10
sembra soprattutto, in esse, un momento fondamentale di
incentivazione del generale processo di integrazione europea.
Nonostante questo rinnovato e, soprattutto in tema di
unificazione monetaria, accentuato interessamento, permangono,
soprattutto dal punto di vista del nostro ordinamento interno, ancora
dei nodi problematici irrisolti o comunque non totalmente sciolti.
Ciò é dovuto essenzialmente alle difficoltà manifestate dalla
giurisprudenza, ma anche dalla dottrina, a distaccarsi, nell’analisi
della disciplina giuridica dell’ordinamento creditizio dai tradizionali
e ben consolidati approcci interpretativi che, nati, sviluppatisi e
coerenti con le disposizioni della legge bancaria del 1936-38,
avrebbero dovuto essere riletti e rivisitati alla luce sia della nuova
Costituzione Repubblicana sia degli atti di produzione normativa di
provenienza comunitaria.
La Costituzione infatti, soprattutto in tema di rapporti
economici, delinea un sistema di garanzie, anche sotto il profilo
organizzativo, totalmente divergente con i principi propri dello stato
liberale e, soprattutto, del regime fascista, che, proprio nella
legislazione bancaria del 1936-38 trovavano una efficace e puntuale
cristallizzazione.
Tali principi, inoltre, più tardi, erano destinati ad entrare in
contatto ed a scontrarsi con le prime direttive comunitarie in
materia, anch’esse in chiara rottura con le impostazioni dirigistiche
della disciplina legislativa summenzionata.
Questo processo di sviluppo del dibattito giuridico, peraltro,
rimasto bloccato almeno fino ai primi anni Ottanta, ha ricevuto una
forte spinta proprio in quel periodo grazie al lavoro, in particolare,
di due insigni studiosi che, pur partendo ed arrivando a conclusioni
pressoché opposte, hanno dato nuova linfa all’esegesi delle
disposizioni costituzionali in materia del credito, ed in particolare
hanno tentato un approccio allo studio dell’ordinamento creditizio (e
11
monetario) condotto attraverso le relazioni fra la disciplina generale
in tema di attività economiche di cui all’art. 41 Cost. e la disciplina
specifica in tema di esercizio del credito e di tutela del risparmio di
cui all’art. 47.
Mi riferisco ovviamente al Costi ed al Merusi che, come detto,
pur su posizioni diverse, hanno dato vita a ricostruzioni organiche e
sistematiche del fenomeno del credito (e della moneta) che, per la
prima volta, non sviluppavano le linee già tracciate, da almeno
quarant’anni, dal Giannini e dietro di Lui dai teorici
dell’ordinamento sezionale.
A dire il vero, però, sulla base di questo nuovo impulso allo
studio della disciplina del settore creditizio in una chiave sempre più
autonoma rispetto agli istituti e soprattutto ai principi tracciati dalla
legislazione bancaria del 1936-38 si é finito, molte volte, per cadere
nell’errore opposto a quello imputabile fino a quegli anni alla
dottrina. Cioè si é voluta vedere la nascita di un nuovo e totalmente
diverso sistema costituzionale di riferimento in tema di disciplina del
fenomeno del credito e della moneta.
In particolare non soltanto si é arrivati a sostenere la
prevalenza ad ogni costo, addirittura oltre la lettera delle stesse
disposizioni normative, da parte dell’ordinamento sovranazionale
comunitario nella disciplina unitaria di entrambi tali settori (moneta
e credito) ma, in un’ottica ancor più estrema, si é arrivati a
pretermettere completamente l’analisi della disposizione di cui
all’art. 47 della Costituzione, ormai ritenuta assorbita dalla
disciplina comunitaria in materia.
Come avrò modo di chiarire, é proprio questa impostazione
che, ad oggi, costituisce un nuovo ed ancor più forte ostacolo ad una
rilettura, se vogliamo anche in una nuova prospettiva, della
disciplina costituzionale in tema di credito.
