2
Qualsiasi attività ha bisogno di uno spazio ben determinato
dove poter svilupparsi. Anche per le più semplici operazioni di carico
e scarico merci o per quelle d’imbarco e sbarco passeggeri è
necessaria la disponibilità di uno spazio ben definito e
sufficientemente ampio nel quale tali operazioni possano svolgersi
adeguatamente. Questo spazio prende il nome di “porto”.
La prima difficoltà che gli abitanti di Valencia dovettero
affrontare, dal momento in cui anch’essi vollero dare alla loro città un
determinato “spazio” adibito alle operazioni di carico e scarico merci
– un porto, in poche parole – riguardò un problema d’ingegneria, che
sarà poi alla base del secolare processo che ha portato solo verso la
fine del XIX secolo alla definitiva realizzazione di un vero e proprio
scalo portuale nel Golfo di Valencia. Il grande ostacolo che dovette
essere inmediatamente superato – grazie al contributo di alcuni fra i
più famosi ingegneri dell’epoca – fu la difficoltà di creare un riparo,
un’insenatura artificiale, in una costa che si presentava uniformemente
rettilinea, bassa e sabbiosa.
Agli inizi del nuovo millennio, le operazioni di carico e scarico
merci – e, in un certo modo, anche quelle d’imbarco e sbarco
passeggeri – non avvengono mai in modo “isolato”, ma sono sempre
relazionate a numerose altre attività quali, per dare qualche esempio,
3
le operazioni d’immagazzinaggio, i processi di controllo e selezione
delle merci, le operazioni doganali. Tutte queste attività entrano in
contatto diretto con quello che è stato definito come “spazio portuale”,
poichè tendono a concentrare qui, o al massimo nelle sue vicinanze, le
loro imprese ed i loro cicli produttivi, in base ad ovvie ragioni
logistiche. Diventa sempre più necessaria, quindi, la disponibilità di
uno spazio molto più esteso di quello relativo al concetto di “porto”
inteso semplicemente come punto di approdo per le navi che
trasportano merci o passeggeri. Un porto è oggi costituito da uno
spazio, un’area che diventa sempre più grande e complessa man mano
che aumentano i livelli di qualità e di specializzazione dei servizi da
esso offerti.
Se nei secoli passati era stato possibile delimitare più o meno
esattamente la porzione di territorio alla quale veniva dato il nome di
“porto”, ora ciò risulta essere molto più complesso ed inoltre, si
evince in modo palese che la superficie portuale che riveste maggiore
importanza non è più quella rivolta verso il mare (i moli e le superfici
galleggianti), ma quella costruita sulla terraferma, con le spalle rivolte
al mare e lo sguardo proiettato verso l’hinterland del porto. È su
quest’area, in continua estensione, che sorgono le piattaforme
logistiche nelle quali si trovano le infrastrutture e le imprese la cui
attività è diretta al continuo miglioramento della qualità dei prodotti
4
destinati all’esportazione, in modo da aumentarne costantemente il
loro valore aggiunto e di conseguenza i profitti che ne derivano alla
comunità portuale.
Negli ultimi decenni il concetto di porto come “impresa di
servizi” ha assunto un’importanza primaria, andando di pari passo con
l’attitudine competitiva che caratterizza ormai – quasi ovunque – le
relazioni fra i diversi scali portuali anche all’interno di una stessa
regione. Un porto per poter sopravvivere e, soprattutto, per poter
incrementare continuamente i propri volumi di traffico deve
necessariamente vincere la concorrenza frapposta dagli scali vicini ed
attirare, così, verso di sé sia il traffico proveniente dall’hinterland, sia
quello proveniente dal foreland. Uno scalo portuale sarà considerato il
principale di una determinata regione geografica – come nel caso del
porto di Valencia, per quel che riguarda la Comunidad Valenciana –
quando sarà stato capace di attirare verso di sé la maggior parte delle
linee di navigazione operanti in quell’area e, soprattutto, attrarre i
flussi di merci – destinate all’esportazione – provenienti dalle
maggiori imprese operanti nell’hinterland della regione.
Dopo aver affrontato, nei Capitoli I e II, le principali
caratteristiche che contraddistinguono il trasporto marittimo
internazionale e la concorrenza portuale agli inizi del nuovo millennio
5
– facendo riferimento in particolare all’evoluzione dei tre principali
scali commerciali della Comunidad Valenciana, ossia Valencia,
Castellòn de la Plana ed Alicante – questo studio vuole ripercorrere,
nel Capitolo III, quelle che sono state le varie tappe storiche che
hanno segnato il processo di costruzione del Grao di Valencia, un
“porto difficile” come fu, a ragione, più volte definito.
