INTRODUZIONE
L‟immagine della città di Napoli più diffusa è quella legata al mare e al suo golfo,
un‟associazione di pensiero ormai consolidata, che funziona come una fortunata icona
radicata nella mentalità comune.
Tuttavia la principale “dipendenza topografica” del capoluogo campano si identifica
con la sua struttura collinare, da cui scaturisce un nuovo carattere, quello di “città
verticale”. Il rapporto di causa-effetto tra l‟altitudine e lo sviluppo del suo tessuto
abitativo genera molteplici conseguenze, meritevoli di essere esaminate.
Tra gli argomenti possibili, l‟interesse per il contesto dei collegamenti viari ha suggerito
lo studio sui tracciati stradali verticali che servivano da collegamento tra le quote
elevate delle colline e le parti basse della città. Questa specifica tipologia di percorsi
all‟interno dello stradario partenopeo colloca la dimensione urbanistica di Napoli in una
linea di speciale considerazione rispetto a tutto il panorama italiano, soprattutto in virtù
della loro esistenza nel tessuto abitativo attuale e in virtù della loro funzionalità.
Pertanto il lavoro è stato avviato con una prima parte tesa a ricercare i fattori alla base di
questo tipo di collegamento.
Si è cercato di dare una spiegazione delle diverse caratteristiche che contraddistinguono
i percorsi collinari puntando soprattutto sulla particolarità della loro struttura; il lavoro è
partito da una ricognizione generale della rete di percorsi verticali di Napoli - comprese
scale e gradini - leggibile all‟interno dei quartieri cittadini, al fine di ottenere un quadro
più completo possibile .
Il cuore della ricerca è stato lo studio approfondito dei percorsi verticali utilizzati per il
difficile collegamento tra le quote del colle del Vomero e il sottostante borgo di Chiaia.
Dopo una breve premessa sullo sviluppo di entrambe le aree, si è cercato di individuare
e di ricostruire i sistemi di collegamento esistenti, sottoponendoli a un‟analisi
dettagliata.
La fase successiva di studio ha messo a confronto la storia dei tracciati, sin dalle prime
ricostruzioni possibili, con le trasformazioni avvenute in ordine cronologico nella
struttura urbana dal XV secolo sino ai giorni nostri.
Lo studio è stato condotto mediante l‟uso degli strumenti di lavoro più idonei agli studi
urbanistico-architettonici: la cartografia storica, che testimonia l‟esistenza, l‟evoluzione
e le eventuali modifiche del tessuto urbano e stradale di una città; le principali guide
2
storiche della città; l‟iconografia artistica, attraverso le illustrazioni pittoriche e
fotografiche.
Il lavoro è stato integrato, nelle sue diverse fasi, da una verifica attraverso sopralluoghi
condotti in situ.
3
Capitolo I – Una città tutta in pendenza
1.1 L‟evoluzione dei tracciati nello sviluppo urbanistico di Napoli
La cartografia storica1 e gli studi di storia urbana sono gli strumenti per cercare di
ricostruire lo sviluppo degli antichi tracciati collinari all‟interno della città di Napoli.
Dalla visione della tavola Strozzi2 si ha una prima immagine chiara di Napoli costretta
all‟interno della cinta muraria medievale, con le infrastrutture del porto e del molo. La
costruzione del soggetto dipinto rende un‟immagine anche in alzato degli edifici, e
suggerisce bene l‟idea di un nucleo urbano sviluppato soprattutto sulla pendenza del
pianoro di fondazione degradante verso il mare, in cui i collegamenti viari interni sono
in pendenza proprio per la conformazione orografica.
La tavola offre anche la visione delle colline dietro l‟area urbanizzata, da oriente ad
occidente, ancora incontaminate; l‟unica presenza architettonica è costituita da castel
Sant‟Elmo, segno di riferimento per la zona alta della città. La presenza del forte fa
supporre l‟esistenza di percorsi collinari che servivano l‟asse mare-collina, almeno per
salire fino al castello.
La raffigurazione termina poco al di là del colle di Pizzofalcone, verso occidente.
