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CAPITOLO I
La pirateria marittima: i poteri di intervento del comandante
SOMMARIO — 1. Premessa — 2. I poteri di intervento del comandante della nave
— 2.1. Diritto di inseguimento della nave pirata — 2.2. Diritto di visita della
nave sospettata di pirateria — 2.3. Diritto di cattura e di sequestro della nave,
di requisizione dei beni e di arresto dei responsabili — 2.4. Diritto di
perseguire penalmente i pirati — 2.5. Disposizioni speciali applicabili ad
arresto, fermo e misure cautelari — 3. La garanzia dei diritti umani durante la
detenzione dei sospettati — 4. La relazione di «eventi straordinari»:
verificazione — 5. Delimitazione spazio-temporale del comando.
1. Premessa
La pirateria marittima è una fattispecie criminale molto antica, che
ha avuto origine fin dai primi sviluppi del commercio marittimo.
Inizialmente fu posta in essere da parte di isolati gruppi di pescatori e di
marinai, i quali alla faticosa vita che conducevano sui mercantili
preferirono la più lucrosa, anche se gravemente illegittima e pericolosa,
attività di abbordare e depredare le navi in transito, e successivamente ad
opera di folti gruppi provenienti da popolazioni che vivevano sui litorali
mediterranei, quali gli abitanti della penisola anatolica ed i Fenici, gruppi
per i quali ormai la pirateria rappresentava una professione riconosciuta
come le altre.
Furono prima gli scrittori greci e poi principalmente quelli romani
ad occuparsi di questo ormai dilagante fenomeno, inquadrandolo in una
specifica categoria giuridica, definendo i pirati «hostes umani generis» e
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comprendendo, quindi, i feroci crimini da essi commessi tra i «delicta
iuris gentium», con la conseguenza che poteva essere considerata
legittima qualsiasi forma di reazione, anche se di estrema violenza,
diretta a contrastare la loro attività e tale da costituire un esemplare
deterrente, idoneo a dissuadere qualsiasi male intenzionato dal divenire
un pirata.
Ed in effetti, proprio sul fondamento di tale valutazione, era prassi
comune che i pirati fatti prigionieri venissero sommariamente giustiziati
per impiccagione all'estremità terminale di un pennone della nave che,
tra quelle che davano loro la caccia, aveva proceduto alla loro cattura.
Nonostante la decisione con la quale venivano puniti i pirati
catturati, la pirateria ha avuto una grande espansione nei secoli XVII e
XVIII fino agli inizi del secolo XIX, da quando il fenomeno fece
registrare una flessione, salvo a riprendere ed espandersi con dimensioni
sempre più allarmanti negli ultimi anni (
1
).
(
1
) Riferimenti storici alla pirateria si rinvengono in R. VUOSI, La pirateria
marittima: un crimine da debellare, in International Institute of legal and criminal
studies of Pristina IILCS/2012, 1 ss.; P. GOSSE, Storia della pirateria (tit. orig.
History of piracy, London, Cassel, trad. di Sergio Caprioglio), Firenze, Sansoni,
1962, 16; C. M. MOSCHETTI, voce “Pirateria” (storia), in Enc. dir., XXXIII, 1983,
873; G. MACCHI, La pirateria nel Mediterraneo. Dai tempi mitici al XIX secolo, in
Riv. mar., 1987, 59 ss.; I. CAVARRETTA, E. REVELLI, Pirati. Dalle origini ai
nostri giorni, dai Caraibi alla Somalia, Nutrimenti, Roma, 2009, 10-12, ove si
afferma che, al contrario di quanto molti credono, la pirateria ancor prima di essere
collegata con il mare dei Caraibi, si evolve principalmente nel mare Mediterraneo:
fenici, greci, etruschi e cartaginesi, batterono le acque del bacino mediterraneo e si
spinsero oltre le Colonne di Ercole, assaltando navi, depredando carichi,
imprigionando equipaggi per venderli come schiavi o per richiedere riscatti. Prima di
giungere fino al mare dei Caraibi bisogna tenere conto che il mar Mediterraneo, nel
tredicesimo secolo, fu teatro di aspri scontri tra pirati barbareschi ed ottomani contro
i Cavalieri di Malta.; D. CORDINGLY, Storia della pirateria, Mondadori, Milano,
2003; D. A. AZUNI, Intorno alla pirateria, Sassari, G. Dessì, 1892, 16 ss.; S.