Le difficoltà nascevano da diversi ostacoli di natura fisica
che si presentarono puntualmente, nel corso dei secoli, a chiunque
avesse voluto tentare di mettere in pratica uno dei tanti progetti che a
volte venivano semplicemente osservati, altre volte completamente
ignorati da quelle che dovevano essere le autorità predisposte al loro
finanziamento ed alla loro esecuzione.
Queste enormi difficoltà di tipo fisico erano legate alla
natura rettilinea, bassa e sabbiosa della costa che non presentava
alcuna insenatura naturale (tranne che nel Cabo de Cullera, località a
circa 30 km a sud di Valencia). Inoltre, altri notevoli problemi erano
creati dai fondali marini del golfo di Valencia, composti da sabbia e
fango, e poco profondi per garantire un adeguato pescaggio.
La mancanza di qualsiasi tipo di protezione naturale lungo
questa costa lasciava il pieno dominio ai venti, alle correnti ed alle
maree, con tutti i loro effetti negativi sulla sicurezza della
navigazione. Perdippiù, la vicinanza della foce del fiume Turia
6
contribuiva a peggiorare la situazione, poiché alimentava l’accumulo
di detriti che – spostati poi dalle correnti marine – andavano a
depositarsi in prossimità dell’allora piccolo pontile di legno, Pont de
Fusta, riducendo ulteriormente il già scarso pescaggio delle acque.
Insomma, se vi fosse stato luogo più inadatto alla costruzione di un
grande porto questo sembrava essere proprio il Golfo di Valencia.
La storia recente di questo porto ha inizio il 25 agosto del
1978, quando – per Ordinanza Reale – gli viene concessa l’autonomia
e si trasforma così in Puerto Autónomo de Valencia, gestito insieme
agli scali minori di Sagunto e Gandìa dall’A.P.V. (Autoridad
Portuaria de Valencia).
Negli oltre due decenni che oggi lo separano da quella data,
il porto di Valencia è cresciuto in modo impressionante non solo
quantitativamente, cioè in termini di volumi di traffico (nel 1985 si era
registrato un traffico totale di oltre 8,5 milioni di tonnellate mentre nel
2000 questa cifra è salita a quasi 22 milioni, con un incremento di
oltre il 150%), ma anche qualitativamente. Sono aumentati, e sono
stati nettamente migliorati, i servizi offerti dal porto ai suoi “clienti”,
soprattutto per quel che riguarda il traffico containerizzato, oggi vero
e proprio fiore all’occhiello di questo scalo, il quale possiede dal
1999, anno in cui è stato inaugurato, il Terminal Container (ubicato
7
sul Molo del Principe Felipe) più nuovo e moderno di tutto il
Mediterraneo.
Il porto di Valencia risulta essere perfettamente in linea con
quelle che sono le tendenze fondamentali che animano la vita dei
grandi porti interoceanici all’inizio del nuovo millennio. Da una parte,
il continuo sviluppo ed il miglioramento del trasporto merci attraverso
l’uso di container trasportati su mega-navi che fanno scalo solo nei
mega-hub centres più importanti del mondo, dall’altra parte la
concorrenza sempre più accesa nei confronti di altri scali vicini, in
modo da aumentare progressivamente l’area d’influenza diretta non
solo nell’hinterland ma anche nel foreland.
Infine, nel Capitolo IV, l’attenzione sarà spostata
sull’economia della Comunidad Valenciana analizzata però attraverso
i due elementi chiave che la caratterizzano: le esportazioni ed il settore
industriale. Per quanto riguarda il settore industriale l’analisi sarà
maggiormente diretta su quelle che sono le cosiddette industrie
autoctone o tipiche della regione: le industrie delle calzature e degli
accessori in cuoio, quelle delle piastrelle e degli altri oggetti in
ceramica, l’industria del mobile e del legno, quelle tessili e delle
confezioni. Si tratta chiaramente di una produzione industriale
orientata per la maggior parte verso l’esportazione, tanto che la
8
Comunidad Valenciana risulta essere attualmente la seconda regione
della Spagna per quantità e varietà di prodotti esportati.
Quindi ci si trova ancora una volta di fronte a quello che è, da
secoli, il vero e proprio “motore” dell’economia di questa regione: il
porto di Valencia. É attraverso questo scalo che transitano, infatti, la
maggior parte dei prodotti che la Comunidad Valenciana esporta e,
nello stesso tempo, qui giungono tutte quelle fondamentali materie
prime senza le quali le numerose imprese della Comunità Autonoma
non potrebbero avviare i loro cicli produttivi.
CAPITOLO I
IL TRASPORTO MARITTIMO
INTERNAZIONALE
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I.1 -L’evoluzione del trasporto marittimo internazionale.