I limiti pittorici di quella che rimane comunque una “veduta” non consentono di
comprendere l‟apparato delle vie cittadine.
La prima rappresentazione cartografica che ricostruisce un‟immagine topografia
attendibile della città di Napoli e dei suoi contorni è la veduta Dupérac-Lafrery3, con gli
assi viari utilizzati per i collegamenti all‟interno e all‟esterno della città, chiaramente
evidenziati nel disegno.
1
Sulla cartografia e iconografia urbana napoletana cfr. C. De Seta, Cartografia della città di Napoli, 3
voll., Napoli 1969; G. Alisio e V. Valerio, a cura di, Cartografia napoletana dal 1781 al 1889, catalogo
della mostra, Napoli 1983; G. Pane e V. Valerio, a cura di, La città di Napoli tra vedutismo e cartografia.
Piante e vedute dal XV al XIX secolo, catalogo della mostra, Napoli 1987; All‟ombra del Vesuvio. Napoli
nella veduta europea dal Quattrocento all‟Ottocento, catalogo della mostra, Napoli 1990; V. Valerio,
Piante e vedute di Napoli dal 1486 al 1599. L‟origine dell‟iconografia urbana europea, Napoli 1998.
2
Sulla tavola Strozzi cfr. R. Pane, La Tavola Strozzi tra Firenze e Napoli, in “Napoli Nobilissima”, XVIII
(1979), pp. 3-12; D. Catalano, Riparliamo della tavola Strozzi, in “Napoli Nobilissima”, XXI (1982), pp.
57-64.
3
Sulla veduta Dupérac-Lafrèry cfr. M. Schipa, Una pianta topografica di Napoli del 1566, in “Napoli
Nobilissima”, IV (1895), pp. 161-166; L. Di Mauro, La pianta Dupérac-Lafréry, Napoli 1992.
4
L‟immagine di Napoli che viene documentata è quella del primo periodo vicereale4,
inserita nel contesto circostante, costituito dai primi borghi sviluppatisi all‟esterno delle
mura della città, che mostrano ancora un carattere rurale. La visione a volo d‟uccello
rende possibile la lettura dell‟abitato fuori le mura, se pur in maniera incompleta a causa
del limitato orizzonte di vista. Si riconosce il sistema collinare orientale, a monte del
centro antico, e i tracciati verticali che lo attraversavano. Sulle colline ancora verdi, la
presenza dei tracciati allude a una loro funzionalità di collegamento verso i borghi
extramoenia, i cui nuclei iniziali compaiono nei pressi delle porte.
Tra i più riconoscibili vi è il tracciato a forma di doppia ipsilon dell‟attuale via dei
Vergini, presso l‟omonimo borgo, e il tracciato che caratterizza la zona Stella-Sanità. La
corona delle colline nord occidentali, invece, è segnata e resa riconoscibile soprattutto
dal percorso del Cavone (attuale via Francesco Saverio Correra) e dal lungo sentiero che
portava verso Capodimonte (attuale corso Amedeo di Savoia).
All‟estremità destra della rappresentazione compaiono i borghi esterni al tratto delle
mura orientali, con i principali assi di collegamento per la città. In particolare si vede la
strada lungo cui si sviluppava il borgo di Sant‟Antonio Abate, al di fuori di porta
Capuana, e il borgo di Santa Maria di Loreto, oltre porta del Carmine, nonché la traccia
dello strada che si biforcava verso le porte Nolana e Capuana (odierno corso Arnaldo
Lucci).
Il centro antico è racchiuso dalla cortina delle mura; all‟interno, gli antichi cardini dello
schema ippodameo erano i collegamenti verticali del centro. Di natura regolare e
geometrica, la scacchiera urbanistica si mostra compatta e funzionante, sebbene
costretta in alcuni punti ad adattarsi alla pendenza del terreno con improvvisi salti di
quota.
Spostandosi verso occidente, sul colle di Sant‟Elmo si legge un tracciato ben definito: le
curve della pedamentina di San Martino. La presenza solitaria di questo collegamento è
indice dell‟espansione urbana verso occidente, con la costruzione della maglia regolare
dei Quartieri Spagnoli a monte della nuova arteria di via Toledo5.
