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Introduzione
Il lavoro esaminato in questo elaborato vede come tematica principe uno degli strumenti di
composizione negoziale delle imprese in stato di crisi: il piano di risanamento attestato.
Tale istituto trova come allocazione normativa l’Art 67 comma 3 lettera d), ossia viene
ricompreso tra le esenzioni dall’azione revocatoria fallimentare introdotte attraverso il D.L.
35 / 2005, successivamente convertito in Legge n 80 / 2005.
L’istituto preso in esame, al contrario degli altri strumenti deputati alla composizione
negoziale della crisi, ossia la procedura concorsuale del Concordato preventivo ex Art. 160
L.f. e ss. ed accordi di ristrutturazione del debito ex art. 182 – bis L.f., risulta di natura
prettamente extragiudiziale, ossia non prevede l’intervento dell’Autorità giudiziaria.
Da questo elemento di partenza, a parere di chi scrive, possono nascere alcune
problematiche rilevanti per regolamentare, nella maniera piø corretta, la procedura posta in
analisi.
Occorre sottolineare che il piano non viene classificato come procedura concorsuale
riconosciuta dall’ordinamento. Per alcuni della dottrina poteva essere assimilato anche al
Chapter 11 del Bankruptcy Code americano in quanto accordo che l’impresa in stato di
difficoltà stipula con i propri creditori.
Per tale motivazione, questo strumento risulta di particolare rilevanza, soprattutto nel
periodo di crisi congiunturale che il nostro paese, in particolare le piccole - medie imprese,
stanno affrontando.
Occorre precisare che in corso d’opera alla stesura dell’elaborato, è intervenuta una
modifica radicale sancita dal D.L. “Misure urgenti per la crescita del paese”: tale “mini –
riforma”, ha previsto alcune specificazioni su questioni che, nel corso del tempo, si erano
riscontrate in giurisprudenza e in dottrina.
Tali modifiche sono state recepite sul presente lavoro che si prefigge di rilevare uno
strumento nato per il salvataggio dell’impresa, visto sia sotto le sue sfaccettature giuridiche
che sotto una visione prettamente aziendale.
L’opera è strutturata in quattro capitoli, in modo da riuscire ad affrontare tutte le tematiche
concernenti ai piani di risanamento.
Il primo capitolo è destinato ad una breve esplicazione del concetto di crisi e quale sia il
rapporto tra scienze giuridiche ed aziendalistiche per la sua definizione. Con questa
apertura, l’autore ha preferito specificare il “nuovo” (anche alla luce delle novizie
apportate in data 15 giugno 2012 con il D.L. “Misure urgenti per la crescita del paese”)
sistema delle esenzioni con uno specifico confronto tra la lettera d) e la lettera e) dell’Art.
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67, Comma 3 della L.f., ossia quelle previste per gli strumenti di piano di risanamento
attestato, accordo di ristrutturazione del debito e concordato preventivo. Il capitolo si
conclude con un’analisi della Norma di comportamento n 11, emanata dal Consiglio
Nazionale dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, che l’organo di
vigilanza interno, ossia il Collegio sindacale, deve rispettare per avere un controllo oculato
nella fase prodromica e perdurante della crisi del soggetto giuridico, nonchØ le linee
comportamentali piø appropriate da mantenere nella fase di svolgimento del piano di
risanamento attestato. Vengono anche presi in esame le tre differenti tipologie di strumenti
anti crisi, alla luce anche di alcuni interventi legislativi particolari: si ricordano, a titolo
meramente esemplificativo, la possibilità di presentazione di domanda di“concordato
anticipato” rispetto alla documentazione che la legge fallimentare richiede espressamente
per l’accesso definitivo alla procedura (nuovo Art 161 L.f.), l’esenzione particolare che
incorre per tutti gli atti, i pagamenti e garanzie svolti nella fase tra presentazione di
domanda di concordato e l’omologa da parte del Tribunale (nuova lettera e) Art .67,
comma 3), la nuova norma concernete alla procedura di concordato in continuità (art 186 –
bis L.f.) nonchØ la sospensione dei contratti in esecuzione se cagionano danni per la
continuità aziendale del soggetto giuridico.(182 – sexies L.f.).
