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CAPITOLO I
MODELLI PROCESSUALI ED IMPARZIALITÀ DEL GIUDICE
1. Il superamento dell’antitesi inquisitoria-accusatoria
Il potere del giudice di disporre delle prove è connesso al ruolo che nel
processo viene assegnato all’organo giusdicente, il quale varia con il
variare degli scopi cui tende il sistema 1.
La storia del processo penale è stata caratterizzata dall’avvicendarsi ora
di modelli di stampo inquisitorio ora da modelli d’impronta accusatoria.
Nella prevalenza dell'uno o dell'altro schema si è, di volta in volta,
manifestato il diverso modo d'intendere il rapporto Stato-individuo nella
gestione del bene della libertà della persona sottoposta a procedimento
penale.
Nei regimi autoritari il procedimento penale è strumento di mera
repressione dei reati. Sui diritti individuali prevale l'interesse dello Stato
alla ricostituzione dell'ordine giuridico violato dalla trasgressione. Il
metodo di accertamento di cui si avvale è di tipo inquisitorio. Viene
negato all'imputato ogni forma di tutela, sottoponendolo ad una
procedura segreta, avviata da un giudice impegnato, al contempo, nella
funzione di accusatore.
In un regime democratico, invece, la persona, con le sue prerogative
costituzionali, assume un ruolo centrale nel sistema giuridico e nel
1
Sui rapporti tra forme del potere e processo. M.R. DAMAŠKA, I volti della giustizia e del potere.
Analisi comparatistica del processo, Il Mulino, Bologna, 1991, p. 38 ss.
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processo penale, non si ha confusione di ruoli tra accusatore e giudice.
All'imputato sono riconosciuti quei diritti fondamentali che gli
assicurano la legalità del trattamento.
I modelli processuali che si contrappongono a quelli di tipo inquisitorio
sono detti accusatori, per sottolineare che non è il giudice ad inquisire
l'imputato, alla ricerca della conferma della sua colpevolezza, ma è un
soggetto distinto da lui, il titolare del potere di accusa. Questi avanza una
pretesa punitiva nei confronti dell'imputato e rivolgendosi al giudice
chiede di ritenerla fondata e di applicare, pertanto, la sanzione penale.
I modelli inquisitori ed i modelli accusatori 2 s'ispirano, rispettivamente,
al sistema inquisitorio ed al sistema accusatorio, che, storicamente, si
sono proposti come sistemi in netta antitesi tra di loro, espressione,
ciascuno, di una ben definita epoca giuridica.
Il sistema accusatorio 3 – così come ci è stato tramandato e come
appariva strutturato nell’età Repubblicana di Roma – si articola, sul
modello della contesa tra le parti, l'accusatore e l'accusato, in
contrapposizione dialettica di fronte ad un terzo con funzioni di giudice
Le sue regole esigono:
1) la presenza di un accusatore, distinto dal giudice, operante in
condizioni di parità con l'accusato nella ricerca degli elementi di
prova da offrire alla valutazione del giudice sulla base del
presupposto che tesi ed antitesi debbano comporsi nella sintesi della
decisione emessa dal giudice;
2) l'imparzialità del giudice, chiamato, quale terzo sprovvisto di
poteri d'investigazione, a decidere sulla base di dati probatori
acquisiti su iniziativa delle parti;
2
G. CONSO, Accusa e sistema accusatorio, in Enc. dir. , I, Milano, 1958, p. 336 ss.
3
F. CORDERO, Tre studi sulle prove penali, Giuffrè, Milano, 1963, p. 199
4
3) la presunzione d'innocenza della persona accusata, sino alla
decisione irrevocabile di condanna e suo stato di libertà durante il
processo;
4) l'oralità-immediatezza, intesa come contatto diretto tra la fonte di
prova e il giudice;
5) la pubblicità della procedura come forma di controllo da parte
dell’opinione pubblica.
Il rito accusatorio si delinea, pertanto, come una contesa tra due parti,
con netta contrapposizione tra accusa e difesa, in una sorta di duello
giudiziario regolato da un organo al di sopra dei due contendenti.
Appaiono differenziati, così, i tre fondamentali ruoli dell’accusa, della
difesa e del giudice.