4
Per la conoscenza delle principali trasformazioni urbanistiche dell‟epoca vicereale cfr. G. Pane, Pietro
di Toledo, viceré urbanista, in “Napoli Nobilissima”, XIV (1975), pp. 81-95, 161-182; F. Strazzullo,
Edilizia e urbanistica a Napoli dal „500 al „700 [1968], II ed., Napoli 1996; M. R. Pessolano, Napoli nel
Cinquecento: le fortificazioni “alla moderna” e la città degli spagnoli, in “Restauro” 146 (1998), pp. 59-
118.
5
La nuova strada di Toledo nacque su un antico alveo di raccolta delle acque pluviali («lave») delle
colline superiori di Capodimonte e Agnano. Per una maggiore conoscenza cfr. A. Colombo, La strada di
Toledo, in “Napoli Nobilissima”, IV (1895), pp. 1-4, 25-29, 58-62, 107-109, 124-127, 169-172 e V
5
La collina di Sant‟Elmo sul versante orientale mostra ancora il suo aspetto naturale,
priva di interventi di urbanizzazione fino ai pendii che scendevano verso il colle delle
Mortelle. Gli unici tracciati leggibili sono quello del Petraio, e alcuni piccoli canali,
immersi tra giardini privati e aree coltivate, che scendevano nell‟area presso il palazzo
vicereale.
Appare chiaro che il limite urbano antico era stato infranto e, sebbene in modo ancora
confuso e con percorsi naturali, la città incominciava a “salire” proprio attraverso il suo
sistema di tracciati.
Anche l‟area nord occidentale del territorio rimaneva una distesa di verde ancora
inedificato. La presenza di un tracciato curvilineo a monte - che attraversava gli orti e i
giardini fino alla zona dell‟Ascensione - e le sole tracce di urbanizzazione che
costellavano il fronte della riviera di Chiaia possono alludere alla presenza, se pur non
chiara, di raccordi e sentieri verticali che servivano le abitazioni rurali presenti verso le
zone di quota maggiore dell‟interno.
Se nella veduta Lafrèry è documentata una crescita della città che sale in termini di
strade, nella veduta di Alessandro Baratta6, la città appare salire e crescere nel costruito:
i tracciati visibili e “quasi liberi” della veduta Lafrèry nella veduta secentesca si sono
riempiti di edifici e ville.
La zona nord-occidentale si era sviluppata notevolmente fino ai piedi del colle di
Sant‟Elmo: proprio il sottostante colle delle Mortelle subì un‟intensa urbanizzazione
attraverso la presenza di edifici religiosi e civili che rese necessaria l‟apertura di salite e
gradinate. Anche i Quartieri Spagnoli erano saliti verso il colle di San Martino con un
aumento dei filari di abitazione, sfidando la forte pendenza del terreno. La loro
potenziale funzione di percorsi verticali di collegamento veniva però ostacolata dalla
cortina di edilizia sacra delle numerose chiese.
Una novità della veduta Baratta è l‟aumento dell‟orizzonte di rappresentazione
occidente: si leggono meglio le zone di Chiaia, Mergellina, Posillipo, quasi fino ad
Agnano, con la chiara rappresentazione della Solfatara.
L‟urbanizzazione della zona di Chiaia intensificò la preesistente fascia di costruzioni
lungo il litorale, causando la nascita di vicoli che si infittivano tra gli edifici. Tra questi
(1896), pp. 41-46, 77-80, 91-94; L. de la Ville Sur-Yllon, La via Toledo sessant‟anni fa, in “Napoli
Nobilissima”, V (1896), pp. 129-131.
6
Sulla veduta Baratta cfr. R. Pane, Napoli seicentesca nella veduta di A. Baratta, in “Napoli
Nobilissima”, IX (1970), pp. 118-159 e XII (1973), pp. 45-70; C. De Seta, a cura di, Fidelissimae urbis
Neapolitanae cum omnibus viis accurata et nova delineatio, Napoli 1986.