Il capitolo secondo verte invece sull’analisi della norma in cui il piano di risanamento
attestato è inserito (Art 67, comma 3, lettera d)) con un confronto oculare tra la previgente
disciplina posta in modifica dal D.L. del 15 giugno 2012. Si esaminano quindi i profili
oggettivi e soggettivi, ossia il perimetro di riferimento nel quale il piano di risanamento
può trovare opportuna applicazione, alla luce di una norma molto “scarna e snella”, la
quale non specifica assolutamente le fattispecie che possono essere ricomprese in tale
istituto; una visione oculata dell’atto, ossia alla tipologia di “atti, pagamenti e garanzie
posti in essere” per l’esecuzione del piano di risanamento; la sua problematica
pubblicitaria, alla luce anche della “nuova” possibilità di iscrivere quest’ultimo nel
Registro delle imprese, facendo diventare l’atto opponibile ai terzi, al contrario di quanto
era disposto dalla previgente disciplina. In conclusione viene affrontata un’analisi sulla
possibilità o meno che il piano di risanamento attestato presenti un contenuto di tipo
liquidatorio, ovvero se risulta un elemento preposto dal legislatore solo per garantire il
precetto cardine della continuità aziendale, sancito dal Codice civile ed elemento
necessario per considerare un soggetto giuridico in bonis. In chiusura vengono poste in
esame le nuove disposizioni previste dall’Articolo 217 – bis L.f., il quale sancisce
l’esenzione da parte degli atti compiuti in esecuzione del piano dai c.d. “reati fallimentari”,
ossia Bancarotta fraudolenta (Art 216 L.f.) e Bancarotta semplice (Art 217 L.f.).
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Il terzo capitolo si focalizzo su due “processi” distinti ma consecutivi. La prima parte
chiarifica il riconoscimento degli aspetti della crisi all’interno del soggetto giuridico, con
una disamina molto accurata della miglior prassi aziendalistica sancita dall’Ordine dei
Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili per la sua emersione e il monitoraggio.
Vengono successivamente poste in analisi le modalità di predisposizione, approvazione e
portata temporale che il piano deve avere; con riferimento a quanto sopra esposto, vista la
mancanza legislativa all’interno della novella di riferimento dei contenuti del piano, si
sono posti in esame i principi sanciti dal vendemecum redatto in associazione tra l’Ordine
dei Dottori Commercialisti, l’Università degli Studi di Firenze e l’Assonime (Associazione
fra le società italiane per azioni) dal titolo “Linee guida per il finanziamento delle imprese
in crisi” versione 2010, il quale si configura come documento profuso da alti esponenti
delle scienze aziendalistiche per la corretta predisposizione, esecuzione e approvazione
dello strumento posto in analisi nell’elaborato. La seconda parte del terzo capitolo sta a
descrivere la figura di attestazione, ossia del soggetto incaricato alla verifica de “la
veridicità dei dati aziendali e la fattibilità” del piano: il professionista incaricato dal
legislatore.
Occorre precisare che il nuovo D.L. “Misure urgenti per la crescita del paese” del 15
giugno 2012, ha modificato la parte concernete alla figura di tale soggetto. Si è quindi
preferito dare opportuno confronto della previgente normativa e la nuova con specifica in
merito: al nuovo precetto di indipendenza specificato all’interno della “nuova” lettera d),
all’analisi del soggetto preposto all’assegnazione dell’incarico (con studio accurato di
opportune pronunzie giurisprudenziali, nonchØ delle visioni dottrinali ed analisi normativa
previgente ed attuale), dei requisiti necessari, di come viene preposta la relazione di
attestazione alla luce dei dettami del documento di revisione internazionale ISAE 3400. In
conclusione si è analizzata la problematica inerente alla responsabilità del professionista
che espone attestazione contenente dati mendaci, tenendo conto anche della recentissima
introduzione da parte del D.L. del 15 giugno 2012, dell’Articolo 236 – bis (Falso in
attestazione e relazione) che attribuisce un nuovo regime delle pene per il professionista.