12
In questo modo dunque ci si é spinti fino al paradosso per cui,
da una parte non si é ritenuta rilevante la disciplina delineata
dall’art. 47 Cost., almeno fino ai primi anni Ottanta, in quanto si
riteneva che il suo unico valore fosse stato quello di
costituzionalizzare i principi propri della legislazione bancaria;
dall’altra parte, caduti tali principi ad opera delle riforme attuative
delle direttive comunitarie in materia di credito e, soprattutto, in
materia di unificazione monetaria, si é arrivati e si arriva tutt’oggi a
sostenere la superfluità di una analisi autonoma della disciplina
costituzionale in quanto recepita e modificata, e comunque ormai di
competenza delle istituzioni comunitarie.
E’ mia opinione che una prospettiva di questo genere sia
errata ed ingannevole.
Come avrò modo di approfondire, e ciò sarà possibile soltanto
attraverso una rivisitazione dell’evoluzione normativa della
disciplina creditizia, l’ordinamento interno, seppur abbia per lungo
tempo continuato a svilupparsi in netto contrasto con la disciplina
costituzionale in materia di credito, proprio dietro la spinta degli
atti normativi comunitari (direttiva 77/780), ha progressivamente
introdotto quelle riforme che hanno consentito, non soltanto un
adeguamento alle prescrizioni sovranazionali, ma, e questo é un
aspetto scarsamente sviluppato dalla dottrina, hanno determinato,
almeno sotto il profilo teleologico, cioè delle finalità legittimanti
l’intervento pubblico nell’economia del credito, un pieno e corretto
inquadramento costituzionale della disciplina legislativa.
La disciplina legislativa, in maniera pressoché progressiva, a
partire dalla riforma attuata con il D.P.R. n.350 del 1985 fino
all’emanazione del Testo unico del 1° settembre 1993 n.385, si é così
allineata con i risultati che, parallelamente, la migliore dottrina era
andata proponendo in tema di interpretazione delle disposizioni
costituzionali sui rapporti economici di cui agli articoli 41 e 47.
13
Ancora estranea al dibattito, salvo, come detto, per quanto
riguarda gli studi portati avanti dal Merusi, era la problematica del
collegamento fra la disciplina creditizia e quella in tema di politica
monetaria.
E’ mia opinione, ormai propria della dottrina maggioritaria,
che i due fenomeni, nonostante le forti interrelazioni che li
caratterizzano siano da considerare, sulla base della disciplina
costituzionale e sulla base delle riforme di rango comunitario, come
due settori completamente diversi e retti da propri ed autonomi
principi.
Non é qui la sede per soffermarsi su queste problematiche,
troppo ampie per essere sintetizzate in poche righe. Qui mi basta
sottolineare come mentre nella disciplina della attività di controllo
del credito, nonostante il processo di liberalizzazione dei mercati a
cui stiamo assistendo, permane una esigenza forte, anche a livello
comunitario, di funzionalizzare tale attività rispetto ad un obiettivo
che rimane, comunque, di carattere sociale, cioè di tutela di
posizioni soggettive considerate di debolezza (rispetto all’impresa
creditizia), per quanto riguarda invece la disciplina degli strumenti
della politica monetaria, gli stessi sono da considerarsi, per le
ragioni e sulla base delle disposizioni che analizzerò nella seconda
parte, sempre più ed irreversibilmente attratti nella sfera di
sovranità propria dell’ordinamento comunitario, e rispondenti ad
esigenze e nel perseguimento di finalità di semplice stabilità
sistemica.
In altri termini, salvi i debiti approfondimenti, nonostante che
da più parti si continui ad enfatizzare il forte recupero delle esigenze
del mercato anche nella disciplina dell’attività creditizia, non mi
sembra che sia alieno dalla disciplina comunitaria, almeno (ma mi
sembra non solo) nell’ottica in cui la stessa é stata recepita
nell’ordinamento interno, il riferimento, mediato dalla tutela della
14
concorrenzialità del mercato, alla salvaguardia degli interessi
(giuridici ed economici) dei soggetti che, rispetto ai soggetti
esercenti l’attività creditizia, si trovano in posizione di debolezza,
cioè mi riferisco ai risparmiatori privati.