Diverso dal sistema accusatorio è quello inquisitorio.
Consolidatosi nell’età dell'Impero del diritto romano, il sistema
inquisitorio si struttura secondo i criteri della:
1) confusione nello stesso soggetto dei ruoli di accusatore e di
giudice con attribuzione all’accusatore-giudice dei poteri
d’intervento ex officio nella raccolta delle prove;
2) impossibilità per l'accusato di partecipare all’attività di
individuazione ed assicurazione delle fonti di prova;
3) adozione del metodo della scrittura nell'acquisizione dei dati
probatori;
4) conseguente trattazione segreta del processo;
5) previsione della carcerazione ante iudicium, in funzione
cautelare, come conseguenza dell’attribuzione al magistrato di più
ampi poteri nella ricerca della prova, anche attraverso il ricorso a
mezzi di coercizione della libertà personale del prevenuto.
Il processo di stampo inquisitorio riduce le garanzie dell’imputato che
rimane affidato all’individualità di un soggetto, il giudice, al tempo
5
stesso accusatore e, che per tale posizione ibrida, non potrà mai essere in
condizione di valutare obiettivamente la posizione del giudicabile.
Dal confronto dei due modelli processuali – quello inquisitorio e quello
accusatorio – e come sottolineato più volte dal CORDERO, si dimostra
che essi corrispondono a due modi di concepire la società: uno, ispirato
da un forte sentimento dell’individuo per il quale il processo è contesa ad
armi pari; l’altro, quello inquisitorio, leviatanico, non curante degli
individui per il quale conta solo far giustizia o comunque raggiungere un
risultato.
Il diverso modo di concepire gli scopi del processo si manifesta
soprattutto attraverso le scelte in campo probatorio: la contrapposizione
accusatorio-inquisitorio è, essenzialmente, antitesi gnoseologica 4.
Nei due sistemi, il percorso di conoscenza segue strade parallele, essendo
distinti i metodi di apprendimento che, a loro volta, si traducono in
autonome concezioni del traguardo da raggiungere: la verità.
E’insita nei sistemi di stampo inquisitorio, la tendenza all’affermazione
della verità materiale 5, frutto del carattere dimostrativo del procedimento
probatorio, dove il giudice è equiparato ad un ricercatore.
Questa visione della verità ha trovato traduzione normativa
nell’ordinamento processuale italiano del 1930.
L’art. 299 del codice Rocco imponeva al giudice il compimento di tutti
gli atti ritenuti necessari per l’accertamento della verità: il giudice era
padrone della prova.
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L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, LaTerza, Roma, 1989, p.19
5
E. AMODIO, Libertà e legalità della prova nella disciplina della testimonianza, in Riv. it. dir. proc.
pen., 1973, p. 311 ss.
6
Diametralmente opposto è l’atteggiamento gnoseologico in un sistema
vòlto alla risoluzione di conflitti: qui si assiste all’affermarsi di un
modello culturale fondato sull’eguaglianza tra gli antagonisti.
Si passa dalla ricerca della verità assoluta alla ricerca della verità
probabile: la decisione è il frutto del confronto tra le parti dinnanzi ad un
giudice che non è più attore-protagonista della scena, ma arbitro della
contesa.
È evidente come in questi due antitetici riti muta la funzione probatoria
del giudice: in quello inquisitorio, il giudice procede d’ufficio alla
ricerca, alla raccolta e alla valutazione delle prove, pervenendo al
verdetto a seguito di un’istruzione in cui sono limitati i poteri delle parti;
nel rito accusatorio, invece, è un soggetto neutrale che emette la
decisione dopo una disputa paritetica che si è sviluppata seguendo il
metodo del contraddittorio.
Il sistema attualmente vigente nella legislazione italiana nasce dal codice
entrato in vigore il 24 ottobre del 1989.
La nuova realtà processual-penalistica esce da un’esperienza, quella del
codice Rocco, caratterizzata dall’adozione di un sistema misto in parte
inquisitorio ed in parte ispirato a regole accusatorie.
