queste sono ribadite con forza da Zappa negli anni successivi.
«L’organizzazione deve essere studiata dinamicamente nelle sue mobili
strutture e nelle meritevoli funzioni dei suoi organi. (…) Se infatti
l’organismo di azienda non è che un mezzo per lo svolgimento di una
gestione conveniente, anche il modificarsi delle condizioni di ambiente e
quindi il succedersi di diverse combinazioni e di diversi processi produttivi
deve riflettersi in una trasformazione delle strutture organiche operanti per la
produzione (ZAPPA, “Le produzioni nell’economia delle imprese”, II,
Giuffrè Milano, 1956, p. 26)], che hanno ritenuto, con il tempo [vi era, infatti,
chi ancora agli inizi degli anni settanta, auspicava l’applicazione concreta
all’azienda del concetto di sistema aperto «chi scrive pensa sia necessario
passare da una “visione” meccanica e settoriale, secondo le suddivisioni
tradizionali dell’organizzazione industriale ad una organica e globale,
individuando nuove interpretazioni, che sia in grado di fare propri e
considerare tutti gli elementi che esercitano la loro influenza in una realtà
dinamica come la nostra. Questo significa cercare di applicare il concetto di
“sistema aperto” all’organizzazione d’impresa, considerandola cioè come per
ogni ente vitale, non soltanto nelle sue forme strutturali, ma soprattutto nei
suoi rapporti col mondo esterno e nei processi interni» (A. FOBRIS,
“L’organizzazione aziendale. Alcuni problemi attuali”, L’Impresa, 1973, p.
263)]; ben più idonea a rappresentare la realtà aziendale la concezione di
sistema aperto [circa le caratteristiche del sistema impresa non vi è oggi chi
non riconosce la sua natura di sistema aperto (G. EMINENTE, “Politiche di
impresa e strategie di marketing”, Isedi, Torino 1972, p. 24].
Tale punto di vista era, comunque, ancora una volta ben presente in linea
concettuale anche in Zappa quando egli affermava che «la nozione di
azienda (…) non si esaurisce nella considerazione dei suoi fattori e dei suoi
accadimenti; ma implica l’ordine investigazione e la conoscenza costante
delle relazioni che sempre nuove si intrecciano tra i fenomeni di azienda e tra
i fenomeni di azienda e di mercato e coinvolge inoltre la percezione degli
andamenti e delle tendenze future di quei fenomeni e di quelle relazioni» [G.
3
l’ambiente in cui opera, un continuo processo di interscambio,
nel quale i flussi di informazione passano dall’impresa al
mercato, dal mercato all’impresa.
Quindi, in virtù di tale processo, l’obiettivo dell’impresa può
essere definito quello di ricercare la consonanza con il proprio
ambiente, “ossia la possibilità di stabilire con esso un rapporto
armonioso e fecondo
3
” .
Nella ricerca della consonanza tra l’impresa e il suo ambiente,
un ruolo di particolare rilievo, tanto da essere considerata parte
essenziale della strategia aziendale, è svolto dalla
comunicazione aziendale, intesa come strumento che permette
all’impresa di evolversi in interazione con il suo ambiente,
stimolando la coevoluzione, l’adattamento, la dialettica tra le
parti, i meccanismi di retroazione del sistema.
Il compito attribuito alla comunicazione è quello di rafforzare
l’immagine aziendale al fine di consentire all’impresa di:
a) costruirsi una credibilità strategica;
b) accrescere la “risorsa fiducia”;
c) ottenere il consenso degli attori sociali.
A tal fine essa deve saper interagire in una logica relazionale
con i diversi attori economici e sociali e generare, attraverso il
processo comunicazionale, credibilità, fiducia e consenso,
perché solo operando in tal modo, l’impresa può acquisire le
migliori risorse sui mercati di approvvigionamento, orientare e
Zappa, “La nozione di azienda nell’economia moderna”, Il Risparmio, 1954,
8, p. 1261].