Compito di questo elaborato sarà dunque quello, una volta
illustrata l’evoluzione della disciplina giuridica e del dibattito
dottrinario relativo alle materia creditizia e monetaria, di prendere
posizione sull’attuale assetto normativo di disciplina dei suddetti
settori, ciò soprattutto (ma non solo), sotto il profilo delle
conseguenze sull’assetto organizzativo di vertice e sul riparto di
competenze fra organi a legittimazione politica ed organi tecnici.
In particolar modo, considerata la vastità della materia, e
salve alcune puntualizzazioni su aspetti secondari, ma di
collegamento fra gli argomenti di cui mi occuperò, é mia intenzione
dedicare una particolare attenzione all’approfondimento dell’analisi
dei rapporti intercorrenti fra le autorità politiche, il Comitato
Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) ed Ministro
del Tesoro, addette al controllo dei settori considerati e l’autorità
“non politica”, la Banca d’Italia, preposta alla cura degli stessi.
Tali rapporti costituiscono infatti uno dei momenti più
significativi (a mio modesto avviso sono al centro) dell’evoluzione
del processo di integrazione europea, sia per la tendenza, sempre più
espansiva, ma dai contorni ancora non definiti, all’esautoramento a
favore delle istituzioni comunitarie delle sfere di sovranità degli
Stati membri, ed in particolar modo degli ambiti materiali
riguardanti il cosiddetto “diritto pubblico dell’economia”; sia per la
resistenza, riconosciuta a favore dell’ordinamento interno, verso
quelle limitazioni della sovranità che incidano sui principi
fondamentali del nostro ordinamento.
Il punto di vista dal quale intendo analizzare queste
problematiche, dunque, pur cogliendo l’occasione ed ancorandosi ai
15
risultati derivanti dall’analisi dell’evoluzione normativa della
disciplina di settore, ed in particolar modo del settore creditizio,
mira a mettere in evidenza, da un lato i profili di continuità fra
l’ordinamento comunitario e l’ordinamento interno (e quindi di
avvenuto adeguamento del secondo rispetto al primo) circa il ruolo
da attribuire alle autorità politiche ed alle autorità non politiche
nella cura degli interessi ai quali sono preposte, dall’altro tenta di
sottolineare i momenti di centralità e di autonomia che
l’ordinamento nazionale ancora (probabilmente per poco) conserva
a fronte dell’ordinamento comunitario.
In questa prospettiva non si possono non sottolineare le forti e
penetranti innovazioni che derivano dalla disciplina contenuta nel
Titolo VI della Prima Parte del Trattato di Maastricht, nel quale si
dettano i principi fondamentali della nuova architettura
costituzionale comunitaria in tema di controllo della politica
economica e monetaria ed in cui, in vista di tale momento, si
impongono forti e consistenti riforme di adeguamento delle
legislazioni nazionali in materia.
In quest’opera di unificazione economica e monetaria le
istituzioni nazionali partecipano attraverso un ruolo di primo piano
e, in particolar modo per quanto riguarda la disciplina monetaria, vi
parteciperà quell’istituzione che, per quanto riguarda l’ordinamento
italiano, é da sempre inserita sia nella struttura organizzativa di
controllo del credito che in quella addetta al controllo della moneta:
mi riferisco ovviamente alla Banca d’Italia.
Essa, dunque e per concludere, anche (e direi soprattutto)
dopo le ultime riforme dei trattati sull’Unione Europea, continua a
svolgere una pluralità di ruoli nell’ambito sia dell’ordinamento
interno che dell’ordinamento comunitario in una linea di tendenza
che la porta sempre più, occorre riconoscerlo, verso l’assunzione di
una posizione di piena indipendenza da qualsiasi altro organismo.
16
Ed in particolare, e questo é l’elemento di maggior rottura
con la nostra tradizione giuridica, la Banca d’Italia é spinta sempre
più verso l’indipendenza da apparati organizzativi, sia nazionali che
sovranazionali, anche a legittimazione democratica.