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Il modus operandi dei pirati si basa sull’assalire e sequestrare le
imbarcazioni commerciali che navigano in quelle acque per poi esigere
un riscatto, trattando direttamente con gli armatori, le società, o
addirittura gli stessi Governi dei paesi da cui le navi provengono.
Secondo un calcolo delle Nazioni Unite il numero di pirati, è
passato da una cinquantina di «addetti» nel 2006, a 1.500 alla fine del
2008, sono parte integrante delle comunità che abitano la costa, sono
organizzati come imprese private: ci sono i finanziatori, con una strategia
militare e una pianificazione e gli sponsor, che procurano le barche
veloci, il carburante, le armi e le munizioni, i sistemi di comunicazione e
i salari. È stato inoltre rilevato, che dal momento in cui i pirati avvistano
la preda, al momento in cui terminano la fase di abbordaggio prendendo
possesso dell’unità trascorrono approssimativamente 15 minuti. Un
intervallo di tempo d’azione così breve consente di comprendere
l’impossibilità per le forze navali presenti in zona a protezione dei
traffici di intervento per evitare i sequestri (
2
).
Individuata la preda, dalle navi madre si staccano tre o quattro
barchini veloci con a bordo da quattro a otto uomini armati che danno
l’arrembaggio. Hanno a disposizione telefoni satellitari, apparati GPS in
grado di determinare la posizione geografica, serbatoi supplementari di
carburante, piccoli radar, binocoli potentissimi, rampini e scale
telescopiche.
TAFARO, Aspetti della sicurezza marittima nelle fonti del diritto romano, in
Sicurezza marittima, Mottola, Taranto, 2005, 307 ss.
(
2
) Ulteriori informazioni sui dati riportati, sono rinvenibili in, M. AVINO, La
pirateria marittima, analisi geopolitica ed osservazione degli effetti, in Intel
Analisys on Global Terrorism, 2011, 12.
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Nelle cellule di pirati sono state individuate anche delle donne
somale residenti all’estero che si offrono di sposare i pirati che così, in
cambio di cospicue somme possono acquisire i visti per lasciare la
Somalia.
Esistono almeno due gruppi di pirati. Il primo opera a nord in
Puntland (nordest della Somalia). Il secondo gruppo opera più a sud, da
Harardhere fino a Chisimaio.
L’organizzazione criminale è formata da diverse unità: quella di
sicurezza (28 uomini) difende le basi a terra ed è dotata di mezzi (pick up
con un cannoncino o una mitragliatrice) che vengono spostati sulla
battigia in caso di bisogno. Le unità di attacco sono due e si danno il
cambio in mezzo al mare dove possono restare fino a 15 ore, operano a
non meno di 150 chilometri dalla costa. Spesso i pirati operano sotto
stato di ebbrezza alcolica o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.
I pirati tendono essenzialmente ad intimorire la preda sparando dei
colpi con arma da fuoco che non hanno lo scopo offensivo, una sola
volta si è verificato un incidente mortale durante la fase di abbordaggio
della motonave cinese «Fong Hwa» nel 2007 quando un colpo di
rimbalzo ha ucciso un membro dell’equipaggio.
Nel corso delle negoziazioni il team leader può scegliere il
negoziatore che ritiene più opportuno mentre per quanto concerne il
metodo di pagamento, questo si è nel tempo evoluto infatti, fino al 2007 i
pirati privilegiavano i «wire transfer» successivamente si è passati
all’uso di corrieri fino ai giorni nostri dove i riscatti vengono
paracadutati in luoghi preventivamente concordati.
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Le compagnie di navigazione coinvolte in sequestri e talvolta anche
gli Stati di bandiera interessati sono disposti a pagare i riscatti richiesti
considerato che sebbene si tratti di richieste esose, le somme in questione
sono relativamente piccole rispetto al valore delle navi, del carico e della
vita degli equipaggi.