6
si riconosce la calata San Francesco, principale collegamento in salita con la strada del
Vomero antico. In generale tutta la visione della collina di Posillipo suggerisce la
presenza di sentieri che attraversano il crinale come collegamenti tra i casali antichi7, il
mare e le ville8.
L‟area del colle di Sant‟Elmo e tutto il sistema delle colline nord-orientali continuavano
a conservare il loro carattere naturale.
Con la mappa del duca di Noja9 la città di Napoli appare definita, concentrata nel fitto
dedalo delle numerose insule cresciute di numero e di ampiezza. Le pendenze
all‟interno della città venivano inglobate nella congestione urbana. La resa grafica
perfetta della pianta identifica con una città in cui molti tracciati collinari erano
diventati vere e proprie vie.
Durante il XVIII secolo alcuni “larghi” cittadini vennero ampliati per diventare “piazze”
nell‟ottica di un‟urbanistica nuova voluta dai Borbone10 che diede a Napoli, anche
attraverso l‟architettura, un nuovo e forte ruolo di capitale.
Le aree non ancora totalmente costruite erano sempre quelle della parte alta di Posillipo
e di Chiaia: tracciati piccoli e grandi si intrecciavano in una maglia di collegamenti che
serviva ville, case rurali, chiese e conventi, borghi e casali.
Dalla fine del XVIII secolo la struttura urbanistica rimase pressoché identica nella sua
trama principale.
Il secolo XIX11 vide lo sviluppo e l‟urbanizzazione anche della parte occidentale di
Napoli, con il disegno ormai definito dell‟attuale riviera di Chiaia e con una nuova
espansione edilizia residenziale verso la collina di Posillipo.
Lo sviluppo incontrollato della città in tutti gli spazi disponibili iniziò a manifestare i
suoi effetti negativi nel XX secolo12 con l‟evoluzione dei sistemi di trasporto, quando si
7
R. De Fusco, Gli antichi villaggi di Posillipo, in “Napoli Nobilissima”, II (1962), pp. 52-58.
8
D. Viggiani, I tempi di Posillipo dalle ville romane ai „casini di delizia‟, Napoli 1989.
9
Sulla mappa del duca di Noja cfr. G. Carafa duca di Noja, Lettera ad un amico contenente alcune
considerazioni sull‟utilità che si tratterebbe da una esatta carta topografica della città di Napoli e del
suo contado, Napoli 1750; A. Blessich, La carta topografica di Napoli di Giovanni Carafa duca di Noja,
in “Napoli Nobilissima”, IV (1895), p. 183-185; A. Blessich, La pianta di Napoli del duca di Noja, in
“Napoli Nobilissima”, V (1896), pp. 74-77; G. Alisio, Le correzioni del Carletti alla pianta del duca di
Noja, in “Napoli Nobilissima”, VIII (1969), pp. 223-226; F. Strazzullo, La lettera del Duca di Noja sulla
mappa topografica di Napoli, Napoli 1980; M. Rotili (a cura di), La mappa topografica del duca di Noja,
Cava dei Tirreni 1980.
10
Cfr. M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, II. ed., 2 voll., Napoli 1923.
11
Per una conoscenza delle trasformazioni urbanistiche del XIX secolo cfr. B. Petrella, T. Colletta,
Espansione e ristrutturazione urbanistica a Napoli dopo l‟Unità Nazionale, in “Archivio Storico per le
Province Napoletane”, XVI (1977), pp. 379-401; Napoli. Le fonti per un secolo di urbanistica.
Esposizione cronologica dei provvedimenti urbanistici realizzati e non realizzati a Napoli dal 1860,
Napoli 1990.
7
aprirono nuove arterie stradali orizzontali all‟interno del tessuto urbano. I nuovi assi in
alcuni casi raccordarono i tracciati antichi, in altri ne spezzarono i percorsi indebolendo
la loro funzione di collegamenti verticali.
