Anzitutto, occorre richiamare il fatto che esisterebbero diversi tipi di
privatizzazione2. Per quanto interessa l'oggetto di questo studio,
acquista fondamentale importanza il tipo di privatizzazione più noto,
che è consistito principalmente nella trasformazione di enti pubblici
economici in società per azioni e nella successiva vendita delle azioni
luogo, le privatizzazioni sono state prodotte dal progresso tecnologico (ad esempio, per i servizi a
rete, il progresso consente, da un lato di utilizzare la rete per più servizi; dall'altro di separare la
gestione della rete dalla gestione dei servizi). Il quinto motivo dell'ondata privatizzatrice degli anni
novanta è stato l'eccesso delle dimensioni dello Stato e il sovraccarico di governo che esso
produceva (con difficoltà gestionali interne, non potendo riuscire lo Stato a svolgere attività tanto
disparate). Il sesto motivo è stato il bisogno di finanziamento del Tesoro(particolarmente
accentuato in Italia dall'ammontare del deficit e del debito pubblici). Da ultimo, le privatizzazioni
sono state prodotte dall'Unione europea; non perché questa le abbia imposte, essendo l'impianto
dell'Unione neutrale (art. 295 del Trattato) dal punto di vista del rapporto pubblico-privato; ma
perché hanno agito fattori esterni: l'imposizione dell'integrazione dei mercati, portando la
concorrenza in primo piano e limitando gli aiuti di Stato, e, l'imposizione dei divieti di
discriminazione, richiedendo un eguale trattamento delle attività economiche pubbliche e private.
Secondo il “Libro bianco sulle privatizzazioni”, pubblicato ad aprile 2001 dal Ministero del
Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica, “Un mercato dei capitali, per
dimensioni, spessore e liquidità, ampiamente inferiore alla media europea; una situazione di
finanza pubblica fortemente deteriorata, con differenziali nei tassi di rendimento sui nostri titoli
pubblici di entità drammatica rispetto ai titoli degli altri principali paesi europei e rispetto al
rendimento azionario; un ordinamento finanziario ancora basato su leggi concepite quando i
controlli sui movimenti dei capitali venivano considerati strumento importante per la politica
economica italiana; una industria pubblica dall’estensione senza paragoni nelle economie
occidentali e caratterizzata da situazioni di dissesto; una crisi di carattere politico- istituzionale:
queste erano le condizioni in cui il programma di privatizzazioni, nel 1992, muoveva i primi
passi.” Secondo G. C. SPATTINI Poteri pubblici dopo la privatizzazione, Torino, 2006, le
privatizzazioni che hanno preso le mosse negli anni novanta del secolo scorso, dalle precedenti si
sono diversificate per ampiezza, ragioni ideologiche presenti o viceversa assenti, effetti economici
e tecniche giuridiche.
2
a privati.3 Privatizzare le imprese pubbliche significa ridefinire
l'ambito dei rapporti tra Stato e mercato4; dunque tale decisione
potrebbe essere inquadrata nell'ambito del principio della cosiddetta
sussidiarietà orizzontale, nel senso che lo Stato sarebbe legittimato ad
agire solo nei casi in cui il mercato non fosse in grado di operare
2 In particolare S. CASSESE, 1997, cit., ne elenca sette tipi. Questa divisione è stata richiamata
anche da G. C. SPATTINI, 2006, cit.
3 Così S. CASSESE, 1997, cit., pag. 8, che ricorda che questo tipo di privatizzazioni è avvenuto in
primo luogo con la trasformazione del soggetto pubblico in società per azioni (cosiddetta
privatizzazione formale: gli enti rimangono sotto il controllo pubblico ma assumono veste privata);
in un secondo momento si è proceduto alla privatizzazione sostanziale con la vendita delle azioni
ai privati attraverso offerte pubbliche di vendita o attraverso trattative dirette. Secondo P. G.
JAEGER Privatizzazioni (profili generali) (voce), in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma,
1998, pag. 2, la privatizzazione formale deve essere vista come strumentale alla privatizzazione
sostanziale, come una fase che si impone nei casi in cui è necessario trasformare un ente pubblico
in società per azioni. Ma esisterebbero anche ipotesi nelle quali non bisognerebbe passare
attraverso una privatizzazione formale per realizzare la sostanziale (nel caso in cui l'impresa
pubblica sia già organizzata sotto forma di società per azioni).