L’ultimo capitolo del lavoro affronta invece le c.d. “questioni aperte”, ossia i casi che
hanno riscontrato problematiche rilevanti all’interno della disciplina dei piani di
risanamento attestato. Nella prima parte vengono analizzati i rischi e le responsabilità a cui
la banca può incorrere nel caso di interruzione o concessione abusiva del credito in
presenza di piano di risanamento attestato ovvero accordo di ristrutturazione del debito. In
ultimo viene rilevata la problematica inerente alle modifiche che possono incorrere ad un
piano in corso di esecuzione e le modalità piø appropriate per ottemperare a queste, ovvero
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alla nuova predisposizione ed attestazione dello strumento. Si precisa che in mancanza di
giurisprudenza in materia, l’autore ha preferito porre sotto studio due casi di analogia: le
modifiche agli accordi di ristrutturazione del debito delle società Gabetti e Sangemini con
analisi delle diverse pronunzie dei tribunali, le esposizioni della dottrina ed il “buon
comportamento” che le “Linee guide per il finanziamento delle imprese in crisi” rilevano
per ottemperare a tale obbligo. Si specificano anche gli effetti che tale cambiamento ha
sulla disciplina dell’esenzione dall’azione revocatoria e quella inerente ai reati fallimentari.
La crisi congiunturale che opera in questi anni ha portato molte realtà impresarie, anche di
notevole fama, a dover fare i conti con il pericolo di tracollo e conseguente decozione. Con
la recente modifica alla legge fallimentare, “corposa”, il governo ha voluto lanciare un
monito di aiuto per il rilancio e la crescita del paese volto a contribuire alla continuità
aziendale di “soggetti meritevoli” sui loro mercati di riferimento. Si spera che ciò possa
risultare utile alla rinascita ed ad un futuro.
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1 Le procedure di composizione negoziale della crisi
1.1 Lo stato di crisi dell’impresa
La definizione di crisi di impresa è stata per molto tempo uno dei concetti piø dibattuti dai
cultori delle scienze giuridiche.
Tale disputa ha visto l’importante contributo da parte della giurisprudenza piø affermata e
della dottrina, le quali hanno cercato di formulare opportune ipotesi alla luce delle
intrinseche evoluzioni economico – sociali che, durante la storia trascorsa, hanno colpito il
nostro paese. Potendo risalire ad un’accezione espressa da alcuni studiosi, questa viene
essenzialmente definita come una situazione patologica di carattere generale, la quale può
presentare una differente entità (dalla piø “semplice” temporanea e reversibile sino a quella
estrema di cessazione dell’attività aziendale), che può colpire il soggetto giuridico inserito
in un opportuno contesto competitivo di riferimento.
Come è possibile desumere dalle brevissime righe sopra riportate, tale espressione
dottrinale può risultare molto ampia e non precisa nell’individuazione di casi particolare;
per questo motivo, sin dagli albori della disciplina fallimentare, il legislatore ha tentato di
trovare un’oculata e opportuna soluzione per qualsiasi tipologia di dissesto.
Risalendo in un breve excursus storico, nelle società comunali italiane nel XIII secolo il
primo strumento specifico per la risoluzione della crisi del mercante insolvente era
costituito dal fallimento, il quale prevedeva il soddisfacimento di tutti i creditori nel
rispetto del principio di par condicio (universalità soggettiva) e mediante la liquidazione
dell’intero patrimonio del soggetto insolvente (universalità oggettiva).