17
PARTE PRIMA
LE AUTORITÀ DI VERTICE DELL’ORDINAMENTO
CREDITIZIO NELL’ESERCIZIO DEI POTERI DI
AUTORIZZAZIONE E DI VIGILANZA
CAPITOLO PRIMO
L’EVOLUZIONE NORMATIVA DELLA DISCIPLINA
CREDITIZIA
1 PREMESSE INTRODUTTIVE
E’ bene subito sottolineare come le autorità di vertice che si
sono nel tempo avvicendate nella cura degli interessi del settore qui
considerato, già dai primi interventi normativi di disciplina
dell’ordinamento creditizio risultano essere stati titolari, secondo
modalità ed intensità variabili a seconda del periodo storico di
riferimento, di un complesso di poteri di “controllo” sull’attività
bancaria, cioè sull’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico e
di esercizio del credito, che hanno abbracciato ogni aspetto ed ogni
momento della vita dell’ente creditizio, a partire dal suo ingresso
all’interno dell’ordinamento giuridico
1
.
1
A dire il vero, ma questa è una problematica che non potremo approfondire,
l’interesse dell’ordinamento per gli enti creditizi, a partire proprio dalla legge bancaria del
1936-38 (art. 28) ed almeno fino alla riforma operata con il D.P.R. 350/85 (ma per alcuni
fino alla riforma del nuovo T.U. del 1993), riguardava anche la loro costituzione, e cioé un
momento precedente, e che in verità prescindeva, dal loro ingresso nel mercato creditizio.
Vista la mancanza di attualità di questa problematica, come detto pienamente risolta dal
nuovo Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia nel senso di aver escluso la
necessità di una apposita autorizzazione per la costituzione dell’impresa bancaria, rinvio
per ulteriori approfondimenti alle pagine di MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico
italiano, Giuffrè, Milano, 1987, pagg. 367 e ss., DE TROIA, Autorizzazione all’attività
18
Infatti, sulla base della considerazione, implicita già nella
prima significativa produzione normativa in tema di attività di
controllo sugli operatori bancari, e cioè nella cosiddetta legge
bancaria del 1926
2
, opinione secondo cui ogni momento dell’attività
dell’ente creditizio, dalla sua nascita alla sua uscita
dall’ordinamento, appare di pubblico interesse e quindi bisognoso di
ricevere una specifica disciplina giuridica, il legislatore inaugura
quella bipartizione della materia del “controllo sugli enti creditizi”
che diverrà poi tradizionale, tanto da essere fatta propria, secondo
una impostazione normativa consolidata, anche dai successivi
interventi di riforma.
Tale prospettiva si fonda appunto sulla separazione
concettuale fra la disciplina dell’attività di autorizzazione alla
bancaria, in FERRO-LUZZI e CASTALDI, La nuova legge bancaria, Giuffrè, Milano,
1996, I, pagg. 243 e ss., SANGIORGIO, Credito (ordinamento amministrativo del),
Digesto, pagg. 431 e ss., NIGRO A., L’autorizzazione “all’attività bancaria” nel T.U.
delle leggi in materia bancaria e creditizia, Dir.banc.fin. , 1994(I), pagg. 285 e ss., COSTI,
L’ordinamento bancario, Il Mulino, 1994, pagg. 236 e ss.