4 Per una prima analisi sul rapporto tra processi di privatizzazione e Costituzione economica (in
particolare con gli art. 41 e 43 della carta), si vedano, ex multis, D. CALDIROLA Privatizzazioni
e nazionalizzazioni nel quadro costituzionale italiano, in Econ. pubbl., 1994, n. 11; F. GALGANO
e R. GENGHINI Le società per azioni in mano pubblica, in F. GALGANO (diretto da), Trattato
di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, volume ventinovesimo (il nuovo diritto
societario), Padova, 2003; F. GALGANO Art. 41 e Art. 43, in G. BRANCA (a cura di),
Commentario della Costituzione, (i rapporti economici), Bologna - Roma, 1982; G. DI GASPARE
Diritto dell'economia e dinamiche istituzionali, Padova, 2003.
3
autonomamente in modo corretto.5
2. La tutela degli interessi ritenuti rilevanti.
Nell'ambito di questi processi6, principalmente in una fase che ha
preceduto la dismissione del pacchetto statale di controllo nelle
imprese pubbliche attive in “settori strategici”7, in quasi tutti gli
ordinamenti europei ed extra-europei sono stati previsti, con diverse
varianti, dei “poteri speciali” da attribuire ai soggetti pubblici, nel
tentativo di mantenere un certo controllo nelle ex società pubbliche.
5 Così M. CLARICH Privatizzazioni e trasformazioni in atto nell'amministrazione italiana, in Dir.
Amm., 1996, n. 3, pag. 519 e 521, secondo il quale il principio di sussidiarietà potrebbe essere
considerato come la traduzione in termini giuridici della teoria dei “fallimenti del mercato”.
6 Secondo G. C. SPATTINI “Vere” e “false” “golden shares” nella giurisprudenza comunitaria.
La “deriva sostanzialista” della Corte di giustizia, ovvero il “formalismo” del principio della
“natura della cosa”: il caso Volkswagen, e altro.., in Riv. Ital. Dir. Pubblico Comunitario, 2008, i
processi di privatizzazione delle imprese pubbliche, nel mondo e, per quanto più interessa
nell'Unione europea, sono stati più o meno “sinceri”.
7 Così T. AJELLO Le golden shares nell'ordinamento comunitario:certezza del diritto, tutela
dell'affidamento degli investitori e “pregiudiziale” nei confronti dei soggetti pubblici, in Il Diritto
dell'Unione Europea, 2007, n.4., secondo il quale il conferimento alle autorità di “poteri speciali”
rappresenta un modello di intervento pubblico nell'economia non perfettamente assimilabile né al
vecchio sistema delle partecipazioni statali, costituendo anzi la sua evoluzione, né all'intervento
propriamente regolatorio, essendone una modalità in parte alternativa. Secondo E. CARDINALE
La clausola di gradimento nelle privatizzazioni delle public utilities, in G. MARASA' (a cura di),
Profili giuridici delle privatizzazioni, Torino, 1997, la disciplina delle “golden shares” può essere
considerata, in definitiva, solo la soluzione all'esigenza di curare la fase di transizione dal controllo
pubblico a quello di natura privatistica.
4
Infatti, l'esigenza di tutela di alcuni fondamentali interessi a rilevanza
generale nelle società privatizzate operanti in settori strategici per
l'economia di ciascun Paese ha costituito e costituisce tuttora un
elemento di grande importanza; tale esigenza ha influito
sull'evoluzione storico-normativa di numerosi ordinamenti, attenti, in
maniera differente e con diverse intensità, alla necessità della presenza
dello Stato nella protezione generale di detti interessi.8
Questi poteri, tradizionalmente indicati con il termine anglosassone
“golden shares” (ma si vedrà che, essendo tali poteri non sempre
legati al possesso da parte del soggetto pubblico di capitale azionario
o addirittura di una sola “azione d'oro”9, la definizione migliore
dovrebbe essere quella, appunto, di “poteri speciali”), sostanziandosi
8 Così C. SAN MAURO Golden shares, poteri speciali e tutela di interessi nazionali essenziali,
Roma, 2004, pag. 13, secondo il quale le politiche di privatizzazione possono essere considerate
come occasioni in concomitanza delle quali esaltare l'esigenza di tutelare la corretta gestione e il
sano e prudente sviluppo di alcune attività legate e/o connesse a determinati settori economici
“sensibili”.