In modo più chiaro e significativo, Zappa riteneva che «forse non poche
deficienze della dottrina in azienda di debbono attribuire alla voluta
astrazione del divenire nelle aziende dalle notevoli ripercussioni su di esso
esercitate dall’ambiente nel quale le gestioni economiche si compiono. Le
leggi di sviluppo delle aziende non possono mai investigarsi considerando le
aziende in se stesse, divelte dalla trama fitta delle relazioni dalle quali sono
avvinte al mondo sensibile e morale che, avvolgendolo, le suscita e le
indirizza in dati tempi e diversi particolari fini» (Zappa G., “Le produzioni
nell’economia delle imprese”, I, Giuffrè Milano, 1956, p. 312).
3
CODA V., “L’orientamento strategico dell’impresa”, Utet, Torino, 1991,
cap. 1 par. 3.
4
motivare la forza lavoro al raggiungimento degli obiettivi di
impresa, accrescere la fiducia dei clienti, legittimare l’attività
d’impresa nell’ambiente in cui opera
4
.
Affinché ciò si realizzi è necessario, non solo che la
comunicazione aziendale sia in consonanza con l’indirizzo
strategico dell’impresa e con le strategie attuate, perché la
dissonanza tra messaggi e comportamenti crea disorientamento,
danneggiando l’immagine dell’impresa, ma anche che sia una
“comunicazione integrata”, cioè una comunicazione che
trasmetta messaggi coerenti e coordinati, pur mantenendo una
certa specializzazione a seconda dei pubblici e degli obiettivi
operativi che si pone.
Comunicazione integrata vuol dire, infatti, che i diversi
momenti, i diversi componenti di una campagna di
comunicazione devono reciprocamente integrarsi a costituire un
insieme armonioso che consenta di raggiungere gli obiettivi che
di volta in volta ci si sarà prefissati di raggiungere. Ciascun
messaggio, ciascun mezzo che si sarà scelto di utilizzare per
comunicare dovrà integrarsi, cioè, con tutti gli altri, dando una
sensazione di coerenza, di sintonia, di sinergia complessiva. In
altre parole, e solo in questo caso, possiamo parlare di
comunicazione “integrata”
5
.
“La comunicazione integrata è scomponibile in diverse aree,
ciascuna delle quali è caratterizzata dal fatto che pone in
relazione l’azienda con specifici ambienti di riferimento, sia
esterni che interni. Inoltre, ciascuna area persegue obiettivi
specifici ed è dotata di un insieme di tecniche e di strumenti,
anch’essi strettamente connessi alle caratteristiche dei diversi
ambiti di riferimento e dei diversi obiettivi perseguiti.
4
CODA V. “La valutazione della formula imprenditoriale,” in Sviluppo e
organizzazione, marzo-aprile, 1984.
5
MORELLI M. “L’immagine dell’impresa. Le leve strategiche della
comunicazione nell’epoca del cambiamento”, Franco Angeli Editore, 2002,
p. 75.
5
L’articolazione più elementare e tradizionale della
comunicazione integrata comprende due aree: quella della
comunicazione esterna e quella della comunicazione interna.
La distinzione si fonda sulla collocazione rispetto alla posizione
dell’azienda dei rispettivi pubblici di riferimento: la
comunicazione interna agisce prevalentemente sul pubblico
interno all’impresa (…) e determina, orientandoli e
condizionandoli, i comportamenti e i processi aziendali (…). La
seconda area elementare della comunicazione elementare (quella
esterna) ha, invece, come naturali riceventi i sistemi ambientali
che si collocano al di fuori dell’impresa ma entro i quali
l’impresa opera”
6
.
Tuttavia la classica distinzione tra comunicazione interna e
comunicazione esterna è fortemente limitativa e non consente di
cogliere tutti gli elementi di novità e di differenziazione della
moderna comunicazione aziendale.
È quindi stato necessario individuare una nuova classificazione
non più basata sul target, ma su obiettivi e contenuti
7
. Sulla base
di obiettivi e contenuti, è possibile distinguere la comunicazione
d’impresa in quattro grandi aree:
a) la comunicazione commerciale, volta a migliorare le
relazioni con il mercato dei clienti finali e intermedi
rendendo percepibile il valore dell’offerta aziendale,
ovvero la sua capacità di soddisfare i bisogni della
domanda;
b) la comunicazione istituzionale, avente l’obiettivo di
migliorare le relazioni con i diversi pubblici (esterni ed
interni) facendo conoscere l’impresa, i suoi valori, la
6
R. FIOCCA, “Relazioni, valore e comunicazione d’impresa: la
comunicazione integrata nell’economia delle imprese”, Egea, 1993, p. 67-69.
