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INTRODUZIONE
Il giudizio abbreviato è uno dei principali riti semplificati
introdotti dall’ordinamento con il nuovo codice di procedura penale,
ma oggetto di profonde trasformazioni, prima per effetto di alcuni
interventi della Corte Costituzionale, e poi in seguito dalla legge di
riforma n. 479 del 1999 e ad altri successivi provvedimenti legislativi
di minore portata.
Dopo aver ripercorso la disciplina iniziale, nella quale
l’ammissibilità del rito risultava dipendente da un accordo delle parti e
dalla possibilità per il giudice di definire il processo allo stato degli
atti escludendo alcune tipologie di reato, l’attenzione è rivolta alle
principali novità della novella del 1999, la legge Carotti : dunque il
passaggio da quello che era un “giudizio contratto”, che si poneva
come alternativa al dibattimento, ad una “modalità semplificata” di
svolgimento del medesimo.
L’aspetto che più ci interessa è costituito dalle aperture al
“diritto di difendersi provando”, data la possibilità per l’accusato di
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optare per la proposizione di una richiesta condizionata
all’acquisizione di ulteriore materiale probatorio, rigettabile dal
giudice, qualora la stessa non sia necessaria e compatibile con le
finalità di economia processuale proprie del procedimento, a
differenza della richiesta semplice.
Dunque, questa tesi si occupa di quella che è la posizione del
giudice nel giudizio abbreviato, e della possibilità di costui di
procedere, in tal rito semplificato, ad una integrazione probatoria che
verta sulla totalità dei mezzi di prova o ne escluda alcuni.
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CAPITOLO PRIMO
ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL
GIUDIZIO ABBREVIATO
1. ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL GIUDIZIO
ABBREVIATO
Il giudizio abbreviato è un rito semplificato, cosiddetto
“speciale”, che nel nuovo codice, prende in considerazione
unicamente la semplificazione delle forme
1
: “vale a dire snellimento
del processo ordinario”
2
.
Più dettagliatamente, il giudizio abbreviato dà modo di definire
il procedimento di primo grado in sede di udienza preliminare e
prevede riduzioni nell’ambito di appello.
1
In tal senso v. la Relazione al progetto preliminare, cit. , p. 103.
2
G. PAOLOZZI , i giudizi semplificati. Padova-Cedam 1989.
6
Con il superamento dello schema processuale unico, valido per
qualsiasi esigenza, indipendentemente dalla maggiore o minore
complessità delle indagini e dal tipo di criminalità nei cui confronti
quel processo è chiamato ad intervenire, nasce una cultura processuale
alternativa , favorendo al massimo il ricorso ai procedimenti speciali
in tutti i casi connotati da una situazione di evidenza probatoria
3
.
L’abbinamento evidenza della prova-giudizio abbreviato
potrebbe essere fonte di un possibile equivoco: ponendo alla base
degli istituti semplificati il principio di economia processuale,
potremmo essere indotti a sostenere che la semplificazione della
procedura si riverberi sul carattere della decisione connotandola in
termini di sommarietà
4
.
3
Analogamente G. CONTI – A. MACCHIA, Il nuovo processo penale, seconda ed., Roma, 1990,
, pag. 106.
4
Tale pericolo è sottolineato da TONINI , ,p. 101; v., inoltre,con specifico riferimento al plea
bargaining , ODDONE, Una “seveso giuridica”? Il plea bargaining(o patteggiamento?), dagli Stati
Uniti all’Italia , in Questione di giustizia, 1985, 465 ; criticamente nei confronti del criterio
efficientistico della giustizia v. PALAZZO loc. ult. Cit.
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In questa ottica di deflazione processuale, tale rito fu concepito
sulla scorta di parametri propri dei paesi di Common Law
5
e privo di
modelli di riferimento nella tradizione giuridica italiana.
Nato col codice di procedura penale del 1988, e inserito nel
libro IV, prevedeva, nel suo testo originario, il duplice presupposto
della prestazione del consenso da parte del pubblico ministero alla
richiesta dell’imputato e della valutazione del giudice circa la
definibilità del processo “allo stato degli atti”.