9 Così T. BALLARINO e L. BELLODI, La golden share nel diritto comunitario. A proposito
delle recenti sentenze della Corte comunitaria, in Riv. soc., 2004, n.1, i quali tuttavia propendono
per l'utilizzo del termine francese “actions spécifiques”. C. CAVAZZA, Golden share,
giurisprudenza comunitaria ed abrogazione dell'art. 2450 c.c., i n Le nuove leggi civili
commentate, 2008, n.5 (il quale utilizza il termine “poteri speciali”) sottolinea che in dottrina la
distinzione in parola è stata spesso trascurata ed in molti casi il termine “golden share” è stato
utilizzato in un'accezione lata, atta a ricomprendere ogni ipotesi di potere speciale. Peraltro, la
distinzione non dovrebbe essere sopravvalutata, dato che la Corte di giustizia, come si vedrà, ha
sempre giudicato la conformità al Trattato delle normative interne avendo sempre di mira i risultati
pratici da queste conseguiti.
5
essenzialmente in un fascio di prerogative e privilegi, hanno assunto
diverse formulazioni concrete all'interno dei vari ordinamenti
nazionali. Appare opportuno richiamare brevemente le normative che
sono state approntate dai principali paesi europei10, iniziando con
l'analizzare quanto previsto nel Regno Unito ed in Francia.
3. La “golden share” di derivazione britannica.
É opinione del tutto pacifica che il Paese cui spetta la paternità
dell'istituto golden share sia la Gran Bretagna, dove essa fu introdotta
a partire dagli anni ottanta durante le prime privatizzazioni.11
Per mantenere influenze governative sulle imprese privatizzande,
soprattutto in quelle operanti in settori strategici di rilevanza
10 In una necessaria visione comparatistica della fattispecie, bisognerà concentrarsi principalmente
sulle soluzioni adottate dagli ordinamenti europei; si vedrà infatti che, per l'analisi degli istituti in
esame, svolgono un ruolo fondamentale i Trattati comunitari ed in modo particolare l'attività della
Corte di giustizia.
11 Il modello anglosassone di privatizzazione è stato un modello che si è basato principalmente
sulla creazione di public companies; queste si caratterizzano per la presenza di un azionariato
diffuso, detentore di azioni quotate in mercati regolamentati, il quale insieme agli investitori
istituzionali controlla il management della società. Infatti per la privatizzazione di tutte le
principali public utilities (settore energetico, telefonia, etc.) il processo di dismissione delle
partecipazioni statali è avvenuto principalmente attraverso offerte pubbliche di vendita sul mercato
(soltanto parzialmente si è ricorsi a vendite dirette), previa creazione di idonee authorities per
garantire la concorrenza nel settore privatizzato. Secondo G. C. SPATTINI, 2006, cit., la golden
share appare tanto più indispensabile se si tiene conto che lo strumento maggiormente usato per il
collocamento delle imprese pubbliche è stata l'offerta pubblica di vendita (OPV).