7
VECCHIATO G. P. - NAPOLITANO E. M. “Marketing, comunicazione e
relazioni pubbliche per gli studi professionali”, Franco Angeli editore, 2007,
p. 88.
6
sua missione, in altre parole legittimando l’impresa
nell’ambiente in cui opera;
c) la comunicazione gestionale, finalizzata a migliorare le
relazioni con i soggetti direttamente o indirettamente
coinvolti nella gestione dell’impresa, rendendo
percepibile e attuando la capacità di coordinamento,
controllo e omologazione delle risorse e delle
produzioni cognitive d’impresa;
d) la comunicazione economico-finanziaria, indirizzata a
migliorare le relazioni con i portatori di risorse,
esplicitando gli aspetti patrimoniali, reddituali e
finanziari dell’impresa, nonché gli auspicabili
incrementi di valore del capitale economico, ovvero
rendendo percepibile la sua qualità di operatore
economico, di soggetto capace di produrre stabilmente
reddito attraverso l’uso di determinate risorse
8
.
1.1.1. Il processo di comunicazione economico-finanziaria
nelle PMI
A prescindere dagli obiettivi assegnati e dai soggetti a cui si
rivolge, ogni informazione trasmessa all’esterno dell’impresa,
contribuisce a qualificare l’immagine della stessa ed a creare
potenzialità di acquisizione di consenso.
Infatti “se si condivide la tesi che la comunicazione è il vettore
principale delle relazioni che inseriscono l’impresa
nell’ambiente in modo unitario e sistemico
9
, ciascuna area della
comunicazione crea e diffonde valore nella misura in cui
migliora le relazioni d’impresa: in particolare si può affermare
8
CORVI E, FIOCCA R., “Comunicazione e valore nelle relazioni
d’impresa”, Egea, Collana Impresa e valore, 1996.
9
FIOCCA R., “Relazioni, valore comunicazione d’impresa. La
comunicazione integrata nell’economia delle imprese”, Egea, 1993.
7
che ogni singola area d’impresa diffonde il valore intrinseco,
oggettivo e crea valore percepito (credibilità, fiducia,
immagine), che a sua volta alimenta la creazione di valore
oggettivo”.
10
Ciò è particolarmente evidente se si fa riferimento alla
comunicazione economico-finanziaria, i cui messaggi,
sintetizzando le informazioni inerenti la situazione economico,
finanziaria e patrimoniale dell’impresa, assumono ampie valenze
conoscitive circa la prospettiva di sopravvivenza e di sviluppo
dell’impresa
11
.
L’informazione economico-finanziaria assume, infatti, un ruolo
fondamentale nel rapporto che viene ad instaurarsi tra l’impresa e
i soggetti che vi apportano capitale di credito e capitale di rischio.
L’informazione economico-finanziaria è indirizzata
prevalentemente ai portatori di capitale (proprio e di terzi)
attuali e potenziali e concerne la diffusione di informazioni volte
a favorire l’interdipendenza della dinamica economico-
finanziaria e prospettica. Nell’accezione ampliata qui sostenuta,
essa comprende i flussi informativi riguardanti sia aspetti
patrimoniali, finanziari e reddituali sia profili qualitativi
dell’azienda, come la struttura, le strategie, le attività operative,
che possono riflettersi sui risultati futuri. Per comunicazione
economico-finanziaria si intende, pertanto, la diffusione di tutte
le informazioni che possono consentire un’adeguata valutazione
delle posizioni di equilibrio economico e della direzione ed
intensità del moto aziendale
12.
10
CORVI E. “Economia e gestione della comunicazione economico-
finanziaria d’impresa”, Egea, 1997, pag. 17.
11
Dott. ASTORI R., “Comunicazione economico-finanziaria, trasparenza e
corporate governance-Abstract” , Brescia, 18 giugno 2004.
12
ALLEGRINI M., “L’informazione di periodo nella comunicazione
economico-finanziaria”, Giuffrè Editore 2003, pagg. 4-5.