2
Facciamo qui accenno alle disposizioni contenute nel R.D.L. 1511/1926
convertito nella legge 1107/1927 e nel R.D.L. 1830/1926 convertito nella legge 1108/1927,
chiarendo già da ora che, almeno secondo la dottrina più tradizionale, queste norme, pur
essendo significative sotto il profilo menzionato, e cioé quello della bipartizione
dell’attività di vigilanza in attività di controllo sull’iniziativa (rimessa al Ministro delle
Finanze di concerto col Ministro dell’economia nazionale sentito il parere dell’Istituto di
emissione) ed attività di controllo sull’esercizio dell’impresa (in particolare per quanto
riguarda le operazioni di fusione fra aziende), sono caratterizzate dalla poca organicità,
mirando a disciplinare particolari aspetti di disciplina piuttosto che l’attività bancaria nel
suo complesso. Con tali riforme, infatti, si realizzò “un sensibile miglioramento, anche se
in forme non del tutto organiche e soddisfacenti, nei confronti del sistema precedente. Si
permise così all’ordinamento creditizio italiano (sia pure al fine, per il momento,
prevalente, di tutela del risparmio) di adeguarsi gradualmente alle nuove esigenze dei tempi
e di prepararsi a quelle ulteriori riforme di struttura che si realizzarono con la legislazione
del decennio successivo” (VIGNOCCHI, Il servizio del credito nell’ordinamento
pubblicistico italiano, Giuffrè, Milano, 1974, pagg. 4 e ss.) e cioé, come vedremo, con
l’entrata in vigore della nuova legge bancaria del 1936-38. Sotto questo profilo infatti la
successiva riforma degli anni ‘30 costituirà un notevole passo avanti soprattutto nell’opera
di definizione complessiva, e di accentuazione, dei poteri di “controllo” sull’attività
bancaria. Sul punto si vedano NIGRO M., Profili pubblicistici del credito, Giuffrè, Milano,
1969, pag. 15, FERRI, Considerazioni preliminari sull’impresa bancaria,
Banc.Bors.Tit.Cred., 1969(I), pag. 325, COSTI, L’ordinamento cit., pagg. 28 e ss.; ed in
tema di scarsa incisività delle disposizioni della legge bancaria del ‘26 ai fini del governo
del credito si vedano le osservazioni di SCIALOJA, La tutela del risparmio e la vigilanza
sulle società bancarie, di commento alla sentenza del Tribunale di Roma del 18/3/1933
contenuta in Foro it., 1993(I), pagg. 1552 e ss.
19
costituzione ed all’esercizio dell’attività bancaria da un lato e la
disciplina relativa alla attività di vigilanza sugli enti creditizi già
operanti nel settore dall’altro.
Questa peculiarità, propria, come detto, della primissima
produzione legislativa in materia assume dei connotati e delle
specificità sempre più marcate con i primi interventi normativi di
fonte comunitaria
3
in quanto è proprio attraverso quella incentiva
opera di riforma, da parte delle istituzioni comunitarie, riguardante i
poteri di controllo sull’attività di autorizzazione all’esercizio del
credito che viene posta in essere già dalla fine degli anni ‘70, che
inizia quell’opera di “liberalizzazione” del settore economico del
credito che porterà, da ultimo, alla redazione ed all’entrata in vigore
del nuovo Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
Per questi motivi, considerata l’autonomia, che appare
evidente dai citati atti di produzione normativa (interna e
comunitaria), fra disciplina dell’accesso al credito e disciplina del
controllo sull’attività, anche l’analisi che andrò a svolgere in queste
pagine circa la ripartizione dei poteri di “controllo” sugli enti
creditizi fra autorità politiche ed autorità non politiche tenterà di
mettere in evidenza, quanto più possibile, i profili di specificità
dell’attività di autorizzazione all’esercizio del credito rispetto alla
(vera e propria) attività di vigilanza.
Sulla base di queste premesse, avendo già accennato ai tratti
fondamentali della riforma del 1926
4
, concentrerò la mia attenzione
3
Direttiva 12/12/1977 n. 780 poi recepita con il D.P.R. 350/1985.