Ecco quindi, che l’accordo delle parti attribuiva valenza
probatoria agli atti delle indagini preliminari, in quanto, capaci di
fungere da prova, per la decisione finale, nel merito, del giudice per
5
Per un raffronto con gli Istituti del plea bargaining di matrice statunitense e del summary trail
inglese, cfr F. ZACCHE’ , Il giudizio abbreviato, in Trattato di procedura penale, diretto da G.
UBERTIS e G. P. VOENA, cit.,p. 8 e , per il rinvio ivi contenuto, E. AMODIO , Affermazioni e
sconfitte della cultura dei giuristi nella elaborazione del nuovo codice di procedura penale , in
Riv. it. dir. Proc. Pen. , 1996, p. 911. Negli Stati Uniti circa il 90 per cento dei casi in cui il
pubblico ministero ha iniziato l’azione penale (che comunque non è obbligatoria) si concludono
senza necessità del dibattimento. Nel processo penale inglese gli studiosi determinano “nell’1 per
cento del totale la quantità dei processi che si svolgono davanti alla giuria con rito ordinario” .
Il restante carico della giustizia penale è giudicato con procedimenti semplificati che sono adottati
sul presupposto del libero accordo della parti. E. LUPO , I giudizi semplificati, in Questioni nuove
di procedura penale , Antologia a cura di A, GAITO , G. PAOLOZZI e G. P. VOENA , 1989
Padova-Cedam.
8
l’udienza preliminare, a patto però, che tali atti fossero idonei a
rendere il processo “decidibile allo stato degli atti” : valutazione
insindacabile spettante al giudice.
La natura del giudizio abbreviato “allo stato degli atti”, chiuso,
quindi, ad ogni integrazione probatoria, comportava la rinuncia
dell’imputato a difendersi provando, precludendogli di scegliere tale
rito ogni qualvolta il pubblico ministero, nel corso delle indagini
preliminari, non avesse raggiunto una completezza tale da rendere la
causa matura per la decisione.
All’epoca non si reputò opportuno neanche mantenere il potere
del giudice dell’udienza preliminare di compiere atti istruttori, in
quanto si ritenne che tale potere fosse incoerente con i principi del
sistema accusatorio che riserva al giudice della fase che precede il
dibattimento solo la possibilità di un controllo e perché la sua
esclusione risultava funzionale a ridurre il rischio che l’acquisizione di
nuove prove potesse alterare l’esito del giudizio, laddove le parti non
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abbisognassero di sapere in partenza quale fosse il materiale su cui
richiedevano di essere giudicate.
6
Inoltre, l’introduzione di una attività istruttoria innanzi al
giudice dell’abbreviato, con conseguente possibilità di modifica
del’imputazione e dell’impianto accusatorio, avrebbe compromesso le
stesse strategie in funzione delle quali le parti avevano stipulato
l’accordo relativo a tale rito, che fu, dunque, concepito quale
procedimento scritto e refrattario a qualunque meccanismo
d’integrazione probatoria
7
.
Bisognava intervenire e riformare i punti di crisi strutturale del
rito, restituendone il dominio al suo titolare, e prevedendo quelle
attività istruttorie utili più al giudice che all’imputato che
consentissero, appunto, una “completabilità” delle indagini.
Si prendeva, dunque, consapevolezza, che il limite di questo
giudizio fosse la forza preclusiva del dissenso del pubblico ministero,
6
Così l’on. Casini nella relazione tenuta alla Camera il 10 luglio 1984 . Per il testo integrale
dell’intervento cfr. G. CONSO-V. GREVI-G. NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura
penale. Dalle leggi delega ai decreti delegati, vol. III, cit., pp.491-494.
7
In tal proposito Cfr. F. ZACCHE’, Il giudizio abbreviato, in Trattato di procedura penale ,
diretto da G. UBERTIS e G.P. VOENA , cit., p. 21.
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che diveniva arbitro, impedendo non solo la non esperibilità del
rito,ma anche l’impossibilità per l’imputato di godere del beneficio
della riduzione della pena, come palese e grave pregiudizio per lo
stesso.