8
Il processo di comunicazione economico-finanziaria che si
sviluppa tra l’azienda ed i propri stakeholder e che si realizza
concretamente attraverso:
a) la comunicazione periodica, obbligatoria e volontaria, di
matrice contabile ed extracontabile;
b) la comunicazione effettuata in particolari momenti della
vita d’impresa (ad esempio in caso di operazioni
straordinarie);
c) la comunicazione personalizzata, diretta a particolari
categorie di interlocutori aziendali (ad esempio indirizzata
agli investitori istituzionali delle società quotate)
13
,
si manifesta attraverso il passaggio di un flusso informativo,
finalizzato ad assecondare le esigenze conoscitive di questi ultimi
riguardo all’andamento dell’attività aziendale ed alle sue
risultanze.
Gli elementi principali che normalmente inducono un’azienda
all’attivazione di tale processo possono essere diversi. Tra questi
ricordiamo i vincoli giuridici, civilistici e fiscali orientati alla
tutela dei terzi e alla determinazione di una base imponibile sulla
quale calcolare le imposte di esercizio; le esigenze strategiche e
organizzative di un’azienda, differenziate in funzione della
propria complessità gestionale; la numerosità ed il tipo di
relazioni esistenti con i diversi stakeholder aziendali.
Diversi sono anche i componenti fondamentali che intervengono
nello svolgimento di tale processo di comunicazione, che in base
alla loro natura si distinguono in elementi:
a) soggettivi, in quanto riguardanti l’identità dei soggetti
coinvolti;
b) oggettivi, attinenti alla natura del mezzo utilizzato;
13
(A cura di) PAOLONI P., CESARONI F.M., DEMARTINI P.,
“Internazionalizzazione e comunicazione economico finanziaria delle piccole
imprese”, Franco Angeli, 2005, pagg. 78-79.
9
c) qualificanti, che riguardano le modalità di svolgimento
del processo.
Per quanto concerne l’aspetto soggettivo, ossia i protagonisti
coinvolti nel processo di comunicazione, questi sono;
a) l’emittente-azienda;
b) i destinatari-stakeholder.
Nelle aziende di grandi dimensioni il processo di comunicazione
economico-finanziaria viene attivato dall’azienda stessa, la quale,
con esso, comunica ed informa i soggetti esterni ed interni
all’attività aziendale. Nelle piccole imprese, invece, tale processo
di comunicazione viene posto in essere dal soggetto esterno
interessato (stakeholder) nel momento in cui vengono chieste
all’azienda informazioni utili al fine di poter effettuare scelte
economiche
14
che, a vario titolo, coinvolgono il rapporto esistente
tra tale soggetto e l’azienda stessa.
Questo differente approccio dipende dalla circostanza che mentre
nella grande impresa i vincoli normativi, la numerosità degli
stakeholder e il grado di coinvolgimento esterno obbligano
l’emittente-azienda alla produzione ed alla trasmissione di un
flusso informativo costante, con la conseguenza che è la stessa
azienda ad essere il pusher attivatore del processo di co-
municazione, nelle piccole imprese, sottoposte a vincoli di
informazione più attenuati rispetto alle prime, sono invece, i
destinatari-stakeholder, attraverso la richiesta di specifiche
informazioni, a stimolare l’attivazione di tale processo.
In riferimento all’aspetto oggettivo, il mezzo utilizzato nel
processo di comunicazione economico-finanziaria tra l’azienda e i
suoi stakeholder è il bilancio di esercizio.
Infatti il bilancio rappresenta il principale e pressoché unico
documento informativo obbligatorio ex-lege, sia per gli
imprenditori individuali che per le società, mediante il quale
14
A.DESSY-A. GERVASONI, “Le piccole imprese e il capitale di rischio”,
Egea, Milano, 1989.
10
l’impresa soddisfa sistematicamente e periodicamente le esigenze
informative dei terzi. Inoltre esso è accessibile a tutti i soggetti
interessati, infatti secondo il dettato dell’articolo 2435 C.c., entro
trenta giorni dall’approvazione, copia del bilancio, corredata dalle
relazioni e dal verbale di approvazione dell’assemblea o del
consiglio di sorveglianza, deve essere depositata a cura degli
amministratori presso l’ufficio del registro delle imprese
15
.