4
Una efficace sintesi delle disposizioni della legge bancaria del 1926 è contenuta
in GIANNINI M.S., Osservazioni sulla disciplina della funzione creditizia, in AA.VV.,
Scritti giuridici in onore di Santi Romano, Cedam, Padova, 1940, II, pagg. 710 e ss. il
quale, mettendo anch’egli in evidenza la distinzione fra attività di controllo dell’accesso al
mercato creditizio ed attività di vigilanza,, individua i momenti fondamentali della suddetta
riforma di settore nella “... a) autorizzazione del Ministro delle Finanze per l’istituzione di
aziende di credito, per l’apertura di filiali e sedi, per la concentrazione di aziende esistenti
(formazione dell’albo nazionale); b) determinazione di presupposti per l’esercizio, come il
minimo di capitale iniziale; c) imposizione, alle aziende di credito, di obblighi, sia
materiali, cioé riguardanti il modo di esercizio della loro attività (proporzione fra capitale
netto e depositi, incremento obbligatorio della riserva, limite dei fidi alla stessa persona
20
esclusivamente su quegli interventi normativi che, a far data dalla
legge bancaria del 1936-38, hanno apportato consistenti modifiche e
soprattutto organiche riforme alla disciplina dei rapporti fra le
autorità di vertice dell’ordinamento creditizio.
2 LA LEGGE BANCARIA DEL 1936-1938: UN’ANALISI DEI
POTERI DI AUTORIZZAZIONE E DI VIGILANZA
Con la riforma operata dal legislatore italiano attraverso il
complesso normativo conosciuto come “legge bancaria del 1936-38”
5
l’ordinamento fascista aggiunge un’altra tappa a quel disegno di
controllo globale dell’economia
6
che ha visto, in quegli stessi anni, i
ecc.), sia strumentali (comunicazione dei bilanci e di altri atti); d) preminenza alla Banca
d’Italia, con attribuzioni di regolazione della moneta nazionale, di controllo, specialmente
ispettivo, sulle altre aziende, e, praticamente, di istruttoria (parere) nel procedimento
amministrativo preliminare all’autorizzazione (atto discrezionale e di discrezionalità
tecnica) del Ministro delle Finanze”.
5
Con legge bancaria si fa riferimento alla legge 7 marzo 1938 n. 141 di
conversione del R.D.L. 12 marzo 1936 n. 375 anche se essa va coordinata con la di poco
successiva legge 7 aprile 1938 n. 636 di conversione del R.D.L. 17 luglio 1937 n. 1400 che
contiene modificazioni, peraltro ai nostri fini irrilevanti, alla legge n. 141. Per una analisi di
sintesi dell’evoluzione legislativa che ha portato all’adozione di tali disposizioni di veda
OPPO, La Banca d’Italia dal privato al pubblico, Banc.Bors.Tit.Cred., 1994(I), pagg. 601
e ss.
6
Da ultimo, in questo stesso senso DE VECCHIS, Il Comitato interministeriale
per il credito ed il risparmio, in FERRO-LUZZI e CASTALDI, La nuova legge cit., I,
pagg. 79 e ss., CAPRIGLIONE, L’ordinamento finanziario verso la neutralità, Cedam,
Padova, 1994, pag. 31: “Gli anni del regime fascista segnano un momento particolarmente
importante nel processo innovatore delle forme dell’intervento pubblico. Significativa la
considerazione, riferita ai caratteri del sistema produttivo, secondo cui <<il disegno
costituzionale corporativo prevedeva per le imprese in mano pubblica un controllo verticale
da parte di organi governativi ed una direzione per settori produttivi da parte delle
corporazioni>>, spettando al Ministero delle Corporazioni <<la funzione di sutura fra
controllo e direzione>>. Essa trova positivo riscontro anche in ambito finanziario, aiutando
a comprendere la ratio procedimentale che è a fondamento dell’azione pubblica, ratio da
ravvisarsi certamente nella capacità sopramenzionata di adeguare l’assetto normativo del
settore alla realizzazione del disegno di sviluppo economico generale fissato in sede
politica”. Questo profilo, peraltro, era già stato messo in evidenza dalla dottrina
immediatamente successiva all’entrata in vigore della suddetta riforma, ed in particolare da
GIANNINI M.S., Osservazioni cit., pag. 709: “la disciplina giuridica attuale del sistema
creditizio, lungi dall’essere un’improvvisazione dettata dalla contingenza, è frutto di una
evoluzione, per cui la funzione creditizia viene sempre più sottoposta al controllo statale
21
suoi sviluppi essenziali, da un lato nella individuazione di attività
economiche originariamente riservate allo Stato (trasporto marittimo,
servizio di telefonia, trasporto aereo, radiodiffusione) e, in taluni
casi, concesse in esercizio ai privati (assicurazioni, commercio),
dall’altro nella costituzione di numerosi enti pubblici operanti nei
settori economici di maggior rilievo, ed in maniera accentuata nel
settore creditizio, coordinati attraverso la creazione prima
dell’Istituto mobiliare italiano (R.D.L. 13 novembre 1931 n. 1398) e
poi dell’Istituto per la ricostruzione industriale (R.D.L. 23 gennaio
1933 n. 5), enti che avevano il compito di dirigere, dall’interno, il
proprio settore di competenza
7
.