Gli ultimi spazi liberi del territorio napoletano (i Camaldoli, il rione Alto, l‟Arenella,
Capodimonte e tutta l‟area delle colline orientali) persero definitivamente la loro natura
incontaminata con gli inarrestabili interventi di edificazione e di urbanizzazione
condotti.
1.2 La “rete” delle pedamentine sulle dorsali collinari
La genesi dei tracciati collinari ruota intorno a tre fattori fondamentali: un sistema
collinare con le sue acque torrentizie; i solchi vallivi nei quali le acque si incanalavano;
una crescita del tessuto edilizio-urbanistico secondo l‟orografia del terreno.
La grande struttura collinare napoletana (Posillipo, Vomero, Capodimonte) presenta
ripidi pendii che in passato avevano un aspetto molto più tormentato di quello attuale.
Lungo di essi scorrevano numerosi corsi d‟acqua a carattere torrentizio carico di
materiale detritico che sedimentava (le cosiddette «lave»). I percorsi delle pedamentine
più lunghe e importanti, sfruttati nei secoli come collegamenti pedonali, traggono
origine dai valloncelli di scolo di queste acque (ad esempio il Canalone a Posillipo,
calata San Francesco, salita Arenella, le cupe sui Camaldoli, il Petraio, via Cacciottoli,
via Salvator Rosa, le numerose salite dei Vergini e dei Miracoli). I torrenti confluivano
in grandi valloni13 oggi divenuti strade importanti della città. I principali valloni del
territorio napoletano erano situati lungo le attuali via Pessina, Sant‟Anna dei Lombardi,
via Medina, via Foria, via Chiaia.
Questi tracciati sono sopravvissuti sino ad oggi, sfidando i tempi e il corso
dell‟evoluzione urbanistica della città di Napoli dal primo nucleo storico fino alle
recenti espansioni urbane. I percorsi, dislocati per tutto il territorio, sono stati utilizzati
per raggiungere le quote elevate di una collina, per discendere al livello del mare, per
attraversare orti e campagne in pendio, per muoversi nella vegetazione delle pendici
12
Cfr. G. Alisio e A. Buccaro, a cura di, Napoli millenovecento. Dai catasti del XIX secolo ad oggi: la
città, il suburbio, le presenze architettoniche, Napoli 1999.
13
Cfr. G. Melisurgo, Napoli sotterranea – Topografia della rete di canali di acqua profonda. Contributo
allo studio del sottosuolo di Napoli, Napoli 1889; D. Lambertini, Acque sotterranee nell‟ambito del
centro urbano della città di Napoli, in “Boll. Soc. Naturalisti in Napoli”, LXIC (1960); F. Ferraioli, Le
valli della città di Napoli. Nota di topografia antica, in “Il Rievocatore”, 12 (1961), pp. 5 e sgg.; De
8
collinari, saltando notevoli differenze di quota. Nel momento in cui la città
incominciava a prendere forma i tracciati verticali svolsero al massimo la funzione di
collegamento.
Esaminare in generale e nello specifico la rete dei percorsi verticali che la città offre
permette di spiegare il loro significato, operando una catalogazione il più possibile
completa con le principali caratteristiche.
Tali percorsi, accomunati dalla medesima funzione di collegamento, potrebbero
sembrare tutti uguali. In realtà l‟intero patrimonio delle pedonali verticali di Napoli si
presenta differenziato in diverse tipologie di “pendenze”. I fattori che permettono di
riconoscere queste diversità, e di operare una suddivisione, sono molteplici e di svariato
ambito:
- la destinazione del tracciato (polo religioso, politico, sociale, amministrativo;
infrastruttura; borgo, quartiere, rione, casale; arteria stradale moderna, vicolo,
largo; litorale costiero, paesaggio naturale);
- la condizione geo-morfologica del sito (un avvallamento, un‟altura, una
depressione del terreno, un balzo repentino di quota, un costone di roccia
tufacea);
- l‟ampiezza e la lunghezza del percorso (condizionata dalle presenze edilizie che
lo delimitano, dalle cortine dei palazzi, dalle trasformazioni urbanistiche, dalle
caratteristiche del sito naturale su cui è nato);
- la sua struttura (un tracciato di terreno battuto o pavimentato, una sequenza di
gradini più o meno lunga, una scala, un percorso a tratti gradinato).