Il trasporto marittimo è come una grande arteria che
rende possibile l’internazionalizzazione dell’economia mondiale.
Attraverso le principali rotte marittime, le grandi navi di ultima
generazione trasportano migliaia di tonnellate di merci distribuendole
in tutte le regioni economiche del mondo.
Secondo le Nazioni Unite, più del 90%
1
del commercio
mondiale avviene per mezzo di navi e transita quindi attraverso i
principali scali commerciali. Le attività portuali devono adattarsi al
trasporto marittimo e questo, a sua volta, dipende dall’evoluzione del
commercio internazionale. Se cresce il commercio cresce anche il
trasporto e, se cresce il trasporto marittimo, cresce contestualmente
l’attività globale dei porti, anche se non necessariamente di tutti nella
stessa proporzione.
Attualmente il trasporto marittimo continua ad essere il più
economico fra tutti i sistemi di trasporto, ad eccezione di quello
fluviale. Per questa ragione il suo volume totale ha continuato a
duplicarsi ogni dieci anni a partire dalla seconda metà del XX secolo.
Il motivo fondamentale per cui il trasporto marittimo risulta essere
1
Il dato è fornito dalle Nazioni Unite e si riferisce al 1998.
10
oggi uno dei più convenienti dal punto di vista economico è legato
sostanzialmente alle crescenti dimensioni delle navi, cioè alla
possibilità che si ha di trasportare una maggiore quantità di merci sulla
stessa imbarcazione, riducendo così i costi di trasporto che incidono
direttamente sul prezzo finale del prodotto o della merce trasportata.
Le navi, comunque, richiedono degli investimenti sempre
più elevati. Sul loro impiego gravano considerevolmente i cosiddetti
costi fissi di trasporto, che danno vita alla continua ricerca di
economie di scala con l’obiettivo di ridurli. È proprio questa ricerca
incessante di costi unitari di trasporto ogni volta più bassi che spinge a
costruire navi sempre più grandi e che possano offrire carichi
maggiormente competitivi.
Intorno alla metà degli anni Ottanta, le navi porta-container
Panamax di terza generazione erano capaci di trasportare fino a 4.250
Teus
2
. Seguirono le Post-Panamax di quarta generazione, costruite fin
dall’inizio degli anni Novanta e che erano abilitate al trasporto di circa
6.000 Teus ciascuna. In questo modo si è riusciti a risparmiare circa il
43% della spesa giornaliera per Teu ed il 23% del costo di costruzione
per ogni Teu trasportato.
2 Termine tecnico con cui si suole indicare i container movimentati. T.E.U è la sigla inglese che sta per
Twenty Equivalent Unit, e si riferisce alle dimensioni (lunghezza) del container che in genere sono di 20 piedi.
Oggi, però, si può in realtà parlare di “ F.E.U.” (Forty Equivalent Unit) poichè i container di 20 piedi stanno
progressivamente scomparendo e vengono sostituiti da quelli lunghi 40 piedi (da Gestire i rischi nei trasporti
internazionali, IPSOA, 2000).
11
Agli inizi del nuovo millennio, le gigantesche OverPost-
Panamax o SuperPost-Panamax sono state progettate per poter
trasportare oltre 7.000 Teus e, molto presto, si tenterà di raggiungere
le 10.000 unità trasportate su una singola imbarcazione.
Oltre a questa decisione di incrementare le dimensioni delle
imbarcazioni, gli armatori hanno adottato delle strategie di
specializzazione per ciò che riguarda il tipo di prodotto o di materiale
trasportato dalle navi.
Le due categorie più importanti di grandi navi oggi impiegate
per il trasporto marittimo sono le porta-rinfuse
3
per il trasporto di
carichi liquidi o solidi alla rinfusa e le navi porta-container. Esiste,
inoltre, una terza categoria di navi che raggruppa tutte quelle destinate
al traffico Ro-Ro
4
, le navi congelatore, le navi specializzate nel
trasporto di frutta, di veicoli stradali, di legname e di molti altri
prodotti o materiali specifici.
3
È il nome che viene dato alle grandi navi utilizzate per il trasporto delle rinfuse solide o secche (cereali,
mangimi e foraggi, fertilizzanti, cemento, carbone, ecc.) e di quelle liquide (oli e grassi, vini e bevande, prodotti
chimici, ecc.). Le rinfuse sono tutti quei prodotti o materiali che vengono trasportati in grandi quantità senza
essere sottoposti ad operazioni quali l’imballaggio unitario o l’imbottigliamento, nel caso si trattasse di liquidi.
Le rinfuse si caratterizzano, inoltre, per il fatto di possedere un basso valore aggiunto rispetto alle “merci varie”.