Attraverso tale riforma, ed è questo l’elemento maggiormente
significativo di tale provvedimento legislativo, si realizzò una
generale estensione ed accentuazione dei poteri di controllo
sull’attività degli enti creditizi.
Tutto ciò avvenne almeno sotto un duplice profilo: dal punto
di vista della disciplina dei poteri di autorizzazione e di vigilanza
creditizia, e dal punto di vista della riforma dell’assetto
organizzativo di vertice delle autorità di governo del settore.
Nella prima delle summenzionate prospettive, dunque, queste
evenienze si realizzarono, in primo luogo, attraverso una riforma
...”, PIGA, Pubblico e privato nell’ordinamento della impresa bancaria, Banc.banc., 1983,
pag. 499 e IDEM, Pubblico e privato nelle attività bancarie, Banc.banc., 1982(8), pagg.
445 e ss..
7
PARRILLO, Valore e ruolo della legge bancaria nel sistema creditizio italiano,
Banc.banc., 1975(8), pagg. 152 e ss.: “... la legge bancaria non è stata frutto di
improvvisazioni, ma lo sbocco naturale di una serie di indirizzi e di misure rivolte ad
introdurre, progressivamente, una organica e generale disciplina in materia di risparmio e
credito. Così, sostanzialmente, la legge bancaria del 1936 consacra l’evento della
separazione fra credito ordinario e credito industriale, di fatto già avvenuto con la
costituzione dell’IMI nel 1931; sancisce la creazione dello Stato banchiere e dello Stato
industriale, introdotta con la costituzione dell’IRI nel 1933; ma, soprattutto, riconosce la
particolare posizione del credito e del risparmio nell’ambito del sistema economico,
formalizzando, in tal modo, un principio che era stato praticamente già collaudato, sul
terreno applicativo, dalla costituzione del Regno fino al 1936”; IDEM, La nuova
costituzione bancaria, Riv.banc., 1993, pagg. 3 e ss., IDEM, Validità e rinnovamento della
Legge Bancaria, Note economiche, 1986(3/4), pag. 308. Nello stesso senso
MEZZACAPO, Banche (disciplina amministrativa), Diz.Guarino, pagg. 459 e ss.
22
dell’istituto, già conosciuto nel vigore della legislazione del ‘26,
della autorizzazione all’esercizio dell’attività creditizia.