Di fondamentale importanza, inoltre, si presenta l’aspetto
qualificante del processo di comunicazione, il quale assume una
configurazione non sottoposta a vincoli giuridici, che invece
condizionano i protagonisti della relazione comunicativa
(azienda-stakeholder), o lo strumento principale utilizzato per
concretizzarla (bilancio). Tale aspetto mette in luce il "se" e il
"come" i bisogni informativi degli stakeholder vengano
soddisfatti e quali debbano essere i requisiti che tale processo
deve avere perché l’obiettivo venga raggiunto.
L’attenzione rivolta a tale aspetto induce, pertanto, ad individuare
i fattori che concorrono a determinare l’efficienza e l’efficacia di
un processo di comunicazione economico-finanziaria, nella
consapevolezza che l’importanza di un’informativa efficace ed
efficiente agevola l’instaurarsi di rapporti di fiducia e
riconoscimento da parte dell’ambiente esterno e facilita la
costruzione di una logica comunicazionale interattiva necessaria a
tutti i tipi di aziende, anche quelle di minore dimensione.
Infatti, sebbene la comunicazione economico-finanziaria sia nata
soprattutto per le imprese aventi una maggiore visibilità e verso le
quali confluiscono quindi gli interessi di un gran numero di
soggetti, quali le società quotate in Borsa, essa riveste però un
ruolo sempre più importante anche per le imprese di più piccole
dimensioni, anche se nella maggior parte dei casi non ci sia un
15
Cfr. G.F. Campobasso “Manuale di diritto commerciale”, a cura di M.
Campobasso, terza edizione UTET giuridica, pagg. 52 e 288.
11
pubblico di investitori e un mercato borsistico con i quali
interagire in modo costante e sistematico
16
.
1.1.2. I soggetti coinvolti
Nell’ambito di un processo di comunicazione economico-
finanziaria sia l’azienda-emittente che i destinatari-stakeholder
possono assumere diverse connotazioni le quali non risultano
indifferenti rispetto alle modalità di svolgimento del processo di
comunicazione economico-finanziaria.
Emittente-azienda
Per quanto riguarda l’emittente, differenti saranno le forme di
comunicazione adottate verso l’esterno a seconda della forma
giuridica assunta. La complessità e la rigidità delle norme
emanate dal legislatore civilistico per la redazione del bilancio
ordinario di esercizio delle società di capitali, infatti, hanno
indotto lo stesso legislatore a semplificare la normativa per quelle
imprese di minori dimensioni, aventi la stessa forma giuridica di
società di capitali ma per le quali a causa della ridotta dimensione,
troppo onerose risulterebbero le procedure amministrativo-
contabili necessarie per la sua elaborazione. Appare scarsa e la-
cunosa, invece, la normativa civilistica, inerente gli altri tipi di
piccole imprese (società di persone e ditte individuali). Per queste
ultime, infatti, è la normativa fiscale che colma le lacune lasciate
dalla normativa civilistica. Il bilancio, pertanto, si configura, per
quest’ultima categoria di imprese, come "bilancio fiscale", redatto
per la determinazione del reddito imponibile, il quale prevede
come unico destinatario l’Amministrazione Finanziaria. Ne
consegue che, proprio perché redatto attribuendo la priorità a
finalità di natura fiscale, tale documento non è in grado di
soddisfare esaustivamente i bisogni informativi degli altri
16
PAOLONI P., “Il bilancio delle piccole imprese nella prospettiva
internazionale - Il progetto IASB”, Giappichelli Editore - Torino, pagg. 53-57.
12
stakeholder aziendali benché questi ultimi risultino in numero
molto più limitato rispetto a quelli di una grande impresa, e
benché la distanza, che li separa dall’azienda, non solo in senso
geografico, ma anche in termini di capacità di contatto e di
conoscenza, sia molto minore che nel caso delle aziende più
grandi
17
. Solo parzialmente soddisfacente è invece l’efficacia
informativa del bilancio redatto dalle società di capitali di piccole
dimensioni, il quale non è in grado, da solo, di soddisfare tutte le
attese di conoscenza dei loro interlocutori. Pur con questa
caratterizzazione comune, quella delle piccole imprese si
presenta, dal punto di vista civilistico, come un comparto
eterogeneo, nel quale confluiscono imprese soggette, riguardo alla
produzione di dati contabili ed alla redazione del bilancio, a
vincoli diversi a seconda della forma giuridica adottata.
Le imprese di minori dimensioni possono assumere la forma
giuridica di:
a) ditte individuali;
b) società di persone;
c) società di capitali
18
.