Gli eventi degli ultimi tempi stanno confermando che i pirati non
sono più dei semplici opportunisti ma stanno assumendo la connotazione
di una organizzazione ben strutturata, dotata di mezzi ed armi sofisticate.
Ciò che appare preoccupante è l’aumento dell’aggressività dei pirati
unita all’uso di potenti armi da fuoco quali «manpads» (Man Portable
Air Defence System) o RPG il cui uso contro il naviglio mercantile e da
diporto può provocare oltre alla perdita di vite umane, probabili danni
ecologici all’ambiente marino dovuti a possibili fuoriuscite del carico.
2. I poteri di intervento del comandante della nave
In base al cod. nav. del 1942, il comandante è il soggetto che,
essendo in possesso del titolo professionale richiesto, ha il comando
della nave; il comando dunque, è una funzione, che presuppone il
possesso di un titolo abilitante nella persona chiamata ad esercitarla (
3
).
(
3
) Si veda in tal senso, U. LA TORRE, Comando e comandante nell’esercizio
della navigazione, ESI, Napoli, 1997, 15, il quale afferma inoltre, che il cod. nav. del
1942, distinguendosi dai codici precedenti, ha reso esplicita la differenza tra l’astratta
potenzialità del titolo capitano e la concreta effettività della figura del comandante,
intendendo per capitano, solo uno dei titoli professionali della gente del mare di
prima categoria; la gente del mare, inquadrata nell’ordinamento del personale
marittimo, si divide in tre categorie: la prima delle quali comprende anzitutto il
personale addetto ai servizi di coperta, ossia “capitano”, con varie gradazioni
gerarchiche (superiore, di lungo corso, aspirante, allievo), nonché: padrone
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La nave quale complesso di mezzi destinati alla navigazione,
viaggiando per mari e territori stranieri, batte la bandiera nazionale,
segnacolo della sovranità e della legge della patria. Il comandante
pertanto, nella veste di capo della comunità delle persone che vivono a
bordo della nave, rappresenta l’autorità dello Stato, ed all’occorrenza
esercita funzioni che sono proprie di organi statuali (
4
).
I primi sforzi per cercare di porre freno alle azioni criminali dei
pirati, hanno avuto origini consuetudinarie, essendo per prassi consentito
non solo allo Stato di bandiera, ma a qualsiasi altro Stato, di intervenire
nei confronti di una nave pirata che opera in alto mare, ossia al di fuori
delle acque soggette alla giurisdizione degli Stati costieri (
5
).
marittimo, marinaio autorizzato, capo barca, conduttore. In rapporto al titolo
professionale e al relativo documento d’abilitazione di cui il soggetto è in possesso,
costui, previo arruolamento, può assumere il comando di qualsiasi nave, se capitano
superiore o, altrimenti, di stazza, tonnellaggio o importanza via via decrescente,
secondo il titolo o il grado dell’iscritto.
(
4
) Si veda A. SCIALOJA, Corso di diritto della navigazione, I, Soc. ed. foro
it., Roma, 1943, 395, sono questi i fatti dai quali emerge il doppio senso della figura
del comandante, l’aspetto privatistico e quello pubblicistico; il rapporto di servizio
del comandante, come preposto dell’armatore o dell’esercente, fa capo al contratto di
lavoro, mentre con la destinazione all’ufficio di comandante di una determinata nave
od aeromobile e con l’assunzione effettiva del comando entra pienamente in vigore il
regime pubblicistico dell’istituto, ed il comandante si trova investito anche di
funzioni che sono affatto estranee al rapporto di servizio.
(
5
) Si rinvia a M. M. ANGELONI, A. SENESE, Il diritto del mare nel
contrasto ai traffici illeciti internazionali, Cacucci, Bari, 2005, 68. Sono considerati
attacchi pirata, quelli coinvolgenti almeno due navi, non rientra pertanto nel concetto
di pirateria iuris gentium, il dirottamento di una nave da parte di persone che già si
trovano a bordo della stessa o la mera presa di controllo della nave ad opera
dell’equipaggio ammutinato.