Naturalmente questa era una situazione semplicistica, non paragonabile alla complessità
dei contesti economico - commerciali attuali.
Avvicinandosi ai giorni nostri, la disciplina fallimentare arrivò a definire, all’interno della
Relazione Ministeriale che accompagnava il R.D.n° 267 del 16 marzo 1942, un
importante obiettivo, ossia quello di fornire <<un’impronta sostanzialmente unitaria alla
disciplina della crisi economica dell’impresa in relazione ai superiori interessi
dell’economia generale>>
1
. Il fine desumibile quindi fu quello di trovare gli strumenti
opportuni per il capitolare del dissesto conclamato in modo da susseguire non una mera
salvaguardia degli interessi privati, ma bensì l’interesse economico pubblico.
Nel primissimo disegno di legge del nostro legislatore, a differenti situazioni di crisi di
impresa derivavano corrispondenti “strumenti” per il risanamento: per le crisi irreversibili
erano previsti gli istituti del fallimento, liquidazione coatta amministrativa o concordato
1
Citazione della “Relazione Ministeriale R.D.n° 267 del 16 marzo 1942”.
9
preventivo; per le crisi definibili reversibili era prevista l’amministrazione controllata, alla
quale la dottrina, sin dai primissimi momenti della sua introduzione aveva assegnato una
funzione analogica a quella della moratoria del codice di commercio del 1882.
2
.
Al tempo della prima novella fallimentare, la situazione del paese ha spinto il legislatore ad
agevolare, in presenza di opportune e determinate condizioni, il salvataggio di organismi
produttivi che potevano definirsi competitivi e sani sul mercato.
Era naturale, molto spesso, che gli effetti di una crisi di impresa finivano per sfociare in
relazioni di natura prettamente privata e rispecchiavano i loro effetti, solo in via residuale,
sulle altre categorie di soggetti interessati al perfetto andamento della compagine
economica (come ad esempio lavoratori, consumatori, fornitori); tutto ciò faceva così
trasparire l’importanza che la sopravvivenza del soggetto giuridico avesse il fine di
garantire una maggior tutela di “nobili obiettivi” come il mantenimento del livello di
occupazione, la salvaguardia del patrimonio industriale e lo sviluppo delle aree depresse.
Nonostante l’infittimento dei rapporti economici, una base di fondamento trascritta nelle
righe sopra riportate può trovare anche oggi un fondo di spunto: dopo la crisi sistematica
che ha colpito interi mercati mondiali
3
, l’intervento del legislatore si è fatto sentire ed ha
cercato di dare man forte al risanamento di alcune situazioni di impresa di importanza
sistematica.
La riforma organica che ha investito le procedure concorsuali, prima con le disposizioni
del D.L. 35/2005 convertito in legge n 80/2005.
4
e successivamente con il decreto
correttivo 169/2007
5
, ha riportato alla ribalta il delicato tema delle situazioni patologiche
dell’impresa, costringendo in tal senso gli interpreti a porre la propria attenzione sulle
sfumature su cui si può manifestare la “crisi di impresa”, sia dei differenti strumenti di
risanamento in grado di garantirne il tempestivo superamento.
Occorre quindi opportunamente delineare quali siano i caratteri espressivi che il legislatore
fallimentare ha individuato per definire il dissesto impresario.
2
S.Bonfatti, P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare – terza edizione, CEDAM, 2010, pag 1 – 8.
3
Si fa riferimento in primis alla bolla speculativa generata dai mutui sub – prime nel 2008, nonchØ
ovviamente il pericolo di dissesto che il nostro paese e l’intera Unione Europea stanno affrontando.
4
“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni
urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo
per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonchØ per
la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali.”(GU n.111 del 14-5-2005 - Suppl.
Ordinario n. 91).
5
"Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonchØ al decreto legislativo
9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione
coatta amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80”.
10
In questo primo capitolo introduttivo si cercherà di comprendere il concetto di “crisi di
impresa” e come questo viene affrontato, sia da un’attitudine prettamente giuridica che di
natura aziendalistica.