Il primo indice per individuare, all‟interno del territorio del comune di Napoli, vie che
corrispondono alla caratteristiche suddette di collegamento in pendenza è la
toponomastica. La denominazione è la caratteristica principale e primaria che racchiude
la sostanza di un percorso e ne spiega la sua natura. In alcuni casi, il nome è rimasto
ormai solo memoria storica di una condizione originaria modificata o assente (ad
esempio i gradoni di Chiaia sono oggi una strada carrabile); in altri casi i percorsi, pur
conservando la conformazione che ha dato origine al loro nome, non sono più
riconosciuti con tali definizioni (è il caso della salita Arco Mirelli, oggi tramutata in via
Arco Mirelli, o di tante scalinate e rampe divenute semplicemente vie o vicoli). La
Fusco R., Napoli sopra & sotto. Storia e scienza del suolo e del sottosuolo di Napoli, 2 voll., Napoli
1993-1994.
9
toponomastica14 cittadina parla di rampa, calata, discesa, salita, gradini, gradinata e
scala, cupa, pendino, cavone e quant‟altro possa far pensare ad un strada che raccorda
quote in dislivello.
Un discorso particolare si presenta per le scale propriamente dette. All‟interno dei
quartieri di Napoli sono dislocati migliaia di scale e gradini, di ogni genere, tipo e
dimensione, più storiche o più moderne, elaborate o povere, svolgono la loro utilissima
funzione nel diminuire ulteriormente i forti salti di quota disseminati nel tessuto edilizio
contribuendo così a mantenere quella certa continuità urbana che si era stabilità nella
maglia urbanistica della città a partire dal XIX secolo. La maggior parte delle scale e dei
gradini risale probabilmente proprio al periodo in cui furono aperte le grandi arterie
stradali all‟interno della città che si sovrappongono ai vecchi tracciati. Queste “cerniere
urbanistiche” sono importanti perché si raccordano e si allacciano alle strade principali,
soprattutto nei tratti più scomodi (dislivelli, curve, balzi di quota) funzionando come
scorciatoie per abbreviare i percorsi tra una strada e l‟altra (ad esempio gradini Tasso,
gradini Francesco D‟Andrea, gradini Guglielmo Sanfelice, gradini Santa Caterina da
Siena, gradini Pontano, gradini Amedeo, gradini Nobile). Esse risolvono nello specifico
gli spostamenti in pendenza a media e breve distanza, che la tecnologia di trasporto
esistente difficilmente riesce a gestire.
La maggior parte dei gradini napoletani si trova nei pressi delle chiese e dei nuclei
religiosi più grandi da cui prendono il nome e a cui danno accesso. Spesso i gradini
sono inseriti o completano un sistema di risalita o di discesa molto più complesso (ad
esempio gradini San Nicola da Tolentino, gradini San Martino, gradini Santa Lucia al
Monte, gradini Suor Orsola, gradini Cacciottoli, gradini del Petraio) perché si attaccano
meglio alla quota del terreno dove il dislivello ha la massima intensità. Molti altri
gruppi di gradini invece sono la terminazione o un tratto isolato di percorsi più lunghi
interrotti e tagliati da nuove strade o da interventi di urbanizzazione (ad esempio gradini
corso Vittorio Emanuele, gradini San Filippo, vico San Carlo alle Mortelle, gradini dei
Monti).
Tra le strutture monumentali più importanti per memoria storica e dimensioni, ci sono la
scala di Montesanto e la scala all‟interno del ponte di Chiaia.
14
Sulla toponomastica cittadina cfr. G. Doria, Le strade di Napoli. Saggio di toponomastica storica, II
ed., Milano-Napoli 1971; G. Infusino, Le nuove strade di Napoli. Saggio di toponomastica storica,
Napoli 1987; F. De Arcangelis, Napoli per le vie. Stradario storico-topografico della città, Napoli 1988;
R. Marrone, Le strade di Napoli, 3 voll., Roma 2004.
10