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8
In dottrina G. TRANCHINA, I procedimenti alternativi nella giurisprudenza della Corte
Costituzionale , in AA. Vv., I nuovi binari del processo penale . Tra giurisprudenza costituzionale
e riforme , Atti del convegno Caserta-Napoli 8-10 dicembre 1995, Milano, 1996, p.122, ritiene che
l’esatta collocazione che il legislatore volle dare alla situazione dell’imputato in relazione allo
sconto della pena conseguente al giudizio abbreviato fosse quella dell’aspettativa , vale a dire , di
una posizione di attesa di un evento giuridico più o meno probabile , ma sempre incerto,per ragioni
estranee alla volontà di chi attende ; un tipo di posizione soggettiva dalla quale si diceva: “potrà
conseguire una tutela giuridica e qualche rilevanza per il diritto soltanto in via indiretta mediata,
attraverso effetti, insomma, che non si risolvono mai in un potere autonomo del soggetto di far
valere l’aspettativa medesima”.
Cfr. Corte Costituzionale, 9 marzo 1992, n. 92, in Cass. pen. 1992, 1462. I giudici costituzionali,
nel sancire l’inammissibilità della questione di costituzionalità relativa agli artt. 438, 439, 440
c.p.p. per violazione degli artt. 3 e 25 della Costituzione, “nella parte in cui non prevedono
che,qualora il dissenso del pubblico ministero all’introduzione del giudizio abbreviato chiesto
dall’imputato sia motivato con l’impossibilità che il processo sia definito allo stato degli atti, il
giudice dell’udienza preliminare,che ritenga l’impossibilità addotta dipendente da fatto
rimediabile dallo stesso P.M. possa indicare alle parti(sulla falsariga del meccanismo di
integrazione probatoria previsto dall’art.422 c.p.p.) i temi lasciati incompleti , sui qualsiasi rende
necessario acquisire ulteriori informazioni ai fini della decisione in ordine alla possibilità di
definire il processo allo stato degli atti”,hanno avuto modo di precisare che “la problematica
sottesa alla questione non può,invero, risolversi in una pronuncia additiva,ma richiede un
intervento legislativo.
La possibilità per il pubblico ministero di decidere quali e quante indagini esperire al fine di
richiedere il rinvio al giudizio comporta , rispetto al giudizio abbreviato, l’inaccettabile paradosso
per cui il P.M. può legittimamente precluderne l’instaurazione allegando lacune probatorie da lui
11
Infatti il pubblico ministero era chiamato ad effettuare una
valutazione in ordine alla possibilità di definire il giudizio sulla base
del materiale raccolto fino a quel momento, comportando anche la
possibilità che, avendo chiesto il rinvio a giudizio dell’imputato,
ritenendo l’accusa idonea a sostenere il dibattimento, non concedesse
comunque il proprio consenso per la definizione del procedimento con
rito semplificato, affermando qualsiasi deficienza del materiale
probatorio da lui stesso acquisito.
E l’eventuale integrazione probatoria non era nemmeno
passibile di disposizione dal giudice: dunque si necessitava di un
intervento normativo che risolvesse una lunga serie di problemi che,
di volta in volta, rendevano il giudizio abbreviato poco utile ma
soprattutto, carente di requisiti di legittimità.
stesso discrezionalmente determinate. È però necessario,al fine di ricondurre l’istituto a piena
sintonia con i principi costituzionali,che il vincolo derivante dalle scelte del P.M. sia reso
superabile con l’introduzione di un meccanismo d’integrazione probatoria. ”
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2. GLI INTERVENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale, tra il 1990 e il 1992 ha attenuato
velocemente i vincoli pattizi e ha riconosciuto la controllabilità sia del
diniego espresso del pubblico ministero, sia di quello formulato dal
giudice.
Ma successivamente, il criterio della decidibilità allo stato degli
atti iniziò ad apparire inaccettabile, mettendo definitivamente in crisi
la struttura dell’istituto, descritta nel codice del 1988
9
.
La scelta del legislatore di procedere ad una significativa
riforma del giudizio abbreviato viene spiegata alla luce della
circostanza che l’istituto risultava ormai privato della
caratterizzazione originaria e afflitto da ulteriori aspetti di incoerenza
che la stessa Corte Costituzionale aveva sollecitato a correggere.
9
P. TONINI, Ordinario di diritto processuale penale nell’Università di Firenze, Dir. Pen. e Proc.
6/2010, p. 651.