Difatti non è trascurabile l’importante contributo che quest’ultime hanno fornito cercando
di definire le basi giuridiche per la nascita e la comprensione di opportuni strumenti atti a
scongiurare il dissesto conclamato.
Dopo un’analisi in tal senso si cercherà di comprendere gli opportuni strumenti che il
legislatore italiano ha predisposto per ottemperare a tali problematiche per poter infine
arrivare ad una delle piø importanti innovazioni del D.L. 35/2005 convertito in legge n
80/2005 e fulcro di questo elaborato: il piano di risanamento attestato ex Art 67, comma
3, lettera d) L.f.
Inoltre, alla luce delle recentissime modifiche apportate dal Consiglio dei Ministri
numero 35 del 15 giugno 2012 con il Decreto Legge “Misure urgenti per la crescita del
paese” all’art 33 “Revisione della Legge fallimentare per favorire la continuità
aziendale”, si cercherà di chiarificare gli interventi che il legislatore ha inteso fornire,
sempre ricordando il fine ultimo di evitare la decozione del soggetto giuridico.
6
Si passa ora all’analisi di come le scienze aziendalistiche hanno potuto contribuire in
maniera così importante alla coniazione del concetto di “crisi” nel sistema giuridico
fallimentare.
1.1.1 Gli aspetti di base e l’apporto delle scienze aziendalistiche
Il ruolo centrale svolto dalla crisi nell’ambito degli aspetti disfunzionali dell’impresa
impone innanzitutto di indagare quale sia il corretto significato da attribuire a tale concetto.
6
L’intervento del governo è stato ritenuto necessario, tenuto presente anche della difficile situazione
congiunturale che stanno affrontando il nostro paese e l’Europa. Le lacune normative ravvisate dal legislatore
nella previgente legge fallimentare erano:
1) Un’insufficiente protezione del debitore durante la preparazione del piano di ristrutturazione;
2) Le criticità connesse al finanziamento dell’attività del debitore durante la preparazione del piano o la
negoziazione dell’accordo;
3) La mancanza di una disciplina specifica che facilitasse la predisposizione di un concordato profuso
per il perseguimento della continuità aziendale, con specifica alla continuazione dei contratti
pendenti;
4) L’assenza di una specifica disciplina in merito ai requisiti del professionista di indipendenza che
trova un fondamento comune nei tre istituti che verranno citati nel proseguo dell’elaborato;
5) L’operatività delle cause di scioglimento per perdita del capitale e degli obblighi capitalizzazione
anche nel corso del procedimento di omologazione del concordato preventivo non finalizzato alla
mera liquidazione societaria, e soprattutto per il procedimento di omologazione degli accordi di
ristrutturazione del debito.
Fonte spunto di riferimento Negri, Concordato con continuità aziendale, il Sole 24 ore del 16 giugno 2012,
pag. 17.
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Visionando accuratamente la legge fallimentare nella sua integrità, si può percepire che il
legislatore ha omesso di qualificare quale sia la vera globalità del problema; come già
accennato nel paragrafo precedente, ciò ha obbligato la maggior parte degli interpreti a
dover attingere alle scienze aziendalistiche, dal momento che, solo attraverso lo studio dei
fenomeni aziendali, lo stato di crisi può assumere una chiara e precisa connotazione.
Ciò premesso, gli studiosi sono riusciti ad individuare tre tipologie di dissesto che possono
inficiare la natura sistematica dell’integrità aziendale, individuabili in:
• una crisi di natura finanziaria;
• una crisi di natura economica;
• una crisi di natura patrimoniale.
Queste tre tipologie fanno parte della c.d. dimensione oggettiva della crisi; esiste tuttavia
una dimensione soggettiva della crisi la quale può essere ricondotta all’inefficiente
comportamento dei soggetti – protagonisti della vita aziendale.