6
nazionale, si ricorse allo strumento della golden share (o volendo, più
analiticamente, special share, special right share, specific share,
master share, special redeemable share, one pound share; alcune
caratteristiche emergendo già da questa pluralità di appellativi che le
sono stati riferiti: è un'azione, rientra perciò esclusivamente
nell'ambito del diritto privato; è unica, non si tratta quindi di un'intera
classe; è speciale, si distingue dalle altre perché prevede poteri
speciali; è riscattabile; è stata prevista con il valore nominale di una
sterlina.)12
In sintesi l'istituto della golden share prevedeva necessariamente il
possesso da parte dello Stato di una parte del capitale azionario o
addirittura di una sola “azione d'oro”; questa particolare azione dalla
struttura giuridica flessibile ed individuabile caso per caso, introdotta
dall'esecutivo negli statuti delle società pubbliche senza necessità di
interventi legislativi, poteva essere posseduta soltanto dal governo e
permetteva la partecipazione alle assemblee senza diritto di voto,
salvo che per importanti modifiche statutarie riguardanti i limiti al
possesso azionario o la creazione di azioni speciali con diritti di voto
diversi rispetto alle azioni ordinarie. Si è comunque realizzata una
notevole varietà tipologica di previsione di specifici poteri in relazione
alle diverse finalità concretamente perseguite ed a seconda del settore
in cui sarebbe andata ad operare la società oggetto del “controllo
governativo”. In alcuni casi infatti la golden share è stata dotata di
12 Così G. C. SPATTINI , 2008, cit..
7
ulteriori prerogative, più penetranti, delle quali comunque il governo
inglese non ha mai abusato (come del resto neppure il governo italiano
con i principali “poteri speciali” presenti nella nostra legislazione).
La golden share attribuiva quindi al Governo la qualifica di “special
shareholder”, in quanto dotato di poteri non proporzionati all'entità
della partecipazione azionaria detenuta dalla società.13
Più analiticamente in favore dello special shareholder sono stati
previsti diritti che ad esempio possono riguardare: a ) il consiglio di
amministrazione: assicurando a volte che una parte dei suoi membri
siano di nazionalità inglese; b) l'esercizio del controllo attraverso
l'imposizione di limiti alla quota di azioni che ciascun azionista può
detenere, prevedendo a volte ulteriori limiti per gli azionisti esteri; c)
la disponibilità del patrimonio sociale dell'impresa con limiti alla
disposizione materiale del patrimonio; d ) gli accordi consensuali
concernenti la liquidazione dell'impresa; e) la partecipazione, il diritto
di parola, il diritto di voto.14 È importante ribadire che non esiste
comunque una classificazione legislativa delle golden shares, l'istituto
non è stato previsto da leggi speciali sulle privatizzazioni che nel
Regno Unito non ci sono state, né da quelle di settore che piuttosto si
sono preoccupate della regolazione; il loro contenuto è sempre stato
13 Così G. LOMBARDO “Golden share” (voce), in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma,
1998.
14 Così E. DEL CASALE, Uno strumento diretto al controllo governativo sulle privatizzazioni: le
“golden shares” , in Pol. del dir.,1988, n. 3.. Per un'analisi su quanto avvenuto nel Regno Unito si
veda anche J. Sodi, Poteri speciali, golden share e false privatizzazioni, in Riv. Soc., 1996.
8
determinato per l'occasione concreta, approfittando della flessibilità
operativa consentita dal diritto societario inglese.15
Sembra venir fuori immediatamente l'evidenza del contrasto di alcune
di queste disposizioni con il diritto comunitario (soprattutto laddove si
fa riferimento alla nazionalità degli investitori); ma anche norme che
non discriminavano su base nazionale sono cadute sotto la censura
della Corte di giustizia delle Comunità europee.16
L'esempio britannico ha poi fatto scuola man mano che altri paesi
hanno cominciato a portare avanti i loro processi di privatizzazione: a
volte è stata sostanzialmente riprodotta questa esperienza seppure con
qualche variante (come ad esempio in Nuova Zelanda)17; altre volte
sono stati affrontati in maniera difforme alcuni decisivi aspetti (come
nel caso della Francia, in cui si è ricorsi ad una legislazione speciale).
15 G. LOMBARDO, 1998, cit., ricorda che non vi è nella dottrina anglosassone un orientamento
comune nella ricostruzione dell'istituto: alcuni autori distinguerebbero sulla base dei diversi poteri
incorporati nell'azione speciale, mentre altri, delineati i caratteri comuni dei poteri connessi
all'azione speciale, opererebbero una ricostruzione in un'ottica funzionale. Comunque la dottrina
sarebbe compatta nella critica a tale istituto, esprimendo perplessità in merito alla compatibilità di
questo intervento pubblico con i principi di base delle privatizzazioni. In particolare LOMBARDO
richiama, ex multis C. GRAHAM Company law: “All that Glitters” - Golden Shares and
Privatized Enterprises, in The Company Lawyer, 1988; S. LIGHTMAN Governement Golden
Shares “Melting at the Edges?”, in The Law Society's Gazette, 1988.
16 Vd. Causa C-98/01
17 Vd. J. SODI, 1996, cit., pag. 377.
9