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Infatti, nel 1991, introdusse un ulteriore presupposto,
escludendo dall’ambito di operatività del giudizio abbreviato i delitti
punibili con l’ergastolo, e con la sentenza n. 23 del 31 gennaio 1992
dichiarò incostituzionale il combinato disposto degli artt. 438, 439 ,
440 , 442 del c.p.p., nella parte in cui non prevedeva che il giudice
potesse, all’esito del dibattimento, verificare se effettivamente,
qualora vi fosse stata la richiesta dell’imputato e il consenso del
pubblico ministero, il processo poteva essere definito allo stato degli
atti dal giudice delle indagini preliminari.
Il movente di tale intervento constava di due elementi chiave:
senza la possibilità del detto controllo da parte del giudice per il
dibattimento, veniva minato sia il diritto dell’imputato a vedersi
comminare una pena ridotta, sia il successo di tale istituto
processuale, quindi la Corte fronteggiò tale problematica inserendo la
possibilità di un controllo postumo al rigetto della richiesta; anche se,
in tal modo, si rischiava di perdere quel requisito di economia
procedurale, per cui tale rito speciale avrebbe dovuto saltare la fase
dibattimentale, chiudendosi direttamente nell’udienza preliminare.
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Ad oggi, in seguito alla riforma, qualora il giudice del
dibattimento rinvenga tale opzione, potrà esso stesso applicare la
riduzione della pena: tale scelta venne introdotta per far fronte a
situazioni in cui il giudice, messo di fronte alla richiesta di giudizio
abbreviato, magari in procedimenti complessi, rinnegasse senza
motivo tale richiesta, affermando la non decidibilità allo stato degli
atti.
Sempre nel 1992, con la sentenza n. 92, la Corte recuperò anche
una impostazione “processuale” del problema relativo al dissenso del
pubblico ministero, sotto il profilo della “irrazionalità” di un
meccanismo volto a consentire una riduzione della pena.
L’interesse dell’ordinamento verteva su una effettiva deflazione
del processo ordinario, rispettando, però, la volontà dell’imputato di
ottenere tale beneficio, contro comportamenti eventualmente
superficiali della pubblica accusa.
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E l’idea di una necessaria riforma normativa del giudizio
abbreviato venne riaffermata anche nel 1994 dalla Corte
10
con una
sorta di minaccia allo stesso legislatore, che, qualora fosse perdurata la
sua inerzia ed essa fosse stata investita ancora di questioni di
legittimità circa il rito abbreviato, non si sarebbe sottratta alla
adozione di specifiche ed appropriate decisioni che eliminassero il
contrasto dell’istituto con i principi costituzionali
11
.
10
Ci si riferisce alla sentenza della Corte Costituzionale n. 442 del 1994 con la quale è stata
dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 452 comma 2 c.p.p.
sollevata in riferimento agli art. 3 e 25 Cost. Da essa emerge,già allora,il bisogno di un riequilibrio
dei poteri delle parti , di cui na, la pubblica accusa , privata del potere di interloquire sulla scelta
del rito , si vedrebbe singolarmente esposta alla prospettiva di un giudizio allo stato degli atti
nell’ambito del quale solo il giudice sarebbe titolare del potere di attivate il meccanismo di
integrazione probatoria ex art. 422 c.p.p. e, quindi,arbitro della formazione del materiale
probatorio.
Proprio questa osservazione del rimettente indusse la Corte ad un ulteriore atteggiamento di self-
restraint, dal momento che ogni “rivisitazione” dell’istituto non avrebbe potuto non essere
accompagnata da una disciplina sull’esercizio del diritto alla prova del pubblico ministero ,nonchè
del diritto alla controprova della parte privata , la cui elaborazione-attesa la pluralità di scelte
discrezionali , anche in relazione alla evidente esigenza di salvaguardare i caratteri distintivi di un
giudizio abbreviato rispetto a quello dibattimentale –non poteva che competere al legislatore.
La Corte ripeteva, così, l’invito ad una riforma legislativa del giudizio abbreviato ,già affermata
nelle sentenze del 13 aprile 1992, n.187, cit. ,p. 1360; 8 febbraio 1993, cit., p.405; 25 marzo 1993,
n. 129, ivi, 1993, p.1043.
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In senso critico nei confronti di questo atteggiamento della Corte cfr. G. TRANCHINA, I
procedimenti alternativi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, cit. p. 122 e ss, secondo il