Gli obblighi in tema di bilancio, delle piccole imprese con forma
giuridica di società di capitali sono definiti dagli artt. 2423 ss. c.c.
così come previsto per le grandi imprese. L’unico punto in cui il
legislatore civilistico adotta un criterio diverso da quello
giuridico, per tenere conto dell’aspetto dimensionale delle im-
prese e così riflettere le diverse esigenze informative di impresa
aventi una diversa estensione dimensionale è l’art.. 2435 bis
c.c.,
19
il quale consente alle società di capitali cosiddette "minori"
di redigere in forma abbreviata il bilancio d’esercizio.
17
PAOLONI P., “Il bilancio delle piccole imprese nella prospettiva
internazionale. Il progetto IASB”, Giappichelli Editore, Torino, 2006, p. 57.
18
CENSONI P.F.- SARALE M., “Le forme giuridiche della piccola
impresa”, ASPI/INS-EDIT, Genova, 1996.
19
Art. 2435-bis- Bilancio in forma abbreviata. [1] Le società, che non abbiano
emesso titoli negoziati in mercati regolamentati, possono redigere il bilancio
13
Il legislatore civilistico definisce obblighi diversi per le imprese
costituite, invece, nella forma della ditta individuale o delle
società di persone, obbligate soltanto ad attenersi all’art. 2217
c.c. ed ai criteri di valutazione indicati nell’art. 2426 c.c.
Anche l’Amministrazione Finanziaria individua per le piccole
imprese un regime differenziato al fine di alleggerire
notevolmente gli obblighi contabili e prevede, all’art. 18 del
in forma abbreviata quando, nel primo esercizio o, successivamente, per due
esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti:
1) Totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000;
2) Ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000;
3) Dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità.
[2] Nel bilancio in forma abbreviata lo stato patrimoniale comprende solo le
voci contrassegnate nell'art. 2424 con lettere maiuscole e con numeri romani;
le voci A e D dell'attivo possono essere comprese nella voce CII; dalle voci
BI e BII dell'attivo devono essere detratti in forma esplicita gli ammortamenti
e le svalutazioni; la voce E del passivo può essere compresa nella voce D;
nelle voci CII dell'attivo e D del passivo devono essere separatamente
indicati i crediti e i debiti esigibili oltre l'esercizio successivo.
[3] Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata le seguenti voci
previste dall'art. 2425 possono essere tra loro raggruppate:
voci A2 e A3
voci B9(c), B9(d), B9(e);
voci B10(a), B10(b), B10(c)
voci C16(b) e C16(c)
voci D18(a), D18(b), D18(c)
voci D19(a), D19(b), D19(c).
[4] Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata nella voce E20 non
è richiesta la separata indicazione delle plusvalenze e nella voce E21 non è
richiesta la separata indicazione delle minusvalenze e delle imposte relative a
esercizi precedenti.
[5] Nella nota integrativa sono omesse le indicazioni richieste dal n. 10
dell'art. 2426 e dai nn. 2, 3, 7, 9, 10, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 dell'art. 2427 e
dal n. 1 del comma 1 dell'art. 2427-bis; le indicazioni richieste dal n. 6)
dell'art. 2427 sono riferite all'importo globale dei debiti iscritti in bilancio.
[6] Le società possono limitare l'informativa richiesta ai sensi dell'articolo
2427, primo comma, numero 22-bis, alle operazioni realizzate direttamente o
indirettamente con i loro maggiori azionisti ed a quelle con i membri degli
organi di amministrazione e controllo, nonché limitare alla natura e
all'obiettivo economico le informazioni richieste ai sensi dell'articolo 2427,
primo comma, numero 22-ter.
[7] Qualora le società indicate nel primo comma forniscano nella nota
integrativa le informazioni richieste dai nn. 3) e 4) dell'art. 2428, esse sono
esonerate dalla redazione della relazione sulla gestione.
[8] Le società che a norma del presente articolo redigono il bilancio in forma
abbreviata devono redigerlo in forma ordinaria quando per il secondo
esercizio consecutivo abbiano superato due dei limiti indicati nel primo
comma .
14
D.P.R. n. 600/1973
20
, l’autorizzazione alla tenuta della
contabilità semplificata per alcune imprese individuali e per le
società di persone.