Andando ad approfondire la prima tipologia di dissesto, è possibile che si delinei una crisi
di natura finanziaria al verificarsi di una situazione in cui l’impresa non possiede nØ
riesce a procurarsi i mezzi necessari per fronteggiare le esigenze legate al normale
svolgimento della gestione corrente.
Tale criticità è figlia del fenomeno di squilibrio finanziario: questo può essere delineato
come l’incapacità da parte del soggetto economico di eguagliare il fondo cassa disponibile
all’inizio del normale ciclo gestionale, sommato alle entrate, alle spese che quest’ultimo
sostiene durante il periodo deputato al normale esercizio aziendale, sommato al fondo
cassa conclusivo di quest’ultimo.
Tale concetto è esprimibile attraverso opportuna disequazione di sotto riportata:
Squilibrio finanziario→ Fondo cassa iniziale + Entrate ≠ Spese + Fondo cassa finali
La “patologia” di dissesto sopra richiamata, è possibile che si verifichi allorquando si è in
presenza di una molteplicità di fattori. Alcuni di questi, a titolo prettamente
esemplificativo, possono essere:
• una grave carenza di mezzi propri rispetto ad un ingente investimento in titoli
di debito;
• una marcata superiorità di debiti a breve rispetto ad altri titoli di debito;
• uno squilibrio tra investimenti duraturi e mezzi finanziari stabilmente
disponibili;
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• un’insufficiente riserva di liquidità;
• una scarsa o pressochØ nulla capacità di impresa di contrattare le condizioni
del credito;
• un sostanziale ritardo nel pagamento dello scadenzario di alcune importanti
tipologie di soggetti terzi come ad esempio i fornitori, le rate per onorare dei
prestiti bancari, i contributi previdenziali sino alla retribuzione dei
dipendenti.
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Un’altra distinzione, che gli studiosi della materia hanno individuato, va in base alla
longevità del dissesto. La classificazione “classica” utilizzata, prevede due distinte
tipologie:
• una definita transitoria allorquando si verifica una semplice sfasatura tra le entrate
e le uscite finanziare durante il normale ciclo operativo di gestione (si presume
quindi di una durata temporale non superiore ai 12 mesi);
• una c.d. cronica, ossia allorquando l’impresa non sia in grado di fronteggiare i
normali impegni di spesa in maniera sistematica (superiore quindi ai 12 mesi senza
poter in alcun caso lasciar presagire un’inversione di tendenza); per gli studiosi
giuridici una prolungata mancanza di liquidità può essere sintomatica della
sussistenza di uno stato di crisi atto a giustificare l’ammissione alle procedure di
composizione negoziale, se non, laddove accompagnata da perdite di fiducia da
parte del ceto creditorio, può rappresentare l’affermazione di un ben piø grave stato
di insolvenza, il quale può veder aperte le porte del fallimento societario.
8
Contrapposta alla crisi finanziaria, possiamo ora classificare la crisi di natura economica:
tale tipologia di dissesto è frutto di uno squilibrio strutturale e duraturo tra costi e ricavi,
tale da originare perdite di esercizio durante la gestione caratteristica e, di conseguenza, ai
margini operativi.
Possiamo quindi individuare in tale fattispecie un fenomeno di disequilibrio economico il
quale è rappresentabile dalla seguente equazione:
Disequilibrio economico: Ricavi – Costi = Reddito non soddisfacente.
Il dissesto in esame trae origine quindi da circostanze che incidono direttamente sulle
combinazioni produttive, frutto di cause o concause che di seguito vengono esaminate.
7
Gutari, Turnaround. Declino crisi e ritorno al valore, EGEA, 1995, cit. pagg. 145 e 146.
8
Sostenuto da Pica, “Il concordato preventivo”, in “Fallimento e concordati: le soluzioni giudiziali e
negoziate della crisi d’impresa dopo le riforme”, Celentano – Forgillo (a cura di), UTET Torino, 2008.