La legge bancaria, infatti, all’articolo 28 detta una nuova
disciplina del suddetto istituto in base alla quale le aziende di credito
soggette a vigilanza (che, ex art. 5, sono rappresentate dagli istituti di
diritto pubblico, dalle banche di interesse nazionale, dalle banche ed
aziende di credito in genere, comunque costituite, che raccolgano fra
il pubblico depositi a vista o a breve termine, a risparmio, in conto
corrente o sotto qualsiasi forma e denominazione, dalle banche
cooperative popolari, dalle filiali di aziende di credito straniere
esistenti nel regno, dalle casse di risparmio, dai monti di pegni e
dalle casse rurali ed agrarie) necessitano, a far data dall’entrata in
vigore della legge bancaria, di un apposita autorizzazione
8
per il
compimento dei principali atti di autonomia imprenditoriale, e ciò
soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione interna e le scelte
aziendali di articolazione territoriale dell’impresa. In particolare
l’autorizzazione è richiesta, sempre sulla base dell’articolo 28, sia
per la costituzione dell’ente, sia per l’esercizio delle attività
economiche per il quale l’ente è sorto (inizio delle operazioni), sia
8
La dottrina, almeno fino alla metà degli anni ‘80, e cioé fino all’entrata in vigore
del D.P.R. 350/1985 di recepimento della prima direttiva comunitaria sul credito, era divisa
sulla qualificazione dell’istituto dell’autorizzazione all’esercizio del credito, ed in
particolare talora si parlava di atto di concessione (nel significato tradizionale del diritto
amministrativo), da parte di altri autori di atto di autorizzazione in senso tecnico, da parte
di un’altra dottrina di abilitazione con effetti costitutivi, ed infine di atto di natura
organizzativa (come sostiene NIGRO A., L’autorizzazione cit., pagg. 286). Anche a questo
proposito occorre sottolineare come, negli ultimi dieci anni, la dottrina, a differenza delle
cicliche oscillazioni giurisprudenziali (da ultimo Cass.pen. , sez. V, 24 marzo 1988 in Foro
it., 1988, II, pagg. 669 e ss) si è quasi unanimemente orientata nel senso di riconoscere a
tale atto la natura di autorizzazione in senso tecnico, cioé di atto di rimozione di un
ostacolo al libero dispiegarsi del diritto di iniziativa economica privata nel settore creditizio
(MOLLE, op.cit., pagg. 368 e ss., COSTI, L’ordinamento cit., pagg. 237 e ss., ZITO,
Prime riflessioni sui profili pubblicistici della nuova legge bancaria, Jus, 1994, pagg. 236 e
ss., NIGRO A., L’autorizzazione cit., pagg. 291). Per una panoramica delle varie
qualificazioni dell’atto di autorizzazione all’esercizio del credito si veda RUTA, Il
controllo della Banca d’Italia sugli enti creditizi, Bancaria, 1970(II), pagg. 1447 e ss..
23
per l’istituzione di sedi, filiali, succursali, agenzie, dipendenze,
recapiti in Italia ed all’estero
9
.
Per quanto riguarda invece i poteri di vigilanza creditizia le
aziende di credito sono soggette, sulla base delle disposizioni
contenute negli artt. 31, 32, 33 e 35, a poteri di vigilanza
informativa, ispettiva e regolamentare.
In base a tali disposizioni le stesse aziende di credito, da un
lato sono tenute a trasmettere le situazioni periodiche, i bilanci ed
ogni altro dato richiesto dalle competenti autorità (vigilanza
informativa), dall’altro queste ultime potranno disporre ispezioni
periodiche e straordinarie per ottenere l’esibizione di documenti e di
atti (vigilanza ispettiva), da un altro lato ancora le stesse aziende di
credito dovranno sottostare alle istruzioni che le autorità di controllo
emaneranno, essenzialmente ex articolo 32 e 35, circa i principali
aspetti della gestione contabile ed organizzativa (vigilanza
regolamentare) dell’ente controllato.
In particolare, prendendo in considerazione quest’ultimo
complesso di poteri di vigilanza (regolamentare), dette istruzioni
hanno quale oggetto, fra l’altro, le forme tecniche dei bilanci e delle
situazioni periodiche, i limiti dei tassi attivi e passivi, le condizioni
delle operazioni di deposito di conto corrente, le provvigioni per i
diversi servizi bancari, la proporzione fra le diverse categorie di
investimenti, le percentuali minime degli utili da destinarsi a riserva,
il rapporto fra il patrimonio netto e le passività nonché le possibili
forme di impiego dei depositi raccolti in eccedenza rispetto a tale
ammontare (art. 32), il rapporto fra il patrimonio sociale e gli
investimenti in immobili e titoli azionari, i limiti massimi dei fidi
concedibili (art. 35).
9
Sul ruolo e la funzione della autorizzazione all’apertura di sportelli nel vigore
della disciplina del 1936-38 si veda il commento di GIANNINI M.S., Intorno
all’autorizzazione all’apertura di sportelli, Banc.Bors.Tit.Cred., 1950(II), pagg. 303 e ss.