Per quanto detto, si evidenzia la difficoltà riscontrabile, nelle
piccole imprese, all’analisi del grado di efficienza ed efficacia
della comunicazione economico-finanziaria delle stesse.
Quando si assume un’ottica strettamente aziendalistica
l’universo delle "piccole imprese" può essere suddiviso in:
a. microimprese;
b. piccole imprese evolute
21
.
Appartengono alla prima categoria quelle imprese, di piccole e
piccolissime dimensioni, normalmente governate da un
imprenditore di tipo artigianale
22
, caratterizzate da una struttura
organizzativa poco sviluppata e da un’attività gestionale poco
complessa in cui la comunicazione economico-finanziaria risulta
estremamente limitata e di fatto circoscritta all’adempimento
degli obblighi informativi imposti dalla normativa fiscale.
L’unico stakeholder a cui questa categoria di imprese destina un
regolare flusso di informazioni economico-finanziarie è,
dunque, l’Amministrazione Finanziaria.
20
L’articolo 13, comma 1 del D.P.R. n. 600/1973 disciplina i soggetti
obbligati alla tenuta delle scritture contabili, ed in particolare alle lettere c) e
d), individua:
a) le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice e le
società ad esse equiparate ai sensi dell'art. 5 del tuir;
b) le persone fisiche che esercitano imprese commerciali ai sensi
dell'art. 55 del Tuir.
L’articolo 18 del D.P.R. n. 600/1973, tuttavia, consente ai soggetti
sopraindicati la tenuta di una contabilità semplificata nel caso in cui i ricavi
di cui agli articoli 57 e 85 del Tuir e successive modificazioni, conseguiti in
un anno intero:
a) non abbiano superato l'ammontare di euro 309.874,10 per le
imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi,
b) ovvero di euro 516.456,90 per le imprese aventi per oggetto altre
attività.
21
PAOLONI M., “Aspetti quali-quantitativi del sistema informativo e forma
giuridica della piccola impresa”, in Atti del convegno di studi di
Giurisprudenza italiana, ASPI/INS-EDIT, Genova , 1996.
22
SMITH N.R. - MINER J.B., “Type of Entrepreneur, Type of firm and
Managerial Motivation: Implication for Organizational life cycle Theory”, in
Strategic Management Journal, n. 4, 1983.
15
In tali circostanze, il bilancio tende a configurarsi più come un
documento di tipo amministrativo che non come strumento di
comunicazione e, sostanzialmente, sono trascurati i fabbisogni
conoscitivi dei soggetti che ruotano intorno all’impresa. La
scarsa attenzione rivolta al processo di comunicazione
economico-finanziaria risulta peraltro confermata dalla
tendenza, pressoché generalizzata, ad esternalizzare la funzione
amministrativa (commercialista o consulenti fiscali) ed il
compito di redigere il bilancio d’esercizio. Tale documento
rafforza, in questo modo, il suo status di strumento di tipo
amministrativo, compilato al di fuori di qualunque logica
strategica e di una identificata volontà di tipo relazionale.
Parzialmente diversa è la situazione che caratterizza le piccole
imprese più evolute, spesso governate da un imprenditore più
ambizioso, più orientato allo sviluppo ed alla crescita, più
consapevole della necessità di conferire alla sua impresa un
assetto organizzativo-gestionale coerente con la maggiore
complessità della gestione.
Di conseguenza tali piccole imprese si caratterizzano per la
presenza di un più elevato livello di managerializzazione
23
, il
quale costituisce il presupposto necessario per rendere possibile
la crescita dell’impresa ed il passaggio alla media e alla grande
dimensione.
In tali imprese la funzione amministrativa è generalmente interna
all’impresa e più accentuata è l’attenzione rivolta al bilancio
d’esercizio, che l’imprenditore ed i suoi collaboratori utilizzano
anche come strumento di gestione, impiegato come supporto nei
processi di decisione e controllo. Quanto alla funzione
comunicazionale di tale documento, tuttavia, è frequente
rintracciare anche in tale categoria di imprese gli stessi limiti già
individuati nel caso delle microimprese: spesso, infatti, prevale la
23
BERTINI U., “Il governo di impresa tra 'managerialità ' e 'imprenditoria-
lità'” , in Studi e informazioni, n. 4, 1984.