Un’altra grande categoria di navi che bisogna annoverare sono le petroliere che quotidianamente trasportano
milioni di tonnellate di greggio dalle regioni petrolifere verso le principali aree industriali del mondo.
4
Si tratta di navi speciali adibite al cosiddetto traffico Roll-On e Roll-Off poichè utilizzano dei nastri o rulli che
muovendosi caricano o scaricano i materiali o le merci dalla nave. È un tipo di traffico che richiede per il suo
svolgimento la presenza di specifiche infrastrutture nei vari moli del porto riservati a questo uso.
12
Non tutte le modalità di trasporto marittimo sono però
cresciute allo stesso modo. Mentre le cosiddette navi charter o tramp
5
hanno visto i loro margini di manovra ridursi considerevolmente, le
linee regolari sono invece cresciute costantemente, spinte dallo
sviluppo spettacolare dell’uso di container per il trasporto di merci
varie.
5
Si chiamano navi charter o tramp tutte quelle imbarcazioni che non vengono impiegate su una linea di
navigazione regolare ma che operano su diverse rotte in base alle esigenze del momento. Si tratta – in un certo
senso – di ciò che avviene per il trasporto aereo dove si distingue tra voli di linea (regolari) e voli charter.
13
I.2-La rivoluzione del trasporto intermodale containerizzato.
Durante gli anni Cinquanta furono intrapresi lungo le coste
degli Stati Uniti i primi esperimenti per il trasporto di merci varie
all’interno di grandi contenitori metallici – chiamati container –
fornendo così una soluzione a diversi problemi che si presentavano nel
trasporto terrestre, poichè la necessità di attraversare gli Stati Uniti,
dove in ogni singolo Stato vigeva una diversa regolamentazione sul
commercio, provocava notevoli difficoltà burocratiche e limitazioni
operative.
Come soluzione idonea si optò per uno schema operativo
basato sul cabotaggio marittimo
1
e sul successivo trasporto dei
container per mezzo di camion, operazione che però si generalizzò
solo posteriormente, dando così luogo alla nascita del trasporto
intermodale e della prima e più famosa compagnia di navigazione, la
Sea Land. Da quel momento in poi, la crescita del traffico marittimo
di container è stata spettacolare, e appare costituita da un insieme di
aspetti sufficientemente differenziati che permettono di spiegare le
1
Si tratta della navigazione mercantile esercitata lungo le coste ed in particolar modo tra porto e porto di uno
stesso Paese.
14
diverse fasi attraverso le quali è avvenuta l’evoluzione del trasporto
intermodale containerizzato
2
.
Una prima fase, o tappa di lancio del sistema, può essere
identificata con la stessa nascita del container come semplice cassa di
ferro, fino ai primi risultati raggiunti nella normalizzazione delle sue
dimensioni, con tutti i problemi derivanti dalle limitazioni nella
manipolazione del carico e dallo scarso numero di merci che ancora
ammettevano il container come soluzione per il loro trasporto,
fondamentalmente per l’incidenza dei costi – ancora troppo alti – sul
prezzo finale del prodotto.
Le fasi seguenti si possono identificare con l’evoluzione di
certi aspetti operativi, con il mutamento delle dimensioni del
container, con l’aumento della capacità delle navi e con le nuove
strategie messe a punto dalle più importanti compagnie di navigazione
per quanto riguarda la concentrazione sempre più evidente, a livello
mondiale, dei punti di scalo solo in alcuni grandi hub o mega-porti
3
.
2
Il trasporto intermodale containerizzato è la vera grande soluzione dell’ultimo cinquantennio per ciò che
riguarda i problemi di trasporto se solo si pensa alle importanti semplificazioni che esso ha apportato, in modo
particolare, alle questioni legate al trasporto delle merci. Con questo nuovo sistema è, infatti, possibile
trasportare delle merci riposte all’interno di “contenitori di metallo” utilizzando per un tratto il trasporto
navale, poi quello ferroviario e infine quello stradale senza dover ulteriormente maneggiare le merci
all’interno del container ma solo spostandolo da un mezzo di trasporto all’altro servendosi di grandi gru,
poichè esso è stato studiato apposta per potersi adattare a questi tre diversi sistemi di trasporto.
3
Allo stesso modo di quanto avviene nel trasporto aereo, i mega-hub intercontinentali sono quei grandi scali
sui quali confluisce tutto il traffico proveniente dai porti minori attraverso la navigazione di cabotaggio. Dagli
hub salpano le linee regolari che lo collegano agli altri mega-porti internazionali, riducendosi così i punti di
scalo per le grandi linee di navigazione e di conseguenza i costi di trasporto.