Le regole inquisitorie erano prevalenti nella fase della c.d. "istruzione",
articolata nei due momenti dell’istruzione sommaria affidata al p.m., il
quale ricercava e formava le prove come se fosse un giudice e poi «...nel
dibattimento se ne serviva da quella parte che era, […] non parte né
giudice » 6 e di quella formale affidata al giudice istruttore.
Quest’ultima, volta alla formazione della prova attraverso la libera
iniziativa del giudice, relegava l’imputato in una posizione di inferiorità
escludendolo da alcune attività di rilevanza probatoria, come l’esame dei
testimoni o i confronti.
6
F. CORDERO, Procedura penale, Giuffrè, Milano, 2006, p. 636
7
Le regole accusatorie, invece, venivano applicate nella fase del
dibattimento che se pur presentava i caratteri della pubblicità e
dell’oralità, era sempre condizionata dalle risultanze probatorie acquisite
in istruzione secondo i metodi di natura inquisitoria.
Di fronte ad un tale sistema processuale poco idoneo a soddisfare
aspettative di giustizia, nasceva l’esigenza di una riforma che alle
“infelici combinazioni” del sistema misto caratterizzato dalle lunghe
istruzioni e dagli inconsistenti dibattimenti, sostituisse un sistema più
aderente alle istanze di un ordinamento democratico ed una più ampia
considerazione della persona.
Tale meccanismo era indicato nell’art. 2 della legge delega 81 del 1987 e
consisteva nell’attuazione dei caratteri del sistema accusatorio i quali
consentivano meglio di coniugare garanzia ed efficienza.
Ma il miraggio del rito accusatorio durò poco perché «…colpito dalle
sentenze della Corte Costituzionale e dai decreti legge, il modello
accusatorio del codice vigente …si è convertito in qualcosa che non si
sa più come chiamare» 7.
La volontà di recuperare i principi del processo accusatorio si rinviene
nella riformulazione dell’art.111 Cost. a seguito della modifica attuata
con la L. Cost. del 1999 n. 2. e dall’enunciazione del concetto del “giusto
processo” come parametro per l’attuazione della giurisdizione.
«La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla
legge»: questo il preambolo dell’innovato testo costituzionale.
L’opzione per il giusto processo ha avuto il pregio di consegnare alla
storia il binomio accusatorio–inquisitorio e dovrebbe produrre anche il
superamento della presunta antitesi tra garantismo ed efficienza.
7
D. SIRACUSANO-A. GALATI-G. TRANCHINA-E. ZAPPALÀ, Diritto processuale penale, I, Giuffrè,
Milano, 2004, p. 40
8
Con la riformulazione dell’art. 111 Cost. siamo di fronte ad una
composizione unitaria del concetto di giusto processo in cui riecheggiano
una serie di garanzie, prima tra tutte quella del contraddittorio tra le parti
nella formazione della prova, in condizioni di parità e davanti un giudice
terzo ed imparziale.
Esso richiede un equilibrio globale, senza discriminazione tra diritti e
doveri delle parti, con eguale possibilità di incidere sul convincimento
del giudice.
Il contraddittorio, in questo senso, è riassumibile nella formula:
“audiatur et altera pars”, la quale esprime l’idea che un provvedimento
giurisdizionale non può mai assumere i connotati della definitività senza
che la parte destinata a subirne gli effetti sia stata posta in condizioni di
far valere le proprie ragioni.
Nel corso delle indagini preliminari, fase preparatoria del “dibattito”
dinnanzi al giudice, parità e contraddittorio sono concetti extravaganti
per una fase deputata alla raccolta degli elementi utili alle determinazioni
inerenti all’esercizio dell’azione penale, affidata all’iniziativa unilaterale
delle parti e contraddistinta da uno squilibrio tra i poteri investigativi del
pubblico ministero e quelli della difesa.
L’investigante pubblico recupera il suo ruolo di parte processuale, entra
in rapporto dialettico con l’accusato nella fase di costituzione delle prove
e, pertanto, deve “sottostare alla regola che esige la mediazione di un
terzo” 8.
8
P.FERRUA, Processo penale, contraddittorio e indagini difensive, in Id., Studi sul processo penale,
III, Declino del contraddittorio e garantismo reattivo, Giappichelli, Torino,1997, p. 92
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